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Autore: mamma Kellina    14/06/2009    2 recensioni
Dedicato a chi ama le storie un po' retrò, è un romanzo d'amore ambientato tra la Napoli e l'Inghilterra di fine ottocento. Chi vorrà leggerlo, farà un tuffo in un passato che ho cercato di ricostruire con accuratezza, ma nelle tormentate vicende di lord Christopher Riddell e della giovane Maria de Oliveira, benché condizionate dalla mentalità e dalle consuetudini dell'epoca, troverà sviscerati temi sempre attuali quali la difficoltà di esprimere i propri sentimenti o, più semplicemente, la paura d'amare. Non mancheranno i colpi di scena ed i momenti di intensa commozione in un racconto che spero potrà avvincere ed interessare i lettori.
Poiché sono una esordiente su questo sito, aspetterò con ansia e gratitudine i vostri pareri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Maria correva e correva in preda ad uno strano impulso. Una voce interiore, ultimo baluardo di una ragionevolezza che cercava di parlarle attraverso i nervi scossi, le diceva che quella corsa a perdifiato, nelle sue condizioni e nella notte buia e fredda, non poteva condurla da nessuna parte. Eppure correva, con il cuore che le batteva forte nel petto e le tempie che le pulsavano per l’agitazione. Non riusciva a ragionare ed un pensiero doloroso la sconvolgeva: forse le due megere avevano ragione e qualcosa della follia che aveva colto sua madre era passato per ereditarietà anche a lei. Non si spiegava altrimenti il misterioso motivo che la portava a fuggire da Norhal Castle come se solo lontano da quel luogo potesse oramai trovare la salvezza.

La notte era molto buia ed il terreno ancora gelato. Finché era stata nel parco, sui vialetti di ghiaia ben curati dai giardinieri che provvedevano sempre a spalare la neve, la sua fuga era stata agevole ma varcato il cancello, sulla stradina stretta e sterrata che portava al paese, oramai la stanchezza si faceva sentire e solo la forza dei nervi la spingeva a proseguire. A un tratto una radice sporgente la fece inciampare. Cercando istintivamente di non cadere sul ventre per non danneggiare il bambino, si buttò sulle ginocchia e sulle mani. Il dolore provato nell’urto la fece gridare forte ma la stradina era completamente deserta e non c’era nessuno a poterla soccorrere. Provò a rialzarsi ma le gambe e le mani  le facevano molto male ed inoltre il suo peso era ormai tale da non consentirle nessuna agilità. Allora si accasciò e, posato il capo sulle braccia, se ne stette a singhiozzare sommessamente. Tutte le sofferenze e le angosce patite le parvero crollarle addosso all’improvviso. L’unica cosa che avrebbe desiderato in quel momento sarebbe stata sciogliersi nel suo stesso pianto per farsi inghiottire dalla terra umida sotto di sé così come fa la pioggia. Avrebbe voluto  sparire, non esserci più, non soffrire più.

Nel suo abbattimento aveva perso la cognizione del tempo e non sapeva quanti minuti fossero passati quando sentì la voce di Christopher che la chiamava. Non gli rispose, non voleva farsi trovare, ma lui la scorse lo stesso, un grosso fagotto gettato sulla strada. Con un grido di paura le fu presto vicino. L’afferrò per le braccia cercando di risollevarla ed intanto la chiamava per nome. Ma la crisi nervosa che aveva scosso la ragazza non si era ancora esaurita e, tempestandolo di pugni, lei cercò di allontanarlo.

- Lasciami, lasciami – gli urlava disperata – è tutta colpa tua! Sei stato tu a ridurmi così. Ti odio!

Il giovane cercava di afferrarla.

- Ti prego Maria, calmati – le diceva fermandole le mani che continuavano a riempirlo di colpi sul petto e sulle spalle.

- No, non voglio calmarmi. Voglio tornare a casa, voglio andare via! Io impazzirò come mia madre o mi toglierò la vita come ha fatto papà se non mi allontano da tutto questo!

- Basta, basta! Faremo tutto ciò che vorrai ma ora calmati, te ne prego, fallo almeno per tuo figlio! Fammi vedere che ti sei fatta.

Chino accanto a lei che si era un po’ calmata ricordandosi del bambino che aveva in grembo, le prese le mani tra le sue.

