Aranyhíd
Aiiyoh
(Tamil)
Descrive lo stato
confusionale di una persona che non riesce a capire cosa
sta succedendo.
Lo
spesso vapore che
invadeva i bagni le bruciò i polmoni quando Ileana riemerse in un
trionfo di
schizzi. Acqua calde le scivolò tra i capelli e sulla pelle, le lacrime
sul suo
viso mascherate tra le gocce.
Non
riusciva a credere
di avere ancora lacrime da versare.
Il
fiato corto, si
accomodò contro il bordo della piscina e raccolse le ginocchia al
petto,
appoggiandovi sopra la testa, l’acqua del bagno che le solleticava il
mento.
Non poté fare a meno di apprezzare quella carezza tiepida, trovandola
confortante nonostante tutto. Sospirò, resistendo la chiamata della
disperazione che le scorreva nelle vene e che le chiedeva solo di
lasciarsi
andare all’acqua.
Avrebbe
voluto
assecondare quella chiamata, ma sapeva che Kaze non gliel’avrebbe
permesso.
Era
certa che fosse nei
paraggi, perlomeno a tiro d’orecchio, pronto a interferire. Era sempre
stato
nei paraggi, durante tutta la sua prigionia, nascosto nell’ombra più
vicina,
sempre in silenzio e sempre in allerta, pronto a fermarla prima che
potesse
farsi del male – e l’aveva fermata, ancora, e ancora, e ancora.
Era
stato gentile con
lei.
Aveva
tenuto a distanza
le mani e le parole dei soldati con occhiatacce d’avvertimento, aveva
assaggiato gli avanzi che le portavano come cibo per assicurarle che
non fosse
avvelenato, le aveva fatto compagnia con il tintinnio delle monete che
lasciava
cadere sulla pietra delle segrete per farle sapere che non era sola – e
anche
se quel tintinnio era stato assordante alle sue orecchie e le aveva
martellato
la testa, ne aveva tratto conforto. Era stato gentile con lei.
Non
sapeva perché fosse
stato gentile con lei, perché avesse fatto tutto quello – perché
sembrasse
importargli di lei così tanto da mettere a rischio tutto per aiutarla.
Ma
sapeva che non voleva che la vedesse rannicchiata su se stessa, le sue
lacrime
mischiarsi con l’acqua. Per i Sette, quell’anima buona ne aveva viste
abbastanza, di lacrime.
Cos’avrebbe
detto Xander
se l’avesse vista così, in quello stato pietoso? Si sarebbe vergognato
di lei,
per essersi dimostrata tanto debole, per aver infangato la sua famiglia
con
quelle lacrime?
E
Leo, si sarebbe
vergognato di lei anche lui – oppure avrebbe capito, avrebbe capito la
paura e
la disperazione che avevano disintegrato qualsiasi parvenza di dignità
era
riuscita a salvare in quella sua gabbia fredda quando il Principe
aveva… quando
l’aveva minacciata di__
La
spaventava – no, la
terrorizzava. Il suo odio, il potere che sembrava riuscire a
risvegliare in
Ganglari – nella sua stessa spada, la spada che suo padre le aveva dato
per
proteggersi, la spada che le aveva lasciato quel lungo, bruciante
graffio sulla
gola – e il luccichio rosso nei suoi occhi… tutto, di lui, la
terrorizzava.
Si
era già giocata la
sua ultima carta quando aveva smascherato il suo bluff nell’oscurità
delle
segrete, e adesso era rimasta senza assi nella manica… e sapeva, sapeva
che
invece tutte le altre minacce che le aveva rivolto erano reali. Era
abbastanza
sicura che non l’avrebbe mai stuprata, che non sarebbe andato fino in
fondo, ma
c’erano uomini ai suoi ordini che non si sarebbe fatti scrupoli, che
avrebbero
voluto toccare e prendere e strappare, e non poteva essere certa che
lui
gliel’avrebbe impedito.
Rabbrividì,
percependo il
ricordo di tutti quegli occhi pungerle improvvisamente la pelle. Fece
scorrere
le mani sul corpo, sperando che l’acqua calda potesse lavare via quella
sensazione.
Un
singhiozzo che non
riuscì a soffocare le sfuggì dalle labbra, ed Ileana si odiò, odiò Kaze
per
averlo sentito, odiò il modo in cui aveva stretto la sciarpa del ninja
tra le
mani fino a non sentirle più, accasciata sul pavimento della sua cella
come una
bambola di stracci, il cuore sanguinante tra le mani e una supplica tra
labbra.
“Ti
prego, ti prego…
uccidimi, uccidimi prima che mi torturi. Prendimi, prenditi tutto, ma
non
lasciarlo__ non lasciare che faccia del male alla mia famiglia, ti
prego…”
La
sua famiglia… per i
Sette, la sua famiglia…
Non
poteva permettere
che accadesse. Non avrebbe permesso che accadesse, non avrebbe lasciato
che la
usassero come arma per distruggere i suoi fratelli, le sue sorelle, i
suoi
amici. Avrebbe preferito morire – sarebbe morta,
piuttosto che lasciarglielo fare.
Non
era una stupida.
Sapeva
che non aveva
nessuna possibilità di uscirne viva, nessuna possibilità di tornare a
casa. Non
avrebbe mai più rivisto la sua famiglia… e faceva male, faceva male
sapere di
averli delusi, che avrebbero sofferto perché lei aveva fallito quella
stupida,
stupida ricognizione.
Non
era una stupida.
Sapeva
che l’avrebbero –
che lui l’avrebbe uccisa,
lentamente,
il più dolorosamente possibile, e che si sarebbe preso tutto il tempo
di farla
a pezzi, così da strapparle parole tra le grida di dolore. Non ci
avrebbe
nemmeno messo tanto – non era abituata al dolore, non era stata
addestrata a
resistere a un interrogatorio – ma lei non voleva che… quelle promesse
di
dolore che gli aveva visto tra le labbra, tra le mani, la notte prima –
ma era stata la notte prima, o la settimana
prima, l’anno prima? – non voleva che lui…
Non
era una stupida.
Sapeva
che doveva
morire, ma avrebbe dovuto fare in modo che fosse alle sue condizioni,
se voleva
almeno provare a salvare qualcuno dalla distruzione che le sue stesse
parole
avrebbero causato. Ci aveva provato, per Hedi, ci aveva provato, non
appena
aveva capito che non avrebbe cominciato subito con le torture, per
chissà quale
ragione. Ma loro – lui stesso, e Kaze – non
gliel’avevano permesso.
Aggredì
l’acqua con
rabbia, facendola schizzare e strabordare oltre l’orlo della piscina.
Dannazione,
dannazione!
Perché,
perché non
gliel’aveva permesso?! Perché continuava a sussurrarle quella
splendida, atroce
speranza, dicendole che sarebbe stata bene, che sarebbe andato tutto
bene? Non
era già abbastanza dover vivere con la consapevolezza di essere una
morta
che cammina? Non era già abbastanza la fame—
…l’intontimento
che le aveva causato, il modo in cui le aveva succhiato via
le forze,
—la
sete—
…la
sabbia che le aveva messo in gola, il dolore costante sulla pelle,
—il
buio—
…i
mostri che le stringevano attorno gli artigli, gli incubi che snudavano
i denti,
—il
freddo—
…le
spire umide della roccia che si attorcigliavano ai capelli,
l’intorpidimento degli arti,
—già
abbastanza da
sopportare, senza che lui ci aggiungesse la sua maledetta gentilezza?
Represse
il suo gemito –
ringhio, grido – tra i denti e si
portò le mani piene d’acqua al viso, soffocando quei suoni patetici coi
palmi,
passandosi poi le dita tra i capelli, come per lavarli.
E
comunque, perché farle
passare tutto quello? Era così orrendamente ovvio che non avrebbe retto
più di
due ore sotto interrogatorio. Perché trascinare lì tutti, perché…
aspettare?
Forse
quello era il modo
di torturare i prigionieri, a Hoshido. Forse alle fruste e le lame e le
corde e
le risposte veloci preferivano la fame e la sete e il freddo e le
parole
estratte una alla volta.
O
forse era per
divertimento. Dato che avevano capito che avrebbero potuto farla
crollare
quando volevano, forse si stavano solo godendo lo spettacolo di lei che
andava
in pezzi, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Forse erano solo crudeli e
perversi.
Oppure
era solo il
Principe a essere crudele e perverso. Forse era per quello che Kaze si
era
rifiutato di allontarnarsi quando lui si avvicinava, che la sua stessa
guardia
l’aveva allontanata da lui, che Zoe l’aveva cacciato fuori.
…oppure
no?
Un
colpo sommesso alla
porta la fece sobbalzare, strappandola da quei pensieri.
-Principessa?
Posso
entrare?-
Zoe.
Parli
del licantropo…
Ileana
abbandonò il capo
contro il bordo della piscina, giusto il tempo di recuperare il fiato
che lo
spavento le aveva strappato dal petto, l’energia che quello sfogo le
aveva
succhiato via dal corpo.
Fu
con un sospiro che si
issò fuori dalla piscina e afferrò uno degli asciugamani bianchi
impilati a
portata di mano. -Okay.-
La
porta si aprì e
richiuse velocemente. Zoe entrò nei bagni, con un fagotto di vestiti
tra le
braccia e la stessa espressione tranquilla di prima sul volto. -Ehi.
Meglio?-
Ileana
le rivolse un
piccolo cenno, rapido come un frullo d’ali. Zoe le sorrise in un modo
che le
ricordò tanto – troppo – Elise,
incrinandole il cuore.
Elise,
Xander, Camilla,
Leo…
La
Samurai le si
avvicinò a piccoli passi, pronta a fermarsi al minimo segno di fastidio
da
parte sua. Ileana scrollò le spalle, esausta, accettando l’asciugamano
che le porse
per frizionare via l’acqua dai capelli senza una parola.
Non
sapeva come
comportarsi con Zoe. Lei… emanava comprensione. Sicurezza. Calore.
Ileana non
sapeva se sentirsene rassicurata, o se averne paura.
-Vi
ho portato qualcosa
di pulito da mettere.- le spiegò Zoe mentre recuperava l’asciugamano
bagnato,
accennando ai vestiti che aveva appoggiato sulla panca. -Ho cercato
qualcosa in
cui poteste sentirvi a proprio agio, anche se non è stato facile
trovare
qualcosa di nero… non è un colore che mettiamo molto, a Hoshido.-
“Ma
certo che no, con
il sole caldo che splende tutto l’anno…” fu il pensiero
rabbioso di Ileana,
ma si morse la lingua per non farselo scappare: non erano parole
dirette a lei.
Le
rivolse uno sguardo,
rispondendo alla sua espressione impaziente mordendosi un labbro. -Non
è che
non apprezzi il pensiero, ma… che ne è stato dei miei vestiti?-
Ci
fu qualcosa di storto
nel sorriso esitante che Zoe le mostrò. -Al sicuro nel mio bagaglio. Li
laverò
alla prima occasione, ma… beh, non sono conciati molto bene, milady.-
-Oh.-
sospirò Ileana, le
dita che tormentavano il bordo dell’asciugamano ancora stretto attorno
al
corpo, un peso sul cuore. -Vorrà dire che li rammenderò, io__- sarebbe
stata
molto più a suo agio con le sue cose… ma perché Zoe le aveva messe nel
suo
bagaglio? -__io… ehm… ma dob__ devo andare da qualche parte?-
La
Samurai si morse un
labbro, come se stesse chiedendosi se avrebbe dovuto o meno fare
qualcosa.
Ileana reagì a quell’esitazione arrotolandosi su se stessa,
allontanandosi istintivamente:
cosa voleva dire quell’esitazione? Quegli occhi rossi la guardavano
come se la
loro proprietaria non volesse fare quello che stava per fare, ma
dovesse farlo
comunque…
Zoe
dovette vedere la
paura irretire il corpo di Ileana, perché tese le mani di fronte a sé,
offrendole i palmi.
-Milady…
per favore,
ascoltatemi, okay?- la supplicò, prima di prendere un bel respiro.
-Faccio
parte dell’entourage di Lady Mikoto, Regina di Hoshido. Reina, il
Cavaliere
Kinshi che avete conosciuto all’Abisso Infinito, ci ha raccontato di
voi, e Sua
Maestà vorrebbe parlarvi di persona.-
Il
battito del suo
stesso cuore divenne assordante nelle orecchie di Ileana mentre quelle
parole
venivano assorbite dalla sua mente.
La
regina di Hoshido voleva parlarle di persona.
Aveva
creduto di aver
sentito qualcosa su ordini che vietavano di torturarla, ma le era
sembrato così
impossibile che si era convinta di averli immaginati, o di aver sentito
male, o
di aver capito male.
Era
per questo che
avevano aspettato? Che arrivasse la regina?
-E
cos’è__- perché?,
si chiese. Perché la regina avrebbe voluto parlare con una prigioniera,
con un
ostaggio? Lei non aveva niente a che fare con loro, con Hoshido, con la
guerra –
e come avrebbe potuto? Aveva passato la vita rinchiusa in una torre…
-__che la
tua regina vuole da me?-
Zoe
rimase in silenzio,
mordendosi il labbro, l’interno di una guancia. Ileana non poté fermare
le
immagini accecanti che le riempirono la mente e rabbrividì, il sangue
farsi
ghiaccio nelle vene.
Allora
la regina era come suo figlio,
si disse mentre il respiro si faceva corto,
mentre qualcosa di pesante le premeva contro le tempie.
Forse
aveva ordinato di
non lasciarle segni di violenza sulla pelle perché voleva averla tutta
per sé,
fresca e fragile per marchiarla come voleva lei. Voleva essere lei a
strapparle
le parole dalle labbra – quelle parole che sarebbero state la fine di
ogni cosa
che amava…
Forse
l’avrebbero fatto assieme: madre e figlio.
Ileana
si sentì tremare
al solo pensiero, il mondo che si rimpiccioliva, si distorceva,
soffocandola.
No.
Le
mani si strinsero
sull’asciugamano stretto attorno al corpo talmente forte che, dopo
qualche
attimo, smise di sentirle.
No,
non avrebbe
permesso di torturarla – non avrebbe permesso di fare di lei un’arma
per
distruggere la sua famiglia.
-Torna
dalla tua regina.
E dille, da parte mia, che non sono un giocattolo con cui lei e il suo
adorato
bambino possono scacciare la noia.- sputò, la voce venata d’acciaio,
grondante
veleno.
Gli
occhi di Zoe si
spalancarono per la sorpresa e il disagio – bene,
pensò Ileana. La voleva fuori di lì. Doveva farla uscire, far sì che la
lasciasse sola. Poco importava sapere che sarebbe andata a chiamare le
guardie
per trascinarla dalla regina – non le sarebbe servito molto tempo. Solo
quanto
bastava per abbandonarsi all’acqua.
Ileana
strinse i denti,
vestendosi di una forza che non aveva, ma che sapeva di dover
assolutamente
trovare. -E dille che se ci tiene così tanto a passare del tempo con
suo
figlio, anziché torturare qualcuno insieme potrebbe benissimo mettersi
in
ginocchio e fargli un pom__-
-Non
è così facile
annegarsi da soli, sapete?-
La
frase di Zoe mise a
tacere Ileana in un secondo.
