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Autore: ranyare    24/07/2017    1 recensioni
Quando Garon ha orchestrato l'incidente di Cheve, non ha pianificato soltanto il brutale assassinio del Re di Hoshido, ma anche di appropriarsi di una specifica bambina dal sangue di drago. Ma come poteva essere certo che la bambina che ha strappato dal corpo ancora caldo del Re sia davvero quella giusta?
Le bugie crollano quando Ileana, cresciuta come una principessa nohriana, viene catturata da una pattuglia hoshijin presso l'Abisso Infinito, e portata al cospetto della regina Mikoto e di una ragazza della sua età, Zoe; ma il prezzo da pagare per la verità si rivelerà, però, troppo alto per entrambe.
Mentre le ombre della guerra si stagliano sul continente di Euanthe, Ileana e Zoe dovranno prendersi per mano per proteggere i propri cari dal pericolo imminente.
Dalla storia:
Ma, se gliel’avesse detto, il Principe Ereditario non sarebbe partito con un’armata, preferendo invece una delegazione diplomatica. E Re Garon non avrebbe avuto la guerra che voleva così tanto – la guerra che lui, il suo fedele e capace Iago, aveva passato tutto quel tempo a preparare. Quindi, ovviamente, non aveva detto nemmeno una parola sulla pergamena, già sparita in uno sbuffo di fiamme guizzanti.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Avatar/Kamui (F), Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Bridges'
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Aranyhíd

Aiiyoh

(Tamil)

Descrive lo stato confusionale di una persona che non riesce a capire cosa sta succedendo.

.

Lo spesso vapore che invadeva i bagni le bruciò i polmoni quando Ileana riemerse in un trionfo di schizzi. Acqua calde le scivolò tra i capelli e sulla pelle, le lacrime sul suo viso mascherate tra le gocce.

Non riusciva a credere di avere ancora lacrime da versare.

Il fiato corto, si accomodò contro il bordo della piscina e raccolse le ginocchia al petto, appoggiandovi sopra la testa, l’acqua del bagno che le solleticava il mento. Non poté fare a meno di apprezzare quella carezza tiepida, trovandola confortante nonostante tutto. Sospirò, resistendo la chiamata della disperazione che le scorreva nelle vene e che le chiedeva solo di lasciarsi andare all’acqua.

Avrebbe voluto assecondare quella chiamata, ma sapeva che Kaze non gliel’avrebbe permesso.

Era certa che fosse nei paraggi, perlomeno a tiro d’orecchio, pronto a interferire. Era sempre stato nei paraggi, durante tutta la sua prigionia, nascosto nell’ombra più vicina, sempre in silenzio e sempre in allerta, pronto a fermarla prima che potesse farsi del male – e l’aveva fermata, ancora, e ancora, e ancora.

Era stato gentile con lei.

Aveva tenuto a distanza le mani e le parole dei soldati con occhiatacce d’avvertimento, aveva assaggiato gli avanzi che le portavano come cibo per assicurarle che non fosse avvelenato, le aveva fatto compagnia con il tintinnio delle monete che lasciava cadere sulla pietra delle segrete per farle sapere che non era sola – e anche se quel tintinnio era stato assordante alle sue orecchie e le aveva martellato la testa, ne aveva tratto conforto. Era stato gentile con lei.

Non sapeva perché fosse stato gentile con lei, perché avesse fatto tutto quello – perché sembrasse importargli di lei così tanto da mettere a rischio tutto per aiutarla. Ma sapeva che non voleva che la vedesse rannicchiata su se stessa, le sue lacrime mischiarsi con l’acqua. Per i Sette, quell’anima buona ne aveva viste abbastanza, di lacrime.

Cos’avrebbe detto Xander se l’avesse vista così, in quello stato pietoso? Si sarebbe vergognato di lei, per essersi dimostrata tanto debole, per aver infangato la sua famiglia con quelle lacrime?

E Leo, si sarebbe vergognato di lei anche lui – oppure avrebbe capito, avrebbe capito la paura e la disperazione che avevano disintegrato qualsiasi parvenza di dignità era riuscita a salvare in quella sua gabbia fredda quando il Principe aveva… quando l’aveva minacciata di__

La spaventava – no, la terrorizzava. Il suo odio, il potere che sembrava riuscire a risvegliare in Ganglari – nella sua stessa spada, la spada che suo padre le aveva dato per proteggersi, la spada che le aveva lasciato quel lungo, bruciante graffio sulla gola – e il luccichio rosso nei suoi occhi… tutto, di lui, la terrorizzava.

Si era già giocata la sua ultima carta quando aveva smascherato il suo bluff nell’oscurità delle segrete, e adesso era rimasta senza assi nella manica… e sapeva, sapeva che invece tutte le altre minacce che le aveva rivolto erano reali. Era abbastanza sicura che non l’avrebbe mai stuprata, che non sarebbe andato fino in fondo, ma c’erano uomini ai suoi ordini che non si sarebbe fatti scrupoli, che avrebbero voluto toccare e prendere e strappare, e non poteva essere certa che lui gliel’avrebbe impedito.

Rabbrividì, percependo il ricordo di tutti quegli occhi pungerle improvvisamente la pelle. Fece scorrere le mani sul corpo, sperando che l’acqua calda potesse lavare via quella sensazione.

Un singhiozzo che non riuscì a soffocare le sfuggì dalle labbra, ed Ileana si odiò, odiò Kaze per averlo sentito, odiò il modo in cui aveva stretto la sciarpa del ninja tra le mani fino a non sentirle più, accasciata sul pavimento della sua cella come una bambola di stracci, il cuore sanguinante tra le mani e una supplica tra labbra.

“Ti prego, ti prego… uccidimi, uccidimi prima che mi torturi. Prendimi, prenditi tutto, ma non lasciarlo__ non lasciare che faccia del male alla mia famiglia, ti prego…”

La sua famiglia… per i Sette, la sua famiglia

Non poteva permettere che accadesse. Non avrebbe permesso che accadesse, non avrebbe lasciato che la usassero come arma per distruggere i suoi fratelli, le sue sorelle, i suoi amici. Avrebbe preferito morire – sarebbe morta, piuttosto che lasciarglielo fare.

Non era una stupida.

Sapeva che non aveva nessuna possibilità di uscirne viva, nessuna possibilità di tornare a casa. Non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia… e faceva male, faceva male sapere di averli delusi, che avrebbero sofferto perché lei aveva fallito quella stupida, stupida ricognizione.

Non era una stupida.

Sapeva che l’avrebbero – che lui l’avrebbe uccisa, lentamente, il più dolorosamente possibile, e che si sarebbe preso tutto il tempo di farla a pezzi, così da strapparle parole tra le grida di dolore. Non ci avrebbe nemmeno messo tanto – non era abituata al dolore, non era stata addestrata a resistere a un interrogatorio – ma lei non voleva che… quelle promesse di dolore che gli aveva visto tra le labbra, tra le mani, la notte prima – ma era stata la notte prima, o la settimana prima, l’anno prima? – non voleva che lui…

Non era una stupida.

Sapeva che doveva morire, ma avrebbe dovuto fare in modo che fosse alle sue condizioni, se voleva almeno provare a salvare qualcuno dalla distruzione che le sue stesse parole avrebbero causato. Ci aveva provato, per Hedi, ci aveva provato, non appena aveva capito che non avrebbe cominciato subito con le torture, per chissà quale ragione. Ma loro – lui stesso, e Kaze – non gliel’avevano permesso.

Aggredì l’acqua con rabbia, facendola schizzare e strabordare oltre l’orlo della piscina.

Dannazione, dannazione!

Perché, perché non gliel’aveva permesso?! Perché continuava a sussurrarle quella splendida, atroce speranza, dicendole che sarebbe stata bene, che sarebbe andato tutto bene? Non era già abbastanza dover vivere con la consapevolezza di essere una morta che cammina? Non era già abbastanza la fame—

…l’intontimento che le aveva causato, il modo in cui le aveva succhiato via le forze,

—la sete—

…la sabbia che le aveva messo in gola, il dolore costante sulla pelle,

—il buio—

…i mostri che le stringevano attorno gli artigli, gli incubi che snudavano i denti,

—il freddo—

…le spire umide della roccia che si attorcigliavano ai capelli, l’intorpidimento degli arti,

—già abbastanza da sopportare, senza che lui ci aggiungesse la sua maledetta gentilezza?

Represse il suo gemito – ringhio, grido – tra i denti e si portò le mani piene d’acqua al viso, soffocando quei suoni patetici coi palmi, passandosi poi le dita tra i capelli, come per lavarli.

E comunque, perché farle passare tutto quello? Era così orrendamente ovvio che non avrebbe retto più di due ore sotto interrogatorio. Perché trascinare lì tutti, perché… aspettare?

Forse quello era il modo di torturare i prigionieri, a Hoshido. Forse alle fruste e le lame e le corde e le risposte veloci preferivano la fame e la sete e il freddo e le parole estratte una alla volta.

O forse era per divertimento. Dato che avevano capito che avrebbero potuto farla crollare quando volevano, forse si stavano solo godendo lo spettacolo di lei che andava in pezzi, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Forse erano solo crudeli e perversi.

Oppure era solo il Principe a essere crudele e perverso. Forse era per quello che Kaze si era rifiutato di allontarnarsi quando lui si avvicinava, che la sua stessa guardia l’aveva allontanata da lui, che Zoe l’aveva cacciato fuori.

…oppure no?

Un colpo sommesso alla porta la fece sobbalzare, strappandola da quei pensieri.

-Principessa? Posso entrare?-

Zoe.

Parli del licantropo…

Ileana abbandonò il capo contro il bordo della piscina, giusto il tempo di recuperare il fiato che lo spavento le aveva strappato dal petto, l’energia che quello sfogo le aveva succhiato via dal corpo.

Fu con un sospiro che si issò fuori dalla piscina e afferrò uno degli asciugamani bianchi impilati a portata di mano. -Okay.-

La porta si aprì e richiuse velocemente. Zoe entrò nei bagni, con un fagotto di vestiti tra le braccia e la stessa espressione tranquilla di prima sul volto. -Ehi. Meglio?-

Ileana le rivolse un piccolo cenno, rapido come un frullo d’ali. Zoe le sorrise in un modo che le ricordò tanto – troppo – Elise, incrinandole il cuore.

Elise, Xander, Camilla, Leo…

La Samurai le si avvicinò a piccoli passi, pronta a fermarsi al minimo segno di fastidio da parte sua. Ileana scrollò le spalle, esausta, accettando l’asciugamano che le porse per frizionare via l’acqua dai capelli senza una parola.

Non sapeva come comportarsi con Zoe. Lei… emanava comprensione. Sicurezza. Calore. Ileana non sapeva se sentirsene rassicurata, o se averne paura.

-Vi ho portato qualcosa di pulito da mettere.- le spiegò Zoe mentre recuperava l’asciugamano bagnato, accennando ai vestiti che aveva appoggiato sulla panca. -Ho cercato qualcosa in cui poteste sentirvi a proprio agio, anche se non è stato facile trovare qualcosa di nero… non è un colore che mettiamo molto, a Hoshido.-

Ma certo che no, con il sole caldo che splende tutto l’anno…” fu il pensiero rabbioso di Ileana, ma si morse la lingua per non farselo scappare: non erano parole dirette a lei.

Le rivolse uno sguardo, rispondendo alla sua espressione impaziente mordendosi un labbro. -Non è che non apprezzi il pensiero, ma… che ne è stato dei miei vestiti?-

Ci fu qualcosa di storto nel sorriso esitante che Zoe le mostrò. -Al sicuro nel mio bagaglio. Li laverò alla prima occasione, ma… beh, non sono conciati molto bene, milady.-

-Oh.- sospirò Ileana, le dita che tormentavano il bordo dell’asciugamano ancora stretto attorno al corpo, un peso sul cuore. -Vorrà dire che li rammenderò, io__- sarebbe stata molto più a suo agio con le sue cose… ma perché Zoe le aveva messe nel suo bagaglio? -__io… ehm… ma dob__ devo andare da qualche parte?-

La Samurai si morse un labbro, come se stesse chiedendosi se avrebbe dovuto o meno fare qualcosa. Ileana reagì a quell’esitazione arrotolandosi su se stessa, allontanandosi istintivamente: cosa voleva dire quell’esitazione? Quegli occhi rossi la guardavano come se la loro proprietaria non volesse fare quello che stava per fare, ma dovesse farlo comunque…

Zoe dovette vedere la paura irretire il corpo di Ileana, perché tese le mani di fronte a sé, offrendole i palmi.

-Milady… per favore, ascoltatemi, okay?- la supplicò, prima di prendere un bel respiro. -Faccio parte dell’entourage di Lady Mikoto, Regina di Hoshido. Reina, il Cavaliere Kinshi che avete conosciuto all’Abisso Infinito, ci ha raccontato di voi, e Sua Maestà vorrebbe parlarvi di persona.-

Il battito del suo stesso cuore divenne assordante nelle orecchie di Ileana mentre quelle parole venivano assorbite dalla sua mente.

La regina di Hoshido voleva parlarle di persona.

Aveva creduto di aver sentito qualcosa su ordini che vietavano di torturarla, ma le era sembrato così impossibile che si era convinta di averli immaginati, o di aver sentito male, o di aver capito male.

Era per questo che avevano aspettato? Che arrivasse la regina?

-E cos’è__- perché?, si chiese. Perché la regina avrebbe voluto parlare con una prigioniera, con un ostaggio? Lei non aveva niente a che fare con loro, con Hoshido, con la guerra – e come avrebbe potuto? Aveva passato la vita rinchiusa in una torre… -__che la tua regina vuole da me?-

Zoe rimase in silenzio, mordendosi il labbro, l’interno di una guancia. Ileana non poté fermare le immagini accecanti che le riempirono la mente e rabbrividì, il sangue farsi ghiaccio nelle vene.

Allora la regina era come suo figlio, si disse mentre il respiro si faceva corto, mentre qualcosa di pesante le premeva contro le tempie.

Forse aveva ordinato di non lasciarle segni di violenza sulla pelle perché voleva averla tutta per sé, fresca e fragile per marchiarla come voleva lei. Voleva essere lei a strapparle le parole dalle labbra – quelle parole che sarebbero state la fine di ogni cosa che amava…

Forse l’avrebbero fatto assieme: madre e figlio.

Ileana si sentì tremare al solo pensiero, il mondo che si rimpiccioliva, si distorceva, soffocandola.

No.

Le mani si strinsero sull’asciugamano stretto attorno al corpo talmente forte che, dopo qualche attimo, smise di sentirle.

No, non avrebbe permesso di torturarla – non avrebbe permesso di fare di lei un’arma per distruggere la sua famiglia.

