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Autore: Angie Mars Halen    24/07/2017    0 recensioni
Dopo anni trascorsi senza mai vedersi, Nikki e un’amica di vecchia data, Sydney, si rincontrano durante il periodo più difficile e turbolento per i Mötley Crüe. Questa amicizia ritrovata, però, non è sconvolgente quanto la scoperta che la ragazza vive da sola con suo figlio Francis, la cui storia risveglia in Nikki ricordi tutt’altro che piacevoli. In seguito a ciò il bassista comincia ad avvertire un legame tra loro che desidera scoprire e rinforzare in nome della sua infanzia vissuta fra spostamenti e affetti instabili. Si ritrova così a riscoprire sentimenti che aveva sempre sottovalutato e che ora vorrebbe conquistare, ma la sua peggiore abitudine è sempre pronta a trascinarlo nel buio più totale e a rendere vani i suoi sforzi.
[1987]
[Pubblicazione momentaneamente sospesa]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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24
SYDNEY





Era già passata più di una settimana dall’ultima volta in cui avevo visto Nikki e non avevo ancora ricevuto né una visita né una telefonata da parte sua. Probabilmente era stato impegnato col disco che stavano terminando di incidere, ma ogni sera, quando andavo a dormire, mi ritrovavo stesa sul materasso a pensare a come se la stesse passando in quel momento. Mi domandavo se ogni tanto si ricordasse di me e si ponesse le stesse domande che io ponevo a me stessa nel buio della mia stanza. Probabilmente, mentre io dormivo, lui si trovava da qualche parte che non fosse casa sua, possibilmente in un locale di Hollywood, a bere con i suoi amici e a provarci con le cameriere. I nostri impegni non erano più compatibili come una volta e vivevamo in condizioni troppo diverse per poterci frequentare abitualmente come succedeva in precedenza, ma questo non significava che non ci ritenessimo più una normalissima coppia di amici – anzi, ero convinta che lo fossimo, altrimenti non mi sarei lasciata seguire fino in cima a un grattacielo per concedere a una persona di confessarmi uno dei fatti più dolorosi della sua vita. Tuttavia, nonostante non ci tenessimo più in contatto come prima, non mi dispiaceva la piega che avevano preso le cose. Considerando che trovare degli amici veri non è mai stato il mio forte a causa del mio temperamento apparentemente freddo e schivo, mi sembrava che Nikki avesse guardato oltre quella patina di ghiaccio che mi ricopriva e che non riuscivo a sciogliere, e che avesse trovato qualcosa di bello e piacevole.

Un giorno decisi di telefonargli, ma al quinto tentativo fallito rimandai la missione all’indomani: mentre Frankie sarebbe stato a scuola, sarei andata a cercarlo di persona perché, conoscendolo, avevo la sensazione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.

“Cosa fai oggi, mamma?” la voce di Francis mi riportò alla realtà e me lo ritrovai davanti, lo zaino in spalla e il cappellino dei Los Angeles Dodgers indossato al contrario. Si trattava di un regalo che John gli aveva portato l’ultimo Natale insieme a un canotto gonfiabile dotato di piccoli remi di legno.

“Credo che andrò a trovare Nikki,” risposi sovrappensiero mentre riordinavo velocemente la borsetta.

“Non vai a lavorare nel negozio di Katherine?” indagò il bambino con fare curioso.

Mi passai la borsa a tracolla e gli porsi la mano. “Oggi è giorno di chiusura.”

Frankie la prese ma non si mosse dal salotto come avrei voluto che facesse. “Perché non mi porti più con te quando vai da Nikki?”

Sospirai e cercai di trovare una spiegazione che fosse semplice sia da comprendere che da dire, maledicendomi mentalmente per avergli confessato i piani della mattinata. “Perché ultimamente è un po’ triste.”

“Come me quando cado e mi faccio male?”

“Sì, Francis,” dissi a bassa voce. “Solo che lui è più grande e più alto, quindi si è fatto più male. E se tu corri da me quando cadi, lui non può andare dalla sua mamma perché abita lontano e ha bisogno che ci vada qualcun altro.”

Feci una breve pausa durante la quale mio figlio annuì rassegnato, dopodiché gli aggiustai il cappellino sulla testa e lo esortai ad andare.

“Forza, José ci sta aspettando per andare a scuola.”

A missione compiuta, quando erano ormai le nove, riprovai a chiamare Nikki, ma non ottenni risposta dopo nessuno dei tre tentativi. Per un attimo pensai che fosse partito per lavoro e che non mi avesse detto nulla, ma dal momento che l’album non era ancora stato completato la mia ipotesi non poteva che essere sbagliata.