La
sua postura
arrogante, quel poco di coraggio che aveva racimolato, parve quasi
collassare e
lei fece un altro passo indietro, la condensa fredda sul muro che le
premeva
contro le spalle nude. -Che__? No, io non__-
-__non
avreste tentato
il suicidio appena avessi messo un piede fuori da qui? Sì, invece.- Zoe
la
interruppe, quel sorriso insopportabilmente triste che scacciava ogni
risposta
oscena dalla mente di Ileana. -So che siete spaventata, milady, ma vi
prego… vi
state dando pena per niente. Nessuno vi farà del male, ve lo prometto.-
Ileana
soffiò come un
gatto quando lei fece un passo verso di lei, selvatica e inviperita.
Dannazione
a tutto,
dannazione a lei.
Proprio
come Kaze, Zoe
aveva capito cosa le stesse passando per la testa.
Ileana
se lo sarebbe
dovuto aspettare, intuitiva come si era dimostrata di essere quando
l’aveva
privata della parola nell’altra stanza, dopo aver capito che le sue
insinuazioni erano solo un modo per tenere a distanza quel frigido di
un
principe – ovviamente quello stesso trucco non avrebbe funzionato con
lei.
Ed
ora eccola lì, ad
interferire quando Ileana voleva solo cancellare la propria esistenza,
per
proteggere le persone che amava… proprio
come Kaze.
Ileana
tremò, quella
pressione così aliena eppure familiare che le pulsava nella mente.
Per
i Sette, non poteva
nemmeno decidere quando togliersi la vita, dunque? Le avrebbero portato
via
anche quell’ultimo pezzo di dignità?
…ma
certo che
l’avrebbero fatto. Ma certo che lui l’avrebbe fatto.
Feccia.
Cagna.
Non
era altro per lui,
per loro. Solo qualcosa di cui fare tutto quello che volevano, qualcosa
da
legare, da incatenare, da prendere a calci, a cui mettere la
museruola.
Qualcosa con cui giocare finché non avessero cominciato ad annoiarsi.
Beh,
lei non sarebbe
stata al gioco. Non sarebbe morta ai suoi piedi, soffocata dalla frusta
che le
avrebbe stretto attorno al collo come un guinzaglio.
Quel
pulsare nella sua
testa parve gonfiarsi ed espandersi, scorrendole lungo il corpo in
tentacoli
che le facevano formicolare la pelle.
No.
-Milady,
per favore,
io__-
Lei
mise una mano sul
muro viscido per tenersi in piedi, il petto stretto in una morsa, la
nebbia ai
bordi del suo campo visito che le impediva di vedere i tremiti che
percorrevano
l’acqua delle piscine.
No.
Zoe
fece un passo verso
di lei, e una scintilla parve attraversarle il corpo.
NO!
-VATTENE,
ORA!- strillò,
le mani premute per soffocare il dolore che le esplose in testa e
accartocciandosi su se stessa, gli occhi chiusi. -Lasciami stare…
LASCIAMI
STARE! Dannazione, dannazione A TE! Voglio solo che finisca!-
-ILEANA,
SMETTILA!-
Il
suo nome.
Le
riecheggiò
chiaramente nelle orecchie, sovrastando quella tempesta di silenzio
bianco che
le imperversava nella mente e scacciandola in un secondo.
Il
suo nome.
Non
l’aveva sentito
pronunciare da… da… beh, da quando era stata catturata.
Ansimò,
il respiro
ancora affaticato ma che si faceva via via più regolare, scostandosi
dal muro
quando bastava per guardare la Samurai.
L’aveva
chiamata con il
suo nome. Non sapeva perché questa cosa la colpisse così tanto, ma…
Il
suo nome.
Zoe
stessa sembrava
alquanto colpita – a quanto pare strillare contro la nobiltà
funzionava, per
qualche motivo. Fece un respiro profondo, sollevata, scostandosi i
capelli
bagnati dalla fronte – perché aveva i capelli bagnati?,
si chiese
Ileana, confusa. -La regina vuole solo sapere cos’è successo all’Abisso
Infinito. Tutto qui.-
-E
io dovrei credere che
è venuta fin qui per farsi ripetere qualcosa che suo figlio le ha
certamente
già descritto nel dettaglio?- la principessa nohriana scosse il capo, i
rimasugli di un ringhio sulle labbra. -E poi, poi che ne sarà di me? Mi
lascerà
in mano a suo figlio perché possa… lo lascerà finire quello che ha
cominciato,
lo lascerà infierire finché… finché io non__?-
Le
si spezzò la voce, la
disperazione evidente, e Ileana stessa sussultò nel sentirla – ma non
c’era
modo che potesse nasconderla, non più. Era stanca, e spaventata, e
tanto tanto
sola. Voleva Leo, voleva suo fratello, i suoi fratelli, le sue sorelle.
Voleva
la sua famiglia, voleva casa.
-Assolutamente
no.-
La
sicurezza nella voce
ferma di Zoe fu tale da riuscire a calmare i singhiozzi che Ileana
sentiva
bruciarle in gola. -La regina Mikoto ha le migliori intenzioni. Sono
certa che
ascolterà i vostri desideri e farà del suo meglio per accontentarvi.-
Ileana
si morse un
labbro per non gemere a quel pensiero.
Per
i Sette, voleva
crederle. Voleva che le sue parole fossero vere, lo voleva così
tanto…
-Mi
lascerà andare a
casa?- pigolò, le parole che le sfuggirono prima che potesse
trattenerle,
trattenere quel pensiero, quella domanda che le avrebbero ritorto
contro per
farla a pezzi.
La
sua riposta arrivò
dopo alcuni secondi di silenzio, pesante e tormentata. -Se è ciò che
volete.
Sono certa che manderà un messaggio a Nohr per farvi venire a prendere,
e vi
assegnerà una scorta fino al confine. Ci scommetterei la mano della
spada.-
Ileana
scosse la testa,
cercando di scacciare la nebbia che la sua esplosione le aveva messo
tra i
pensieri, cercando di eludere la confusione ragionando in maniera
razionale.
Come
potevano quelle
parole essere vere, con tutto quello che le avevano fatto? Come poteva
essere
stato tutto un errore, un’incomprensione? Le persone non facevano fare
la fame
o minacciavano o rinchiudevano qualcuno per sbaglio… -No… no io non__
non posso
crederci, io__!-
-E
io non posso farvene
una colpa. Il modo in cui vi hanno trattata…- Zoe non riuscì a
continuare, e
abbassò gli occhi.
Sembrava…
mortificata –
era l’unica parola che a Ileana venisse in mente. Si rilassò un po’
quando la
Samurai la guardò di nuovo, lo sguardo pieno di dolore e compassione,
le mani
di nuovo tese verso di lei.
-Vi
scongiuro, milady,
credete a me: non avevamo idea di cosa stesse
succedendo. Se avessimo
sospettato una cosa del genere avremmo rimandato Reina indietro
all’istante. È
inaccettabile, e mi assicurerò personalmente che l’idiota reale non se
la cavi
con poco. Vi prometto che non verrà permesso a nessuno di farvi altro
male, ve
lo prometto.-
Ileana
sentì il respiro
spezzarsi in gola. Zoe suonava implorante, tormentata, sincera. Non
poteva
crederle, ma voleva – per Hedi, lo voleva… voleva
permettersi quel
barlume di luce, la speranza che avrebbe davvero rivisto la sua
famiglia, lo
voleva così tanto…
Era
difficile rimanere
diffidente, perché Zoe sembrava troppo onesta, e perché lei ne aveva
troppo
bisogno – aveva troppo bisogno di quel sorriso triste ma incrollabile,
di
quelle braccia amiche aperte per lei, della rassicurazione in quegli
occhi.
Aveva bisogno di quella gentilezza, di quel calore, della sicurezza che
promettevano.
Ne
aveva bisogno con la
stessa disperazione con cui aveva paura del morso della frusta che
avrebbe
condannato a morte la sua famiglia.
Leo,
Elise, Xander,
Camilla…
Non
disse niente, gli
occhi che la soppesavano, i denti che martoriavano il labbro inferiore.
Non
poteva, non poteva, non poteva crederle.
Gemette,
un suono
patetico che le sfuggì dalle labbra contro la sua volontà, e poté quasi
vedere
il cuore di Zoe spaccarsi di fronte a lei.
-Oh,
Ileana…- sospirò
quella, di nuovo dimentica di ogni formalità, con quell’accento così
diverso da
quello a cui era abituata – ma a Ileana non importava, non quando la
faceva
sentire così… così… al sicuro. -Non permetterò a
nessuno di farti del
male, in nessun modo, te lo prometto. Sarò lì tutto
il tempo, per
assicurarmene di persona. Così anche Kaze.-
Il
nome del Maestro
Ninja rintoccò nelle orecchie di Ileana. -Kaze?- ripeté, e si sarebbe
presa a
schiaffi da sola per il sollievo così evidente nella sua voce.
Kaze.
Kaze aveva
promesso. Kaze aveva promesso…
Zoe
annuì subito, quel
sorriso così triste farsi appena un po’ più speranzoso. -Sì. Credo che
voglia
esserci per poter mantenere la sua, di promessa. E io vi prometto di
aiutarlo a
mantenerla, se ce ne fosse bisogno.-
Ileana
non era più in
grado di pensare. Era come se gli ingranaggi nel suo cervello si
fossero
definitivamente inceppati, lasciandola ad annegare nella confusione.
-Non sai
nemmeno cosa mi abbia promesso.-
Il
sorriso di Zoe tornò
triste. -Da quello che ho potuto vedere, credo di essermene fatta
un’idea.-
Ileana
deglutì, ormai
completamente abbandonata contro il muro, a malapena in grado di stare
in
piedi. -E se ti ordineranno di farti da parte? Di non mantenere la
parola?-
-La
manterrò comunque.-
Zoe replicò, come se fosse scontato. Come se fosse scontato che, per
lei, per
mantenere quella minuscola – immensa – promessa, avrebbe disobbedito a
coloro a
cui aveva giurato di obbedire – per il
re, per il Drago e per la patria…
-Davvero?-
le domandò la
principessa, le spalle che tremavano, le parole che sanguinavano tanto
speranza
quando completo, paralizzante, cieco terrore.
-Davvero.-
Zoe annuì con
facilità, la voce salda e misurata.
Le
si avvicinò di un
passo, poi di un altro. Si fermò brevemente quando Ileana le mostrò i
denti in
avvertimento, ma non perse la calma e, alla fine, riuscì ad avvicinarsi
abbastanza da tendere un braccio per toccarla. Ileana chiuse subito gli
occhi,
come aspettandosi uno schiaffo, ma li aprì quando un asciugamano
soffice le
sfiorò il viso per cancellare tracce di lacrime che lei nemmeno si era
accorta
di aver pianto. Zoe sorrise allo sguardo stupefatto che le rivolse.
-Perché
non ci liberiamo
di questo asciugamano bagnato?- le propose, facendo un cenno verso la
panca su
cui la attendevano pazientemente gli abiti che le aveva trovato. -Sono
certa
che con dei vestiti puliti e i capelli asciutti starete molto meglio.-
Ileana
non credeva di
avere nemmeno la forza di rispondere, figurarsi di protestare. Lasciò
che la
Samurai si scostasse in modo che lei potesse barcollare fino alla panca
e
sedersi, e poi le permise di venirle vicino – troppo vicino, ma Zoe fu
bene
attenta a non toccarla mai pelle contro pelle, sapendo benissimo che
l’avrebbe
fatta scattare di nuovo.
Esaminò
i vestiti che la
Samurai l’aiutò ad infilare, uno alla volta. Il peso che le era gravato
sul
cuore da quando aveva capito che non avrebbe potuto avere le sue cose
si alleggerì
un poco quando notò che gli abiti che le aveva trovato erano decenti,
formali
e, soprattutto, che non sembravano troppo hoshijin: un top che le
lasciava
scoperto l’addome e parte delle spalle, ma che aveva lunghe maniche a
campana;
un paio di pantaloncini dal taglio obliquo, più lunghi sul lato esterno
–
arrivavano circa al ginocchio – e più corti sul lato interno; una
fascia nera
che Zoe le avvolse attorno ai fianchi, per coprire la pelle lasciata
esposta
dal top, con due nappe che arrivavano quasi a toccare terra. Un altro
po’ di
quel peso evaporò quando poté infilarsi i suoi stivali – Zoe era
riuscita a
farli diventare abbastanza presentabili da poter andare con gli altri
vestiti.
-Ci…
ci sarà anche lui?-
mormorò Ileana, appena udibile, mentre Zoe cominciava a spazzolarle i
capelli
per farli asciugare.
I
movimenti del pettine
rimasero costanti mentre pensava a cosa risponderle – non aveva bisogno
di
chiederle se stesse parlando del principe, o se si stesse riferendo
all’incontro con la regina. -È suo figlio. Nessuno ha il diritto di
lasciarlo
in disparte.-
Ileana
s’irrigidì,
incapace di sfuggire alla paura che le artigliò il cuore. Non voleva
vederlo.
Non voleva sentire i suoi occhi addosso, il suo odio strinarle la pelle
in
tutti quei punti su cui le sue mani avrebbero voluto lasciare la loro
impronta…
-Vi
prego, non abbiate
paura.- disse quella voce rassicurante, strappandola a quei pensieri –
ma non
apparteneva a Zoe.
Kaze.
Il
Maestro Ninja era
accoccolato sul pavimento di fronte a lei, abbastanza vicino perché
potesse
vedere la calma e la preoccupazione per lei in quei gentili occhi viola
– non
l’aveva sentito entrare. -Non vi farà del male. Nessuno vi farà del
male. Ve
l’abbiamo promesso, io come Zoe.-
Ah,
allora era rimasto
davvero a tenerla d’occhio. Ecco perché non l’aveva sentito: forse non
aveva
aperto nessuna porta, era solo scivolato fuori da un’ombra.
-L’avete
promesso.-
pigolò Ileana, abbassando gli occhi. -Lo farete davvero?-
-Davvero.-
Si
aggrappò a quella
risposta, perché ne aveva bisogno, aveva bisogno di credere che fosse
la verità
– aveva scommesso delle vite su quella promessa, non tanto la propria,
quanto
quelle della sua famiglia.
La
sua famiglia… per i
Sette, la sua famiglia…
-Dovremmo
andare.-
commentò Kaze mentre si rialzava in piedi.
Zoe
esitò, soppesando le
sue parole, scambiando con lui uno sguardo preoccupato che Ileana non
notò.
-Già. Immagino di sì.- concordò infine, ma le sue parole pesavano come
piombo.
Lasciarono
che Ileana si
mettesse in piedi da sola, rimanendo abbastanza vicini da poterla
aiutare, se
lei l’avesse chiesto, ma bene attenti a non toccarla. Lei non chiese
alcun
aiuto, quindi la guidarono fuori dai bagni e nel corridoio, Zoe ad
aprire la
fila e Kaze a chiuderla.
Ileana
li seguì mite,
incredibilmente silenziosa. Non riusciva a smettere di guardarsi
intorno,
intimorita dall’imponenza della Grande Muraglia, persino dall’interno:
i
corridoi che stavano imboccando erano tutti piuttosto stretti, ma le
pareti
s’inerpicavano tanto in alto da farle girare la testa quando cercò di
seguirle
fino al soffitto con lo sguardo.
Era
tutto così estraneo.
Certo, anche il Castello di Krakenburg le era sembrato imponente,
specie
l’esterno e la sala del Trono… ma all’interno era più contenuto, e
fatto di
pietra anziché di pannelli di legno laccato. L’aveva fatta sentire più
a casa,
forse perché era più simile alla sua Torre Nord. L’aveva fatta sentire
a casa.
Non
le piaceva il modo
in cui Suzanoh la faceva sentire – piccola, ed insignificante. Ne aveva
avuto
abbastanza di sentirsi insignificante.