-Torna dalla tua regina. E dille, da parte mia, che non sono un giocattolo con cui lei e il suo adorato bambino possono scacciare la noia.- sputò, la voce venata d’acciaio, grondante veleno.

Gli occhi di Zoe si spalancarono per la sorpresa e il disagio – bene, pensò Ileana. La voleva fuori di lì. Doveva farla uscire, far sì che la lasciasse sola. Poco importava sapere che sarebbe andata a chiamare le guardie per trascinarla dalla regina – non le sarebbe servito molto tempo. Solo quanto bastava per abbandonarsi all’acqua.

Ileana strinse i denti, vestendosi di una forza che non aveva, ma che sapeva di dover assolutamente trovare. -E dille che se ci tiene così tanto a passare del tempo con suo figlio, anziché torturare qualcuno insieme potrebbe benissimo mettersi in ginocchio e fargli un pom__-

-Non è così facile annegarsi da soli, sapete?-

La frase di Zoe mise a tacere Ileana in un secondo.

La sua postura arrogante, quel poco di coraggio che aveva racimolato, parve quasi collassare e lei fece un altro passo indietro, la condensa fredda sul muro che le premeva contro le spalle nude. -Che__? No, io non__-

-__non avreste tentato il suicidio appena avessi messo un piede fuori da qui? Sì, invece.- Zoe la interruppe, quel sorriso insopportabilmente triste che scacciava ogni risposta oscena dalla mente di Ileana. -So che siete spaventata, milady, ma vi prego… vi state dando pena per niente. Nessuno vi farà del male, ve lo prometto.-

Ileana soffiò come un gatto quando lei fece un passo verso di lei, selvatica e inviperita.

Dannazione a tutto, dannazione a lei.

Proprio come Kaze, Zoe aveva capito cosa le stesse passando per la testa.

Ileana se lo sarebbe dovuto aspettare, intuitiva come si era dimostrata di essere quando l’aveva privata della parola nell’altra stanza, dopo aver capito che le sue insinuazioni erano solo un modo per tenere a distanza quel frigido di un principe – ovviamente quello stesso trucco non avrebbe funzionato con lei.

Ed ora eccola lì, ad interferire quando Ileana voleva solo cancellare la propria esistenza, per proteggere le persone che amava… proprio come Kaze.

Ileana tremò, quella pressione così aliena eppure familiare che le pulsava nella mente.

Per i Sette, non poteva nemmeno decidere quando togliersi la vita, dunque? Le avrebbero portato via anche quell’ultimo pezzo di dignità?

…ma certo che l’avrebbero fatto. Ma certo che lui l’avrebbe fatto.

Feccia. Cagna.

Non era altro per lui, per loro. Solo qualcosa di cui fare tutto quello che volevano, qualcosa da legare, da incatenare, da prendere a calci, a cui mettere la museruola. Qualcosa con cui giocare finché non avessero cominciato ad annoiarsi.

Beh, lei non sarebbe stata al gioco. Non sarebbe morta ai suoi piedi, soffocata dalla frusta che le avrebbe stretto attorno al collo come un guinzaglio.

Quel pulsare nella sua testa parve gonfiarsi ed espandersi, scorrendole lungo il corpo in tentacoli che le facevano formicolare la pelle.

No.

-Milady, per favore, io__-

Lei mise una mano sul muro viscido per tenersi in piedi, il petto stretto in una morsa, la nebbia ai bordi del suo campo visito che le impediva di vedere i tremiti che percorrevano l’acqua delle piscine.

No.

Zoe fece un passo verso di lei, e una scintilla parve attraversarle il corpo.

NO!

-VATTENE, ORA!- strillò, le mani premute per soffocare il dolore che le esplose in testa e accartocciandosi su se stessa, gli occhi chiusi. -Lasciami stare… LASCIAMI STARE! Dannazione, dannazione A TE! Voglio solo che finisca!-

-ILEANA, SMETTILA!-

Il suo nome.

Le riecheggiò chiaramente nelle orecchie, sovrastando quella tempesta di silenzio bianco che le imperversava nella mente e scacciandola in un secondo.

Il suo nome.

Non l’aveva sentito pronunciare da… da… beh, da quando era stata catturata.

Ansimò, il respiro ancora affaticato ma che si faceva via via più regolare, scostandosi dal muro quando bastava per guardare la Samurai.

L’aveva chiamata con il suo nome. Non sapeva perché questa cosa la colpisse così tanto, ma…

Il suo nome.

Zoe stessa sembrava alquanto colpita – a quanto pare strillare contro la nobiltà funzionava, per qualche motivo. Fece un respiro profondo, sollevata, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte – perché aveva i capelli bagnati?, si chiese Ileana, confusa. -La regina vuole solo sapere cos’è successo all’Abisso Infinito. Tutto qui.-

-E io dovrei credere che è venuta fin qui per farsi ripetere qualcosa che suo figlio le ha certamente già descritto nel dettaglio?- la principessa nohriana scosse il capo, i rimasugli di un ringhio sulle labbra. -E poi, poi che ne sarà di me? Mi lascerà in mano a suo figlio perché possa… lo lascerà finire quello che ha cominciato, lo lascerà infierire finché… finché io non__?-

Le si spezzò la voce, la disperazione evidente, e Ileana stessa sussultò nel sentirla – ma non c’era modo che potesse nasconderla, non più. Era stanca, e spaventata, e tanto tanto sola. Voleva Leo, voleva suo fratello, i suoi fratelli, le sue sorelle. Voleva la sua famiglia, voleva casa.

-Assolutamente no.-

La sicurezza nella voce ferma di Zoe fu tale da riuscire a calmare i singhiozzi che Ileana sentiva bruciarle in gola. -La regina Mikoto ha le migliori intenzioni. Sono certa che ascolterà i vostri desideri e farà del suo meglio per accontentarvi.-

Ileana si morse un labbro per non gemere a quel pensiero.

Per i Sette, voleva crederle. Voleva che le sue parole fossero vere, lo voleva così tanto

-Mi lascerà andare a casa?- pigolò, le parole che le sfuggirono prima che potesse trattenerle, trattenere quel pensiero, quella domanda che le avrebbero ritorto contro per farla a pezzi.

La sua riposta arrivò dopo alcuni secondi di silenzio, pesante e tormentata. -Se è ciò che volete. Sono certa che manderà un messaggio a Nohr per farvi venire a prendere, e vi assegnerà una scorta fino al confine. Ci scommetterei la mano della spada.-

Ileana scosse la testa, cercando di scacciare la nebbia che la sua esplosione le aveva messo tra i pensieri, cercando di eludere la confusione ragionando in maniera razionale.

Come potevano quelle parole essere vere, con tutto quello che le avevano fatto? Come poteva essere stato tutto un errore, un’incomprensione? Le persone non facevano fare la fame o minacciavano o rinchiudevano qualcuno per sbaglio… -No… no io non__ non posso crederci, io__!-

-E io non posso farvene una colpa. Il modo in cui vi hanno trattata…- Zoe non riuscì a continuare, e abbassò gli occhi.

Sembrava… mortificata – era l’unica parola che a Ileana venisse in mente. Si rilassò un po’ quando la Samurai la guardò di nuovo, lo sguardo pieno di dolore e compassione, le mani di nuovo tese verso di lei.

-Vi scongiuro, milady, credete a me: non avevamo idea di cosa stesse succedendo. Se avessimo sospettato una cosa del genere avremmo rimandato Reina indietro all’istante. È inaccettabile, e mi assicurerò personalmente che l’idiota reale non se la cavi con poco. Vi prometto che non verrà permesso a nessuno di farvi altro male, ve lo prometto.-

Ileana sentì il respiro spezzarsi in gola. Zoe suonava implorante, tormentata, sincera. Non poteva crederle, ma voleva – per Hedi, lo voleva… voleva permettersi quel barlume di luce, la speranza che avrebbe davvero rivisto la sua famiglia, lo voleva così tanto…

Era difficile rimanere diffidente, perché Zoe sembrava troppo onesta, e perché lei ne aveva troppo bisogno – aveva troppo bisogno di quel sorriso triste ma incrollabile, di quelle braccia amiche aperte per lei, della rassicurazione in quegli occhi. Aveva bisogno di quella gentilezza, di quel calore, della sicurezza che promettevano.

Ne aveva bisogno con la stessa disperazione con cui aveva paura del morso della frusta che avrebbe condannato a morte la sua famiglia.

Leo, Elise, Xander, Camilla…

Non disse niente, gli occhi che la soppesavano, i denti che martoriavano il labbro inferiore. Non poteva, non poteva, non poteva crederle.

Gemette, un suono patetico che le sfuggì dalle labbra contro la sua volontà, e poté quasi vedere il cuore di Zoe spaccarsi di fronte a lei.

-Oh, Ileana…- sospirò quella, di nuovo dimentica di ogni formalità, con quell’accento così diverso da quello a cui era abituata – ma a Ileana non importava, non quando la faceva sentire così… così… al sicuro. -Non permetterò a nessuno di farti del male, in nessun modo, te lo prometto. Sarò lì tutto il tempo, per assicurarmene di persona. Così anche Kaze.-

Il nome del Maestro Ninja rintoccò nelle orecchie di Ileana. -Kaze?- ripeté, e si sarebbe presa a schiaffi da sola per il sollievo così evidente nella sua voce.

Kaze. Kaze aveva promesso. Kaze aveva promesso…

Zoe annuì subito, quel sorriso così triste farsi appena un po’ più speranzoso. -Sì. Credo che voglia esserci per poter mantenere la sua, di promessa. E io vi prometto di aiutarlo a mantenerla, se ce ne fosse bisogno.-

Ileana non era più in grado di pensare. Era come se gli ingranaggi nel suo cervello si fossero definitivamente inceppati, lasciandola ad annegare nella confusione. -Non sai nemmeno cosa mi abbia promesso.-

Il sorriso di Zoe tornò triste. -Da quello che ho potuto vedere, credo di essermene fatta un’idea.-

Ileana deglutì, ormai completamente abbandonata contro il muro, a malapena in grado di stare in piedi. -E se ti ordineranno di farti da parte? Di non mantenere la parola?-

-La manterrò comunque.- Zoe replicò, come se fosse scontato. Come se fosse scontato che, per lei, per mantenere quella minuscola – immensa – promessa, avrebbe disobbedito a coloro a cui aveva giurato di obbedire – per il re, per il Drago e per la patria…

-Davvero?- le domandò la principessa, le spalle che tremavano, le parole che sanguinavano tanto speranza quando completo, paralizzante, cieco terrore.

-Davvero.- Zoe annuì con facilità, la voce salda e misurata.

Le si avvicinò di un passo, poi di un altro. Si fermò brevemente quando Ileana le mostrò i denti in avvertimento, ma non perse la calma e, alla fine, riuscì ad avvicinarsi abbastanza da tendere un braccio per toccarla. Ileana chiuse subito gli occhi, come aspettandosi uno schiaffo, ma li aprì quando un asciugamano soffice le sfiorò il viso per cancellare tracce di lacrime che lei nemmeno si era accorta di aver pianto. Zoe sorrise allo sguardo stupefatto che le rivolse.

-Perché non ci liberiamo di questo asciugamano bagnato?- le propose, facendo un cenno verso la panca su cui la attendevano pazientemente gli abiti che le aveva trovato. -Sono certa che con dei vestiti puliti e i capelli asciutti starete molto meglio.-

Ileana non credeva di avere nemmeno la forza di rispondere, figurarsi di protestare. Lasciò che la Samurai si scostasse in modo che lei potesse barcollare fino alla panca e sedersi, e poi le permise di venirle vicino – troppo vicino, ma Zoe fu bene attenta a non toccarla mai pelle contro pelle, sapendo benissimo che l’avrebbe fatta scattare di nuovo.

Esaminò i vestiti che la Samurai l’aiutò ad infilare, uno alla volta. Il peso che le era gravato sul cuore da quando aveva capito che non avrebbe potuto avere le sue cose si alleggerì un poco quando notò che gli abiti che le aveva trovato erano decenti, formali e, soprattutto, che non sembravano troppo hoshijin: un top che le lasciava scoperto l’addome e parte delle spalle, ma che aveva lunghe maniche a campana; un paio di pantaloncini dal taglio obliquo, più lunghi sul lato esterno – arrivavano circa al ginocchio – e più corti sul lato interno; una fascia nera che Zoe le avvolse attorno ai fianchi, per coprire la pelle lasciata esposta dal top, con due nappe che arrivavano quasi a toccare terra. Un altro po’ di quel peso evaporò quando poté infilarsi i suoi stivali – Zoe era riuscita a farli diventare abbastanza presentabili da poter andare con gli altri vestiti.

-Ci… ci sarà anche lui?- mormorò Ileana, appena udibile, mentre Zoe cominciava a spazzolarle i capelli per farli asciugare.

I movimenti del pettine rimasero costanti mentre pensava a cosa risponderle – non aveva bisogno di chiederle se stesse parlando del principe, o se si stesse riferendo all’incontro con la regina. -È suo figlio. Nessuno ha il diritto di lasciarlo in disparte.-

Ileana s’irrigidì, incapace di sfuggire alla paura che le artigliò il cuore. Non voleva vederlo. Non voleva sentire i suoi occhi addosso, il suo odio strinarle la pelle in tutti quei punti su cui le sue mani avrebbero voluto lasciare la loro impronta…

-Vi prego, non abbiate paura.- disse quella voce rassicurante, strappandola a quei pensieri – ma non apparteneva a Zoe.

Kaze.

Il Maestro Ninja era accoccolato sul pavimento di fronte a lei, abbastanza vicino perché potesse vedere la calma e la preoccupazione per lei in quei gentili occhi viola – non l’aveva sentito entrare. -Non vi farà del male. Nessuno vi farà del male. Ve l’abbiamo promesso, io come Zoe.-

Ah, allora era rimasto davvero a tenerla d’occhio. Ecco perché non l’aveva sentito: forse non aveva aperto nessuna porta, era solo scivolato fuori da un’ombra.

-L’avete promesso.- pigolò Ileana, abbassando gli occhi. -Lo farete davvero?-

-Davvero.-

Si aggrappò a quella risposta, perché ne aveva bisogno, aveva bisogno di credere che fosse la verità – aveva scommesso delle vite su quella promessa, non tanto la propria, quanto quelle della sua famiglia.

La sua famiglia… per i Sette, la sua famiglia

-Dovremmo andare.- commentò Kaze mentre si rialzava in piedi.

Zoe esitò, soppesando le sue parole, scambiando con lui uno sguardo preoccupato che Ileana non notò. -Già. Immagino di sì.- concordò infine, ma le sue parole pesavano come piombo.

Lasciarono che Ileana si mettesse in piedi da sola, rimanendo abbastanza vicini da poterla aiutare, se lei l’avesse chiesto, ma bene attenti a non toccarla. Lei non chiese alcun aiuto, quindi la guidarono fuori dai bagni e nel corridoio, Zoe ad aprire la fila e Kaze a chiuderla.

