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Autore: Erikarry    24/07/2017    1 recensioni
Un carrello degli orrori in una miniera abbandonata. Ma è solo un incubo?
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Miniera html

La miniera

 

 

 

 

 

 

Mi sveglio raggomitolata su qualcosa di duro e metallico. Sbatto un paio di volte le palpebre per cercare di mettere a fuoco l’ambiente umido e freddo. Mi rendo conto di avere una sorta di parete a un paio di centimetri dal naso e scatto istintivamente indietro, andando a cozzare con la schiena sull’ennesima superficie metallica.

Mi rigiro e in qualche modo mi trovo supina. La vista è ancora leggermente appannata, ma sopra di me vedo quattro pareti di acciaio arrugginito che si stagliano verso un… è un soffitto? Strizzo gli occhi e capisco che si tratta proprio di un soffitto, e di pietra.

Mi aggrappo agli spigoli di quella specie di scatola. Mi fa male tutto quando mi muovo, ma riesco a issarmi in piedi. Mentre lo faccio il pavimento si muove leggermente. Mi sporgo e mi rendo conto di trovarmi in una sorta di carretto.

Mi volto a destra e nella penombra intravedo delle rotaie che si perdono nell’ombra, e il soffitto che si piega in una sorta di tunnel.

Sono in una miniera, in uno di quei carrelli che si vedono nei film western, senza avere la minima idea di come ci sia arrivata.

Il carretto scatta in avanti. Con un gridolino cado sul fondo mentre la corsa comincia.

Mi aggrappo ancora agli spigoli e mi tiro su. Guardo indietro, ma non riesco a capire che cosa mi stia spingendo. E non vedo fiaccole o altro da cui possa provenire questa poca luce.

Le rotaie si inclinano gradualmente e la velocità aumenta.

Sento uno strano crepitio. Mi sforzo al massimo ma non vedo cosa lo provoca. Il crepitio aumenta e un brivido comincia a salirmi lungo la schiena, avvolgendosi intorno la prima vertebra (Atlante, inspiegabilmente ricordo, La prima vertebra si chiama Atlante), arrampicandosi lungo il midollo spinale e passando dal foro occipitale avvinghiandosi intorno al cervello, ghiacciandomi i neuroni e impedendomi di pensare.

Perché ora li vedo.

Un fiume di ragni che zampettano nella mia direzione.

Urlo, un urlo acuto che mi spacca i timpani.

I ragni sono più veloci del carretto, hanno le dimensioni di un cane di piccola taglia e si azzuffano l’un l’altro per cercare di raggiungermi, spintonandosi e infilzandosi con le zampe dalle punte acuminate, facendo schizzare liquido nero ovunque.

Riesco a sentire la loro famelica voglia di raggiungermi, per farmi cosa non lo voglio sapere, ma lo vogliono, di quella voglia che infiamma, che brucia, che ti distrugge e che non si spegne mai del tutto neanche ad obiettivo raggiunto.

Sento i loro cheliceri che schioccano e ogni tac mi sembra un secondo in meno che ho da vivere

miprendonomiprendonoommioddiomiprendonomiprendonomiprendono

il primo ragno raggiunge la coda del carretto. Premo la schiena contro il bordo opposto e

nonononononononono

sento le zampe graffiare la parete di fronte a me e

andateviaandateviaandateviaandatevia

i graffi sono sempre più frequenti

lasciatemistarelasciatemistare

mi rannicchio sul fondo del carretto

perchéameperchéameperchéameperchéame

il primo insetto fa capolino oltre il bordo

hopaurahopaurahopaura

e il carrello precipita verso il basso. I ragni vengono sbalzati indietro, lontano da me, ma non provo alcun sollievo.

Premo le mani sul fondo del carretto, e l’impatto arriva. Sento la colonna vertebrale uscirmi attraverso il cranio. Il mio mezzo di trasporto traballa pericolosamente, poi si stabilizza e continua la sua folle corsa.

Finalmente mi esce un grido strozzato, che però si trasforma in un singhiozzo. Piango mentre

cosastasuccedendo

sento delle voci rimbombare lungo la galleria

nonvogliovederenonvogliovedere

che si avvicinano sempre di più

nononononononono

voci non umane

devovederenoperchéperchéperché

Respiro cercando di calmarmi. Tentativo inutile, ovviamente. Guardo impotente le mie dita che mi trascinano oltre il bordo del carrello e una mano cerca di afferrarmi per i capelli. Mi abbasso appena in tempo. Sbircio oltre la parete di acciaio e vedo delle persone con la metà inferiore del corpo fusa nella roccia che si allungano per cercare di ghermirmi, urlando qualcosa.