Eppure
lo era,
insignificante, almeno per loro. Nulla più che uno strumento.
Ripensò
al principe, che
l’attendeva al fianco di sua madre, impaziente perché la regina si
decidesse a
permettergli di interrogarla – a permettergli di fare di lei qualunque
cosa
volesse.
Qualcosa
di freddo e
sgradevole le strisciò sulla pelle, lungo tutto il corpo. Lanciò uno
sguardo a
Zoe – di fronte a lei, tesa – e uno a Kaze – alle sue spalle,
silenzioso come
un’ombra, l’espressione del tutto neutra. Si erano adeguati al suo
passo e
camminavano lentamente, senza farle fretta, come se avessero tutto il
tempo del
mondo – non è che lei potesse scappare, comunque.
No,
non poteva scappare.
Non
avrebbe ottenuto
niente tentando la fuga – dopotutto, non sapeva nemmeno dove fosse, né
all’interno della fortezza né a Hoshido, in effetti, perché era
completamente
delirante quando l’avevano portata lì… non si ricordava nemmeno come ci
fosse arrivata.
Non aveva nessuna via d’uscita tranne la morte, ma anche per quello
avrebbe
dovuto contare su Zoe e Kaze perché lei, di modi per togliersi la vita
da sola,
non ne aveva più.
Gliel’avevano
promesso.
Le
avevano promesso che
avrebbero messo fino al suo dolore, se il principe avesse ottenuto il
permesso
di metterle addosso quelle sue mani impazienti. Aveva scommesso le vite
della
sua famiglia su quella promessa. Gliel’avevano promesso.
Di
certo non le
avrebbero fatto una promessa del genere cosicché lei s’incamminasse
buona e
zitta dritta alla sua stessa distruzione – non quando avrebbero
semplicemente
trascinarcela, no? Non avrebbero fatto una promessa del genere se non
avessero
voluto mantenerla…
…oppure…
Ileana
si fermò e si
appoggiò a un muro, fingendo di essersi fermata solo per riprendere
fiato –
Kaze e Zoe si fermarono con lei, senza mai rompere la formazione,
aspettandola
pazientemente. La mente di Ileana correva, come se gli ingranaggi
avessero
ripreso a lavorare all’improvviso e mille pensieri si stessero
accavallando,
inciampando l’uno sull’altro in un modo che le fece venire il mal di
testa.
Era
qualcosa che aveva
già considerato in passato, ovviamente – sepolta viva in quell’oscurità
sotterranea, aveva avuto tutto il tempo per pensare e ripensare ad ogni
possibilità, ad ogni spiegazione per quello che le stava succedendo.
Ovviamente
aveva già pensato che Kaze e Hinata fossero stati gentili solo per
convincerla
a fidarsi di loro e farle scappare tante piccole informazioni senza che
lei
nemmeno se ne accorgesse.
Aveva
scartato l’ipotesi
perché poi né Kaze né Hinata le avevano mai fatto alcuna domanda, che
allora le
era sembrato andare contro lo scopo stesso del trucco.
Ma
poi Zoe era entrata
in scena, con le stesse parole di rassicurazione sulla lingua, e con la
promessa della speranza lucente di tornare a casa e vedere di nuovo la
sua
famiglia.
Forse
non era mai stato
per avere informazioni, dopotutto. Forse era sempre stato solo per
convincerla
che sarebbe andato tutto bene, per convincerla a fidarsi di loro solo
per
guardarla andare in mille pezzi quando gliel’avrebbero strappata dal
petto,
quella speranza lucente.
Quello…
l’avrebbe
lasciata persino più indifesa, perché l’avrebbe spinta ad aggrapparsi
alla
vita, facendosi scivolare come acqua fra le dita ogni opportunità di
sottrarsi
a quel dolore e derubarli della loro preziosa fonte di informazioni.
…e
non era forse andata
così?
Si
premette due dita
fredde contro le tempie, e un fremito le percorse le mani. Per i Sette,
ci era
cascata. Si era tuffata di testa nella loro trappola. Aveva perso la
possibilità di morire alle proprie condizioni.
Ora
era tempo di morire alle loro.
-Non
vi sentite bene, milady?-
La
voce di Zoe le trapanò le orecchie, facendole fare un salto e
incespicare, e per poco non cadde. Rimase in piedi per un pelo, e
soffiò contro
le braccia pronte di Kaze a una spanna dal suo braccio. Il Maestro
Ninja sgranò
gli occhi di fronte a quel gesto ostile, e Ileana lo vide lanciare uno
sguardo
strano alla Samurai – un avvertimento.
-Non
preccupatevi, non manca molto. È… ci siamo quasi.- disse lei, cercando
di sorriderle, ma Ileana scoprì i denti in risposta.
È
quasi finita,
le era quasi sfuggito.
Invece
no. Non sarebbe stato così veloce. Sarebbe stato lungo e orribile e
doloroso.
A
meno che…
…a
meno che non avesse trovato il modo di far sì che la uccidessero prima
di cominciare, ovviamente.
Con
quel pensiero come unica sicurezza, Ileana si scostò dal muro ed annuì.
Le due guardie la guardarono, sorpresi, e si scambiarono un altro
sguardo.
Sembravano in ansia per qualcosa.
Quando
si voltarono e finalmente ripresero a camminare, Zoe le chiese:
-Ehm, avete detto che vorreste rammendare i vostri abiti? Quindi sapete
cucire?
Chi ve l’ha insegnato?-
Ileana
non sapeva se gliel’avesse chiesto per cercare di recuperare quella
connessione tra loro che doveva aver sentito di aver perso, o se era un
modo
per identificare altri possibili bersagli – persone da minacciare, a
cui dare
la caccia per torturarle e smembrarle di fronte ai suoi occhi, perché
quello
era ciò che il principe aveva promesso di fare…
Non
voleva rispondere. Non voleva dire a Zoe che sì, sapeva cucire, perché
Flora gliel’aveva insegnato – assieme a Camilla – dopo che Ileana
l’aveva
implorata, sentendosi tremendamente in colpa per costringerla
costantemente a
rammendare la sua tenuta da allenamento. Non voleva dire a Zoe di
quanto ci
fosse voluto alla Cameriera dai capelli azzurri per volerle bene – al
contrario
di Felicia, che era stata tutta sorrisi e dolcezza da che ne aveva
memoria. Non
voleva dire a Zoe che quel giorno aveva segnato la fine del loro
rapporto
servo-padrone per crescere in un tiepido cameratismo.
Perché
dirlo a Zoe avrebbe potuto mettere in pericolo Flora.
No,
no, no… non avrebbe condannato a morte un’altra persona. Già in troppi
erano in pericolo solo perché lei aveva ancora fiato in corpo.
Camilla,
Leo, Elise, Xander.
-So
cucire.- pronunciò, impassibile.
Qualcosa
nell’eco vuoto che era diventata la sua voce sembrò colpire Zoe,
perché si fermò e si volse, gli occhi pesanti che soppesavano,
scrutavano,
dubitavano. Si morse di nuovo l’interno di una guancia mentre rivolgeva
uno
sguardo preoccupato alla porta in fondo al corridoio, così vicina – ci
stava
ripensando? Stava provando pietà per lei? Avrebbe mantenuto la–?
No
– Ileana si rimproverò per il suo stesso pensiero, spegnendo con le
proprie mani quella piccola luce che aveva luccicato nella sua oscurità
–
niente più speranza. Non poteva permettersela, a dispetto di quanto
avrebbe
voluto riabbracciare la sua famiglia.
Non
li avrebbe rivisti. Mai più. Non poteva sperarci.
Poteva
solo sperare di morire, e sperare che accadesse prima che il
principe di Hoshido avesse avuto la possibilità di metterle addosso
quelle sue
mani impazienti – mani che volevano solo sentirla urlare e implorare e
tremare
nella sua stretta mentre le strappava parole direttamente dalla gola e
trasformandole in armi da usare contro coloro che lei più amava mentre
la
lasciava lì a sanguinare…
Guardò
anche lei la porta, temendo quello che l’aspettava oltre la soglia –
temendo il colpo di frusta che le avrebbe dato il benvenuto non appena
si fosse
aperta.
No,
no, non poteva permettere che accadesse. Non sarebbe morta alle sue
condizione, implorante ai suoi piedi. Sarebbe morta alle proprie
condizioni – comunque ai suoi piedi, ma per sua stessa decisione.
Doveva
costringerlo a ucciderla d’impulso. Doveva farlo scattare. A qualunque
costo.
-Zoe.-
sentì il richiamo di Kaze, e la porta si aprì.
Non
ci fu alcuna frusta a darle il benvenuto quando Ileana venne dolcemente
sospinta oltre la soglia, visto che le sue gambe non furono in grado di
fare
nemmeno quel piccolo passo.
La
luce che entrava dalla finestra la accecò per qualche istante,
facendole
stringere i denti – non era affatto abituata a tutta quella luce, e
dopo il
tempo passato nelle viscere della fortezza… beh, non si poteva certo
dire che i
suoi occhi la apprezzassero. Ricordava vagamente di aver gridato per il
dolore
quando Kaze e Hinata l’avevano portata fuori dalle segrete.
La
vista le tornò nel giro di poco, anche se poteva ancora vedere uno
strano alone sfocato ai margini del suo campo visivo, e tutta quella
luce
faceva pulsare più fastidiosamente la pressione nella sua testa.
La
stanza… la stanza non sembrava una camera di tortura. Sembrava un
qualunque salottino, piccolo ma elegante. Il mobilio non era niente di
troppo
ricercato, ma si vedeva comunque che si trovava nell’ala residenziale
della
fortezza: c’era un divanetto pieno di cuscini e delle poltroncine
dall’aspetto
semplice ma comodo. Un servizio da tè di porcellana era sistemato sul
tavolinetto di vetro al centro della stanza – quattro tazze. Lì dentro
c’erano
tre persone.
C’era
una donna seduta
sul divanetto: indossava un vestito bianco e blu bordato d’oro, e una
coroncina
a forma di sole che le scintillava tra i capelli neri. La regina
Mikoto. Quindi
Zoe aveva detto la verità – la regina era davvero venuta a parlarle.
…perché?
Seduto
accanto a lei
c’era un uomo alto e robusto, con una criniera di capelli scuri che gli
scendevano lungo tutta la schiena. Indossava un’armatura rossa sopra
degli
abiti bianchi, ed era circondato dalla stessa aura di calma sicurezza
che
avrebbe circondato un generale… tuttavia fu la pungente vibrazione di
energia
che percepiva provenire dalla spada al suo fianco che le fece capire
chi le
stava di fronte – era l’energia di un’arma sacra. Il suo rapitore era
il
secondo principe di Hoshido… quindi, chiaramente, di fronte a lei c’era
suo
fratello maggiore.
E
c’era anche lui,
ovviamente, proprio come Zoe aveva previsto. Appoggiato al muro proprio
dietro
quelli che erano i membri della sua famiglia, la guardava come un falco
avrebbe
guardato un uccellino dalle ali spezzate. Poteva sentire le sue minacce
bruciarle sulla pelle come l’odio bruciava rosso nei suoi occhi.
-Ileana.-
cominciò il
Maestro di Spada – aveva una voce profonda, e il sorriso sul suo volto
sembrava
gentile. -Benvenuta a Hoshido. Sono Ryoma, Alto Principe del regno. So
che hai
già conosciuto mio fratello Takumi. Ti presento mia madre, la regina
Mikoto.-
Ileana
lo fissò in
silenzio, non capendo esattamente che diamine stesse succedendo.
Si
era aspettata una
tortura. Si aspettava che lui sguainasse la spada e gliela spingesse
contro la
gola, si aspettava di sentire il potere che scorreva su quella lama
sprofondarle nella carne e farla a pezzi. Ma lui le stava parlando.
Sorridendo.
…perché?
Cercò
di aprire la bocca
per rispondere, ma non ne uscì alcun suono. Prima che potesse provare
di nuovo,
la regina si alzò, felice come se le fosse stato appena offerto un
regalo.
-Ileana.-
Non
c’era alcun titolo,
nessuna formalità nella voce della donna quando parve cantare il suo
nome –
c’era solo calore, un calore che lei non aveva mai sentito prima, il
tipo di
sollievo che si prova nel ritrovare qualcosa che si credeva perduto per
sempre.
Ileana
non poté
contenere il proprio stupore quando alzò lo sguardo e incontrò il
sorriso
estatico della regina mentre quella si alzava e faceva un piccolo,
esitante
passo verso di lei, le braccia aperte di fronte a sé come se volesse
abbracciarla.
Ileana
fece un passo
indietro, d’istinto, sentendo il respiro spezzarsi rumorosamente in
gola.
La
regina si fermò
subito ed abbassò le braccia, ma il sorriso non le abbandonò il volto.
-Oh,
perdona la mia impazienza, tesoro… non volevo spaventarti. Ma è passato
così
tanto tempo che non sono riuscita a trattenermi. Ti prego, avvicinati.
Siedi
accanto a me.-
Ileana
era troppo
scioccata per discutere, troppo scioccata per parlare. Si limitò a
seguire la
donna mentre tornava a sedere sul divanetto, a malapena conscia dei
propri
movimenti. Non aveva alcun controllo sul proprio corpo mentre i suoi
piedi le
facevano fare quei due passi per raggiungerla – e i cuscini le
sembrarono
spaventosamente alieni, dopo tutto quel tempo costretta a strisciare
sulla
roccia e nella polvere.
L’Alto
Principe le
rivolse un ampio sorriso mentre si accomodava su una delle poltroncine.
Lo
intravide invitare il fratello a fare lo stesso, ma il Cecchino scrollò
le
spalle, preferendo restare appoggiato al muro, gli occhi ben fissi
sulla sua
preda. Ileana sentì il cuore battere un po’ più in fretta sotto quello
sguardo
di brace e la pressione nella sua testa – la stessa che le aveva
schiacciato i
pensieri nei bagni – parve gonfiarsi – proprio come nei bagni.
Fu
la voce della regina
a costringerla a distogliere l’attenzione da lui. -Tesoro? C’è qualcosa
che non
va?- i suoi occhi scuri andarono da lei al figlio, e quando tornarono
da lei
erano accompagnati da un sorriso rassicurante. -So che tu e Takumi
siete
partiti col piede sbagliato, ma ti assicuro che non hai niente da
temere. È qui
per darti il bentornato a casa!-
Casa.
Nohr
era casa sua. Non
quel posto. Non con quelle persone.
Che
diamine stava
succedendo?!
-Io…-
un brivido le
corse lungo la schiena, rendendola ipersensibile a tutto. Le sembrava
di avere
la bocca asciutta, ma si sforzò di parlare nonostante le labbra
screpolate le
facessero male. -…io non so di cosa stiate parlando. Io non vi conosco.-
La
gioia sul volto della
donna appassì in un istante.
Anche
il volto dell’Alto
Principe si era fatto più grave, e lo notò quando le sue parole
attirarono la
sua attenzione. -Tu… non ti ricordi di lei? Per niente? O di me, o… di
questo
posto?-
Ileana
lo guardò come
avrebbe guardato un’aragosta parlante.
-Io…
no. Come…- aveva
passato quattordici anni della sua vita rinchiusa nella Torre Nord,
come
avrebbe potuto conoscere la regina di Hoshido? -…come potrei?-
Qualcosa
andò in pezzi
nell’espressione dell’Alto Principe a quelle parole. Sembrava che fosse
sul
punto di dirle qualcosa, ma niente di buono – aveva le spalle tese, la
mascella
serrata, le mani strette a pugno. Ileava vide un sorrisino sulle labbra
del
secondo principe quando si girò, chiedendosi come mai il suo sguardo
era
diventato talmente intenso da poterlo sentire pungerle la pelle.