- Le gambe – gli mormorò lei ancora singhiozzando e Christopher le alzò la gonna per controllare. Aveva delle brutte escoriazioni e la biancheria strappata era macchiata di sangue.

- Ce la fai ad alzarti? – le chiese.

- No, non ce la faccio, le gambe non mi reggono.

Provò ad aiutarla, ma si rese conto che era troppo pesante per prenderla in braccio. Allora si sedette per terra e se la tirò contro.

- Non temere - le mormorò - George è andato a prendere il calesse e ci raggiungerà presto. Ora ci mettiamo qui e lo aspettiamo, non possiamo fare altro.

Circondandole con un braccio le spalle, la strinse forte contro il petto. Allargò il mantello e riparò anche lei sotto di esso poi, con l’altra mano, cominciò a carezzarle il viso bagnato di pianto.

- Buona, piccola, buona! – le sussurrava quasi cullandola come si fa con i bambini ed a poco a poco Maria si calmò.

La spalla di Christopher a cui era appoggiata era salda e forte ed al riparo del mantello, avvertiva  il calore del suo corpo che le dava un enorme conforto. Anche le carezze sul volto le davano una sensazione di dolcezza ed all’improvviso si rese conto che nonostante il freddo ed il dolore, la stava invadendo un benessere inaspettato. Avrebbe voluto restare per sempre così, stretta a lui, protetta tra le sue braccia e dimenticarsi di tutto. Intanto la mano di Christopher le toccava delicatamente il ventre gonfio dove il bambino scalciava. Avvertì una carezza, ma comprese che non era per lei:  era la carezza di un padre al figlio  non ancora nato.

Senza più piangere, se ne stette zitta e ferma a lasciarsi avvolgere da uno struggimento senza fine, avvertendo l’odore di tabacco e colonia del suo uomo e la morbidezza della sua barba sulla propria fronte.

Intanto lui le parlava, ma pareva quasi che lo stesse facendo con se stesso:

- Non è giusto farti soffrire ancora a causa mia. Devo ridarti la tua libertà, se è questo che può renderti felice …

All’improvviso si  zittì perché aveva udito il calesse avvicinarsi.

- George, George - chiamò – siamo qui!

Pochi minuti dopo Festing era accanto a loro. Inginocchiatosi anche lui, spostò il mantello con il quale il nipote copriva la ragazza e la guardò assai preoccupato.

- Sta bene – lo tranquillizzò Christopher – si è solo escoriata le gambe.

- E il bambino?

- Sta bene anche lui, credo. L’ho sentito muoversi poco fa. Però devi aiutarmi a rialzarla, per favore.

Con l’aiuto dei due uomini, Maria si alzò e riuscì  salire anche sul calessino dove il marito la prese di nuovo tra le braccia.

Era ancora stretta a lui quando, avviandosi verso casa, incrociarono la carrozza degli Aydon che lasciava di gran carriera il castello. Allora le sfuggì un gemito e come cercando protezione, gli affondò il viso sulla spalla. Christopher le carezzò i capelli e le mormorò piano:

- Va tutto bene, cara, va tutto bene, non temere.

Quando arrivarono furono accolti da zia Margaret, dal nonno e da buona parte della servitù. La ragazza nemmeno osò guardarli in faccia per la vergogna, ma lady Margaret, diretta come sempre, la rimproverò:

- Bene, sarai contenta della tua stupida fuga, ora. Guardati, sembri uno straccio!

- Sto bene – mormorò lei che invece sarebbe caduta se il marito ed una cameriera non l’avessero sorretta.

- Sciocchezze! – sentenziò la vecchia signora, poi cominciò a dare ordini – Donald, andate a chiamare il dottor Fisher e voi Julie, preparate dell’acqua calda e dei vestiti asciutti! Intanto, mentre George le va a prendere un bicchiere di cordiale, tu Christopher dai una mano a Marta a mettere a letto questa sconsiderata di tua moglie! Su, avanti, non rimanete qui come tanti deficienti! – aggiunse con irritazione battendo le mani per esortare tutti quanti a darsi una mossa perché erano rimasti a guardarla un po’ imbambolati.