Ileana li seguì mite, incredibilmente silenziosa. Non riusciva a smettere di guardarsi intorno, intimorita dall’imponenza della Grande Muraglia, persino dall’interno: i corridoi che stavano imboccando erano tutti piuttosto stretti, ma le pareti s’inerpicavano tanto in alto da farle girare la testa quando cercò di seguirle fino al soffitto con lo sguardo.

Era tutto così estraneo. Certo, anche il Castello di Krakenburg le era sembrato imponente, specie l’esterno e la sala del Trono… ma all’interno era più contenuto, e fatto di pietra anziché di pannelli di legno laccato. L’aveva fatta sentire più a casa, forse perché era più simile alla sua Torre Nord. L’aveva fatta sentire a casa.

Non le piaceva il modo in cui Suzanoh la faceva sentire – piccola, ed insignificante. Ne aveva avuto abbastanza di sentirsi insignificante.

Eppure lo era, insignificante, almeno per loro. Nulla più che uno strumento.

Ripensò al principe, che l’attendeva al fianco di sua madre, impaziente perché la regina si decidesse a permettergli di interrogarla – a permettergli di fare di lei qualunque cosa volesse.

Qualcosa di freddo e sgradevole le strisciò sulla pelle, lungo tutto il corpo. Lanciò uno sguardo a Zoe – di fronte a lei, tesa – e uno a Kaze – alle sue spalle, silenzioso come un’ombra, l’espressione del tutto neutra. Si erano adeguati al suo passo e camminavano lentamente, senza farle fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo – non è che lei potesse scappare, comunque.

No, non poteva scappare.

Non avrebbe ottenuto niente tentando la fuga – dopotutto, non sapeva nemmeno dove fosse, né all’interno della fortezza né a Hoshido, in effetti, perché era completamente delirante quando l’avevano portata lì… non si ricordava nemmeno come ci fosse arrivata. Non aveva nessuna via d’uscita tranne la morte, ma anche per quello avrebbe dovuto contare su Zoe e Kaze perché lei, di modi per togliersi la vita da sola, non ne aveva più.

Gliel’avevano promesso.

Le avevano promesso che avrebbero messo fino al suo dolore, se il principe avesse ottenuto il permesso di metterle addosso quelle sue mani impazienti. Aveva scommesso le vite della sua famiglia su quella promessa. Gliel’avevano promesso.

Di certo non le avrebbero fatto una promessa del genere cosicché lei s’incamminasse buona e zitta dritta alla sua stessa distruzione – non quando avrebbero semplicemente trascinarcela, no? Non avrebbero fatto una promessa del genere se non avessero voluto mantenerla…

…oppure…

Ileana si fermò e si appoggiò a un muro, fingendo di essersi fermata solo per riprendere fiato – Kaze e Zoe si fermarono con lei, senza mai rompere la formazione, aspettandola pazientemente. La mente di Ileana correva, come se gli ingranaggi avessero ripreso a lavorare all’improvviso e mille pensieri si stessero accavallando, inciampando l’uno sull’altro in un modo che le fece venire il mal di testa.

Era qualcosa che aveva già considerato in passato, ovviamente – sepolta viva in quell’oscurità sotterranea, aveva avuto tutto il tempo per pensare e ripensare ad ogni possibilità, ad ogni spiegazione per quello che le stava succedendo. Ovviamente aveva già pensato che Kaze e Hinata fossero stati gentili solo per convincerla a fidarsi di loro e farle scappare tante piccole informazioni senza che lei nemmeno se ne accorgesse.

Aveva scartato l’ipotesi perché poi né Kaze né Hinata le avevano mai fatto alcuna domanda, che allora le era sembrato andare contro lo scopo stesso del trucco.

Ma poi Zoe era entrata in scena, con le stesse parole di rassicurazione sulla lingua, e con la promessa della speranza lucente di tornare a casa e vedere di nuovo la sua famiglia.

Forse non era mai stato per avere informazioni, dopotutto. Forse era sempre stato solo per convincerla che sarebbe andato tutto bene, per convincerla a fidarsi di loro solo per guardarla andare in mille pezzi quando gliel’avrebbero strappata dal petto, quella speranza lucente.

Quello… l’avrebbe lasciata persino più indifesa, perché l’avrebbe spinta ad aggrapparsi alla vita, facendosi scivolare come acqua fra le dita ogni opportunità di sottrarsi a quel dolore e derubarli della loro preziosa fonte di informazioni.

…e non era forse andata così?

Si premette due dita fredde contro le tempie, e un fremito le percorse le mani. Per i Sette, ci era cascata. Si era tuffata di testa nella loro trappola. Aveva perso la possibilità di morire alle proprie condizioni.

Ora era tempo di morire alle loro.

-Non vi sentite bene, milady?-

La voce di Zoe le trapanò le orecchie, facendole fare un salto e incespicare, e per poco non cadde. Rimase in piedi per un pelo, e soffiò contro le braccia pronte di Kaze a una spanna dal suo braccio. Il Maestro Ninja sgranò gli occhi di fronte a quel gesto ostile, e Ileana lo vide lanciare uno sguardo strano alla Samurai – un avvertimento.

-Non preccupatevi, non manca molto. È… ci siamo quasi.- disse lei, cercando di sorriderle, ma Ileana scoprì i denti in risposta.

È quasi finita, le era quasi sfuggito.

Invece no. Non sarebbe stato così veloce. Sarebbe stato lungo e orribile e doloroso.

A meno che…

…a meno che non avesse trovato il modo di far sì che la uccidessero prima di cominciare, ovviamente.

Con quel pensiero come unica sicurezza, Ileana si scostò dal muro ed annuì. Le due guardie la guardarono, sorpresi, e si scambiarono un altro sguardo. Sembravano in ansia per qualcosa.

Quando si voltarono e finalmente ripresero a camminare, Zoe le chiese: -Ehm, avete detto che vorreste rammendare i vostri abiti? Quindi sapete cucire? Chi ve l’ha insegnato?-

Ileana non sapeva se gliel’avesse chiesto per cercare di recuperare quella connessione tra loro che doveva aver sentito di aver perso, o se era un modo per identificare altri possibili bersagli – persone da minacciare, a cui dare la caccia per torturarle e smembrarle di fronte ai suoi occhi, perché quello era ciò che il principe aveva promesso di fare…

Non voleva rispondere. Non voleva dire a Zoe che sì, sapeva cucire, perché Flora gliel’aveva insegnato – assieme a Camilla – dopo che Ileana l’aveva implorata, sentendosi tremendamente in colpa per costringerla costantemente a rammendare la sua tenuta da allenamento. Non voleva dire a Zoe di quanto ci fosse voluto alla Cameriera dai capelli azzurri per volerle bene – al contrario di Felicia, che era stata tutta sorrisi e dolcezza da che ne aveva memoria. Non voleva dire a Zoe che quel giorno aveva segnato la fine del loro rapporto servo-padrone per crescere in un tiepido cameratismo.

Perché dirlo a Zoe avrebbe potuto mettere in pericolo Flora.

No, no, no… non avrebbe condannato a morte un’altra persona. Già in troppi erano in pericolo solo perché lei aveva ancora fiato in corpo.

Camilla, Leo, Elise, Xander.

-So cucire.- pronunciò, impassibile.

Qualcosa nell’eco vuoto che era diventata la sua voce sembrò colpire Zoe, perché si fermò e si volse, gli occhi pesanti che soppesavano, scrutavano, dubitavano. Si morse di nuovo l’interno di una guancia mentre rivolgeva uno sguardo preoccupato alla porta in fondo al corridoio, così vicina – ci stava ripensando? Stava provando pietà per lei? Avrebbe mantenuto la–?

No – Ileana si rimproverò per il suo stesso pensiero, spegnendo con le proprie mani quella piccola luce che aveva luccicato nella sua oscurità – niente più speranza. Non poteva permettersela, a dispetto di quanto avrebbe voluto riabbracciare la sua famiglia.

Non li avrebbe rivisti. Mai più. Non poteva sperarci.

Poteva solo sperare di morire, e sperare che accadesse prima che il principe di Hoshido avesse avuto la possibilità di metterle addosso quelle sue mani impazienti – mani che volevano solo sentirla urlare e implorare e tremare nella sua stretta mentre le strappava parole direttamente dalla gola e trasformandole in armi da usare contro coloro che lei più amava mentre la lasciava lì a sanguinare…

Guardò anche lei la porta, temendo quello che l’aspettava oltre la soglia – temendo il colpo di frusta che le avrebbe dato il benvenuto non appena si fosse aperta.

No, no, non poteva permettere che accadesse. Non sarebbe morta alle sue condizione, implorante ai suoi piedi. Sarebbe morta alle proprie condizioni – comunque ai suoi piedi, ma per sua stessa decisione. Doveva costringerlo a ucciderla d’impulso. Doveva farlo scattare. A qualunque costo.

-Zoe.- sentì il richiamo di Kaze, e la porta si aprì.

Non ci fu alcuna frusta a darle il benvenuto quando Ileana venne dolcemente sospinta oltre la soglia, visto che le sue gambe non furono in grado di fare nemmeno quel piccolo passo.

La luce che entrava dalla finestra la accecò per qualche istante, facendole stringere i denti – non era affatto abituata a tutta quella luce, e dopo il tempo passato nelle viscere della fortezza… beh, non si poteva certo dire che i suoi occhi la apprezzassero. Ricordava vagamente di aver gridato per il dolore quando Kaze e Hinata l’avevano portata fuori dalle segrete.

La vista le tornò nel giro di poco, anche se poteva ancora vedere uno strano alone sfocato ai margini del suo campo visivo, e tutta quella luce faceva pulsare più fastidiosamente la pressione nella sua testa.

La stanza… la stanza non sembrava una camera di tortura. Sembrava un qualunque salottino, piccolo ma elegante. Il mobilio non era niente di troppo ricercato, ma si vedeva comunque che si trovava nell’ala residenziale della fortezza: c’era un divanetto pieno di cuscini e delle poltroncine dall’aspetto semplice ma comodo. Un servizio da tè di porcellana era sistemato sul tavolinetto di vetro al centro della stanza – quattro tazze. Lì dentro c’erano tre persone.

C’era una donna seduta sul divanetto: indossava un vestito bianco e blu bordato d’oro, e una coroncina a forma di sole che le scintillava tra i capelli neri. La regina Mikoto. Quindi Zoe aveva detto la verità – la regina era davvero venuta a parlarle.

…perché?

Seduto accanto a lei c’era un uomo alto e robusto, con una criniera di capelli scuri che gli scendevano lungo tutta la schiena. Indossava un’armatura rossa sopra degli abiti bianchi, ed era circondato dalla stessa aura di calma sicurezza che avrebbe circondato un generale… tuttavia fu la pungente vibrazione di energia che percepiva provenire dalla spada al suo fianco che le fece capire chi le stava di fronte – era l’energia di un’arma sacra. Il suo rapitore era il secondo principe di Hoshido… quindi, chiaramente, di fronte a lei c’era suo fratello maggiore.

E c’era anche lui, ovviamente, proprio come Zoe aveva previsto. Appoggiato al muro proprio dietro quelli che erano i membri della sua famiglia, la guardava come un falco avrebbe guardato un uccellino dalle ali spezzate. Poteva sentire le sue minacce bruciarle sulla pelle come l’odio bruciava rosso nei suoi occhi.

-Ileana.- cominciò il Maestro di Spada – aveva una voce profonda, e il sorriso sul suo volto sembrava gentile. -Benvenuta a Hoshido. Sono Ryoma, Alto Principe del regno. So che hai già conosciuto mio fratello Takumi. Ti presento mia madre, la regina Mikoto.-

Ileana lo fissò in silenzio, non capendo esattamente che diamine stesse succedendo.

Si era aspettata una tortura. Si aspettava che lui sguainasse la spada e gliela spingesse contro la gola, si aspettava di sentire il potere che scorreva su quella lama sprofondarle nella carne e farla a pezzi. Ma lui le stava parlando. Sorridendo.

…perché?

Cercò di aprire la bocca per rispondere, ma non ne uscì alcun suono. Prima che potesse provare di nuovo, la regina si alzò, felice come se le fosse stato appena offerto un regalo.

-Ileana.-

Non c’era alcun titolo, nessuna formalità nella voce della donna quando parve cantare il suo nome – c’era solo calore, un calore che lei non aveva mai sentito prima, il tipo di sollievo che si prova nel ritrovare qualcosa che si credeva perduto per sempre.

Ileana non poté contenere il proprio stupore quando alzò lo sguardo e incontrò il sorriso estatico della regina mentre quella si alzava e faceva un piccolo, esitante passo verso di lei, le braccia aperte di fronte a sé come se volesse abbracciarla.

Ileana fece un passo indietro, d’istinto, sentendo il respiro spezzarsi rumorosamente in gola.

La regina si fermò subito ed abbassò le braccia, ma il sorriso non le abbandonò il volto. -Oh, perdona la mia impazienza, tesoro… non volevo spaventarti. Ma è passato così tanto tempo che non sono riuscita a trattenermi. Ti prego, avvicinati. Siedi accanto a me.-

Ileana era troppo scioccata per discutere, troppo scioccata per parlare. Si limitò a seguire la donna mentre tornava a sedere sul divanetto, a malapena conscia dei propri movimenti. Non aveva alcun controllo sul proprio corpo mentre i suoi piedi le facevano fare quei due passi per raggiungerla – e i cuscini le sembrarono spaventosamente alieni, dopo tutto quel tempo costretta a strisciare sulla roccia e nella polvere.

L’Alto Principe le rivolse un ampio sorriso mentre si accomodava su una delle poltroncine. Lo intravide invitare il fratello a fare lo stesso, ma il Cecchino scrollò le spalle, preferendo restare appoggiato al muro, gli occhi ben fissi sulla sua preda. Ileana sentì il cuore battere un po’ più in fretta sotto quello sguardo di brace e la pressione nella sua testa – la stessa che le aveva schiacciato i pensieri nei bagni – parve gonfiarsi – proprio come nei bagni.

Fu la voce della regina a costringerla a distogliere l’attenzione da lui. -Tesoro? C’è qualcosa che non va?- i suoi occhi scuri andarono da lei al figlio, e quando tornarono da lei erano accompagnati da un sorriso rassicurante. -So che tu e Takumi siete partiti col piede sbagliato, ma ti assicuro che non hai niente da temere. È qui per darti il bentornato a casa!-

Casa.

Nohr era casa sua. Non quel posto. Non con quelle persone.

Che diamine stava succedendo?!