La
regina alzò una mano,
disperdendo la tensione che era andata montando in quella stanzetta.
Sorrise
alla principessa, ma con amarezza. -Immagino… immagino che sia
comprensibile.
Era così piccola, dopotutto…- la sua mano si tese per accarezzare
quelle di
Ileana, maledettamente pallide contro gli abiti scuri che indossava, ma
lei le
nascose nelle pieghe delle maniche. -Ileana, io sono tua madre.-
Sua
madre.
Ma
certo che Ileana
aveva chiesto di sua madre, da piccola, dopo aver sentito per caso una
chiacchierata tra Flora, Felicia e Jakob che parlavano dei loro
genitori. Si
era precipitata da Xander alla prima occasione e gli aveva chiesto chi
fossero
i suoi genitori. Lui le aveva parlato di un uomo affettuoso ma severo
di nome
Garon. Lui le aveva parlato di una donna bellissima, dolcissima e
letale di
nome Katerina.
La
regina Katerina era
stata un Cavaliere Malig, e una della più amate regine nohriane di
sempre. Era
stata temibile con un tomo ed impietosa con un’ascia. Aveva lasciato
giocare
Leo con la magia per la prima volta, e Camilla la ammirava talmente
tanto da
averne fatto il suo modello di vita, a cui tutt’ora tentava di
somigliare.
Elise non si ricordava di lei, perché era stata troppo piccola quando
la regina
era stata portata via da una malattia che aveva messo in pericolo anche
Ileana –
e per quello l’avevano allontanata, perché potesse allenarsi in pace e
al
sicuro: nessuno voleva correre il rischio di vederla ammalarsi.
Xander
le aveva
raccontato tutto di Katerina. Le aveva raccontato che le aveva voluto
un bene
immenso, che aveva gli stessi capelli di Camilla e gli stessi occhi
verdi e
luminosi di Ileana. Le aveva raccontato che vegliava ancora su di lei,
e quando
Camilla lasciava Ileana a giocare con Marzia, che era stata la compagna
di
Katerina, lei non poteva che credergli.
La
donna che le sedeva
di fronte non era sua madre.
-Sono
figlia di re Garon
e della regina Katerina. Io sono nohriana.- disse, la voce
sorprendentemente
chiara per via di una rabbia distante e indefinita.
Poté
sentire il secondo
principe reagire al suo diniego, raddrizzandosi e allontanandosi dal
muro di
qualche passo, più vicino, gli occhi che mandavano lampi.
-Oh,
bambina mia…-
sospirò la regina, e Ileana comprese che avrebbe voluto prenderle il
viso dalle
mani – ma si trattenne, e grazie ad Hedi, perché lei proprio non sapeva
come
avrebbe potuto reagire al contatto. -Garon e Katerina non sono i tuoi
genitori.
Non biologicamente parlando, almeno.-
Ileana
la fissò in
silenzio, la pressione pulsante nella testa che si faceva più intensa,
scorrendole nel corpo, facendole indolenzire le mani e appannare gli
occhi.
Niente
aveva più senso.
Si era aspettata delle torture, o almeno delle domande sulla battaglia
all’Abisso, come Zoe le aveva anticipato. Ma no: la regina le stava
dicendo di
essere sua madre – le stava dicendo che l’Alto Principe e il giovane
che
l’aveva tormentata, minacciata e che voleva ucciderla erano i suoi
fratelli.
-Immagino
che questo
debba essere uno shock per te…- disse l’Alto Principe, intercettando lo
sguardo
stravolto che lei gli aveva dedicato. -…ma ti assicuro che dice il
vero. Sei
hoshijin. Sei stata portata via da noi quando eri piccola. Siamo noi la
tua
famiglia…-
No.
Lei
era nohriana. Xander
e Leo erano i suoi fratelli, Camilla ed Elise era le sue sorelle – loro
erano
la sua famiglia.
Quel
posto non era casa.
Quelle persone non erano casa. Perché insistevano a dirle il contrario?
Riusciva
a malapena a
respirare, ormai, il cuore che sembrava esserle impazzito nel petto, la
pressione trasformatasi in rovi che le affondavano nella testa. C’era
qualcosa
che non andava con i suoi occhi – la nebbia ai margini del suo campo
visivo
sembrava aver preso vita e scintillava.
Eppure
nessuno sembrava
notare quanto stesse male, perché l’Alto Principe e la regina
continuarono a
parlare – o era davvero brava a fingersi composta, oppure semplicemente
non gli
importava nulla di come stesse.
-Non
sapevamo cosa
pensare: ci aspettavamo che fossi stata presa in ostaggio, o come
prigioniera
politica, ma non abbiamo mai avuto tue notizie.-
-Siamo
stati tanto in
pena per te… ma ora sei tornata…-
Ostaggio.
Prigioniera politica.
Ma
erano loro che la
stavano tenendo in ostaggio. L’avevano trattata anche peggio di una
prigioniera
politica – di certo non come una bambina appena ritrovata dopo anni e
anni e
anni di agonia…
-No.-
Ileana soffiò, e
poi aggiunse, a voce più alta: -È tutto sbagliato. Un errore.-
Le
sue parole ridussero
tutti al silenzio. Poteva sentire i loro occhi addosso, le la
soppesavano, che
si interrogavano, che sussurravano – poteva sentire gli occhi del
secondo
principe addosso, impazienti, ostili, soddisfatti. Il suo sguardo era
una
presenza fisica, dolorosa. Lo odiava, odiava sentirlo addosso in quel
modo.
Ormai quel battito nella sua testa le era dilagato per tutto il corpo,
facendola tremare.
-Nessun
errore, Ileana.-
dichiarò l’Alto Principe.
Il
dolore nei suoi occhi
era lo stesso del sorriso che la regina le rivolse, mentre diceva: -Hai
un
segno all’interno del polso sinistro – una spruzzata di nei che
ricordano la
costellazione della Lira. Hai sempre detto che indicava il tuo destino
di musicista.-
Qualsiasi
colore rimasto
sul volto di Ileana scomparve a quelle parole.
-Come__-
lei aveva un
segno all’interno del polso sinistro, tale e quale a quello descritto:
un
insieme di nei messi quasi nello stesso modo delle stelle che formavano
la
Lira. Come poteva saperlo, la regina, sapere che lei credeva che la
destinasse
ad un futuro di musica? D’accordo, magari non era un sogno così
originale,
però… -N_non è possibile.-
-Ma
è la verità,
milady.-
Kaze.
Si
voltò verso il
Maestro Ninja, che aveva fatto un passo verso di lei, le mani tese di
fronte a
sé. Sembrava preoccupato, e Ileana immaginò che potesse vedere le mani
che le
tremavano, sentire il respiro irregolare. La sua voce era calma mentre
spiegava: -Siete stata rapita a Cheve, quattordici anni fa. Re Garon e
Re
Sumeragi avrebbero dovuto incontrarsi a Cheve per discutere un nuovo
trattato
di pace… ma appena entrati in città finimmo dritti in una trappola.
Uccisero il
nostro re, e rapirono voi.-
La
voce dell’Alto
Principe era tutto meno che calma quando aggiunse: -Io c’ero, Ileana.
Nostro
padre mi portò con lui perché re Garon aveva suggerito che anche i
principi
ereditari di entrambi i regni avrebbero dovuto partecipare, come prova
di buone
intenzioni. Ti abbiamo portata perché avevi appena compiuto quattro
anni.
Doveva essere un regalo di compleanno.-
I
principi ereditari.
L’Alto
Principe di
Hoshido.
Il
Principe Ereditario
di Nohr.
Xander.
-Bugiardo.-
Ileana gli
soffiò contro, incredula. Sentiva i tremiti scuoterle il corpo, la
pelle
bruciare, la testa spaccarsi – si sentiva come se una tempesta le
stesse
montando dentro, come tante si erano addensate fuori dalla sua
finestra, a
casa, a Nohr, alla Torre Nord. -Lui non c’era. Mio fratello, lui non…
mai…-
Bugiardo.
Ne era sicura.
Xander
non avrebbe…
potuto, mai…
L’Alto
Principe
ridacchiò, cattivo. -Parli del Principe Ereditario di Nohr? Credimi,
c’era
eccome. Armato fino ai denti, come tutti i suoi soldati. E non è tuo
fratello.-
All’improvviso,
chiarezza.
Stavano
cercando di metterla contro la sua famiglia.
Dopotutto,
perché
torturarla e ucciderla, rischiando di scatenare una guerra, quando
avrebbero
semplicemente potuto piegarle la mente con quelle orribili bugie per
farla
rivoltare contro i suoi cari? Avrebbero ottenuto tutte le informazioni
che
potessero desiderare, persino di più di quante ne avrebbero avute da un
interrogatorio, oltre ad un ottimo ascendente da usare contro il Trono
di
Spine, per colpire la sua famiglia al cuore, dove faceva più male.
Era
sempre stato quello,
il loro piano? Tormentarla con le cattiverie e farla impazzire con le
gentilezze, per farla correre tra le loro braccia al primo segno di
affetto,
dopo distrutta e terrorizzata al punto che non si sarebbe fatta domande?
Sentì
il sangue farsi
ghiaccio nelle vene.
Per
i Sette, ci era
quasi cascata, comprese con orrore, ripensando a quanto avesse voluto
l’abbraccio di Zoe, le carezze di Kaze – facevano parte anche loro del
piano?
Oh, ma certo che ne facevano parte.
Era
stata tutta una
bugia, una ragnatela di false promesse tesa a incatenarla, trappole di
affetto
per farla impazzire. Ma certo che non gli importava di lei. Si erano
occupati
delle ferite che le erano state inferte trascinandola nel fango perché
era il
loro lavoro, niente di più.
Ora
sarebbe stato il
loro lavoro tenerla ferma – perché ovviamente l’avrebbero condannata a
morte,
appena si fossero accorti che quell’orrendo giochetto non aveva
funzionato. Era
naturale che toccasse a loro legarla, imbavagliarla, gettarla a terra
così che
il loro principe potesse torreggiare su di lei.
L’energia
che le
scorreva in tutto il corpo sembrò esplodere quando la pressione nella
sua testa
aumentò ancora, tanto da farle stringere i denti, e sentì quello
sguardo
maledetto come una lama – e sentì il suo odio.
Quell’odio
era la sua
unica speranza, comprese. Era il momento, il momento di farlo scattare.
Il
momento di morire.
Probabilmente
avrebbe
cercato di prendere la spada di suo fratello, di strappargliela,
intenzionato
ad affondargliela nel petto, nel cuore, fino all’elsa. Avrebbe
bruciato,
comprese, avrebbe fatto male.
Ma
sarebbe stato veloce.
Era la sua unica possibilità.
La
sua unica possibilità
di tenere al sicuro la sua famiglia.
Xander.
Camilla. Leo.
Elise.
Qualcosa
di caldo le
scivolò lungo l’energia incontenibile che era diventata la sua pelle, e
si
sentì andare in pezzi.
Rise.
Rise,
e in
quell’orribile risata Zoe vide qualcosa che non avrebbe dovuto essere
lì:
rassegnazione.
Guardò
Kaze, allarmata
dall’espressione distorta che si stava lentamente disegnando sul volto
di
Ileana, e scorse una scintilla di panico anche nello sguardo dell’amico
– anche
Kaze aveva visto, anche Kaze percepiva i capelli
sulla nuca drizzarsi
mentre un’energia che entrambi avevano già avvertito nei bagni sembrava
contorcersi nell’aria intorno a loro.
Non
era strano che un
mago arrivasse a quel punto. Quando le emozioni prendevano il
sopravvento la
loro magia reagiva sovraccaricando l’energia presente nell’aria, nel
loro
corpo, riverberandosi in quello che li circondava: Ileana aveva dato
prova di
essere allo stremo della sua resistenza già prima, quando l’acqua delle
vasche
aveva reagito alla sua tensione e aveva inzaccherato tanto la Maga
quanto Zoe… ma
certo, rifletté la Samurai, riportando la propria attenzione
sulle mani
tremanti della principessa: Ileana non aveva potuto scaricare la
propria
tensione utilizzando la magia, nei giorni di prigionia, e di certo la
sua mente
aveva avuto tutto il tempo per partorire chissà quali incubi…
Forse
avrebbe dovuto
avvertire Ryoma, oppure la Regina: non sembravano consci di quanto
Ileana fosse
in procinto di esplodere, di quanto tutte le informazioni che le
avevano
rovesciato addosso la stessero mandando fuori di testa.
-Siete
solo dei
bugiardi.-
Zoe
sobbalzò, alzando
gli occhi appena in tempo per vedere la smorfia crudele della
principessa di
Nohr, per vederla scoprire i denti come già aveva tentato di fare con
lei, per
cogliere un riflesso di trionfo nel volto in penombra di Takumi.
-Pensavate
davvero che
ci sarei cascata?-
Crack.
Le
porcellane
ordinatamente esposte sul tavolino si incrinarono, e lady Mikoto
sobbalzò:
tentò di allungare una mano verso Ileana, ma la principessa si ritrasse
come se
avesse tentato di colpirla.
-Ileana,
non__- tentò di
richiamarla, ma tutto ciò che ottenne come risposta fu un ringhio
strozzato.
Zoe
portò istintivamente
la mano alla propria spada, costringendosi a distogliere lo sguardo per
assorbire tutta la situazione: Ryoma sembrava confuso, lady Mikoto era
chiaramente sconcertata, mentre Takumi… Takumi sorrideva.
Con
la coda dell’occhio
guardòKaze, la sua espressione accuratamente impassibile, i suoi
muscoli tesi –
era pronto ad intervenire, ma non sembrava essere in procinto di
estrarre
un’arma…
-Non
mi userete contro
la mia famiglia.- Ileana si alzò in piedi, traballante, ed in quel
momento fu
chiaro anche a Ryoma e alla Regina quanto fosse debilitata: tremava,
tremava così
violentemente che sembrava sul punto di crollare, una luce folle negli
occhi
verdi ed il terrore scritto in ogni angolo del suo volto.
-Mi
fate schifo, voi e i
vostri giochetti.-
Quando
Ileana si voltò,
girando attorno al tavolino e fermandosi accanto a Mikoto, direttamente
davanti
a Takumi, Zoe avrebbe voluto urlare.
Doveva
intervenire.
Takumi
non si sarebbe
fermato. Takumi stava sorridendo. Takumi avrebbe…
Ileana
lo guardò, e
nella sua voce Zoe sentì la disperazione mescolarsi al veleno.
-Contento,
adesso? Cosa
aspetti, principino? Non vuoi provare a stuprarmi davanti alla tua cara
mammina?- insinuò, allungando una mano verso la guancia della Regina
per
sfiorarla con una carezza orribile, malata, mentre l’orrore che aveva
appena
pronunciato sembrò riempire di crepe l’espressione contenuta della
donna.
…cosa
aveva fatto?
Zoe
guardò Kaze,
sconvolta – e, nello stesso momento, il tavolino di vetro andò in mille
pezzi.
-Maledetta
cagna
schifosa!- ruggì Takumi, furioso, e poi tutto successe troppo in fretta
per
riuscire a fermarlo.
-Takumi!-
Ryoma ruggì,
balzò in piedi… ma troppo, troppo tardi.
Lei
e Kaze si lanciarono
in avanti quando l’urlo animalesco di Ileana sovrastò persino il suono
del
cristallo in frantumi.