 

La prima cosa che notò aprendo gli occhi la mattina dopo fu la pioggia intensa che batteva sui vetri. La giornata era molto scura ma non doveva essere mattina presto e Maria ci mise qualche istante a realizzare che giorno fosse. All’improvviso il ricordo di quanto era avvenuto la sera prima l’ afferrò come una mano cattiva che le serrava la gola togliendole il respiro. Intanto un rumore di ferri per la lana le fecero capire che lady Margaret era seduta accanto a lei a lavorare a maglia come di consueto. Non ce la faceva ad affrontarla ma nemmeno poteva restare in quella posizione: la schiena le doleva assai ed il bambino scalciava più del solito. Allora si girò sul fianco dal lato dove era seduta la zia continuando però a tenere gli occhi chiusi per fingere di stare ancora dormendo. L’anziana signora smise per un momento di sferruzzare e le posò una mano sulla fronte per sentirle la febbre, ma lo fece pianissimo, per non disturbarla. La ragazza avvertì la frescura di quella mano sulla fronte ardente ed anche la delicatezza affettuosa con cui era stato compiuto il gesto e, quasi senza volere, aprì gli occhi.

- Come va? – le chiese Margaret con una inconsueta premura nella voce.

Lei annuì, abbozzando un sorriso rassicurante.

- Che ore sono?- chiese.

- È quasi mezzogiorno.

- Mio Dio! Devo alzarmi allora!

- Non se ne parla nemmeno! – le disse l’altra costringendola a sdraiarsi di nuovo – Il dottor Fisher ha detto che devi restare a letto, non lo hai sentito? Potresti partorire prima del previsto. E poi hai la febbre.

Nel vedere che la ragazza non rispondeva, la rimproverò, ma con una certa dolcezza.

- Era proprio necessario scappare fuori in quel modo? Me lo dici che ti ha preso?

La bocca di Maria tremò come quella di un bambino che sta per mettersi a piangere. Mormorò con un filo di voce:

- Non avrei dovuto trascendere in quel modo con le Aydon! Mi dispiace, credetemi, me ne sono subito vergognata così tanto che … non so … pensavo di andare dalla signora Brown o forse no, volevo solo fuggire da me stessa e da quello che avevo combinato.

La vecchia signora scosse la testa.

- Che stupida! Nelle tue condizioni! E poi, se lo vuoi sapere, hai fatto proprio bene a mettere a posto quelle due vipere. Io non capisco come si possa insultare la gente in quel modo e pretendere pure di non suscitarne il risentimento!

Maria spalancò gli occhi dalla meraviglia.

- Quindi non siete in collera con me? – le chiese stupita.

- Con te? E perché mai? Nel caso dovrei essere in collera con quella maligna  di Josephine e con quella perfida di Lorelay. Cose da pazzi! È tanto cattiva quanto brutta e pretendeva pure di sposare mio nipote! Secondo me quel povero marito avrà preferito affrontare i ribelli indù e morire piuttosto che sopportarla ancora.

- Però io ho sbagliato e non mi sono comportata bene.

- Beh, non hai agito secondo le regole, questo sì! Se tu fossi stata un uomo, ad esempio, avresti avuto tutto il diritto di sfidare a duello quella stupida insolente.  Ma siccome sei una donna e i duelli sono solo una stupidaggine inventata dagli uomini, hai fatto benissimo a mandarla con il sedere per terra. Così impara!

Rincuorata, Maria le fece un mezzo sorriso però cercò ancora di scusarsi.

- Non è per la vostra figlioccia e per sua figlia che sono pentita di ciò che ho fatto, è per voi e per lord Riddell. Sono stata scortese ad agire in quel modo ineducato in casa vostra. Anche Christopher sarà dispiaciuto con me. Lui mi aveva così raccomandato di non lasciarmi andare ed  io invece mi sono comportata come una primitiva.

- Chris ti ha vegliato tutta la notte, lo sai?

A quelle parole lei sentì come una vampata di calore salirle nel petto. Ricordava ancora la sua stretta rassicurante, le carezze, la premura con cui l’aveva aiutata a spogliarsi e a mettersi a letto. Era ancora lì accanto a lei quando il calmante che il dottor Fisher le aveva dato aveva cominciato a fare effetto e l’ultima cosa che rammentava era l’azzurro dei suoi occhi e la  dolcezza del suo viso.