Una ci riesce, afferrandomi la spalla da dietro. Gridando mi giro tenendo istintivamente il gomito alzato e colpisco il volto di… di un bambino.

Gli saltano alcuni denti, ma non mi molla

cosavuoidamecosavuoidamecosavuoidame

il carrello non si ferma e mi strappa via da lui. Sbatto contro la parete opposta e vengo quasi sbalzata fuori. Il ragazzino non allenta la presa e mi strappa brandelli di carne e vestiti dalla spalla.

Mi raggomitolo sul fondo del carretto cercando di rimpicciolirmi e di riprendere il fiato che l’impatto mi ha rubato dai polmoni. Le costole mi fanno male ad ogni respiro, la spalla brucia mentre il sangue mi cola caldo lungo il braccio.

Sento gli occhi del ragazzino fissi su di me. Occhi crudeli, di una crudeltà sottile, fine a se stessa. Li sento che mi fissano, che vogliono quello che non sono riusciti a prendere.

Qualcosa dà uno spintone al carrello. Strillo.

Quei… quelle cose continuano a spintonare il carrello e io

voglionomevoglionomevoglionome

mi rannicchio ancora di più

cheglihofattocheglihofattocheglihofatto

e mi tappo le orecchie

viaviaviaviavia

cercando di convincermi che mi sto immaginando tutto

ètuttoveroètuttoveroètuttovero

e che andrà tutto bene.

Tremo, e la spalla mi fa un male da morire.

Poi sento qualcuno che urla. Alzo gli occhi e vedo uno di quelli. Emerge dal soffitto, e si è aggrappato al carrello con forza. Urlo con quanto fiato ho in gola ma prima che possa fare qualsiasi altra cosa la velocità del mezzo lo strappa dal soffitto. Mi crolla addosso, il corpo tranciato a metà e le viscere che sporgono da quello che rimane dell’addome, viscide e insanguinate.

Urlo ancora, e ancora, e ancora, e lo scalcio via. Si schianta contro uno spuntone che emerge dal tunnel schizzandomi di sangue e di qualcos’altro che non so – e non ho intenzione di sapere – cosa sia.

Fisso la parete di fronte a me continuando a gridare, le mani ancora premute sulle orecchie. Sento ogni secondo che passa diventare tutto più reale, il che va contro ogni logica.

Una faccia, bianca ed eterea, mi spunta davanti. Urlo per la centesima volta, poi la faccia mi attraversa, portandosi dietro le mie energie. La testa mi gira. Una mano

fantasmaèunamanofantasma

oltrepassa la parete metallica di fronte a me. Mi appiattisco contro la parete opposta

miprendemiprendemiprende

e fisso terrorizzata le dita che cercano di agguantarmi. Altre mani spuntano intorno alla prima

machidiavolosietechevoletechevihofatto

mani di donna, di uomini, di bambini

oddiooddiooddiooddio

ma nessuna è abbastanza lunga da afferrarmi. Qualcuna comincia a ritrarsi

cel’hofattasenevannosenevannosenevanno

e la speranza comincia a nascere in fondo al mio cuore. In qualche modo so che è finita

cel’hofattacel’hofattacel’hofatta

quando sento improvvisamente freddo. Abbasso lo sguardo e vedo una di quelle mani ectoplasmatiche che mi spunta dallo stomaco.

I miei pensieri sono congelati. Vedo quella mano, ma è come se stesse accadendo a qualcun altro, come se stessi guardando un film.

La mano si ritrae di scatto, portandosi via le mie ultime forze. Vedo il sangue uscirmi a fiotti dal petto e sento il dolore che mi annulla. Tutto si fa nero.

 

 

 

Apro gli occhi urlando

èstatounsognounsognoèstatosolounbruttosogno

e mi rannicchio sul mio letto piangendo, aspettando che qualcuno mi senta e venga a consolarmi, a dirmi che va tutto bene, che è stato solo un incubo.

Ma non viene nessuno.

Mi asciugo gli occhi mentre vado verso la porta della mia stanza. La apro

nononononotipregobasta

e vedo che fuori non c’è il solito corridoio, ma una miniera. Sento un ticchettio. Strizzo gli occhi e in lontananza li vedo brulicare

iragniancoraloroiragniancoralorono

ancora più famelici di prima. Chiudo di scatto la porta e blocco la maniglia con una sedia. Sento voci che urlano tutto intorno alla mia stanza, e pugni e calci contro le pareti e il soffitto. Poi una mano sbuca da una parete. La mano viene seguita dal corpo di una ragazza… una ragazza in tutto e per tutto uguale a me.

Grido. Poi la mano mi colpisce in mezzo agli occhi.

   
 
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