Takumi
si scagliò su
Ileana con un ringhio disarticolato che gorgogliava in gola e lei si
voltò,
incespicando per sfuggire alle mani che il principe aveva teso per
tentare di
afferrarla – se Takumi l’avesse presa… se le avesse messo le mani
addosso…
No.
Gliel’aveva
promesso.
Zoe
lasciò che la superasse
– Kaze era dietro di lei, si sarebbe occupato di Ileana, con lui
sarebbe stata
al sicuro – e si buttò contro Takumi: era più veloce di lui, più agile
di lui,
e non fu affatto difficile afferrargli il polso teso minacciosamente
verso
Ileana.
Lo
torse con violenza,
strappandogli un versaccio di dolore quando sfruttò la sua stessa
veemenza per
farlo girare su se stesso e bloccargli il braccio dietro la schiena,
spingendolo subito lontano da sé e da Ileana.
Serrò
rapidamente le
mani sulla katana e ne estrasse un palmo, bilanciandosi sulle gambe per
prepararsi a qualunque reazione, senza smuoversi nemmeno di un passo
dalla
propria posizione quando Takumi, furioso, recuperò l’equilibrio e si
volse – e
non c’era niente, del suo amato fratellino, in quella faccia stravolta
dall’ira… e allora non ci sarebbe stato nemmeno nulla di lei: tirò
indietro le
orecchie, serrò le labbra e assottigliò le palpebre, lasciando che
l’addestramento impresso nei suoi muscoli avesse la meglio, che
cancellasse
ogni traccia della confusione che provava.
-Levati
di mezzo!- la
aggredì il principe, avanzando e fermandosi soltanto quando si trovò ad
un
soffio dal viso di Zoe. Lei però rimase immobile, impassibile, la mente
fredda
e calma che calcolava rapidamente ogni alternativa.
-No.-
rispose,
sopportando l’ira ed il baluginio di follia che poteva scorgergli negli
occhi,
cogliendo il fremito nelle sue mani – come se volesse colpire anche
lei, come
se si stesse trattenendo per non farle fare la stessa fine della
principessa
che aveva deciso di proteggere.
-È
un maledetto ordine,
Zoe!-
Qualcosa
urlò, dentro di
lei, ma non aveva tempo di ascoltarlo: incassò le spalle, spostò la
mano
dominante più in alto sulla tsuka e si preparò
all’attacco che sembrava,
ormai, inevitabile – quando una mano guantata di rosso si chiuse sulla
spalla
di Takumi e lo tirò violentemente indietro.
-BASTA!-
Il
ruggito di Ryoma
sovrastò tutto il resto.
Inconsapevolmente,
Zoe
tirò fiato, travolta da un fiotto di sollievo nel guardare l’Alto
Principe
strattonare Takumi per allontanarlo da lei, spingendolo indietro e
frapponendosi a sua volta fra il fratello e Zoe così come lei aveva
fatto per
Ileana.
Si
arrischiò a lanciare
una rapidissima occhiata alle proprie spalle, approfittando della
protezione
offerta dalla figura possente di Ryoma, trovandosi davanti ad un’Ileana
in
lacrime, tremante e sconvolta, aggrappata disperatamente al petto di
Kaze.
-Avete
promesso… me
l’avete promesso…- singhiozzava, fra le braccia di Kaze, mentre le
lacrime le
scendevano copiose lungo le guance e le sue dita artigliavano gli abiti
del
Maestro Ninja che la cullava con gentilezza, che le mormorava qualcosa
all’orecchio con quel suo tono rassicurante – ma Zoe non riuscì a
cogliere le
sue parole, perché le urla di Ryoma e di Takumi sovrastavano tutto il
resto.
-Ragazzi!-
Il
silenzio calò
all’improvviso.
Lady
Mikoto si era
alzata in piedi e si era rivolta ai suoi figli, sedando le loro grida
semplicemente pronunciando i loro nomi con quella sua voce che, per la
prima
volta, Zoe aveva percepito venarsi d’acciaio: tutti e due la
guardarono,
confusi e apparentemente dimentichi di tutto il resto, la quiete
repentina
spezzata soltanto dai singhiozzi della principessa.
-Non
adesso.- continuò
la Regina, occhieggiando i due principi fino a che Ryoma, riscossosi
dalla
sorpresa, afferrò Takumi per la giacca e lo tirò verso l’angolo più
lontano,
ignorando i suoi deboli tentativi di divincolarsi. -Sono certa che
questo sia
soltanto un grande fraintendimento.-
No,
avrebbe
voluto dirle
Zoe, non c’era nessun fraintendimento.
Takumi
aveva torturato
Ileana, l’aveva costretta a marcire in una cella buia, l’aveva
insultata e
l’aveva minacciata di qualcosa di tanto orribile che Zoe nemmeno voleva
pensarci: niente di tutto ciò era fraintendibile, era tutto così
chiaro, così
lampante, e per un istante trovò profondamente irritante il tentativo
di
calmare gli animi della Regina.
Quella
era sua figlia,
dannazione…
avrebbe dovuto arrabbiarsi, urlare, fare qualcosa! Avrebbe dovuto
rimproverare Takumi, cacciarlo da quella stanza perché non si
avvicinasse
nemmeno lontanamente ad Ileana!
Zoe
digrignò i denti, ma
si sforzò di non far trasparire nulla quando lady Mikoto girò su se
stessa e si
avvicinò di un passo a loro, a Kaze, a Ileana.
-Ileana?-
chiamò,
dolcemente, ma Zoe sentì soltanto un pianto più intenso provenire dal
fagotto
di lacrime che Kaze stringeva al petto.
-Vi
prego… per favore,
voglio soltanto andare a casa mia…- ripeteva, una cantilena continua e
straziante che avrebbe ferito chiunque con un minimo di sensibilità
nell’animo,
di gentilezza.
-Madre,
per favore! Non
avvicinarti!-
Zoe
scoprì i denti,
trattenendosi dal ringhiare a sua volta, fulminando Takumi con lo
sguardo.
Come
osava? Come poteva?
Doveva soltanto vergognarsi di se stesso, doveva soltanto tacere e
sperare di
non trovarla mai più da sola perché dei, quanta
voglia aveva di fargli
provare almeno un minimo della sofferenza che aveva imposto a quella
ragazza
innocente – a sua sorella…
Lady
Mikoto però
sorrise: un sorriso pieno di dolore, un sorriso sofferto, un sorriso
che Zoe
scorse incrinarsi quando si voltò per un istante a guardare suo figlio.
-Mio
adorato Takumi, lei
non è pericolosa. È soltanto spaventata.- mormorò, prima di fare
qualche passo
per avvicinarsi alla principessa. -Tesoro?- chiamò di nuovo, ma Ileana
si
contorse fra le braccia di Kaze come se volesse sparire, come se quello
fosse
l’unico posto sicuro, per lei, in quell’incubo in cui era stata
scagliata.
-No!
Non vi avvicinate!
Non mi toccate!- strillò, e Zoe istintivamente si avvicinò a Kaze,
tentando di
rimanere il più possibile vicina ad Ileana senza che lei percepisse il
suo
gesto come un’aggressione.
Lady
Mikoto esitò,
alzando lo sguardo per scambiare una fugace occhiata con il Maestro
Ninja.
-Non
lo farò. Non
preoccuparti, va tutto bene.- continuò, e nella sua voce c’era qualcosa
di
rasserenante, di pacifico, come se nelle sue parole fosse nascosta una
ninnananna… -Per favore, Ileana, respira. Non hai nulla da temere, non
ti
succederà nulla. Sei sotto la mia protezione.-
Ileana
si arrischiò ad
alzare il viso per sbirciare la Regina, ma Zoe davvero non riuscì a
sopportare
quella vista: era stravolta, le sue guance erano rosse e rigate dalle
lacrime
che non sembrava in grado di fermare, i suoi occhi erano gonfi e le sue
labbra
tremavano violentemente.
-Vieni,
perché non ti
siedi su una delle sedie?-
-Lady
Mikoto.-
Zoe
sentì quelle parole,
sentì la fermezza in quella voce, ma per un istante credette che fosse
stato Kaze
a parlare: soltanto quando Mikoto la guardò, con la tristezza nello
sguardo e
un sorriso tirato che s’incrinava, comprese di essere stata lei
a
intromettersi, a fermare la Regina prima che potesse convincere Ileana
ad
avvicinarsi.
Mikoto
però non si incupì,
nonostante la sua intromissione potesse benissimo essere considerata un
oltraggio vero e proprio: posò una mano sulla spalla della Samurai e
strinse
appena, delicatamente, nonostante sotto il suo tocco Zoe si fosse
irrigidita
all’improvviso.
-Non
c’è nulla da
temere, Zoe. Non le farò del male.- la rassicurò, ma Zoe voltò la testa
per
lanciare un’occhiataccia ai due principi, a Takumi che la fissava,
furibondo,
nonostante Ryoma gli bloccasse quasi completamente la visuale.
-Ma
lui sì.- commentò,
sentendo quelle parole bruciare in gola come braci ardenti.
Senza
un’altra parola,
senza guardare la Regina, si scostò, avanzando con passo deciso per
andare a
piazzarsi fra Ryoma, Takumi e il mobilio in modo che, se quell’idiota
avesse
dato di matto un’altra volta, sarebbe potuta intervenire immediatamente.
Percepì
addosso il peso
dello sguardo di Mikoto, sentì il sospiro strozzato e sofferente che le
sfuggì,
ma non si voltò nemmeno quando Kaze accompagnò Ileana verso una delle
sedie
imbottite, sostenendola finché non vi si sedette – non aveva bisogno di
guardare per sapere che cosa stava succedendo; i suoi occhi dovevano
rimanere
lì dov’erano, a sopportare la furia in quelli di Takumi, a tenerlo
d’occhio per
impedirgli di fare qualsiasi cosa gli saltasse in mente.
-Ileana…
capisco che tu
sia scioccata. Tutto questo dev’essere davvero duro per te.-
Finalmente,
pensò Zoe. Finalmente
qualcuno aveva deciso di accorgersi di quanto Ileana avrebbe avuto
bisogno di
riposare, di rimettersi in sesto, prima di rovesciarle addosso tutto
quanto…
come potevano aver pensato che fosse una buona idea? Era cresciuta
lontano da
tutti loro, in un altro posto, con un’altra famiglia, possibile che
soltanto
lei – che aveva pregato per il suo ritorno per anni ed anni – se ne
rendesse conto?
-Per
favore, dimmi che
cosa posso fare per aiutarti.- continuò Mikoto, con il tono gentile e
pacato
che Zoe spesso usava per calmare i pegasi imbizzarriti.
-Voglio…
voglio mio
fratello.- la pregò Ileana, con una voce talmente debole ed esausta che
Zoe
quasi riuscì a cogliere l’espressione di Kaze incupirsi ancor di più.
-Voglio
parlare con Xander.-
Suo
fratello…
Zoe si morse le
guance, prendendo un profondo respiro per cercare di calmarsi.
Era
normale che volesse
suo fratello. Anche lei, al suo posto – se lo avesse avuto,
se fosse ancora
stato se stesso, se non fosse andato completamente fuori di testa
– avrebbe
voluto suo fratello, quello che per tutta la vita aveva chiamato
fratello…
-Ed
allora lo manderemo
a chiamare.-
Uno
sguardo diverso pesò
improvvisamente su di lei, mutando nella sua percezione di ciò che la
circondava; Zoe si voltò rapidamente, sorprendendosi di scorgere una
profonda
gratitudine in un paio d’occhi verdi che si erano posati su di lei alle
parole
di lady Mikoto – e le sorrise, le sorrise nonostante si sentisse morire
dentro,
perché Ileana non meritava altro che gentilezza dopo tutto quello che
era stata
costretta a subire.
-Orochi?-
con la coda
dell’occhio, Zoe scorse la porta aprirsi e la figura di sua madre
sgusciare
all’interno della stanza; alle sue spalle, abituata com’era a cercare
le tracce
dei ninja nelle ombre, poté quasi distinguere le espressioni allarmate
di Saizo
e di Kagero, che subito scomparvero dietro il pannello scorrevole.
-Mia
cara, hai uno dei
tuoi incantesimi con te? Vorrei mandare un messaggio a Re Garon
immediatamente.-
domandò la Regina, ed Orochi annuì, spalancando immediatamente la borsa
che
portava sempre con sé.
-Ma
certo.- affermò,
estraendo immediatamente un rotolo di pergamena che Zoe sapeva essere
imbevuto
di magia, una penna e un calamaio. Sua madre si avvicinò a lady Mikoto,
passandole accanto e sfiorandole appena il braccio con una carezza
accennata,
delicata come un alito di vento.
Dei,
quanto avrebbe
voluto un abbraccio della sua mamma.
Zoe
digrignò i denti,
scacciando quel pensiero e reprimendo le lacrime che le bruciarono
repentinamente negli occhi: non aveva tempo di concentrarsi su quelle
cose, in
quel momento. C’era qualcuno che aveva bisogno di lei, Ileana
aveva
bisogno di lei, e lei non avrebbe fallito.
Aveva
promesso.
-Ecco!-
-Meraviglioso.-
ringraziò Mikoto, ed Orochi si ritirò immediatamente, spostandosi
appena dietro
a Kaze. -Ileana, posso sedermi accanto a te? Vorrei che tu vedessi che
cosa sto
per scrivere.-
Zoe
s’irrigidì, ma si
morse la lingua quando Ileana rispose prima che lei potesse intervenire
di
nuovo.
-Io…
sì, può andare.-
-Ottimo.-
Per
qualche minuto, gli
unici suoni in quella stanza furono quello del pennino che grattava
sulla
pergamena e il respiro irregolare di Ileana; Zoe si concentrò su
quello, su
quegli ansiti affannati e sugli occasionali singhiozzi che sfuggivano
alla
principessa, perché se avesse pensato a qualsiasi altra cosa
sapeva che
non sarebbe stata in grado di rimanere impassibile.
Rimase
immobile,
aggrappata alla sua spada, l’unica ancora in quel mondo che
improvvisamente
aveva perso tutto ciò che lei aveva sempre considerato stabile e
inamovibile –
Takumi sembrava aver perso se stesso, la Regina non sapeva come
comportarsi,
Ryoma sembrava ancora più confuso di lei… e poi, dov’erano finite tutte
le sue
paure, quelle che l’avevano inseguita durante il viaggio per giungere a
Suzanoh?
Aggrottò
le
sopracciglia, perplessa.
Non
ci aveva pensato,
fino a quel momento, troppo impegnata a cercare di sistemare i danni
che Takumi
aveva fatto, ma… perché il pensiero di avere davanti la bambina di cui
aveva
così pochi ricordi, ma per cui aveva combattuto così tanto, non l’aveva
nemmeno
sfiorata?
Si
era aspettata che
tutte le sue antiche ossessioni – quelle che si erano celate nelle
parole dei
nobili, contro cui ogni giorno lei lottava per costringerle a tornare
al loro
posto, che aveva combattuto per forgiare nella determinazione di cui
andava
tanto fiera – sarebbero tornate a galla dinanzi ad Ileana, che avrebbe
dovuto
sopportare l’aggressione di quei pensieri velenosi ancora una volta, ma…
Il
sospiro soddisfatto
di lady Mikoto spezzò quella temporanea, fragile quiete, strappandola
ai suoi
pensieri.