Passai un paio di minuti a tamburellare le dita sul tavolo sperando che ascoltasse il messaggio che gli avevo lasciato all’ultimo tentativo e che mi richiamasse, poi decisi che avrei tagliato la testa al toro e che mi sarei recata agli studi. Saltai in macchina e mi misi in viaggio nel traffico mattutino, disposta a trascorrere buona parte del tempo immobile sul sedile con la radio sintonizzata su una stazione a cui trasmettevano solo heavy metal britannico e in mezzo allo smog della freeway. Arrivai agli studi con la maglietta inzuppata di sudore, parcheggiai in una viuzza laterale esente dal parchimetro e salii direttamente al piano della sala della band, riservando alla centralinista un veloce “buongiorno” e ignorando le sue domande. Bussai alla porta dello studio finché qualcuno non aprì e mi ritrovai davanti Tommy. Mi fissava in modo strano: le folte sopracciglia inarcate, gli enormi occhi spalancati e la bocca semiaperta. Una spiacevole sensazione di imbarazzo mi travolse quando, un attimo dopo, mi resi conto che avevo bussato come se fosse successo il finimondo e che dovevo avere l’espressione di una che aveva appena assistito a un evento sovrannaturale.

“Ciao, Tommy,” mormorai sollevando la mano destra in segno di saluto. “Sto cercando Nikki. Sono giorni che non lo sento ed è da ieri che provo a chiamarlo ma non risponde. Per caso è qui?”

Il batterista rilassò il viso teso in una bizzarra espressione di stupore e sembrò diventare più basso di un metro: insaccò la testa nelle spalle, lasciò penzolare le braccia magre lungo i fianchi e si chinò leggermente sulle ginocchia. “Sono già alcuni giorni che non si presenta alle prove. Il disco è già stato finito e non ci resta che ultimare alcune cose cercando di limitare risse e battibecchi vari, ma lui preferisce lavorare da solo.”

“Non ha molto senso,” obiettai tra me. “Siete una band, dovete provare insieme, non ognuno a–”

“Infatti è proprio questo il problema,” mi interruppe Tommy, poi mi fece cenno di entrare in modo che potessimo parlare senza che tutto il palazzo ascoltasse le nostre voci che rimbombavano nelle scale. Non appena chiuse la porta, si passò le mani tra i capelli e si lasciò sfuggire uno sbuffo tutt’altro che rassicurante.

“Qualcosa non va?” azzardai. Tommy appoggiò una spalla al muro poi la staccò subito, nervoso.

“Io... io...” cominciò a balbettare mentre muoveva le mani in modo veloce e confuso. Gli occhi scuri nuovamente spalancati parlavano per lui ed esprimevano tutta la preoccupazione che una persona può provare per un amico. “Io non so cosa sai né quanto, quindi non so cosa posso dirti a parte che questo è un periodo per niente facile per Nikki così come per tutti noi.”

Mi accomodai sul divano e gli feci cenno di prendere posto accanto a me battendo leggermente il palmo della mano sulla finta pelle del sofà. “Se ti riferisci alle sue brutte abitudini, l’ultima volta che ci siamo incontrati mi ha raccontato qualcosa, poi non l’ho più visto né sentito.”

Tommy sospirò e si sedette, le mani che si attorcigliavano nel vano tentativo di sfogare la tensione. “Quello è proprio il motivo per cui non vuole venire qui. E se non si fa più vivo con te non è perché è uno stronzo o uno che ha voluto approfittarsene finché ne ha avuta la possibilità, ma perché ha la tendenza a farsi inutili viaggi mentali. Non so esattamente cosa gli passi per la testa, però so che nel novantacinque percento dei casi trae conclusioni infondate in base alle quali si comporta. Certe volte pensa che io preferisca mia moglie a lui e che sia stato suo amico finché mi sono sposato. Crede che da quel giorno abbia trovato qualcosa di meglio da fare e che non mi interessi più la nostra amicizia. Ti rendi conto?”

Aggrottai la fronte. Il cuore mi batteva all’impazzata, veloce come le parole del batterista. “Tutto questo è assurdo.”

“Certo che lo è!” esclamò Tommy, ora in piedi davanti a me.

Abbassai lo sguardo sulle mie mani sudate e, quando lo sollevai, lo fissai intensamente. “Posso sapere dove abita?”

“No,” rispose impulsivamente, poi si corresse. “Cioè, sì, te lo dico, però ti sconsiglio di andare a casa sua. Non è un bello spettacolo, potresti pentirtene.”