-Io…- un brivido le corse lungo la schiena, rendendola ipersensibile a tutto. Le sembrava di avere la bocca asciutta, ma si sforzò di parlare nonostante le labbra screpolate le facessero male. -…io non so di cosa stiate parlando. Io non vi conosco.-

La gioia sul volto della donna appassì in un istante.

Anche il volto dell’Alto Principe si era fatto più grave, e lo notò quando le sue parole attirarono la sua attenzione. -Tu… non ti ricordi di lei? Per niente? O di me, o… di questo posto?-

Ileana lo guardò come avrebbe guardato un’aragosta parlante.

-Io… no. Come…- aveva passato quattordici anni della sua vita rinchiusa nella Torre Nord, come avrebbe potuto conoscere la regina di Hoshido? -…come potrei?-

Qualcosa andò in pezzi nell’espressione dell’Alto Principe a quelle parole. Sembrava che fosse sul punto di dirle qualcosa, ma niente di buono – aveva le spalle tese, la mascella serrata, le mani strette a pugno. Ileava vide un sorrisino sulle labbra del secondo principe quando si girò, chiedendosi come mai il suo sguardo era diventato talmente intenso da poterlo sentire pungerle la pelle.

La regina alzò una mano, disperdendo la tensione che era andata montando in quella stanzetta. Sorrise alla principessa, ma con amarezza. -Immagino… immagino che sia comprensibile. Era così piccola, dopotutto…- la sua mano si tese per accarezzare quelle di Ileana, maledettamente pallide contro gli abiti scuri che indossava, ma lei le nascose nelle pieghe delle maniche. -Ileana, io sono tua madre.-

Sua madre.

Ma certo che Ileana aveva chiesto di sua madre, da piccola, dopo aver sentito per caso una chiacchierata tra Flora, Felicia e Jakob che parlavano dei loro genitori. Si era precipitata da Xander alla prima occasione e gli aveva chiesto chi fossero i suoi genitori. Lui le aveva parlato di un uomo affettuoso ma severo di nome Garon. Lui le aveva parlato di una donna bellissima, dolcissima e letale di nome Katerina.

La regina Katerina era stata un Cavaliere Malig, e una della più amate regine nohriane di sempre. Era stata temibile con un tomo ed impietosa con un’ascia. Aveva lasciato giocare Leo con la magia per la prima volta, e Camilla la ammirava talmente tanto da averne fatto il suo modello di vita, a cui tutt’ora tentava di somigliare. Elise non si ricordava di lei, perché era stata troppo piccola quando la regina era stata portata via da una malattia che aveva messo in pericolo anche Ileana – e per quello l’avevano allontanata, perché potesse allenarsi in pace e al sicuro: nessuno voleva correre il rischio di vederla ammalarsi.

Xander le aveva raccontato tutto di Katerina. Le aveva raccontato che le aveva voluto un bene immenso, che aveva gli stessi capelli di Camilla e gli stessi occhi verdi e luminosi di Ileana. Le aveva raccontato che vegliava ancora su di lei, e quando Camilla lasciava Ileana a giocare con Marzia, che era stata la compagna di Katerina, lei non poteva che credergli.

La donna che le sedeva di fronte non era sua madre.

-Sono figlia di re Garon e della regina Katerina. Io sono nohriana.- disse, la voce sorprendentemente chiara per via di una rabbia distante e indefinita.

Poté sentire il secondo principe reagire al suo diniego, raddrizzandosi e allontanandosi dal muro di qualche passo, più vicino, gli occhi che mandavano lampi.

-Oh, bambina mia…- sospirò la regina, e Ileana comprese che avrebbe voluto prenderle il viso dalle mani – ma si trattenne, e grazie ad Hedi, perché lei proprio non sapeva come avrebbe potuto reagire al contatto. -Garon e Katerina non sono i tuoi genitori. Non biologicamente parlando, almeno.-

Ileana la fissò in silenzio, la pressione pulsante nella testa che si faceva più intensa, scorrendole nel corpo, facendole indolenzire le mani e appannare gli occhi.

Niente aveva più senso. Si era aspettata delle torture, o almeno delle domande sulla battaglia all’Abisso, come Zoe le aveva anticipato. Ma no: la regina le stava dicendo di essere sua madre – le stava dicendo che l’Alto Principe e il giovane che l’aveva tormentata, minacciata e che voleva ucciderla erano i suoi fratelli.

-Immagino che questo debba essere uno shock per te…- disse l’Alto Principe, intercettando lo sguardo stravolto che lei gli aveva dedicato. -…ma ti assicuro che dice il vero. Sei hoshijin. Sei stata portata via da noi quando eri piccola. Siamo noi la tua famiglia…-

No.

Lei era nohriana. Xander e Leo erano i suoi fratelli, Camilla ed Elise era le sue sorelle – loro erano la sua famiglia.

Quel posto non era casa. Quelle persone non erano casa. Perché insistevano a dirle il contrario?

Riusciva a malapena a respirare, ormai, il cuore che sembrava esserle impazzito nel petto, la pressione trasformatasi in rovi che le affondavano nella testa. C’era qualcosa che non andava con i suoi occhi – la nebbia ai margini del suo campo visivo sembrava aver preso vita e scintillava.

Eppure nessuno sembrava notare quanto stesse male, perché l’Alto Principe e la regina continuarono a parlare – o era davvero brava a fingersi composta, oppure semplicemente non gli importava nulla di come stesse.

-Non sapevamo cosa pensare: ci aspettavamo che fossi stata presa in ostaggio, o come prigioniera politica, ma non abbiamo mai avuto tue notizie.-

-Siamo stati tanto in pena per te… ma ora sei tornata…-

Ostaggio. Prigioniera politica.

Ma erano loro che la stavano tenendo in ostaggio. L’avevano trattata anche peggio di una prigioniera politica – di certo non come una bambina appena ritrovata dopo anni e anni e anni di agonia…

-No.- Ileana soffiò, e poi aggiunse, a voce più alta: -È tutto sbagliato. Un errore.-

Le sue parole ridussero tutti al silenzio. Poteva sentire i loro occhi addosso, le la soppesavano, che si interrogavano, che sussurravano – poteva sentire gli occhi del secondo principe addosso, impazienti, ostili, soddisfatti. Il suo sguardo era una presenza fisica, dolorosa. Lo odiava, odiava sentirlo addosso in quel modo. Ormai quel battito nella sua testa le era dilagato per tutto il corpo, facendola tremare.

-Nessun errore, Ileana.- dichiarò l’Alto Principe.

Il dolore nei suoi occhi era lo stesso del sorriso che la regina le rivolse, mentre diceva: -Hai un segno all’interno del polso sinistro – una spruzzata di nei che ricordano la costellazione della Lira. Hai sempre detto che indicava il tuo destino di musicista.-

Qualsiasi colore rimasto sul volto di Ileana scomparve a quelle parole.

-Come__- lei aveva un segno all’interno del polso sinistro, tale e quale a quello descritto: un insieme di nei messi quasi nello stesso modo delle stelle che formavano la Lira. Come poteva saperlo, la regina, sapere che lei credeva che la destinasse ad un futuro di musica? D’accordo, magari non era un sogno così originale, però… -N_non è possibile.-

-Ma è la verità, milady.-

Kaze.

Si voltò verso il Maestro Ninja, che aveva fatto un passo verso di lei, le mani tese di fronte a sé. Sembrava preoccupato, e Ileana immaginò che potesse vedere le mani che le tremavano, sentire il respiro irregolare. La sua voce era calma mentre spiegava: -Siete stata rapita a Cheve, quattordici anni fa. Re Garon e Re Sumeragi avrebbero dovuto incontrarsi a Cheve per discutere un nuovo trattato di pace… ma appena entrati in città finimmo dritti in una trappola. Uccisero il nostro re, e rapirono voi.-

La voce dell’Alto Principe era tutto meno che calma quando aggiunse: -Io c’ero, Ileana. Nostro padre mi portò con lui perché re Garon aveva suggerito che anche i principi ereditari di entrambi i regni avrebbero dovuto partecipare, come prova di buone intenzioni. Ti abbiamo portata perché avevi appena compiuto quattro anni. Doveva essere un regalo di compleanno.-

I principi ereditari.

L’Alto Principe di Hoshido.

Il Principe Ereditario di Nohr.

Xander.

-Bugiardo.- Ileana gli soffiò contro, incredula. Sentiva i tremiti scuoterle il corpo, la pelle bruciare, la testa spaccarsi – si sentiva come se una tempesta le stesse montando dentro, come tante si erano addensate fuori dalla sua finestra, a casa, a Nohr, alla Torre Nord. -Lui non c’era. Mio fratello, lui non… mai…-

Bugiardo. Ne era sicura.

Xander non avrebbe… potuto, mai…

L’Alto Principe ridacchiò, cattivo. -Parli del Principe Ereditario di Nohr? Credimi, c’era eccome. Armato fino ai denti, come tutti i suoi soldati. E non è tuo fratello.-

All’improvviso, chiarezza.

Stavano cercando di metterla contro la sua famiglia.

Dopotutto, perché torturarla e ucciderla, rischiando di scatenare una guerra, quando avrebbero semplicemente potuto piegarle la mente con quelle orribili bugie per farla rivoltare contro i suoi cari? Avrebbero ottenuto tutte le informazioni che potessero desiderare, persino di più di quante ne avrebbero avute da un interrogatorio, oltre ad un ottimo ascendente da usare contro il Trono di Spine, per colpire la sua famiglia al cuore, dove faceva più male.

Era sempre stato quello, il loro piano? Tormentarla con le cattiverie e farla impazzire con le gentilezze, per farla correre tra le loro braccia al primo segno di affetto, dopo distrutta e terrorizzata al punto che non si sarebbe fatta domande?

Sentì il sangue farsi ghiaccio nelle vene.

Per i Sette, ci era quasi cascata, comprese con orrore, ripensando a quanto avesse voluto l’abbraccio di Zoe, le carezze di Kaze – facevano parte anche loro del piano? Oh, ma certo che ne facevano parte.

Era stata tutta una bugia, una ragnatela di false promesse tesa a incatenarla, trappole di affetto per farla impazzire. Ma certo che non gli importava di lei. Si erano occupati delle ferite che le erano state inferte trascinandola nel fango perché era il loro lavoro, niente di più.

Ora sarebbe stato il loro lavoro tenerla ferma – perché ovviamente l’avrebbero condannata a morte, appena si fossero accorti che quell’orrendo giochetto non aveva funzionato. Era naturale che toccasse a loro legarla, imbavagliarla, gettarla a terra così che il loro principe potesse torreggiare su di lei.

L’energia che le scorreva in tutto il corpo sembrò esplodere quando la pressione nella sua testa aumentò ancora, tanto da farle stringere i denti, e sentì quello sguardo maledetto come una lama – e sentì il suo odio.

Quell’odio era la sua unica speranza, comprese. Era il momento, il momento di farlo scattare. Il momento di morire.

Probabilmente avrebbe cercato di prendere la spada di suo fratello, di strappargliela, intenzionato ad affondargliela nel petto, nel cuore, fino all’elsa. Avrebbe bruciato, comprese, avrebbe fatto male.

Ma sarebbe stato veloce. Era la sua unica possibilità.

La sua unica possibilità di tenere al sicuro la sua famiglia.

Xander. Camilla. Leo. Elise.

Qualcosa di caldo le scivolò lungo l’energia incontenibile che era diventata la sua pelle, e si sentì andare in pezzi.

Rise.

.

Rise, e in quell’orribile risata Zoe vide qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì: rassegnazione.

Guardò Kaze, allarmata dall’espressione distorta che si stava lentamente disegnando sul volto di Ileana, e scorse una scintilla di panico anche nello sguardo dell’amico – anche Kaze aveva visto, anche Kaze percepiva i capelli sulla nuca drizzarsi mentre un’energia che entrambi avevano già avvertito nei bagni sembrava contorcersi nell’aria intorno a loro.

Non era strano che un mago arrivasse a quel punto. Quando le emozioni prendevano il sopravvento la loro magia reagiva sovraccaricando l’energia presente nell’aria, nel loro corpo, riverberandosi in quello che li circondava: Ileana aveva dato prova di essere allo stremo della sua resistenza già prima, quando l’acqua delle vasche aveva reagito alla sua tensione e aveva inzaccherato tanto la Maga quanto Zoe… ma certo, rifletté la Samurai, riportando la propria attenzione sulle mani tremanti della principessa: Ileana non aveva potuto scaricare la propria tensione utilizzando la magia, nei giorni di prigionia, e di certo la sua mente aveva avuto tutto il tempo per partorire chissà quali incubi…

Forse avrebbe dovuto avvertire Ryoma, oppure la Regina: non sembravano consci di quanto Ileana fosse in procinto di esplodere, di quanto tutte le informazioni che le avevano rovesciato addosso la stessero mandando fuori di testa.

-Siete solo dei bugiardi.-

Zoe sobbalzò, alzando gli occhi appena in tempo per vedere la smorfia crudele della principessa di Nohr, per vederla scoprire i denti come già aveva tentato di fare con lei, per cogliere un riflesso di trionfo nel volto in penombra di Takumi.

-Pensavate davvero che ci sarei cascata?-

Crack.

Le porcellane ordinatamente esposte sul tavolino si incrinarono, e lady Mikoto sobbalzò: tentò di allungare una mano verso Ileana, ma la principessa si ritrasse come se avesse tentato di colpirla.

-Ileana, non__- tentò di richiamarla, ma tutto ciò che ottenne come risposta fu un ringhio strozzato.

Zoe portò istintivamente la mano alla propria spada, costringendosi a distogliere lo sguardo per assorbire tutta la situazione: Ryoma sembrava confuso, lady Mikoto era chiaramente sconcertata, mentre Takumi… Takumi sorrideva.

Con la coda dell’occhio guardòKaze, la sua espressione accuratamente impassibile, i suoi muscoli tesi – era pronto ad intervenire, ma non sembrava essere in procinto di estrarre un’arma…

-Non mi userete contro la mia famiglia.- Ileana si alzò in piedi, traballante, ed in quel momento fu chiaro anche a Ryoma e alla Regina quanto fosse debilitata: tremava, tremava così violentemente che sembrava sul punto di crollare, una luce folle negli occhi verdi ed il terrore scritto in ogni angolo del suo volto.

-Mi fate schifo, voi e i vostri giochetti.-

Quando Ileana si voltò, girando attorno al tavolino e fermandosi accanto a Mikoto, direttamente davanti a Takumi, Zoe avrebbe voluto urlare.

Doveva intervenire.

Takumi non si sarebbe fermato. Takumi stava sorridendo. Takumi avrebbe…

Ileana lo guardò, e nella sua voce Zoe sentì la disperazione mescolarsi al veleno.

-Contento, adesso? Cosa aspetti, principino? Non vuoi provare a stuprarmi davanti alla tua cara mammina?- insinuò, allungando una mano verso la guancia della Regina per sfiorarla con una carezza orribile, malata, mentre l’orrore che aveva appena pronunciato sembrò riempire di crepe l’espressione contenuta della donna.