-Vuoi
che aggiunga
qualcosa da parte tua? Cosicché sappiano che sei al sicuro?-
-Non…-
Ileana esitò, e
Zoe dovette lottare con se stessa per non lasciarsi sfuggire un
sorriso: era
quasi certa che, nella sua mente, Ileana stesse cercando qualcosa da
aggiungere
che non potesse compromettere nessuno dei suoi fratelli. -Solo…
potrebbe dirgli
che quando arriverà qui, andremo a guardare le stelle? Come ci eravamo
promessi?-
Fu
quello, più di qualunque
altra cosa successa fino a quel momento, a spezzare il cuore di Zoe.
Ileana
voleva soltanto
andare a casa. Non aveva voluto nulla di tutto quel disastro, non aveva
fatto
niente per causarlo, e voleva soltanto tornare dall’unica famiglia che
avesse
mai conosciuto…
Strinse
i denti,
ignorando il disgusto sul volto di Takumi e l’occhiata dispiaciuta che
Ryoma le
rivolse, mentre qualcosa di nuovo – un nuovo obiettivo, una nuova
speranza, una
nuova battaglia – si fece bruscamente largo fra i suoi pensieri,
spazzando via
tutto il resto: in qualunque modo, a qualunque costo, lei avrebbe fatto
in modo
Ileana potesse tornare a casa sana e salva.
Che
cosa importava, in
fondo, che fosse o meno una principessa di Hoshido? Lady Mikoto non
l’aveva
cresciuta, Ryoma e gli altri non erano i suoi fratelli, lei stessa era
una
perfetta sconosciuta per Ileana – e come poteva essere diverso, se
nessuno le
aveva mai raccontato dell’incidente di Cheve, se nessuno le aveva mai
parlato
di Re Sumeragi, della trappola che era stata tesa, delle urla della
bambina che
Zoe era stata quando gliel’avevano strappata dalle braccia?
…non
meritava di tornare
nel posto che chiaramente amava tanto, che considerava la sua casa, da
coloro
che erano la sua famiglia?
Magari,
se quel disastro
si fosse risolto, Ileana avrebbe potuto visitare Shirasagi, ogni tanto…
magari
Zoe non avrebbe dovuto dirle addio così presto. Magari sarebbe tornata,
magari
sarebbe riuscita a sistemare quell’orrendo disastro che Takumi aveva
fatto,
magari sarebbe andato tutto bene.
Ma
adesso non importava.
Adesso
l’unica cosa
importante era che Ileana si sentisse al sicuro, che il Principe Xander
arrivasse per cancellare il terrore e la tristezza che quei giorni
orribili
avevano inciso su di lei.
-Ma
certo.- sentì
annuire Mikoto, poi altre parole, altro inchiostro, una promessa.
-Ecco. Il Re
dovrebbe averlo già ricevuto. Hai avvertito l’incantesimo, vero?-
domandò, ma
l’unica risposta di Ileana fu un debole mugolio di assenso.
-Devi
essere davvero una
maga di eccezionale talento.- mormorò, con dolcezza, lady Mikoto, ma
ancora
nessuna risposta giunse da parte di Ileana – doveva essere
così stanca…
-Adesso, se per te va bene, vorrei tornare a Shirasagi mentre ci
organizzeremo
per incontrare il Principe Ereditario. Saremo tutti più a nostro agio,
là, e tu
potrai ricevere cure e riposare prima di ripartire.-
Finalmente,
Zoe si
voltò, cogliendo un tono definitivo nella voce della Regina: voleva
soltanto
uscire di lì, portare Ileana in un posto più tranquillo dove avrebbe
potuto
riposare – e, dall’espressione di Kaze, comprese che anche lui non ne
poteva
davvero più di tutto quel disastro.
-I-Io…
io non…-
Ileana
non voleva andare
a Shirasagi. Perché non potevano rimanere lì, aspettare il principe di
Nohr a
Suzanoh? Shirasagi non era il posto ideale per lei, non con tutto
quello che
avrebbe comportato il ritorno della principessa perduta…
-Milady.-Kaze,
che era
rimasto per tutto il tempo accanto alla sedia su cui si era
raggomitolata
Ileana, s’inginocchiò dinanzi a lei, trovando Hotoke soltanto sapeva
come la
forza di rivolgerle un sorrio rassicurante. -Avete davvero bisogno di
rimettervi in sesto.-
-Io…-
Ileana guardò Zoe,
confusa, ma anche lei sorrise, incoraggiante, sebbene detestasse
quell’idea
ancor più di quanto avesse odiato quella di costringere Ileana a
parlare
immediatamente con la Regina. -…va bene.-
-Perfetto.-
lady Mikoto
si alzò in piedi, lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi
per non
spaventare Ileana. -Adesso credo che tu abbia davvero un gran bisogno
di
riposo. Kaze, Zoe?- chiamò, alzando lo sguardo stanco sui due
guerrieri. -Posso
chiedervi di portare Ileana in una delle stanze nell’ala residenziale?-
-Certo,
lady Mikoto.-
annuì lei, mentre Kaze si occupava di aiutare Ileana ad alzarsi,
lasciando che
gli si aggrappasse alla spalla perché ormai, ed era maledettamente
chiaro, non
aveva più nemmeno la forza di stare in piedi.
-Da
questa parte, lady
Ileana.-lo sentì mormorare mentre le passavano accanto, cogliendo il
gesto
protettivo con cui le accarezzava la schiena.
-Aspettate.-
Zoe
sobbalzò, colta di
sorpresa dalla voce profonda che li richiamò indietro: si voltò,
esasperata, e
vide che Ryoma si era avvicinato per fermarli, l’espressione
terribilmente
seria e tormentata. -Devo farti una domanda, Ileana.-
-Ryoma,
no.- si sentì
grugnire, sgranando gli occhi nel momento stesso in cui si rese conto
di cosa
aveva appena fatto – diamine, non riusciva davvero a tenere
la bocca chiusa
e a ricordare che non aveva alcun diritto di rivolgersi ai reali in
quel modo,
oggi. -Non mi sembra il caso.- aggiunse, però, cercando di
rivolgergli
un’occhiata di scuse ma rimanendo comunque al suo posto, a metà fra
Ryoma ed
Ileana.
-Mi
spiace, ma non posso
rimandare oltre.- replicò lui, pacato – evidentemente si
erano dimenticati
anche loro che lei non era proprio nessuno per parlargli così
–, girandole
intorno per avvicinarsi a Kaze. -Ileana.- chiamò, dolcemente,
aspettando fino a
che lei non si voltò per guardarlo. -Cos’è successo all’Abisso?-
Zoe
soffocò un
versaccio, perché forse sarebbe stato davvero tirare troppo la corda,
avvicinandosi di qualche passo per affiancarsi al principe – magari
vederla
avrebbe aiutato Ileana a non andare di nuovo nel panico, visto che
Ryoma non
aveva proprio l’aspetto più rassicurante del mondo agli occhi di chi
non lo
conosceva.
-Io…-
Ileana, esausta
com’era, chiuse gli occhi per qualche attimo, prima di stringersi alla
spalla
di Kaze per aiutarsi a rimanere in piedi. -Io non ho dato alcun ordine
di
attaccare. Ho soltanto mandato in avanscoperta una pattuglia, guidata
da un
ottimo guerriero… che è stato l’unico a tornare.-
-Quindi
nessun attacco
era stato preventivato?-Ryoma insistette e Zoe davvero avrebbe voluto
prenderlo
a gomitate, adesso, perché avrebbe potuto farle quelle domande in
qualsiasi
altro momento e non quando non era nemmeno in grado di reggersi in
piedi.
Oppure
no,
le suggerì uno strano
istinto nella sua mente.
Forse
Ryoma aveva deciso
di tirar fuori quel discorso proprio perché Ileana, in quello stato,
non
sarebbe mai stata in grado di mentire; forse anche lui era arrivato
alla
conclusione che quella ragazza non poteva ricordarsi di loro ed era
solamente
capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato… e chissà cos’altro
stava
pensando, sotto quella massa di capelli. Di sicuro,
rifletté Zoe, aveva
i suoi buoni motivi, ma…
-No.-
Quella
risposta sembrò
essere tutto ciò che Ryoma stava aspettando. Sorrise, incoraggiante,
ringraziando Ileana con un gesto gentile della testa, prima di
raddrizzare la
schiena tanto in fretta da impedire a Zoe di accorgersi dell'ombra
scura sul
suo volto; si diresse alla porta, aprendola con tanta rapidità da far
sobbalzare Ileana e sorprendere persino lei.
-Saizo,
Kagero.- chiamò,
seccamente; i due ninja si materializzarono in un istante dinanzi al
loro
Principe, inchinandosi profondamente prima di rivolgergli la loro piena
attenzione – ma
certo, dovevano aver
sentito tutto, gemette Zoe fra sé, perché nemmeno le loro espressioni
accuratamente neutre potevano nascondere il dispiacere negli occhi di
Kagero e
la fredezza in quelli di Saizo.
Zoe
impallidì, evitando
accuratamente lo sguardo del suo maestro: al contrario della Regina e
di Ryoma,
Saizo sembrava spietatamente conscio di quanto fossero state eclatanti
le sue
ripetute mancanze di rispetto – oh, dei,
come minimo stavolta l'avrebbe ammazzata, se le avesse messo le mani
addosso.
-Portatemi
gli averi di
mio fratello.- ordinò Ryoma, con tanta freddezza da strappare Zoe ai
suoi tetri
presagi di morte e riportare la sua attenzione su di lui.
Alle
sue spalle, Takumi
gemette, ma lei si rifiutò di voltarsi o, addirittura, di chiedersi che
cosa
significasse quel suono: era palese, dalla voce tagliente di suo
fratello
maggiore, quanto lo aspettasse una lavata di capo con i controfiocchi,
ma lei
non trovò nemmeno una briciola di dispiacere al pensiero.
-Hinata,
Oboro.-
continuò, Ryoma, ignorando la reazione di suo fratello, quando Saizo e
Kagero
scomparvero fra le ombre. -Voi aspettate qui. Dovrò parlarvi, dopo.-
Zoe
udì a malapena i
flebili “sì, lord Ryoma” che i suoi amici mormorarono – ah, quindi
anche loro
avevano sentito tutto: la sua intromissione, l'isteria di Takumi, la
crisi di
nervi di Ileana...
Zoe
digrignò i denti,
appiattendo le orecchie contro il cranio. Quella povera ragazza doveva
essere
così stanca… oh, ma perché Ryoma non aveva potuto aspettare che loro se
ne
andassero per fare la sua tirata? Possibile che non vedesse quanto
quella
poveretta fosse esausta e avesse bisogno di andarsene da lì!?
-Zoe.-
finalmente,
finalmente si decise a rivolgersi a lei, proprio quando la sua pazienza
aveva
ormai raggiunto il limite.
-Oh,
bene, hai finito.-
borbottò, superandolo con un'occhiataccia ma ottenendo, in risposta,
soltanto
uno sbuffo e un amaro, mezzo sorriso a cui lei rispose alzando gli
occhi al
soffitto, esasperata.
Kaze
si fermò soltanto
per rivolgendogli un rispettoso cenno con la testa prima di avviarsi,
tenendo
Ileana sempre stretta al petto, e Zoe lo seguì, dando le spalle a tutti
i
presenti in quella stanza: tuttavia, prima di richiudersi la porta alle
spalle,
le sue orecchie attente colsero un mormorio soffocato che fece stridere
dolorosamente
qualcosa, dentro di lei… ma mai come in quel momento fu grata di avere
un udito
più fine del normale, perché davvero non avrebbe voluto che Ileana
sentisse la
voce dolce e triste di lady Mikoto sussurrarle quelle poche parole
tormentate.
-Dormi
bene, bambina
mia.-
§
Le
porte dell’avamposto
di Suzanoh non sembravano così resistenti come il resto della
struttura. Per un
istante, Zoe cullò l’idea di scardinarne almeno un paio – fragili e
sottili
com’erano, non sarebbe stato difficile –, ma non sarebbe stato così
soddisfacente, e gli dei soltanto sapevano quanto aveva bisogno di
sfogare la
rabbia che avvertiva premere agli angoli del suo campo visivo, che
rendeva
tutto più confuso e spennellava ciò che aveva intorno di nero e di
rosso.
Il
pavimento ticchettava
sotto i suoi passi pesanti, ma non aveva proprio nessuna voglia di
misurare
ogni movimento per non fare rumore: voleva fare rumore, voleva spaccare
qualcosa nella speranza che le sue mani smettessero di tremare, ma
sapeva che
urla e strepiti avrebbero soltanto disturbato Ileana, ora che
finalmente si era
addormentata.
Era
rimasta con lei fino
a pochi minuti prima. Lei e Kaze l’avevano accompagnata in una delle
stanze più
confortevoli dell’intera fortezza, avevano socchiuso le persiane per
impedire
alla luce del Sole di disturbarla ma lasciando che uno spiraglio di
luce
mantenesse visibile l’ambiente – era stata un’idea di Kaze, per
impedire che
l’oscurità completa ricordasse a Ileana le segrete – ed erano rimasti
al suo
fianco fino a che il suo pianto non si era estinto nel sonno che il
sonnifero
preparato dal Maestro Ninja aveva misericordiosamente fatto calare su
di lei.
Kaze
era davvero una benedizione giunta dagli dei.
Lei
aveva fatto fatica a
controllarsi, aveva reagito d’istinto, aveva probabilmente fatto dei
danni più
grossi di quanto le interessasse pensare, mentre Kaze era rimasto
lucido
dall’inizio alla fine – e non soltanto di quel giorno, ma dell’intero
disastro,
fin dall’Abisso: aveva ormai capito, Zoe, che Kaze non aveva perso la
calma
nemmeno una volta, durante quel viaggio… si era premurato di rimanere
nei
paraggi di Ileana, aveva probabilmente spinto Hinata ad intervenire
quando
Takumi aveva esagerato, si era rifugiato nell’impenetrabile oscurità
delle
segrete per farle compagnia e anche adesso, in quel momento, le era
accanto, a
vigilare sul suo sonno.
Era
una persona migliore
di lei, Kaze, ma Zoe non poteva che esserne felice: era con Ileana e
questo
significava che Ileana era al sicuro, che nessuno l’avrebbe più
disturbata o
spaventata… ed era l’unica sicurezza che, adesso, Zoe poteva sperare di
avere.
Lei,
in quel momento,
mentre tutto ciò che era successo durante quella lunga giornata
turbinava nella
sua mente, era perfettamente conscia di non essere abbastanza calma per
fare lo
stesso: Kaze stesso le aveva suggerito di uscire da quella stanza, le
aveva
assicurato che avrebbe vegliato sulla principessa e che si sarebbero
dati il
cambio al suo ritorno, le aveva assicurato che non si sarebbe
arrabbiato con
lei se si fosse assentata per un po’ – e lei aveva obbedito, grata,
perché nel
momento stesso in cui Ileana aveva chiuso gli occhi tutto ciò che era
successo
le si era rovesciato addosso, ghiacciandole le mani e confondendole i
pensieri.
Aveva
probabilmente
soltanto reagito male al calo della tensione, quando ogni motivo per
rimanere
tesa e all’erta si era estinto nel sospiro profondo che Ileana aveva
fatto nel
momento in cui era crollata, esausta, nel mare di cuscini che Zoe le
aveva
sistemato attorno. Avrebbe dovuto calmarsi, perché sì, era sempre stata
una
persona incline agli scoppi di collera, ma non aveva mai sperimentato
una furia
di tale entità – non aveva mai visto le proprie mani tremare in quel
modo, né
aveva mai sentito i pensieri vacillare mentre qualcosa di prepotente e
distruttivo sembrava agitarsi nella sua mente, assordandola col suo
incessante
ruggito.