“Non importa, vorrei vederlo lo stesso,” risposi seria. “Voglio capire qualcosa. È già stato abbastanza strano rincontrarlo dopo sei anni e, come se non bastasse, l’ho trovato in pessime condizioni. Puoi darmi il suo indirizzo, per favore?”

Tommy sbuffò mentre prendeva la giacca di pelle dall’attaccapanni e si accese una sigaretta.

“Hai lasciato l’auto in un parcheggio a pagamento?” scossi la testa e lui annuì. “Bene. La tua macchina resterà qui a Hollywood per un po’. Ti ci porto io, a Van Nuys, così posso conoscere meglio la tipa di cui quell’idiota di Sixx parla sempre. L’hai fatto diventare peggio di una radio.”

La sua affermazione mi lasciò non poco stupita. Non mi aspettavo che Nikki gli parlasse spesso di me, ma in fondo mi faceva piacere.

Accettai l’invito di Tommy e approfittai di quella mezz’ora di viaggio per raccontargli quanto era necessario che sapesse sul mio conto. Il nostro dialogo si interruppe quando la sua auto si fermò vicino al marciapiede di una via larga e costeggiata da piante rigogliose a Sherman Oaks. Spense il motore e indicò un cancello alto e nero con un rapido cenno del mento. “È lì che abita.”

Deglutii a vuoto e mi soffermai sul giardino trascurato e infestato dalla vegetazione selvaggia. “Non mi sembra un posto felice.”

“Te l’avevo detto che non era Disneyland,” ribatté serio, poi si voltò verso di me. “Sei ancora sicura di voler entrare?”

Annuii e Tommy aprì la portiera dell’auto sospirando. Attraversò la strada con lunghe falcate e con me dietro che osservavo quella zona residenziale e verdeggiante di Van Nuys. Mi domandai se i rapporti con i suoi vicini di casa andassero bene dato che nessuno vorrebbe che il proprio giardino col prato all’inglese confini con una specie di giungla recintata da un muro alto due metri.

Accelerai il passo e seguii Tommy fin sotto la tettoia del cancelletto, poi ci appoggiammo al muro in attesa che qualcuno rispondesse dopo che il batterista ebbe suonato per ben tre volte, senza mai lamentarsene perché, come disse lui stesso, tanto faceva sempre così, quell’idiota di Sixx.

Tommy stava per fare il quarto tentativo quando la grata del citofono emise uno strano ronzio, subito seguito da un colpo di tosse e da una voce infastidita. “Chi cazzo è? Siete di nuovo quelli che vanno in giro a vendere enciclopedie? Sapete cosa ci faccio, io, coi vostri fottuti libri? Ve li infi–”

“Ehi, bro, calmati,” lo interruppe il batterista con tono autoritario, poi sembrò ammorbidirsi. “Sono Tommy e non sono da solo. Si può?”

La voce tornò a uscire dalla grata, gracchiante e tremolante. “Chi accidenti ti sei portato dietro? Non sarà mica quel rompicoglioni chiacchierone che suona nella band di Slash? Lo sai che a lui la mia roba non–”

“Chi, Steven? Ma figurati!” esclamò. “C’è Sydney. Te la ricordi, lei, vero?”

Tra la domanda e la risposta intercorse un lasso di tempo che parve infinito e durante il quale fissai Tommy con la speranza che la risposta non fosse negativa o che non dicesse cose spiacevoli nei miei confronti.

“Sì che me la ricordo. Sono fatto ma non rimbambito, almeno non ancora,” biascicò Nikki.

“Finirai per diventarlo quando ti sarai bruciato tutti i pochi neuroni che ti sono rimasti,” lo apostrofò l’amico, poi tornò a suonare il campanello. “Dài, bello, apri la porta. Syd sta aspettando.”

Nikki riagganciò la cornetta con poca delicatezza e un attimo dopo la serratura del cancelletto scattò. Attraversai il vialetto fatto da una doppia fila di mattonelle composte da una miriade di sassolini, tra i quali spuntavano foglie di tarassaco e ciuffi d’erba. Realizzai di aver corso solo quando mi fermai di scatto davanti alla porta, tenuta aperta da una mano pallida e tremante.

“Nikki?” chiamai, ora con una voce meno entusiasta.

“Perché sei qui?” domandò senza uscire dal suo nascondiglio.

“È tanto tempo che non ti sento. Ho provato a chiamarti ma non hai mai risposto né alle telefonate né al messaggio che ti ho lasciato sulla segreteria,” spiegai mentre esercitavo una lieve pressione contro la spessa porta di legno scuro nel tentativo di aprirla un po’ di più. “Mi sono preoccupata perché so che ultimamente non te la stai passando bene, allora ho chiesto a Tommy di darmi il tuo indirizzo. Volevo vederti.”