…cosa aveva fatto?

Zoe guardò Kaze, sconvolta – e, nello stesso momento, il tavolino di vetro andò in mille pezzi.

-Maledetta cagna schifosa!- ruggì Takumi, furioso, e poi tutto successe troppo in fretta per riuscire a fermarlo.

-Takumi!- Ryoma ruggì, balzò in piedi… ma troppo, troppo tardi.

Lei e Kaze si lanciarono in avanti quando l’urlo animalesco di Ileana sovrastò persino il suono del cristallo in frantumi.

Takumi si scagliò su Ileana con un ringhio disarticolato che gorgogliava in gola e lei si voltò, incespicando per sfuggire alle mani che il principe aveva teso per tentare di afferrarla – se Takumi l’avesse presa… se le avesse messo le mani addosso…

No. Gliel’aveva promesso.

Zoe lasciò che la superasse – Kaze era dietro di lei, si sarebbe occupato di Ileana, con lui sarebbe stata al sicuro – e si buttò contro Takumi: era più veloce di lui, più agile di lui, e non fu affatto difficile afferrargli il polso teso minacciosamente verso Ileana.

Lo torse con violenza, strappandogli un versaccio di dolore quando sfruttò la sua stessa veemenza per farlo girare su se stesso e bloccargli il braccio dietro la schiena, spingendolo subito lontano da sé e da Ileana.

Serrò rapidamente le mani sulla katana e ne estrasse un palmo, bilanciandosi sulle gambe per prepararsi a qualunque reazione, senza smuoversi nemmeno di un passo dalla propria posizione quando Takumi, furioso, recuperò l’equilibrio e si volse – e non c’era niente, del suo amato fratellino, in quella faccia stravolta dall’ira… e allora non ci sarebbe stato nemmeno nulla di lei: tirò indietro le orecchie, serrò le labbra e assottigliò le palpebre, lasciando che l’addestramento impresso nei suoi muscoli avesse la meglio, che cancellasse ogni traccia della confusione che provava.

-Levati di mezzo!- la aggredì il principe, avanzando e fermandosi soltanto quando si trovò ad un soffio dal viso di Zoe. Lei però rimase immobile, impassibile, la mente fredda e calma che calcolava rapidamente ogni alternativa.

-No.- rispose, sopportando l’ira ed il baluginio di follia che poteva scorgergli negli occhi, cogliendo il fremito nelle sue mani – come se volesse colpire anche lei, come se si stesse trattenendo per non farle fare la stessa fine della principessa che aveva deciso di proteggere.

-È un maledetto ordine, Zoe!-

Qualcosa urlò, dentro di lei, ma non aveva tempo di ascoltarlo: incassò le spalle, spostò la mano dominante più in alto sulla tsuka e si preparò all’attacco che sembrava, ormai, inevitabile – quando una mano guantata di rosso si chiuse sulla spalla di Takumi e lo tirò violentemente indietro.

-BASTA!-

Il ruggito di Ryoma sovrastò tutto il resto.

Inconsapevolmente, Zoe tirò fiato, travolta da un fiotto di sollievo nel guardare l’Alto Principe strattonare Takumi per allontanarlo da lei, spingendolo indietro e frapponendosi a sua volta fra il fratello e Zoe così come lei aveva fatto per Ileana.

Si arrischiò a lanciare una rapidissima occhiata alle proprie spalle, approfittando della protezione offerta dalla figura possente di Ryoma, trovandosi davanti ad un’Ileana in lacrime, tremante e sconvolta, aggrappata disperatamente al petto di Kaze.

-Avete promesso… me l’avete promesso…- singhiozzava, fra le braccia di Kaze, mentre le lacrime le scendevano copiose lungo le guance e le sue dita artigliavano gli abiti del Maestro Ninja che la cullava con gentilezza, che le mormorava qualcosa all’orecchio con quel suo tono rassicurante – ma Zoe non riuscì a cogliere le sue parole, perché le urla di Ryoma e di Takumi sovrastavano tutto il resto.

-Ragazzi!-

Il silenzio calò all’improvviso.

Lady Mikoto si era alzata in piedi e si era rivolta ai suoi figli, sedando le loro grida semplicemente pronunciando i loro nomi con quella sua voce che, per la prima volta, Zoe aveva percepito venarsi d’acciaio: tutti e due la guardarono, confusi e apparentemente dimentichi di tutto il resto, la quiete repentina spezzata soltanto dai singhiozzi della principessa.

-Non adesso.- continuò la Regina, occhieggiando i due principi fino a che Ryoma, riscossosi dalla sorpresa, afferrò Takumi per la giacca e lo tirò verso l’angolo più lontano, ignorando i suoi deboli tentativi di divincolarsi. -Sono certa che questo sia soltanto un grande fraintendimento.-

No, avrebbe voluto dirle Zoe, non c’era nessun fraintendimento.

Takumi aveva torturato Ileana, l’aveva costretta a marcire in una cella buia, l’aveva insultata e l’aveva minacciata di qualcosa di tanto orribile che Zoe nemmeno voleva pensarci: niente di tutto ciò era fraintendibile, era tutto così chiaro, così lampante, e per un istante trovò profondamente irritante il tentativo di calmare gli animi della Regina.

Quella era sua figlia, dannazione… avrebbe dovuto arrabbiarsi, urlare, fare qualcosa! Avrebbe dovuto rimproverare Takumi, cacciarlo da quella stanza perché non si avvicinasse nemmeno lontanamente ad Ileana!

Zoe digrignò i denti, ma si sforzò di non far trasparire nulla quando lady Mikoto girò su se stessa e si avvicinò di un passo a loro, a Kaze, a Ileana.

-Ileana?- chiamò, dolcemente, ma Zoe sentì soltanto un pianto più intenso provenire dal fagotto di lacrime che Kaze stringeva al petto.

-Vi prego… per favore, voglio soltanto andare a casa mia…- ripeteva, una cantilena continua e straziante che avrebbe ferito chiunque con un minimo di sensibilità nell’animo, di gentilezza.

-Madre, per favore! Non avvicinarti!-

Zoe scoprì i denti, trattenendosi dal ringhiare a sua volta, fulminando Takumi con lo sguardo.

Come osava? Come poteva? Doveva soltanto vergognarsi di se stesso, doveva soltanto tacere e sperare di non trovarla mai più da sola perché dei, quanta voglia aveva di fargli provare almeno un minimo della sofferenza che aveva imposto a quella ragazza innocente – a sua sorella

Lady Mikoto però sorrise: un sorriso pieno di dolore, un sorriso sofferto, un sorriso che Zoe scorse incrinarsi quando si voltò per un istante a guardare suo figlio.

-Mio adorato Takumi, lei non è pericolosa. È soltanto spaventata.- mormorò, prima di fare qualche passo per avvicinarsi alla principessa. -Tesoro?- chiamò di nuovo, ma Ileana si contorse fra le braccia di Kaze come se volesse sparire, come se quello fosse l’unico posto sicuro, per lei, in quell’incubo in cui era stata scagliata.

-No! Non vi avvicinate! Non mi toccate!- strillò, e Zoe istintivamente si avvicinò a Kaze, tentando di rimanere il più possibile vicina ad Ileana senza che lei percepisse il suo gesto come un’aggressione.

Lady Mikoto esitò, alzando lo sguardo per scambiare una fugace occhiata con il Maestro Ninja.

-Non lo farò. Non preoccuparti, va tutto bene.- continuò, e nella sua voce c’era qualcosa di rasserenante, di pacifico, come se nelle sue parole fosse nascosta una ninnananna… -Per favore, Ileana, respira. Non hai nulla da temere, non ti succederà nulla. Sei sotto la mia protezione.-

Ileana si arrischiò ad alzare il viso per sbirciare la Regina, ma Zoe davvero non riuscì a sopportare quella vista: era stravolta, le sue guance erano rosse e rigate dalle lacrime che non sembrava in grado di fermare, i suoi occhi erano gonfi e le sue labbra tremavano violentemente.

-Vieni, perché non ti siedi su una delle sedie?-

-Lady Mikoto.-

Zoe sentì quelle parole, sentì la fermezza in quella voce, ma per un istante credette che fosse stato Kaze a parlare: soltanto quando Mikoto la guardò, con la tristezza nello sguardo e un sorriso tirato che s’incrinava, comprese di essere stata lei a intromettersi, a fermare la Regina prima che potesse convincere Ileana ad avvicinarsi.

Mikoto però non si incupì, nonostante la sua intromissione potesse benissimo essere considerata un oltraggio vero e proprio: posò una mano sulla spalla della Samurai e strinse appena, delicatamente, nonostante sotto il suo tocco Zoe si fosse irrigidita all’improvviso.

-Non c’è nulla da temere, Zoe. Non le farò del male.- la rassicurò, ma Zoe voltò la testa per lanciare un’occhiataccia ai due principi, a Takumi che la fissava, furibondo, nonostante Ryoma gli bloccasse quasi completamente la visuale.

-Ma lui sì.- commentò, sentendo quelle parole bruciare in gola come braci ardenti.

Senza un’altra parola, senza guardare la Regina, si scostò, avanzando con passo deciso per andare a piazzarsi fra Ryoma, Takumi e il mobilio in modo che, se quell’idiota avesse dato di matto un’altra volta, sarebbe potuta intervenire immediatamente.

Percepì addosso il peso dello sguardo di Mikoto, sentì il sospiro strozzato e sofferente che le sfuggì, ma non si voltò nemmeno quando Kaze accompagnò Ileana verso una delle sedie imbottite, sostenendola finché non vi si sedette – non aveva bisogno di guardare per sapere che cosa stava succedendo; i suoi occhi dovevano rimanere lì dov’erano, a sopportare la furia in quelli di Takumi, a tenerlo d’occhio per impedirgli di fare qualsiasi cosa gli saltasse in mente.

-Ileana… capisco che tu sia scioccata. Tutto questo dev’essere davvero duro per te.-

Finalmente, pensò Zoe. Finalmente qualcuno aveva deciso di accorgersi di quanto Ileana avrebbe avuto bisogno di riposare, di rimettersi in sesto, prima di rovesciarle addosso tutto quanto… come potevano aver pensato che fosse una buona idea? Era cresciuta lontano da tutti loro, in un altro posto, con un’altra famiglia, possibile che soltanto lei – che aveva pregato per il suo ritorno per anni ed anni – se ne rendesse conto?

-Per favore, dimmi che cosa posso fare per aiutarti.- continuò Mikoto, con il tono gentile e pacato che Zoe spesso usava per calmare i pegasi imbizzarriti.

-Voglio… voglio mio fratello.- la pregò Ileana, con una voce talmente debole ed esausta che Zoe quasi riuscì a cogliere l’espressione di Kaze incupirsi ancor di più. -Voglio parlare con Xander.-

Suo fratello… Zoe si morse le guance, prendendo un profondo respiro per cercare di calmarsi.

Era normale che volesse suo fratello. Anche lei, al suo posto – se lo avesse avuto, se fosse ancora stato se stesso, se non fosse andato completamente fuori di testa – avrebbe voluto suo fratello, quello che per tutta la vita aveva chiamato fratello…

-Ed allora lo manderemo a chiamare.-

Uno sguardo diverso pesò improvvisamente su di lei, mutando nella sua percezione di ciò che la circondava; Zoe si voltò rapidamente, sorprendendosi di scorgere una profonda gratitudine in un paio d’occhi verdi che si erano posati su di lei alle parole di lady Mikoto – e le sorrise, le sorrise nonostante si sentisse morire dentro, perché Ileana non meritava altro che gentilezza dopo tutto quello che era stata costretta a subire.

-Orochi?- con la coda dell’occhio, Zoe scorse la porta aprirsi e la figura di sua madre sgusciare all’interno della stanza; alle sue spalle, abituata com’era a cercare le tracce dei ninja nelle ombre, poté quasi distinguere le espressioni allarmate di Saizo e di Kagero, che subito scomparvero dietro il pannello scorrevole.

-Mia cara, hai uno dei tuoi incantesimi con te? Vorrei mandare un messaggio a Re Garon immediatamente.- domandò la Regina, ed Orochi annuì, spalancando immediatamente la borsa che portava sempre con sé.

-Ma certo.- affermò, estraendo immediatamente un rotolo di pergamena che Zoe sapeva essere imbevuto di magia, una penna e un calamaio. Sua madre si avvicinò a lady Mikoto, passandole accanto e sfiorandole appena il braccio con una carezza accennata, delicata come un alito di vento.

Dei, quanto avrebbe voluto un abbraccio della sua mamma.

Zoe digrignò i denti, scacciando quel pensiero e reprimendo le lacrime che le bruciarono repentinamente negli occhi: non aveva tempo di concentrarsi su quelle cose, in quel momento. C’era qualcuno che aveva bisogno di lei, Ileana aveva bisogno di lei, e lei non avrebbe fallito.

Aveva promesso.

-Ecco!-

-Meraviglioso.- ringraziò Mikoto, ed Orochi si ritirò immediatamente, spostandosi appena dietro a Kaze. -Ileana, posso sedermi accanto a te? Vorrei che tu vedessi che cosa sto per scrivere.-

Zoe s’irrigidì, ma si morse la lingua quando Ileana rispose prima che lei potesse intervenire di nuovo.

-Io… sì, può andare.-

-Ottimo.-

Per qualche minuto, gli unici suoni in quella stanza furono quello del pennino che grattava sulla pergamena e il respiro irregolare di Ileana; Zoe si concentrò su quello, su quegli ansiti affannati e sugli occasionali singhiozzi che sfuggivano alla principessa, perché se avesse pensato a qualsiasi altra cosa sapeva che non sarebbe stata in grado di rimanere impassibile.

Rimase immobile, aggrappata alla sua spada, l’unica ancora in quel mondo che improvvisamente aveva perso tutto ciò che lei aveva sempre considerato stabile e inamovibile – Takumi sembrava aver perso se stesso, la Regina non sapeva come comportarsi, Ryoma sembrava ancora più confuso di lei… e poi, dov’erano finite tutte le sue paure, quelle che l’avevano inseguita durante il viaggio per giungere a Suzanoh?

Aggrottò le sopracciglia, perplessa.

Non ci aveva pensato, fino a quel momento, troppo impegnata a cercare di sistemare i danni che Takumi aveva fatto, ma… perché il pensiero di avere davanti la bambina di cui aveva così pochi ricordi, ma per cui aveva combattuto così tanto, non l’aveva nemmeno sfiorata?