Forse
avrebbe dovuto
cercare Saizo. I suoi aspri rimproveri, forse, sarebbero stati
sufficienti per
annegare quel mostro neonato nel senso di colpa e nella vergogna… o
forse
l’avrebbero soltanto fatta arrabbiare di più, perché non c’era nemmeno
una
briciola, in lei, che provasse rimorso per quello che aveva fatto.
Aveva
fatto la cosa giusta.
Aveva
protetto una
ragazza innocente, e questo era tutto ciò che le importava: si sarebbe
comportata nello stesso identico modo anche se al posto di Ileana si
fosse
trovato chiunque altro, perché niente, in lei, avrebbe potuto lasciare
che la
bestia che aveva preso il posto di Takumi continuasse a infierire su
qualcuno
di indifeso…
Takumi
non c’era più.
Era
l’unica spiegazione
che avesse senso, l’unica che potesse dare una parvenza di logicità ad
una
situazione che in realtà aveva perso ogni traccia di razionalità da
parecchio:
Takumi, il suo Takumi, era sparito,
e
un mostro crudele e pieno di una rabbia cieca aveva preso le sue
sembianze. Non
poteva essere altrimenti.
…dei,
sarebbe stato così
facile credere a quella bellissima bugia, perché la verità era molto
più dura
da affrontare e lei non era certa di essere in grado di sopportarla.
Aveva
cercato di uccidere la sua stessa sorella.
Di
più: lo aveva fatto
sotto lo sguardo sconvolto di sua madre, davanti al fratello che
idolatrava e
anche a lei, a cui aveva detto soltanto qualche ora prima che… che
avrebbe
voluto…
Zoe
scosse la testa,
continuando imperterrita a mordicchiarsi nervosamente l’interno della
guancia,
ignorando il sapore metallico del sangue sulla lingua quando si ferì
con i suoi
stessi denti; non doveva pensare alle parole che Takumi le aveva detto
prima di
portarla da Ileana, prima che tutto andasse allo sfacelo – era molto
più
semplice continuare a concentrarsi sulla delusione che provava nel
pensare a
ciò che aveva fatto ad Ileana, quella era una rabbia giusta, che aveva
tutti i
diritti di provare: se si fosse permessa di indugiare su altro, su
quanto
l’avesse spaventata il modo in cui Takumi aveva guardato lei,
sapeva che non sarebbe più stata in grado di ignorare quanto
male le avessero fatto le sue parole ed i suoi gesti.
E
poi non aveva proprio
tempo di mettersi a frignare, a dirla tutta. Non quando aveva qualcosa
di molto
più importante da fare.
Sospirò,
sfregandosi
stancamente il viso, costringendosi a guardarsi intorno per capire dove
i suoi
passi nervosi l’avessero portata: quel dannato posto era tutto uguale,
e non si
sarebbe nemmeno sorpresa di essere finita nelle vicinanze del salotto
dove si
era consumato quell’assurdo dramma familiare che sarebbe stato così
facile
evitare – e sì, in effetti quel corridoio le sembrava familiare, non
doveva
essere poi così lontana, ma prima che potesse decidere di avvicinarsi a
sufficienza per origliare i rimproveri di Ryoma un assordante suono di
passi
tutt’altro che felpati la distrasse, attirando la sua attenzione appena
in
tempo per permetterle di distinguere la figura di Takumi in fondo al
corridoio.
...avrebbe
davvero dovuto cercare Saizo.
Takumi
camminava con il
suo stesso passo rumoroso ed arrabbiato: non sembrava conscio della
presenza di
qualcun altro e borbottava fra sé e sé qualcosa di incomprensibile, lo
sguardo
rivolto verso il basso e i pugni stretti sulla stoffa della sua
mantella; se
fosse stata più intelligente, più furba, Zoe si sarebbe ritirata nelle
ombre,
lasciando che lui la superasse senza accorgersi di lei e rimandando
qualunque
discussione ad un altro momento, ma…
Ma,
impressi a fuoco nella sua mente, c’erano ancora gli occhi colmi di
paura di Ileana.
Uno
strano gorgoglio le
vibrò in gola, ma soltanto quando si accorse di aver scoperto i denti e
di aver
appiattito le orecchie fra i capelli comprese di essere sul punto di
mettersi a
ringhiare.
Che
cosa accidenti stava facendo!?
D’accordo,
era sempre
stata piuttosto selvatica, ma ringhiare non era una reazione un po’
eccessiva?
Deglutì,
tentando di
calmare quell’improvviso bisogno di esternare tutta la propria
frustrazione in
quel modo tanto animalesco: lei era una persona e come tale doveva e
voleva
comportarsi, maledizione, non era una bestia selvaggia!
-Zoe…?-
Quasi
poté udire il suono
della sua fragile pazienza che andava in mille pezzi.
-Tu.-
soffiò, e per un
istante quel ruggito fu quasi sul punto di prendere il sopravvento su
di lei,
offuscandole la vista per un lunghissimo attimo prima che riuscisse a
riscuotersi quel tanto che bastava per mettere a fuoco l’espressione
frustrata
di Takumi.
Takumi
sbuffò, ignaro
della battaglia che aveva imperversato dentro di lei nel tempo di un
respiro,
alzando gli occhi al cielo e fermandosi a pochi passi da lei.
-Senti,
non ho proprio
voglia di litigare anche con te, quindi__-
Zoe
digrignò i denti,
esasperata.
-Il
tuo “quindi” puoi
anche infilartelo su per il culo.- grugnì, infilandosi bruscamente le
mani
nelle tasche dei pantaloni per resistere alla tentazione di prenderlo a
pugni,
ignorando la smorfia oltraggiata che lampeggiò sul volto di lui in
risposta al
suo linguaggio piuttosto colorito. -Dimmi che sei impazzito. Dimmi che
hai
preso una botta in testa e ti sei dimenticato di essere una persona
decente.-
continuò, e parte di lei avrebbe disperatamente voluto sentire quelle
parole,
sentirsi dire che sì, aveva perso la testa, che era mortificato per
quello che
aveva fatto e che avrebbe passato la vita a cercare di farsi perdonare…
ma,
ovviamente, le sue ultime speranze si frantumarono quando, nel momento
in cui i
loro sguardi si incrociarono, nei suoi familiari occhi dorati Zoe non
scorse
nemmeno una briciola di pentimento.
-Ho
fatto quello che
dovevo fare.- affermò, seccato, scoccandole un’occhiata talmente piena
di
sdegno e di disgusto da farla quasi sentire sporca.
Un
versaccio molto
simile a quel ringhio che aveva trattenuto le risalì in gola, e prima
di
accorgersi di essersi mossa si ritrovò ad un soffio da quel viso che le
sembrava irriconoscibile, che non aveva niente di quello del ragazzo
che adorava,
a fissare quelle iridi colme di compatimento.
-Quello
che dovevi fare
era comportarti come un essere umano, e non come un mostro!-
Stava
strillando, stava
strillando come un’isterica e non poteva farci niente: voleva soltanto
che
Takumi tornasse in sé, che capisse che razza di orribile, orrenda
bestia era
stato con Ileana, che comprendesse l’orrore delle proprie azioni…
Dei,
faceva così male guardarlo e non riuscire a riconoscerlo.
Takumi
si strinse nelle
spalle, facendo un passo indietro e serrando le labbra, indispettito.
-Quella
cagna non si
meritava altro che__-
Oh,
quello era davvero troppo.
-BASTA!-
Con
uno scatto fulmineo,
più rapida di quanto avesse potuto pensare di essere, Zoe sentì il
proprio
braccio muoversi quasi di propria volontà: percepì i muscoli tendersi,
la
spalla piegarsi, le dita stringersi – e, un istante più tardi, vide il
proprio
pugno abbattersi con violenza sulla faccia di Takumi.
Crack!
-EHI!-
strillò lui,
sconvolto, quando Zoe balzò indietro per evitare gli schizzi di sangue
e per
recuperare l’equilibrio che quello slancio repentino le aveva quasi
fatto
perdere. -Mi hai dato un pugno!- esclamò, incredulo, ma lei si limitò a
sbuffare, furente.
-Ne
vuoi un altro? Sono
abbastanza nervosa da andare avanti tutto il giorno!- lo invitò,
massaggiandosi
il pugno e osservando con amara soddisfazione il sangue di Takumi che
le aveva
macchiato le nocche.
Gli
aveva dato un pugno.
Gli aveva davvero dato un pugno!
Prima
che lui potesse
rispondere – o che lei potesse fermarsi a pensare a quello che aveva
appena
fatto – gli si accostò di nuovo, raddrizzando le spalle per ergersi in
tutta la
sua altezza e fermandosi soltanto quando lo sguardo confuso e allarmato
di
Takumi fu tutto ciò che poté vedere.
-Si
meritava di essere
insultata, quindi?- ringhiò,
calcando
sulla stessa parola che lui aveva usato poco prima, udendo nelle
proprie parole
lo stesso veleno che aveva venato i disperati tentativi di Ileana di
proteggersi da lui.
-Di
essere minacciata?-
Ed
erano state minacce
imperdonabili, minacce che avrebbero lasciato il loro segno, che non
sarebbero
mai svanite del tutto.
-Di
essere ridotta in
quello stato?-
L’aveva
ridotta alla
fame, alla sete, a non saper più distinguere la realtà dalle
allucinazioni –
quale razza di persona poteva fare una cosa del genere ad un’innocente?
-Se
lo meritava
davvero?-
Nessuno,
nessuno se lo sarebbe meritato – a
parte
quei mostri di cui Saizo le aveva parlato e che le aveva mostrato anni
prima,
gli schiavisti, i pervertiti disgustosi che rapivano i bambini, ma…
quelle in
fondo non erano persone, no?
“Sei
troppo buona per questo mondo.”
Quelle
parole distanti,
che appartenevano ad un passato recente eppure ormai tanto lontano da
essere
inafferrabile, la fecero trasalire.
Era
stato Ryoma, mesi
addietro, ad affermare quella realtà in risposta ad un’obiezione che
Zoe aveva
fatto quando, ficcanasando come aveva fatto sin da bambina nel lavoro
dell’Alto
Principe, aveva chiesto spiegazioni su un trattato con il vicino
principato di
Mokushu che Ryoma le aveva permesso di leggere.
Lui
le aveva spiegato
pazientemente le motivazioni dietro alle richieste piuttosto rigorose
che Zoe
aveva scorto e, sebbene la logica di quelle scelte fosse chiara e lei
non
avesse avuto alcuna difficoltà a comprenderla, si era comunque sentita
a
disagio, i pensieri che correvano a quanto sarebbero costati quei
trattati alla
gente comune nonostante si fosse trattato di misure che avrebbero
assicurato
molta più stabilità ad entrambi i regni.
Sì,
lei era
probabilmente troppo buona, e non avrebbe mai imparato ad accettare i
costi che
derivavano dalla politica, dalla guerra, dai dissapori fra i regni, ma…
non era
così certa di voler cambiare.
Non
se significava diventare come Takumi.
Il
versaccio del
principe la riportò alla realtà, davanti a quel ragazzo che l’aveva
sempre
spinta a coltivare quel suo bisogno di vedere sempre il meglio delle
persone ma
che, adesso, aveva voltato le spalle a tutto ciò che di giusto e di
buono lei
aveva sempre scorto in lui.
Dei,
dov’era andato a finire il Takumi a cui lei voleva così tanto bene?
-È
incredibile. Hai già
voltato le spalle a chi ti ha sempre voluto bene, ora che c’è lei.-
Takumi
sputò quelle
parole con rabbia, con odio, allontanandosi da lei e distogliendo lo
sguardo
non appena ne fu in grado, sfregandosi la manica della divisa da
Cecchino sul
volto per cancellare le tracce di sangue dal naso rosso e gonfio. -Da
te mi
aspettavo di più.- mormorò, ma Zoe non si lasciò fermare da quel
subdolo
tentativo di ferirla: incrociò le braccia e alzò la testa, nonostante
affrontare proprio lui si stesse rivelando più doloroso di quanto
avesse potuto
immaginare.
-Potrei
dire lo stesso
di te.- ribatté, e gli dei soli sapevano quanto fosse vero, quando le
facesse
male vedere che razza di persona orribile si era nascosta per anni
dietro
Takumi, quanto fosse orribile rendersi conto di non aver saputo vedere
niente
di tutto quello fino a che non era stato troppo tardi.
Ryoma
aveva avuto
ragione, in fondo. Quel suo animo gentile, alla fine, l’aveva resa
cieca.
-Mi
fai schifo.-
mormorò, e furono le parole più sofferte che avesse mai detto in tutta
la sua
vita, in cui lei stessa percepì echeggiare il suono del suo cuore che
si
spezzava – ma non importava, poteva sopportarlo, avrebbe potuto
sopportare
qualunque cosa se affrontare quel rancore avesse significato farlo
ragionare e
riportarlo alla ragione…
Ma
Takumi sorrise.
Sorrise
con quel sorriso
cattivo e pieno di veleno che lei lo aveva visto rivolgere ad Ileana,
con gli
occhi colmi della stessa aggressività che aveva rivolto a Zoe quando lo
aveva
fermato, e Zoe avrebbe disperatamente voluto scappare via, lontano da
quella
persona che, soltanto guardandola in quel modo tanto orribile, la
pugnalava
dritto in mezzo al petto.
Eppure
non poteva. Non
poteva, non si sarebbe mossa, non si sarebbe arresa, non avrebbe
rinunciato a
lui.
-Sai
una cosa? Perché
ora che hai una protetta non cominci a comportarti come una serva e
taci,
finalmente?-
Però
scappare le avrebbe risparmiato almeno quello.
Forse
Takumi la vide
impallidire, forse vide qualcosa sbriciolarsi nei suoi occhi e la sua
espressione farsi di pietra. Fece immediatamente un passo indietro,
coprendosi
la bocca con una mano come se non credesse a ciò che aveva appena
detto, ma Zoe
non riuscì a scorgere il colore scivolare via dal suo volto, le sue
iridi
dorate allargarsi.
-Oh,
maledizione…-
mormorò, e se Zoe fosse stata in grado di sentirlo avrebbe udito la sua
voce,
la voce che lei conosceva, piena di rimorso e di dispiacere – se avesse
potuto
vederlo, oltre quella cappa buia e impenetrabile che era calata sui
suoi occhi
nel momento stesso in cui il principe aveva aperto bocca, avrebbe
scorto di
nuovo il suo sguardo gentile, quello che aveva cercato fino a quel
momento.
Ma
lei non era lì, adesso.
I
suoi pensieri erano
tornati indietro, da quei due bambini che tante volte si erano
addormentati
l’uno sulla spalla dell’altra. Si erano rifugiati nel ricordo di quei
ragazzini
turbolenti che si allenavano con le spade di legno, e si erano nascosti
nell’abbraccio di quei giovani che si erano confidati così spesso i
reciproci
timori nei confronti di futuro scabroso e pieno di incertezze.
Avrebbe
voluto dire a
quella ragazza, a quella bambina, di scappare. Avrebbe voluto prenderla
fra le
braccia e stringerla forte, proteggerla dal dolore che sarebbe infine
giunto a
colpirla per mano del ragazzino dai capelli d’argento che le aveva
promesso di
volerle bene per sempre.
Una
serva.
Quindi
era questo che
pensava davvero di lei.