- Dov’è? – chiese d’impulso – Potete dirgli di venire qui, per favore: ho bisogno di parlargli.

- Christopher è partito stamattina presto. Ha detto che aveva degli affari urgenti da sbrigare a Londra.

- Oh! – mormorò la giovane mentre la delusione le invadeva il visino rosso di febbre.

Margaret se ne accorse e si affrettò a consolarla.

- Andiamo! Oggi è giovedì e ha detto che tornerà sabato. Cosa c’è, hai paura che non vedrà nascere la bambina? Stai tranquilla, tuo marito tornerà in tempo e poi si tratterrà a lungo qui, con te e con lei.

- Lei? – chiese la giovane che però era stata molto rincuorata dal tono cordiale ed affettuoso dell’arcigna dama.

- Lei, certo. Spero tanto che tu metta al mondo una bella bambina. Le femmine sono un’altra cosa, è risaputo.

- Non è vero, noi donne siamo tanto più sfortunate degli uomini.

- Ma anche tanto più in gamba. E la piccola Sophie, la mia tris nipotina a cui spero vorrai mettere il nome della figlia che avrei sempre voluto e a cui lascerò tutti i miei beni personali, sarà anche bella, intelligente e molto ricca. Il che non guasta.

- Siete molto buona, zia Margaret – le disse con un sorriso di gratitudine e chiamandola per la prima volta in un modo tanto confidenziale – Spero proprio di potervi accontentare.

L’altra sospirò.

- Speriamo! Certo se sarà un maschio non sarà certo colpa tua. Vuol dire che si dovrà accontentare di diventare il decimo marchese di Norhal e di indossare lo stesso queste scarpette che ho appena finito – le disse mostrandole un paio di scarpette da neonato molto carine ma di un irrimediabile colore rosa.

Maria rise e si sentì più leggera anche se solo nell’animo  e non certo nel corpo.

 

Il dottor Fisher tornò a visitarla anche quel giorno e le prescrisse il riposo assoluto non per le ferite alle gambe che erano solo superficiali o per la febbre che stava già calando, ma perché era sicuro che la gravidanza non giungesse a termine. Fu molto rassicurante a tale proposito ma nell’andar via si raccomandò con lady Margaret di chiamarlo non appena fossero arrivate le prime doglie, giorno o notte che fosse, perché era opportuna  la sua presenza al parto. L’anziana zitella non si riteneva in grado di affrontare una situazione del genere e così mandò a chiamare la moglie del reverendo Brown. Quest’ultima, per il rispetto dovuto ai marchesi e soprattutto  perché la giovane italiana le stava assai simpatica, non esitò a lasciare il marito alle cure di una nipote e a trasferirsi a Norhal Castle.

Maria si accorse di una certa preoccupazione per la sua salute però non se ne diede un gran pensiero. Le faceva piacere avere tutte quelle brave persone intorno che la coccolavano e si prendevano cura di lei. Inoltre erano giorni molto freddi e piovosi in cui era gradevole restarsene al calduccio sotto le coperte a pensare ed a guardare fuori della finestra  le foglie della grande quercia sbattute dal vento.

Ne aveva molto bisogno perché l’episodio accaduto con le Aydon l’aveva indotta a riflettere su tanti particolari del suo passato. Le malignità e le inesattezze proferite dalle due donne le avevano comunque ricordato una cosa che non avrebbe mai potuto negare: Christopher le aveva dato un aiuto enorme senza chiedere nulla in cambio. Era stata lei a voler trasformare quel rapporto in qualcosa di più, gli aveva chiesto lei di essere amata e non aveva voluto sentire ragioni nemmeno quando le aveva fatto capire che ciò era impossibile.

La delusione provata quando era venuta a conoscenza di quel precedente matrimonio insieme al risentimento per gli infami sospetti di cui era stata vittima, non giustificavano il suo atteggiamento astioso nei confronti dell’uomo. Queste cose non avrebbero dovuto cancellare tutta la gratitudine e il bene che aveva provato per lui, anzi, più che mai avrebbe dovuto stargli vicina in un momento difficile e dimostrargli dedizione e fedeltà. 