“Volevi... vedermi?” il bassista ripeté le mie parole come se avesse avuto bisogno di un’ulteriore conferma, e quando annuii la porta si aprì del tutto. Me lo ritrovai davanti tutto pallido e imbarazzato, con le occhiaie scure e profonde di chi non dorme un sonno tranquillo da troppo tempo, i capelli arruffati e resi stopposi dalla lacca che non lavava via da giorni. Tremolava sulla soglia con addosso una T-shirt strappata con un logo sbiadito dei Cheap Trick e un paio di pantaloni di flanella sgualciti che probabilmente appartenevano a un pigiama. Lasciò cadere un braccio lungo il corpo e appoggiò una spalla allo stipite per sostenersi.

“Di solito la gente mi evita, ma penso che tu abbia parlato sinceramente, anche se comunque cercherò di verificarlo. Sai, ultimamente ho la tendenza a non fidarmi troppo di nessuno,” rivolse un’occhiata a Tommy, il quale era rimasto in piedi dietro di me, zitto e immobile, poi tornò a posare lo sguardo su di me. “Vorrei invitarti a entrare, ma la casa è un disastro.”

“Chi se ne frega?” saltò su Tommy. “È sempre meglio parlare seduti al tavolo piuttosto che stare immobili sul patio, non credi?”

Nikki si strinse nelle spalle e sospirò sotto i nostri sguardi indagatori, poi si fece da parte per liberare l’ingresso. Ci invitò a entrare, raccomandandosi con me che, se avessi sentito il bisogno di fare dei commenti riguardo le condizioni del salotto, avrei dovuto tenerli per me dato che non aveva bisogno di sentirli. Varcai poi la soglia, ma Tommy disse che sarebbe rimasto fuori a fumare. Ci scambiammo un’occhiata di complicità: avevo inteso che l’unica ragione per cui aveva scelto di stare seduto su una panca di legno contro il muro era perché voleva che parlassimo senza lui tra i piedi.

Nikki lasciò la porta principale accostata, permettendo a un leggero alito di aria tiepida di riscaldare quell’immensa sala. Accese poi il lampadario, che probabilmente aveva acquistato in un negozio di antiquariato, e potei constatare che lo stato di quell’abitazione era anche più critico di quanto avessi immaginato. La polvere aveva reso opache le superfici di legno dei mobili costosi, c’erano bottiglie, riviste, fogli accartocciati e mozziconi di sigarette sparsi ovunque come se una grande mano li avesse lasciati cadere dal soffitto, e uno stomachevole odore di marcio aveva impestato l’aria viziata. Il bassista doveva essersi accorto dell’espressione disgustata che avevo vanamente tentato di nascondere perché scostò le tende pesanti e aprì una finestra, illuminando il salotto e lasciando che l’aria circolasse meglio.

Dopo che il mio sguardo ebbe vagato per tutto il pian terreno sempre più sconcertato, si posò su quello impaziente di Nikki. Scossi il capo un paio di volte perché avevo notato che, dietro di lui, appoggiato sul ripiano di una libreria, c’era un grosso gargoyle di pietra che protendeva la lunga lingua biforcuta verso di me.

“Cosa cazzo sta succedendo qui dentro?” domandai retorica: la risposta si trovava incrostata su un cucchiaio da minestra abbandonato vicino alla base della libreria.

“Lascia che ti spieghi,” mi pregò Nikki avanzando verso di me, il braccio teso che mi implorava di non scappare. “Ci sono ancora tante cose che non sai e che non so nemmeno se voglio dirti.”

“Come fai a vivere qui?” chiesi con la voce tremante più dal dispiacere che dalla soggezione provocata dalle statue gotiche che spuntavano da ogni angolo.

“Non lo so,” mormorò. Il braccio tornò a cadere lungo il suo fianco, come l’altro, poi tornò a sollevarlo, il palmo della mano rivolto verso l’alto.

Mi mossi in avanti di un solo, indeciso passo. “Di me puoi fidarti. Se c’è qualcosa che vuoi dirmi, puoi farlo.”

I suoi occhi verdi sembrarono accendersi e brillare.

“Posso davvero?” attese che annuissi prima di liberare il sorriso che aveva cercato di reprimere. “Allora sediamoci. È una storia lunga.”




N.D’.A.: Ciao a tutti!
Oggi ho il cervello fritto, per cui non mi dilungo troppo. Mi limito a ringraziare di cuore chi legge e chi segue la storia! :)
A presto,

Angie






   
 
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