Si era aspettata che tutte le sue antiche ossessioni – quelle che si erano celate nelle parole dei nobili, contro cui ogni giorno lei lottava per costringerle a tornare al loro posto, che aveva combattuto per forgiare nella determinazione di cui andava tanto fiera – sarebbero tornate a galla dinanzi ad Ileana, che avrebbe dovuto sopportare l’aggressione di quei pensieri velenosi ancora una volta, ma…

Il sospiro soddisfatto di lady Mikoto spezzò quella temporanea, fragile quiete, strappandola ai suoi pensieri.

-Vuoi che aggiunga qualcosa da parte tua? Cosicché sappiano che sei al sicuro?-

-Non…- Ileana esitò, e Zoe dovette lottare con se stessa per non lasciarsi sfuggire un sorriso: era quasi certa che, nella sua mente, Ileana stesse cercando qualcosa da aggiungere che non potesse compromettere nessuno dei suoi fratelli. -Solo… potrebbe dirgli che quando arriverà qui, andremo a guardare le stelle? Come ci eravamo promessi?-

Fu quello, più di qualunque altra cosa successa fino a quel momento, a spezzare il cuore di Zoe.

Ileana voleva soltanto andare a casa. Non aveva voluto nulla di tutto quel disastro, non aveva fatto niente per causarlo, e voleva soltanto tornare dall’unica famiglia che avesse mai conosciuto…

Strinse i denti, ignorando il disgusto sul volto di Takumi e l’occhiata dispiaciuta che Ryoma le rivolse, mentre qualcosa di nuovo – un nuovo obiettivo, una nuova speranza, una nuova battaglia – si fece bruscamente largo fra i suoi pensieri, spazzando via tutto il resto: in qualunque modo, a qualunque costo, lei avrebbe fatto in modo Ileana potesse tornare a casa sana e salva.

Che cosa importava, in fondo, che fosse o meno una principessa di Hoshido? Lady Mikoto non l’aveva cresciuta, Ryoma e gli altri non erano i suoi fratelli, lei stessa era una perfetta sconosciuta per Ileana – e come poteva essere diverso, se nessuno le aveva mai raccontato dell’incidente di Cheve, se nessuno le aveva mai parlato di Re Sumeragi, della trappola che era stata tesa, delle urla della bambina che Zoe era stata quando gliel’avevano strappata dalle braccia?

…non meritava di tornare nel posto che chiaramente amava tanto, che considerava la sua casa, da coloro che erano la sua famiglia?

Magari, se quel disastro si fosse risolto, Ileana avrebbe potuto visitare Shirasagi, ogni tanto… magari Zoe non avrebbe dovuto dirle addio così presto. Magari sarebbe tornata, magari sarebbe riuscita a sistemare quell’orrendo disastro che Takumi aveva fatto, magari sarebbe andato tutto bene.

Ma adesso non importava.

Adesso l’unica cosa importante era che Ileana si sentisse al sicuro, che il Principe Xander arrivasse per cancellare il terrore e la tristezza che quei giorni orribili avevano inciso su di lei.

-Ma certo.- sentì annuire Mikoto, poi altre parole, altro inchiostro, una promessa. -Ecco. Il Re dovrebbe averlo già ricevuto. Hai avvertito l’incantesimo, vero?- domandò, ma l’unica risposta di Ileana fu un debole mugolio di assenso.

-Devi essere davvero una maga di eccezionale talento.- mormorò, con dolcezza, lady Mikoto, ma ancora nessuna risposta giunse da parte di Ileana – doveva essere così stanca… -Adesso, se per te va bene, vorrei tornare a Shirasagi mentre ci organizzeremo per incontrare il Principe Ereditario. Saremo tutti più a nostro agio, là, e tu potrai ricevere cure e riposare prima di ripartire.-

Finalmente, Zoe si voltò, cogliendo un tono definitivo nella voce della Regina: voleva soltanto uscire di lì, portare Ileana in un posto più tranquillo dove avrebbe potuto riposare – e, dall’espressione di Kaze, comprese che anche lui non ne poteva davvero più di tutto quel disastro.

-I-Io… io non…-

Ileana non voleva andare a Shirasagi. Perché non potevano rimanere lì, aspettare il principe di Nohr a Suzanoh? Shirasagi non era il posto ideale per lei, non con tutto quello che avrebbe comportato il ritorno della principessa perduta…

-Milady.-Kaze, che era rimasto per tutto il tempo accanto alla sedia su cui si era raggomitolata Ileana, s’inginocchiò dinanzi a lei, trovando Hotoke soltanto sapeva come la forza di rivolgerle un sorrio rassicurante. -Avete davvero bisogno di rimettervi in sesto.-

-Io…- Ileana guardò Zoe, confusa, ma anche lei sorrise, incoraggiante, sebbene detestasse quell’idea ancor più di quanto avesse odiato quella di costringere Ileana a parlare immediatamente con la Regina. -…va bene.-

-Perfetto.- lady Mikoto si alzò in piedi, lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi per non spaventare Ileana. -Adesso credo che tu abbia davvero un gran bisogno di riposo. Kaze, Zoe?- chiamò, alzando lo sguardo stanco sui due guerrieri. -Posso chiedervi di portare Ileana in una delle stanze nell’ala residenziale?-

-Certo, lady Mikoto.- annuì lei, mentre Kaze si occupava di aiutare Ileana ad alzarsi, lasciando che gli si aggrappasse alla spalla perché ormai, ed era maledettamente chiaro, non aveva più nemmeno la forza di stare in piedi.

-Da questa parte, lady Ileana.-lo sentì mormorare mentre le passavano accanto, cogliendo il gesto protettivo con cui le accarezzava la schiena.

-Aspettate.-

Zoe sobbalzò, colta di sorpresa dalla voce profonda che li richiamò indietro: si voltò, esasperata, e vide che Ryoma si era avvicinato per fermarli, l’espressione terribilmente seria e tormentata. -Devo farti una domanda, Ileana.-

-Ryoma, no.- si sentì grugnire, sgranando gli occhi nel momento stesso in cui si rese conto di cosa aveva appena fatto – diamine, non riusciva davvero a tenere la bocca chiusa e a ricordare che non aveva alcun diritto di rivolgersi ai reali in quel modo, oggi. -Non mi sembra il caso.- aggiunse, però, cercando di rivolgergli un’occhiata di scuse ma rimanendo comunque al suo posto, a metà fra Ryoma ed Ileana.

-Mi spiace, ma non posso rimandare oltre.- replicò lui, pacato – evidentemente si erano dimenticati anche loro che lei non era proprio nessuno per parlargli così –, girandole intorno per avvicinarsi a Kaze. -Ileana.- chiamò, dolcemente, aspettando fino a che lei non si voltò per guardarlo. -Cos’è successo all’Abisso?-

Zoe soffocò un versaccio, perché forse sarebbe stato davvero tirare troppo la corda, avvicinandosi di qualche passo per affiancarsi al principe – magari vederla avrebbe aiutato Ileana a non andare di nuovo nel panico, visto che Ryoma non aveva proprio l’aspetto più rassicurante del mondo agli occhi di chi non lo conosceva.

-Io…- Ileana, esausta com’era, chiuse gli occhi per qualche attimo, prima di stringersi alla spalla di Kaze per aiutarsi a rimanere in piedi. -Io non ho dato alcun ordine di attaccare. Ho soltanto mandato in avanscoperta una pattuglia, guidata da un ottimo guerriero… che è stato l’unico a tornare.-

-Quindi nessun attacco era stato preventivato?-Ryoma insistette e Zoe davvero avrebbe voluto prenderlo a gomitate, adesso, perché avrebbe potuto farle quelle domande in qualsiasi altro momento e non quando non era nemmeno in grado di reggersi in piedi.

Oppure no, le suggerì uno strano istinto nella sua mente.

Forse Ryoma aveva deciso di tirar fuori quel discorso proprio perché Ileana, in quello stato, non sarebbe mai stata in grado di mentire; forse anche lui era arrivato alla conclusione che quella ragazza non poteva ricordarsi di loro ed era solamente capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato… e chissà cos’altro stava pensando, sotto quella massa di capelli. Di sicuro, rifletté Zoe, aveva i suoi buoni motivi, ma…

-No.-

Quella risposta sembrò essere tutto ciò che Ryoma stava aspettando. Sorrise, incoraggiante, ringraziando Ileana con un gesto gentile della testa, prima di raddrizzare la schiena tanto in fretta da impedire a Zoe di accorgersi dell'ombra scura sul suo volto; si diresse alla porta, aprendola con tanta rapidità da far sobbalzare Ileana e sorprendere persino lei.

-Saizo, Kagero.- chiamò, seccamente; i due ninja si materializzarono in un istante dinanzi al loro Principe, inchinandosi profondamente prima di rivolgergli la loro piena attenzione – ma certo, dovevano aver sentito tutto, gemette Zoe fra sé, perché nemmeno le loro espressioni accuratamente neutre potevano nascondere il dispiacere negli occhi di Kagero e la fredezza in quelli di Saizo.

Zoe impallidì, evitando accuratamente lo sguardo del suo maestro: al contrario della Regina e di Ryoma, Saizo sembrava spietatamente conscio di quanto fossero state eclatanti le sue ripetute mancanze di rispetto – oh, dei, come minimo stavolta l'avrebbe ammazzata, se le avesse messo le mani addosso.

-Portatemi gli averi di mio fratello.- ordinò Ryoma, con tanta freddezza da strappare Zoe ai suoi tetri presagi di morte e riportare la sua attenzione su di lui.

Alle sue spalle, Takumi gemette, ma lei si rifiutò di voltarsi o, addirittura, di chiedersi che cosa significasse quel suono: era palese, dalla voce tagliente di suo fratello maggiore, quanto lo aspettasse una lavata di capo con i controfiocchi, ma lei non trovò nemmeno una briciola di dispiacere al pensiero.

-Hinata, Oboro.- continuò, Ryoma, ignorando la reazione di suo fratello, quando Saizo e Kagero scomparvero fra le ombre. -Voi aspettate qui. Dovrò parlarvi, dopo.-

Zoe udì a malapena i flebili “sì, lord Ryoma” che i suoi amici mormorarono – ah, quindi anche loro avevano sentito tutto: la sua intromissione, l'isteria di Takumi, la crisi di nervi di Ileana...

Zoe digrignò i denti, appiattendo le orecchie contro il cranio. Quella povera ragazza doveva essere così stanca… oh, ma perché Ryoma non aveva potuto aspettare che loro se ne andassero per fare la sua tirata? Possibile che non vedesse quanto quella poveretta fosse esausta e avesse bisogno di andarsene da lì!?

-Zoe.- finalmente, finalmente si decise a rivolgersi a lei, proprio quando la sua pazienza aveva ormai raggiunto il limite.

-Oh, bene, hai finito.- borbottò, superandolo con un'occhiataccia ma ottenendo, in risposta, soltanto uno sbuffo e un amaro, mezzo sorriso a cui lei rispose alzando gli occhi al soffitto, esasperata.

Kaze si fermò soltanto per rivolgendogli un rispettoso cenno con la testa prima di avviarsi, tenendo Ileana sempre stretta al petto, e Zoe lo seguì, dando le spalle a tutti i presenti in quella stanza: tuttavia, prima di richiudersi la porta alle spalle, le sue orecchie attente colsero un mormorio soffocato che fece stridere dolorosamente qualcosa, dentro di lei… ma mai come in quel momento fu grata di avere un udito più fine del normale, perché davvero non avrebbe voluto che Ileana sentisse la voce dolce e triste di lady Mikoto sussurrarle quelle poche parole tormentate.

-Dormi bene, bambina mia.-

.

§

.

Le porte dell’avamposto di Suzanoh non sembravano così resistenti come il resto della struttura. Per un istante, Zoe cullò l’idea di scardinarne almeno un paio – fragili e sottili com’erano, non sarebbe stato difficile –, ma non sarebbe stato così soddisfacente, e gli dei soltanto sapevano quanto aveva bisogno di sfogare la rabbia che avvertiva premere agli angoli del suo campo visivo, che rendeva tutto più confuso e spennellava ciò che aveva intorno di nero e di rosso.

Il pavimento ticchettava sotto i suoi passi pesanti, ma non aveva proprio nessuna voglia di misurare ogni movimento per non fare rumore: voleva fare rumore, voleva spaccare qualcosa nella speranza che le sue mani smettessero di tremare, ma sapeva che urla e strepiti avrebbero soltanto disturbato Ileana, ora che finalmente si era addormentata.

Era rimasta con lei fino a pochi minuti prima. Lei e Kaze l’avevano accompagnata in una delle stanze più confortevoli dell’intera fortezza, avevano socchiuso le persiane per impedire alla luce del Sole di disturbarla ma lasciando che uno spiraglio di luce mantenesse visibile l’ambiente – era stata un’idea di Kaze, per impedire che l’oscurità completa ricordasse a Ileana le segrete – ed erano rimasti al suo fianco fino a che il suo pianto non si era estinto nel sonno che il sonnifero preparato dal Maestro Ninja aveva misericordiosamente fatto calare su di lei.

Kaze era davvero una benedizione giunta dagli dei.

Lei aveva fatto fatica a controllarsi, aveva reagito d’istinto, aveva probabilmente fatto dei danni più grossi di quanto le interessasse pensare, mentre Kaze era rimasto lucido dall’inizio alla fine – e non soltanto di quel giorno, ma dell’intero disastro, fin dall’Abisso: aveva ormai capito, Zoe, che Kaze non aveva perso la calma nemmeno una volta, durante quel viaggio… si era premurato di rimanere nei paraggi di Ileana, aveva probabilmente spinto Hinata ad intervenire quando Takumi aveva esagerato, si era rifugiato nell’impenetrabile oscurità delle segrete per farle compagnia e anche adesso, in quel momento, le era accanto, a vigilare sul suo sonno.

Era una persona migliore di lei, Kaze, ma Zoe non poteva che esserne felice: era con Ileana e questo significava che Ileana era al sicuro, che nessuno l’avrebbe più disturbata o spaventata… ed era l’unica sicurezza che, adesso, Zoe poteva sperare di avere.

Lei, in quel momento, mentre tutto ciò che era successo durante quella lunga giornata turbinava nella sua mente, era perfettamente conscia di non essere abbastanza calma per fare lo stesso: Kaze stesso le aveva suggerito di uscire da quella stanza, le aveva assicurato che avrebbe vegliato sulla principessa e che si sarebbero dati il cambio al suo ritorno, le aveva assicurato che non si sarebbe arrabbiato con lei se si fosse assentata per un po’ – e lei aveva obbedito, grata, perché nel momento stesso in cui Ileana aveva chiuso gli occhi tutto ciò che era successo le si era rovesciato addosso, ghiacciandole le mani e confondendole i pensieri.