Strinse
i denti con così
tanta forza da sentirli stridere, da provare un dolore pungente quando
si
accorse di essersi morsa l’interno della bocca fino a farlo sanguinare
un’altra
volta: il gusto del sangue le riempì la bocca e per un istante ci fu
soltanto
quello, nella sua testa, quel sapore metallico che la distrasse a
sufficienza
per permetterle di tornare in sé appena in tempo per ricacciare
indietro le
lacrime che avevano già cominciato a bruciarle gli occhi.
-Zoe,
io non…-
No.
Non
poteva pensarci
adesso. Non poteva crollare adesso. Non poteva lasciare che vedesse
quanto male
le aveva appena fatto… e quanto male aveva fatto alle due guardie reali
che
erano appena apparse in fondo allo stesso corridoio da cui era venuto
lui, con
il peggior tempismo che Zoe avrebbe mai potuto immaginare.
Hinata
aveva sgranato
gli occhi e spalancato la bocca, sconvolto, mentre Oboro, al suo
fianco, era
impallidita in un istante: l’insulto pesante e orrendo che Takumi aveva
appena
rivolto a Zoe non riguardava soltanto lei, ma comprendeva tutti coloro
che
avevano fatto del ruolo di guardia reale e del proprio signore gli
scopi della
propria esistenza.
Loro
non erano servi.
Essere
una guardia reale
non significava essere servi: era un onore, un titolo da portare con
orgoglio,
una missione – e, per gli dei, non gli avrebbe permesso di infangare
oltre quel
ruolo tanto onorato, né di offendere oltre le due persone che, per lui,
avrebbero dato la vita senza esitare.
-Complimenti.-
balbettò,
incespicando per un istante prima di aggrapparsi disperatamente allo
sguardo
ferito di Hinata, alla sua presenza, alla speranza di poter andare da
lui e
abbracciarlo e di poter lenire almeno un poco il dolore che Takumi gli
aveva
appena inferto. -Hai appena ferito le uniche persone al mondo che hanno
la
forza di sopportarti.- sottolineò, sforzandosi di infondere una
sicurezza che
non aveva nella propria voce, sforzandosi di spingere da parte tutto
ciò che
non fosse lo sguardo spezzato del suo amico.
Lei
avrebbe potuto
gestirlo, avrebbe potuto affrontarlo, ma né Hinata né Oboro meritavano
un’offesa del genere.
E
per loro – per Hinata – non
avrebbe pianto.
Rimase
sorpresa quando
un sorriso feroce si stirò sulle sue labbra: non pensava davvero di
essere in
grado di farlo, ma approfittò di quel momentaneo lampo di coraggio e si
avvicinò a Takumi, puntando un dito contro il suo petto con una
veemenza tale
da farlo sobbalzare.
-Sai,
hai ragione. Penso
che appena Ileana si sveglierà le chiederò di accettare il mio
giuramento, e
spero davvero che il suo primo ordine sia quello di prenderti a calci.-
gli
annunciò, a voce abbastanza alta perché Hinata e Oboro la sentissero, e
scattò
indietro nel momento stesso in cui Takumi provò ad allungare una mano
per
trattenerla.
-Zoe…-
cominciò, ma
quando Zoe percepì il tocco leggero delle sue dita sul dorso della mano
quel
ruggito animalesco tornò in suo soccorso, strepitando dentro di lei con
una
furia tale da renderle impossibile trattenersi.
-Non
toccarmi! Non osare toccarmi!-
abbaiò, stringendosi al
petto il braccio e rivolgendogli la più infuocata delle occhiatacce.
Lo
aggirò, trattenendosi
dallo spintonarlo perché il disgusto che provava all’idea di sfiorarlo
surclassava persino il desiderio di picchiarlo, e distolse lo sguardo,
rivolgendo la sua attenzione ad Hinata e ad Oboro.
Doveva
andarsene via, il più lontano possibile da lui.
-Voi
due!- scattò,
marciando verso di loro e afferrandoli entrambi per un braccio. -Visto
che ci
tiene tanto ad essere lasciato solo, lasciamolo solo!- sbottò,
spingendo invece
loro per costringerli a voltarsi e a precederla lungo il corridoio, in
direzione opposta rispetto a dove Takumi, silenzioso ed immobile, era
rimasto.
Hinata
ed Oboro non si
opposero, lasciando che lei li guidasse lontano da lì, lontano dal loro
principe, lontano da quelle parole che ancora appesantivano l’aria, che
rendevano così difficile respirare… e soltanto quando riuscì a trovare
una
maledetta finestra Zoe si fermò, superando i due amici per correre a
spalancarla, lasciando che i raggi freddi di quel Sole invernale
rischiarassero
il corridoio altrimenti buio e opprimente.
Soltanto
in quel
momento, finalmente, poté respirare, riempiendosi la testa dell’odore
familiare
di quell’aria gelida che sapeva di casa.
Casa…
Avrebbe
tanto voluto
essere a casa, in quel momento. Avrebbe tanto voluto sentire le braccia
di sua
madre stringerla forte e scacciare via l’orribile sensazione di
qualcosa che,
dentro di lei, andava in cenere…
Chiuse
gli occhi,
costringendosi ad ignorare quelle urla disperate che echeggiavano nel
suo
petto: non era il momento, adesso, di lasciare che imperversassero
liberamente
anche fuori dalla gabbia della sua mente – sapeva benissimo che avrebbe
rivissuto quei momenti fino allo sfinimento, nel buio fitto della
notte, prima
di addormentarsi, ma ora no, ora doveva fare quello che le riusciva
meglio… ora c’era qualcuno che aveva bisogno
di lei.
Fu
uno sforzo assurdo
riuscire a voltarsi, a ricomporre un’espressione composta sul suo
volto, a
sopportare lo sguardo sconsolato di Hinata senza andare in pezzi
un’altra
volta: non era abituata a vederlo in quello stato, ed era così
maledettamente
sbagliato che, in fondo allo stomaco, sentì l’ormai familiare groviglio
di
rabbia e frustrazione ringhiare sommessamente.
-Mi
dispiace che abbiate
sentito quel che ha detto.- si scusò, chinando la testa e abbassando le
orecchie, mortificata. -Non parlava di voi.-
No,
non si era riferito a loro.
Strinse
i denti,
costringendosi a respirare, a mantenere un’espressione quanto più
possibile
neutra; tuttavia, facendola sobbalzare, Oboro emise un versaccio,
alzando gli
occhi al cielo.
-Avrebbe
potuto
risparmiarselo comunque.- commentò, aspramente, la Maestra di Lancia,
rivolgendole una smorfia ironica quando Zoe sgranò gli occhi.
-Oboro!-
esclamò,
infatti, esterrefatta: conosceva Oboro ormai da diversi anni e mai, mai una volta l’aveva sentita dire anche
soltanto una parola di biasimo nei confronti di Takumi! -Hai detto
qualcosa di
vagamente negativo su di lui!-
Oboro
incrociò le
braccia, sbuffando e scoccandole un’occhiataccia. -Molto divertente.-
la
rimbeccò. -Non sono cieca, sai?-
Nonostante
non provasse
il minimo desiderio di sorridere, Zoe si sforzò comunque di stirare le
labbra,
di ricomporre il proprio viso in una smorfia che sperava potesse
passare per
ilare: le parole di Oboro, devota com’era a Takumi, valevano molto più
di
quanto tutt’e due avrebbero mai voluto comprendere… -Nutrivo qualche
dubbio,
perdona la mia malafede.- mormorò, una goccia d’ironia a colorarle la
voce,
prima di spostare la propria attenzione su Hinata. -Cosa voleva Ryoma
da
voi?-domandò, rammentando gli ordini di Ryoma di poco prima.
Hinata
distolse lo
sguardo.
-Rimproverarci
per non
aver impedito a Takumi di fare quello che ha fatto.- rispose, in un
tono di
voce talmente piatto ed avvilito da farle sgranare gli occhi – cos’aveva fatto Ryoma!?
-Ma
non è colpa vostra
se è un cretino.- sbottò, sbuffando quando Oboro emise un tenue,
flebile verso
di disapprovazione. -Sì, Oboro, è un cretino!- ripeté, scoccando alla
Maestra
di Lancia un’occhiata più esasperata che arrabbiata – era ammirevole,
in fondo,
la sua lealtà nei confronti di Takumi…
Non
che lui se la meritasse.
Scosse
la testa,
scacciando quel pensiero e aprendo la bocca per rincarare la dose di
insulti;
tuttavia, con un gesto repentino ed insolitamente brusco, Hinata si
avvicinò e
la trasse a sé, zittendola, aggrappandosi a lei con forza quando Zoe
sospirò e
lo strinse fra le braccia, lasciando che lui si rifugiasse nell’incavo
della
sua spalla.
-Mi
dispiace.- le
sussurrò, ma Zoe scosse la testa, accarezzando gentilmente quei folti
capelli
bruni che non stavano mai al loro posto.
-Come
ho detto, non è
colpa vostra se è un cretino.- mugugnò, strappandogli qualcosa di molto
simile
ad una mezza risata mentre Oboro alzava gli occhi al cielo, esasperata.
-Invece
ha ragione il
tuo principe.- Hinata la strinse un po’ più forte, nascondendosi
nell’incavo
della sua gola pallida. -Dovevamo fermarlo – io
dovevo fermarlo.-
Zoe,
però, scosse la
testa, tirandogli gentilmente un orecchio per rimproverarlo. -Non te
l’avrebbe
permesso.- replicò, percependo il suo stomaco contrarsi in un modo
decisamente
sgradevole quando, nella sua mente, il pensiero di cosa sarebbe potuto
succedere ai suoi amici se si fossero intromessi fra Takumi e Ileana
lampeggiò
in uno sgradevole arcobaleno scarlatto.
-Avrebbe
reagito anche
peggio di…-
…di
come aveva reagito con lei.
L’aveva
insultata,
l’aveva costretta ad aggredirlo per ben due volte, l’aveva umiliata di
fronte
ai suoi amici e l’aveva spinta ad offendere con il proprio
comportamento i suoi
tutori, le sue madri, Ryoma e persino la regina – e le aveva spezzato
il cuore.
Dei, le davvero aveva spezzato il cuore.
Sbuffò,
chiudendo gli
occhi ed inspirando l’odore familiare e gradevole di cui i capelli di
Hinata
erano intrisi, cercandovi disperatamente quell’ancora di calma e di
serenità
che tante volte era riuscita a calmarlo.
-Insomma,
non sarebbe
stato bello.-
Tacquero
tutti e tre, ed
un silenzio carico di parole non dette sembrò calare, per qualche
istante, su
di loro; fu Oboro, dopo una manciata di minuti, a spezzarlo,
rivolgendosi di
nuovo a Zoe.
-Come
sta la
principessa?- domandò, scostandosi nervosamente la frangia blu scuro
quando
Zoe, a dir poco sorpresa dal suo interessamento, la guardò con aria
stupefatta.
-Senti, non guardarmi così, non sono un mostro! Avrei fatto qualcosa se
avessi
saputo di quelle minacce!-
Hinata,
nel buio del suo
collo, sbuffò, distraendo Zoe un attimo prima che le sfuggisse una
rispostaccia
astiosa.
Oboro
non stava
mentendo, questo Zoe lo sapeva molto bene – ma sapeva anche che la
sarta dai
capelli blu non era intervenuta in tutte le altre occasioni, che non
aveva
provato il minimo rimorso quando Takumi aveva cominciato a comportarsi
in quel
modo disgustoso con Ileana, che probabilmente lei stessa aveva
fomentato chissà
quali scherni e cattiverie nei confronti della principessa prigioniera…
…ma
non aveva la forza di litigare anche con Oboro, adesso.
-La
principessa dorme.-
sospirò, lasciando un’ultima carezza fra i capelli di Hinata prima di
premere
gentilmente una mano sulla sua spalla, invitandolo silenziosamente ad
alzare la
testa. -E io devo tornare da lei.- aggiunse, quando Hinata obbedì e
alzò quei
suoi begli occhi grigi per guardarla.
Annuì,
il Maestro
d’Armi, avvicinandosi ancora una volta per lasciarle un lieve,
accennato bacio
sullo zigomo, proprio sull’unica, vecchia cicatrice che si era
ostinatamente
rifiutata di sparire come tutte le altre.
-Passa
da me, più
tardi.- le sussurrò all’orecchio, arruffandole affettuosamente la
frangia, e
lei annuì: Hinata era uno dei suoi più cari amici e, probabilmente una
delle
persone che la conoscevano meglio in tutta Hoshido; a tutti e due
avrebbe fatto
bene trascorrere un po’ di tempo lontani da quel disastro che era
venuto a
crearsi fra principi, regine e principesse, e la prospettiva di
trascorrere un po’
di tempo assieme a lui bastò a trasmetterle quel calore che, al
momento, sapeva
di non possedere.
Oboro
emise un
versaccio, probabilmente al limite della sopportazione – e, ad essere
franchi,
aveva resistito anche più del solito.
-Oh,
per favore, baciatevi
e basta, siete ridicoli!- esclamò, irritata, scoccando ad entrambi
un’occhiataccia profondamente offesa.
-Oboro!-
sbottò lui,
arrossendo furiosamente e sciogliendosi dall’abbraccio di Zoe per
voltarsi
verso la Maestra di Lancia. -Ti ho già detto di piantarla con questa
storia!-
la rimproverò, chiaramente imbarazzato dalle insinuazioni della
collega, ma
Zoe, nonostante la stanchezza, si ritrovò a sorridere.
C’era
stato un tempo,
anni prima, in cui baciare Hinata era stato facile, in cui Oboro
avrebbe avuto
ragione nel punzecchiarli in quel modo… ma di quei baci che sapevano
d’estate
non esisteva altro che il ricordo, ormai, e del batticuore che li aveva
spinti
l’uno fra le braccia dell’altra non era rimasta altro che un’impronta
impalpabile sulla pelle, l’ombra di due ragazzi che avevano cercato
conforto in
un’amicizia che, per fortuna, era uscita da quella storia forse anche
più salda
di prima.
-La
pianterei se voi due
non foste così disgustosamente carini!- Oboro, imperterrita, continuò
ad infierire,
ma Zoe si disse che, tutto sommato, Hinata avrebbe potuto occuparsene
da solo –
come aveva fatto in tutte le altre occasioni in cui Oboro li aveva
presi in
giro per quella sorta di relazione ormai morta e sepolta, perché sapeva
che, se
avesse lasciato parlare Zoe, lei e Oboro si sarebbero probabilmente
prese a
pugni.
Si
ritirò fra le ombre
della fortezza, silenziosa come soltanto un ninja poteva essere,
celandosi alla
vista dei suoi amici e sforzandosi di non scoppiare a ridere nel
sentire Hinata
balbettare non meglio identificate giustificazioni in risposta alle
insinuazioni di Oboro.
Si
voltò, sparendo con
un guizzo nella soffocante penombra di quei corridoi asfittici,
lasciandosi
alle spalle ciò che era successo con Takumi perché, adesso, c’era
qualcosa di
ben più importante da fare.
C’era
qualcuno che aveva bisogno di lei.
.
..
..
Author's Space:
con un po' di (solito) ritardo eccomi ad aggiornare!
Le cose si stanno complicando un po' per tutti, vero? Zoe e Takumi si sono azzuffati, Ileana è sconvolta, la Regina ha il cuore a pezzi e le scelte che sono state fatte con Ileana in questo momento di sicuro avranno non poche ripercussioni su tutta la situazione, su di lei, su Zoe e su tutti quanti. Le bugie hanno vita corta, insomma!
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto :)
Un abbraccio,
Clarisse&B