Aveva probabilmente soltanto reagito male al calo della tensione, quando ogni motivo per rimanere tesa e all’erta si era estinto nel sospiro profondo che Ileana aveva fatto nel momento in cui era crollata, esausta, nel mare di cuscini che Zoe le aveva sistemato attorno. Avrebbe dovuto calmarsi, perché sì, era sempre stata una persona incline agli scoppi di collera, ma non aveva mai sperimentato una furia di tale entità – non aveva mai visto le proprie mani tremare in quel modo, né aveva mai sentito i pensieri vacillare mentre qualcosa di prepotente e distruttivo sembrava agitarsi nella sua mente, assordandola col suo incessante ruggito.

Forse avrebbe dovuto cercare Saizo. I suoi aspri rimproveri, forse, sarebbero stati sufficienti per annegare quel mostro neonato nel senso di colpa e nella vergogna… o forse l’avrebbero soltanto fatta arrabbiare di più, perché non c’era nemmeno una briciola, in lei, che provasse rimorso per quello che aveva fatto.

Aveva fatto la cosa giusta.

Aveva protetto una ragazza innocente, e questo era tutto ciò che le importava: si sarebbe comportata nello stesso identico modo anche se al posto di Ileana si fosse trovato chiunque altro, perché niente, in lei, avrebbe potuto lasciare che la bestia che aveva preso il posto di Takumi continuasse a infierire su qualcuno di indifeso…

Takumi non c’era più.

Era l’unica spiegazione che avesse senso, l’unica che potesse dare una parvenza di logicità ad una situazione che in realtà aveva perso ogni traccia di razionalità da parecchio: Takumi, il suo Takumi, era sparito, e un mostro crudele e pieno di una rabbia cieca aveva preso le sue sembianze. Non poteva essere altrimenti.

…dei, sarebbe stato così facile credere a quella bellissima bugia, perché la verità era molto più dura da affrontare e lei non era certa di essere in grado di sopportarla.

Aveva cercato di uccidere la sua stessa sorella.

Di più: lo aveva fatto sotto lo sguardo sconvolto di sua madre, davanti al fratello che idolatrava e anche a lei, a cui aveva detto soltanto qualche ora prima che… che avrebbe voluto…

Zoe scosse la testa, continuando imperterrita a mordicchiarsi nervosamente l’interno della guancia, ignorando il sapore metallico del sangue sulla lingua quando si ferì con i suoi stessi denti; non doveva pensare alle parole che Takumi le aveva detto prima di portarla da Ileana, prima che tutto andasse allo sfacelo – era molto più semplice continuare a concentrarsi sulla delusione che provava nel pensare a ciò che aveva fatto ad Ileana, quella era una rabbia giusta, che aveva tutti i diritti di provare: se si fosse permessa di indugiare su altro, su quanto l’avesse spaventata il modo in cui Takumi aveva guardato lei, sapeva che non sarebbe più stata in grado di ignorare quanto male le avessero fatto le sue parole ed i suoi gesti.

E poi non aveva proprio tempo di mettersi a frignare, a dirla tutta. Non quando aveva qualcosa di molto più importante da fare.

Sospirò, sfregandosi stancamente il viso, costringendosi a guardarsi intorno per capire dove i suoi passi nervosi l’avessero portata: quel dannato posto era tutto uguale, e non si sarebbe nemmeno sorpresa di essere finita nelle vicinanze del salotto dove si era consumato quell’assurdo dramma familiare che sarebbe stato così facile evitare – e sì, in effetti quel corridoio le sembrava familiare, non doveva essere poi così lontana, ma prima che potesse decidere di avvicinarsi a sufficienza per origliare i rimproveri di Ryoma un assordante suono di passi tutt’altro che felpati la distrasse, attirando la sua attenzione appena in tempo per permetterle di distinguere la figura di Takumi in fondo al corridoio.

...avrebbe davvero dovuto cercare Saizo.

Takumi camminava con il suo stesso passo rumoroso ed arrabbiato: non sembrava conscio della presenza di qualcun altro e borbottava fra sé e sé qualcosa di incomprensibile, lo sguardo rivolto verso il basso e i pugni stretti sulla stoffa della sua mantella; se fosse stata più intelligente, più furba, Zoe si sarebbe ritirata nelle ombre, lasciando che lui la superasse senza accorgersi di lei e rimandando qualunque discussione ad un altro momento, ma…

Ma, impressi a fuoco nella sua mente, c’erano ancora gli occhi colmi di paura di Ileana.

Uno strano gorgoglio le vibrò in gola, ma soltanto quando si accorse di aver scoperto i denti e di aver appiattito le orecchie fra i capelli comprese di essere sul punto di mettersi a ringhiare.

Che cosa accidenti stava facendo!?

D’accordo, era sempre stata piuttosto selvatica, ma ringhiare non era una reazione un po’ eccessiva?

Deglutì, tentando di calmare quell’improvviso bisogno di esternare tutta la propria frustrazione in quel modo tanto animalesco: lei era una persona e come tale doveva e voleva comportarsi, maledizione, non era una bestia selvaggia!

-Zoe…?-

Quasi poté udire il suono della sua fragile pazienza che andava in mille pezzi.

-Tu.- soffiò, e per un istante quel ruggito fu quasi sul punto di prendere il sopravvento su di lei, offuscandole la vista per un lunghissimo attimo prima che riuscisse a riscuotersi quel tanto che bastava per mettere a fuoco l’espressione frustrata di Takumi.

Takumi sbuffò, ignaro della battaglia che aveva imperversato dentro di lei nel tempo di un respiro, alzando gli occhi al cielo e fermandosi a pochi passi da lei.

-Senti, non ho proprio voglia di litigare anche con te, quindi__-

Zoe digrignò i denti, esasperata.

-Il tuo “quindi” puoi anche infilartelo su per il culo.- grugnì, infilandosi bruscamente le mani nelle tasche dei pantaloni per resistere alla tentazione di prenderlo a pugni, ignorando la smorfia oltraggiata che lampeggiò sul volto di lui in risposta al suo linguaggio piuttosto colorito. -Dimmi che sei impazzito. Dimmi che hai preso una botta in testa e ti sei dimenticato di essere una persona decente.- continuò, e parte di lei avrebbe disperatamente voluto sentire quelle parole, sentirsi dire che sì, aveva perso la testa, che era mortificato per quello che aveva fatto e che avrebbe passato la vita a cercare di farsi perdonare… ma, ovviamente, le sue ultime speranze si frantumarono quando, nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, nei suoi familiari occhi dorati Zoe non scorse nemmeno una briciola di pentimento.

-Ho fatto quello che dovevo fare.- affermò, seccato, scoccandole un’occhiata talmente piena di sdegno e di disgusto da farla quasi sentire sporca.

Un versaccio molto simile a quel ringhio che aveva trattenuto le risalì in gola, e prima di accorgersi di essersi mossa si ritrovò ad un soffio da quel viso che le sembrava irriconoscibile, che non aveva niente di quello del ragazzo che adorava, a fissare quelle iridi colme di compatimento.

-Quello che dovevi fare era comportarti come un essere umano, e non come un mostro!-

Stava strillando, stava strillando come un’isterica e non poteva farci niente: voleva soltanto che Takumi tornasse in sé, che capisse che razza di orribile, orrenda bestia era stato con Ileana, che comprendesse l’orrore delle proprie azioni…

Dei, faceva così male guardarlo e non riuscire a riconoscerlo.

Takumi si strinse nelle spalle, facendo un passo indietro e serrando le labbra, indispettito.

-Quella cagna non si meritava altro che__-

Oh, quello era davvero troppo.

-BASTA!-

Con uno scatto fulmineo, più rapida di quanto avesse potuto pensare di essere, Zoe sentì il proprio braccio muoversi quasi di propria volontà: percepì i muscoli tendersi, la spalla piegarsi, le dita stringersi – e, un istante più tardi, vide il proprio pugno abbattersi con violenza sulla faccia di Takumi.

Crack!

-EHI!- strillò lui, sconvolto, quando Zoe balzò indietro per evitare gli schizzi di sangue e per recuperare l’equilibrio che quello slancio repentino le aveva quasi fatto perdere. -Mi hai dato un pugno!- esclamò, incredulo, ma lei si limitò a sbuffare, furente.

-Ne vuoi un altro? Sono abbastanza nervosa da andare avanti tutto il giorno!- lo invitò, massaggiandosi il pugno e osservando con amara soddisfazione il sangue di Takumi che le aveva macchiato le nocche.

Gli aveva dato un pugno. Gli aveva davvero dato un pugno!

Prima che lui potesse rispondere – o che lei potesse fermarsi a pensare a quello che aveva appena fatto – gli si accostò di nuovo, raddrizzando le spalle per ergersi in tutta la sua altezza e fermandosi soltanto quando lo sguardo confuso e allarmato di Takumi fu tutto ciò che poté vedere.

-Si meritava di essere insultata, quindi?- ringhiò, calcando sulla stessa parola che lui aveva usato poco prima, udendo nelle proprie parole lo stesso veleno che aveva venato i disperati tentativi di Ileana di proteggersi da lui.

-Di essere minacciata?-

Ed erano state minacce imperdonabili, minacce che avrebbero lasciato il loro segno, che non sarebbero mai svanite del tutto.

-Di essere ridotta in quello stato?-

L’aveva ridotta alla fame, alla sete, a non saper più distinguere la realtà dalle allucinazioni – quale razza di persona poteva fare una cosa del genere ad un’innocente?

-Se lo meritava davvero?-

Nessuno, nessuno se lo sarebbe meritato – a parte quei mostri di cui Saizo le aveva parlato e che le aveva mostrato anni prima, gli schiavisti, i pervertiti disgustosi che rapivano i bambini, ma… quelle in fondo non erano persone, no?

“Sei troppo buona per questo mondo.”

Quelle parole distanti, che appartenevano ad un passato recente eppure ormai tanto lontano da essere inafferrabile, la fecero trasalire.

Era stato Ryoma, mesi addietro, ad affermare quella realtà in risposta ad un’obiezione che Zoe aveva fatto quando, ficcanasando come aveva fatto sin da bambina nel lavoro dell’Alto Principe, aveva chiesto spiegazioni su un trattato con il vicino principato di Mokushu che Ryoma le aveva permesso di leggere.

Lui le aveva spiegato pazientemente le motivazioni dietro alle richieste piuttosto rigorose che Zoe aveva scorto e, sebbene la logica di quelle scelte fosse chiara e lei non avesse avuto alcuna difficoltà a comprenderla, si era comunque sentita a disagio, i pensieri che correvano a quanto sarebbero costati quei trattati alla gente comune nonostante si fosse trattato di misure che avrebbero assicurato molta più stabilità ad entrambi i regni.

Sì, lei era probabilmente troppo buona, e non avrebbe mai imparato ad accettare i costi che derivavano dalla politica, dalla guerra, dai dissapori fra i regni, ma… non era così certa di voler cambiare.

Non se significava diventare come Takumi.

Il versaccio del principe la riportò alla realtà, davanti a quel ragazzo che l’aveva sempre spinta a coltivare quel suo bisogno di vedere sempre il meglio delle persone ma che, adesso, aveva voltato le spalle a tutto ciò che di giusto e di buono lei aveva sempre scorto in lui.

Dei, dov’era andato a finire il Takumi a cui lei voleva così tanto bene?

-È incredibile. Hai già voltato le spalle a chi ti ha sempre voluto bene, ora che c’è lei.-

Takumi sputò quelle parole con rabbia, con odio, allontanandosi da lei e distogliendo lo sguardo non appena ne fu in grado, sfregandosi la manica della divisa da Cecchino sul volto per cancellare le tracce di sangue dal naso rosso e gonfio. -Da te mi aspettavo di più.- mormorò, ma Zoe non si lasciò fermare da quel subdolo tentativo di ferirla: incrociò le braccia e alzò la testa, nonostante affrontare proprio lui si stesse rivelando più doloroso di quanto avesse potuto immaginare.

-Potrei dire lo stesso di te.- ribatté, e gli dei soli sapevano quanto fosse vero, quando le facesse male vedere che razza di persona orribile si era nascosta per anni dietro Takumi, quanto fosse orribile rendersi conto di non aver saputo vedere niente di tutto quello fino a che non era stato troppo tardi.

Ryoma aveva avuto ragione, in fondo. Quel suo animo gentile, alla fine, l’aveva resa cieca.

-Mi fai schifo.- mormorò, e furono le parole più sofferte che avesse mai detto in tutta la sua vita, in cui lei stessa percepì echeggiare il suono del suo cuore che si spezzava – ma non importava, poteva sopportarlo, avrebbe potuto sopportare qualunque cosa se affrontare quel rancore avesse significato farlo ragionare e riportarlo alla ragione…

Ma Takumi sorrise.

Sorrise con quel sorriso cattivo e pieno di veleno che lei lo aveva visto rivolgere ad Ileana, con gli occhi colmi della stessa aggressività che aveva rivolto a Zoe quando lo aveva fermato, e Zoe avrebbe disperatamente voluto scappare via, lontano da quella persona che, soltanto guardandola in quel modo tanto orribile, la pugnalava dritto in mezzo al petto.

Eppure non poteva. Non poteva, non si sarebbe mossa, non si sarebbe arresa, non avrebbe rinunciato a lui.

-Sai una cosa? Perché ora che hai una protetta non cominci a comportarti come una serva e taci, finalmente?-

Però scappare le avrebbe risparmiato almeno quello.

Forse Takumi la vide impallidire, forse vide qualcosa sbriciolarsi nei suoi occhi e la sua espressione farsi di pietra. Fece immediatamente un passo indietro, coprendosi la bocca con una mano come se non credesse a ciò che aveva appena detto, ma Zoe non riuscì a scorgere il colore scivolare via dal suo volto, le sue iridi dorate allargarsi.

-Oh, maledizione…- mormorò, e se Zoe fosse stata in grado di sentirlo avrebbe udito la sua voce, la voce che lei conosceva, piena di rimorso e di dispiacere – se avesse potuto vederlo, oltre quella cappa buia e impenetrabile che era calata sui suoi occhi nel momento stesso in cui il principe aveva aperto bocca, avrebbe scorto di nuovo il suo sguardo gentile, quello che aveva cercato fino a quel momento.

Ma lei non era lì, adesso.

I suoi pensieri erano tornati indietro, da quei due bambini che tante volte si erano addormentati l’uno sulla spalla dell’altra. Si erano rifugiati nel ricordo di quei ragazzini turbolenti che si allenavano con le spade di legno, e si erano nascosti nell’abbraccio di quei giovani che si erano confidati così spesso i reciproci timori nei confronti di futuro scabroso e pieno di incertezze.

Avrebbe voluto dire a quella ragazza, a quella bambina, di scappare. Avrebbe voluto prenderla fra le braccia e stringerla forte, proteggerla dal dolore che sarebbe infine giunto a colpirla per mano del ragazzino dai capelli d’argento che le aveva promesso di volerle bene per sempre.

Una serva.

Quindi era questo che pensava davvero di lei.

Strinse i denti con così tanta forza da sentirli stridere, da provare un dolore pungente quando si accorse di essersi morsa l’interno della bocca fino a farlo sanguinare un’altra volta: il gusto del sangue le riempì la bocca e per un istante ci fu soltanto quello, nella sua testa, quel sapore metallico che la distrasse a sufficienza per permetterle di tornare in sé appena in tempo per ricacciare indietro le lacrime che avevano già cominciato a bruciarle gli occhi.

-Zoe, io non…-

No.

Non poteva pensarci adesso. Non poteva crollare adesso. Non poteva lasciare che vedesse quanto male le aveva appena fatto… e quanto male aveva fatto alle due guardie reali che erano appena apparse in fondo allo stesso corridoio da cui era venuto lui, con il peggior tempismo che Zoe avrebbe mai potuto immaginare.

Hinata aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca, sconvolto, mentre Oboro, al suo fianco, era impallidita in un istante: l’insulto pesante e orrendo che Takumi aveva appena rivolto a Zoe non riguardava soltanto lei, ma comprendeva tutti coloro che avevano fatto del ruolo di guardia reale e del proprio signore gli scopi della propria esistenza.

Loro non erano servi.

Essere una guardia reale non significava essere servi: era un onore, un titolo da portare con orgoglio, una missione – e, per gli dei, non gli avrebbe permesso di infangare oltre quel ruolo tanto onorato, né di offendere oltre le due persone che, per lui, avrebbero dato la vita senza esitare.

-Complimenti.- balbettò, incespicando per un istante prima di aggrapparsi disperatamente allo sguardo ferito di Hinata, alla sua presenza, alla speranza di poter andare da lui e abbracciarlo e di poter lenire almeno un poco il dolore che Takumi gli aveva appena inferto. -Hai appena ferito le uniche persone al mondo che hanno la forza di sopportarti.- sottolineò, sforzandosi di infondere una sicurezza che non aveva nella propria voce, sforzandosi di spingere da parte tutto ciò che non fosse lo sguardo spezzato del suo amico.

Lei avrebbe potuto gestirlo, avrebbe potuto affrontarlo, ma né Hinata né Oboro meritavano un’offesa del genere.

E per loro – per Hinata – non avrebbe pianto.

Rimase sorpresa quando un sorriso feroce si stirò sulle sue labbra: non pensava davvero di essere in grado di farlo, ma approfittò di quel momentaneo lampo di coraggio e si avvicinò a Takumi, puntando un dito contro il suo petto con una veemenza tale da farlo sobbalzare.

-Sai, hai ragione. Penso che appena Ileana si sveglierà le chiederò di accettare il mio giuramento, e spero davvero che il suo primo ordine sia quello di prenderti a calci.- gli annunciò, a voce abbastanza alta perché Hinata e Oboro la sentissero, e scattò indietro nel momento stesso in cui Takumi provò ad allungare una mano per trattenerla.

-Zoe…- cominciò, ma quando Zoe percepì il tocco leggero delle sue dita sul dorso della mano quel ruggito animalesco tornò in suo soccorso, strepitando dentro di lei con una furia tale da renderle impossibile trattenersi.

-Non toccarmi! Non osare toccarmi!- abbaiò, stringendosi al petto il braccio e rivolgendogli la più infuocata delle occhiatacce.

Lo aggirò, trattenendosi dallo spintonarlo perché il disgusto che provava all’idea di sfiorarlo surclassava persino il desiderio di picchiarlo, e distolse lo sguardo, rivolgendo la sua attenzione ad Hinata e ad Oboro.

Doveva andarsene via, il più lontano possibile da lui.

-Voi due!- scattò, marciando verso di loro e afferrandoli entrambi per un braccio. -Visto che ci tiene tanto ad essere lasciato solo, lasciamolo solo!- sbottò, spingendo invece loro per costringerli a voltarsi e a precederla lungo il corridoio, in direzione opposta rispetto a dove Takumi, silenzioso ed immobile, era rimasto.

Hinata ed Oboro non si opposero, lasciando che lei li guidasse lontano da lì, lontano dal loro principe, lontano da quelle parole che ancora appesantivano l’aria, che rendevano così difficile respirare… e soltanto quando riuscì a trovare una maledetta finestra Zoe si fermò, superando i due amici per correre a spalancarla, lasciando che i raggi freddi di quel Sole invernale rischiarassero il corridoio altrimenti buio e opprimente.

Soltanto in quel momento, finalmente, poté respirare, riempiendosi la testa dell’odore familiare di quell’aria gelida che sapeva di casa.

Casa…

Avrebbe tanto voluto essere a casa, in quel momento. Avrebbe tanto voluto sentire le braccia di sua madre stringerla forte e scacciare via l’orribile sensazione di qualcosa che, dentro di lei, andava in cenere…

Chiuse gli occhi, costringendosi ad ignorare quelle urla disperate che echeggiavano nel suo petto: non era il momento, adesso, di lasciare che imperversassero liberamente anche fuori dalla gabbia della sua mente – sapeva benissimo che avrebbe rivissuto quei momenti fino allo sfinimento, nel buio fitto della notte, prima di addormentarsi, ma ora no, ora doveva fare quello che le riusciva meglio… ora c’era qualcuno che aveva bisogno di lei.

Fu uno sforzo assurdo riuscire a voltarsi, a ricomporre un’espressione composta sul suo volto, a sopportare lo sguardo sconsolato di Hinata senza andare in pezzi un’altra volta: non era abituata a vederlo in quello stato, ed era così maledettamente sbagliato che, in fondo allo stomaco, sentì l’ormai familiare groviglio di rabbia e frustrazione ringhiare sommessamente.

-Mi dispiace che abbiate sentito quel che ha detto.- si scusò, chinando la testa e abbassando le orecchie, mortificata. -Non parlava di voi.-

No, non si era riferito a loro.

Strinse i denti, costringendosi a respirare, a mantenere un’espressione quanto più possibile neutra; tuttavia, facendola sobbalzare, Oboro emise un versaccio, alzando gli occhi al cielo.

-Avrebbe potuto risparmiarselo comunque.- commentò, aspramente, la Maestra di Lancia, rivolgendole una smorfia ironica quando Zoe sgranò gli occhi.

-Oboro!- esclamò, infatti, esterrefatta: conosceva Oboro ormai da diversi anni e mai, mai una volta l’aveva sentita dire anche soltanto una parola di biasimo nei confronti di Takumi! -Hai detto qualcosa di vagamente negativo su di lui!-

Oboro incrociò le braccia, sbuffando e scoccandole un’occhiataccia. -Molto divertente.- la rimbeccò. -Non sono cieca, sai?-

Nonostante non provasse il minimo desiderio di sorridere, Zoe si sforzò comunque di stirare le labbra, di ricomporre il proprio viso in una smorfia che sperava potesse passare per ilare: le parole di Oboro, devota com’era a Takumi, valevano molto più di quanto tutt’e due avrebbero mai voluto comprendere… -Nutrivo qualche dubbio, perdona la mia malafede.- mormorò, una goccia d’ironia a colorarle la voce, prima di spostare la propria attenzione su Hinata. -Cosa voleva Ryoma da voi?-domandò, rammentando gli ordini di Ryoma di poco prima.

Hinata distolse lo sguardo.

-Rimproverarci per non aver impedito a Takumi di fare quello che ha fatto.- rispose, in un tono di voce talmente piatto ed avvilito da farle sgranare gli occhi – cos’aveva fatto Ryoma!?

-Ma non è colpa vostra se è un cretino.- sbottò, sbuffando quando Oboro emise un tenue, flebile verso di disapprovazione. -Sì, Oboro, è un cretino!- ripeté, scoccando alla Maestra di Lancia un’occhiata più esasperata che arrabbiata – era ammirevole, in fondo, la sua lealtà nei confronti di Takumi…

Non che lui se la meritasse.

Scosse la testa, scacciando quel pensiero e aprendo la bocca per rincarare la dose di insulti; tuttavia, con un gesto repentino ed insolitamente brusco, Hinata si avvicinò e la trasse a sé, zittendola, aggrappandosi a lei con forza quando Zoe sospirò e lo strinse fra le braccia, lasciando che lui si rifugiasse nell’incavo della sua spalla.

-Mi dispiace.- le sussurrò, ma Zoe scosse la testa, accarezzando gentilmente quei folti capelli bruni che non stavano mai al loro posto.

-Come ho detto, non è colpa vostra se è un cretino.- mugugnò, strappandogli qualcosa di molto simile ad una mezza risata mentre Oboro alzava gli occhi al cielo, esasperata.

-Invece ha ragione il tuo principe.- Hinata la strinse un po’ più forte, nascondendosi nell’incavo della sua gola pallida. -Dovevamo fermarlo – io dovevo fermarlo.-

Zoe, però, scosse la testa, tirandogli gentilmente un orecchio per rimproverarlo. -Non te l’avrebbe permesso.- replicò, percependo il suo stomaco contrarsi in un modo decisamente sgradevole quando, nella sua mente, il pensiero di cosa sarebbe potuto succedere ai suoi amici se si fossero intromessi fra Takumi e Ileana lampeggiò in uno sgradevole arcobaleno scarlatto.

-Avrebbe reagito anche peggio di…-

…di come aveva reagito con lei.

L’aveva insultata, l’aveva costretta ad aggredirlo per ben due volte, l’aveva umiliata di fronte ai suoi amici e l’aveva spinta ad offendere con il proprio comportamento i suoi tutori, le sue madri, Ryoma e persino la regina – e le aveva spezzato il cuore. Dei, le davvero aveva spezzato il cuore.

Sbuffò, chiudendo gli occhi ed inspirando l’odore familiare e gradevole di cui i capelli di Hinata erano intrisi, cercandovi disperatamente quell’ancora di calma e di serenità che tante volte era riuscita a calmarlo.

-Insomma, non sarebbe stato bello.-

Tacquero tutti e tre, ed un silenzio carico di parole non dette sembrò calare, per qualche istante, su di loro; fu Oboro, dopo una manciata di minuti, a spezzarlo, rivolgendosi di nuovo a Zoe.

-Come sta la principessa?- domandò, scostandosi nervosamente la frangia blu scuro quando Zoe, a dir poco sorpresa dal suo interessamento, la guardò con aria stupefatta. -Senti, non guardarmi così, non sono un mostro! Avrei fatto qualcosa se avessi saputo di quelle minacce!-

Hinata, nel buio del suo collo, sbuffò, distraendo Zoe un attimo prima che le sfuggisse una rispostaccia astiosa.

Oboro non stava mentendo, questo Zoe lo sapeva molto bene – ma sapeva anche che la sarta dai capelli blu non era intervenuta in tutte le altre occasioni, che non aveva provato il minimo rimorso quando Takumi aveva cominciato a comportarsi in quel modo disgustoso con Ileana, che probabilmente lei stessa aveva fomentato chissà quali scherni e cattiverie nei confronti della principessa prigioniera…

…ma non aveva la forza di litigare anche con Oboro, adesso.

-La principessa dorme.- sospirò, lasciando un’ultima carezza fra i capelli di Hinata prima di premere gentilmente una mano sulla sua spalla, invitandolo silenziosamente ad alzare la testa. -E io devo tornare da lei.- aggiunse, quando Hinata obbedì e alzò quei suoi begli occhi grigi per guardarla.

Annuì, il Maestro d’Armi, avvicinandosi ancora una volta per lasciarle un lieve, accennato bacio sullo zigomo, proprio sull’unica, vecchia cicatrice che si era ostinatamente rifiutata di sparire come tutte le altre.

-Passa da me, più tardi.- le sussurrò all’orecchio, arruffandole affettuosamente la frangia, e lei annuì: Hinata era uno dei suoi più cari amici e, probabilmente una delle persone che la conoscevano meglio in tutta Hoshido; a tutti e due avrebbe fatto bene trascorrere un po’ di tempo lontani da quel disastro che era venuto a crearsi fra principi, regine e principesse, e la prospettiva di trascorrere un po’ di tempo assieme a lui bastò a trasmetterle quel calore che, al momento, sapeva di non possedere.

Oboro emise un versaccio, probabilmente al limite della sopportazione – e, ad essere franchi, aveva resistito anche più del solito.

-Oh, per favore, baciatevi e basta, siete ridicoli!- esclamò, irritata, scoccando ad entrambi un’occhiataccia profondamente offesa.

-Oboro!- sbottò lui, arrossendo furiosamente e sciogliendosi dall’abbraccio di Zoe per voltarsi verso la Maestra di Lancia. -Ti ho già detto di piantarla con questa storia!- la rimproverò, chiaramente imbarazzato dalle insinuazioni della collega, ma Zoe, nonostante la stanchezza, si ritrovò a sorridere.

C’era stato un tempo, anni prima, in cui baciare Hinata era stato facile, in cui Oboro avrebbe avuto ragione nel punzecchiarli in quel modo… ma di quei baci che sapevano d’estate non esisteva altro che il ricordo, ormai, e del batticuore che li aveva spinti l’uno fra le braccia dell’altra non era rimasta altro che un’impronta impalpabile sulla pelle, l’ombra di due ragazzi che avevano cercato conforto in un’amicizia che, per fortuna, era uscita da quella storia forse anche più salda di prima.

-La pianterei se voi due non foste così disgustosamente carini!- Oboro, imperterrita, continuò ad infierire, ma Zoe si disse che, tutto sommato, Hinata avrebbe potuto occuparsene da solo – come aveva fatto in tutte le altre occasioni in cui Oboro li aveva presi in giro per quella sorta di relazione ormai morta e sepolta, perché sapeva che, se avesse lasciato parlare Zoe, lei e Oboro si sarebbero probabilmente prese a pugni.

Si ritirò fra le ombre della fortezza, silenziosa come soltanto un ninja poteva essere, celandosi alla vista dei suoi amici e sforzandosi di non scoppiare a ridere nel sentire Hinata balbettare non meglio identificate giustificazioni in risposta alle insinuazioni di Oboro.

Si voltò, sparendo con un guizzo nella soffocante penombra di quei corridoi asfittici, lasciandosi alle spalle ciò che era successo con Takumi perché, adesso, c’era qualcosa di ben più importante da fare.

C’era qualcuno che aveva bisogno di lei.

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Author's Space:

con un po' di (solito) ritardo eccomi ad aggiornare!

Le cose si stanno complicando un po' per tutti, vero? Zoe e Takumi si sono azzuffati, Ileana è sconvolta, la Regina ha il cuore a pezzi e le scelte che sono state fatte con Ileana in questo momento di sicuro avranno non poche ripercussioni su tutta la situazione, su di lei, su Zoe e su tutti quanti. Le bugie hanno vita corta, insomma!

Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto :)

Un abbraccio,

Clarisse&B

   
 
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