Forse Christopher  non poteva amarla perché aveva già speso tutto il suo amore per una donna che gli aveva fatto troppo male, ma ugualmente aveva dato a lei affetto, protezione, appoggio. Cose preziose che tante donne non avevano mai potuto avere. Era stata ingiusta e cattiva a respingerlo in quel modo, arrivando addirittura ad accusarlo di essere stata la causa della sua infelicità. 

Non lo avrebbe fatto più

Ora sentiva nel profondo di se stessa che la Maria frivola e capricciosa  non c’era più, il dolore e la maternità l’avevano cambiata. Ora era pronta a diventare la tranquilla compagna di un uomo che aveva sofferto almeno quanto lei e che come lei aveva tanto da farsi perdonare. 

Aspettava con ansia di rivederlo per poterglielo dire anche se non sapeva ancora come lo avrebbe fatto. Per questo se ne stava rannicchiata sotto le coperte a figurarsi il momento in cui lo avrebbe incontrato di nuovo e a prepararsi le parole  giuste da dirgli per aprirgli finalmente il proprio cuore ed entrare nel suo.

 

Dovette attendere fino alla domenica pomeriggio per rivederlo. Quando lui entrò nella stanza, era in compagnia della signora Brown la quale però, nello scorgere il giovane, si affrettò a congedarsi per lasciarli da soli. Durante i brevi convenevoli di cortesia che Kate scambiò con lui prima di andarsene, Maria ebbe modo di osservarlo con attenzione. Indossava una giacca sportiva di velluto marrone e sotto portava una camicia dal colletto aperto che gli lasciavano scoperto il collo e la gola. La ragazza soffermò proprio lì lo sguardo rammentando che durante la loro intimità era proprio quel collo e quella gola che amava baciare con tenerezza e sensualità. Un brivido la scosse al pensiero che la scelta che aveva deciso di fare non le avrebbe comportato nessun sacrificio perché era proprio Christopher l’uomo che voleva e desiderava sopra ogni altro e mai e poi mai avrebbe potuto appartenere ad uno diverso anche se l’avesse amata mille volte di più. In barba a tutti i discorsi e le frasi ad effetto che si era preparata in quei giorni, decise che appena la moglie del reverendo se ne fosse andata, gli avrebbe solo teso le braccia per attirarlo in un abbraccio silenzioso che avrebbe parlato più di mille parole. Però, quando restarono soli, Christopher non solo non si avvicinò ma rimase distante ed in piedi, con la testa china ed un atteggiamento visibilmente preoccupato.

- Che c’è? – gli chiese allora – Qualcosa che non va? Il dottor Fisher ti ha detto qualcosa?

All’improvviso si era rammentata della tangibile inquietudine che c’era stata intorno a lei negli ultimi giorni e temette che il marito dovesse darle qualche brutta notizia. Invece lui le rispose, molto serio:

- Stai tranquilla, mi ha detto solo che sicuramente il parto sarà prematuro. È per questo motivo che sono assai incerto: non so se comunicarti adesso le decisioni che ho preso o aspettare che tu abbia partorito.

- Dimmele adesso – lo esortò, assai preoccupata.

- Sì, forse è meglio, così magari sarai più serena nell’affrontare quello che ti aspetta perché dopo sarà tutto finito.

Maria notò il suo aspetto grave e la ruga di preoccupazione che aveva in mezzo alla fronte.

- Niente! – proseguì – Mi sono messo in contatto con Anthony il quale, benché lavorasse già presso un’altra famiglia, si è detto disposto a ritornare a Napoli. Lo farà appena possibile e riaprirà Villa Helena così appena tu ed il neonato sarete in grado di viaggiare, vi verrà a prendere e vi condurrà lì. Si prenderà lui cura di voi. Io ti passerò un congruo assegno mensile per le vostre necessità e verrò a vedere il piccolo ogni volta che potrò e che tu me lo consentirai.

Maria non disse nulla. Si sentiva smarrita e persa a quella ipotesi. Villa Helena e Napoli erano la sua casa, ma anche Christopher e Norhal Castle oramai lo erano.

- Non diremo nulla ai miei né a tuo zio. Non devono interferire nei nostri piani e non lo faranno se riusciremo a convincerli che hai bisogno dell’aria del tuo paese per motivi di salute. Con il tempo si faranno una ragione del fatto che vuoi restare lì e forse lo troveranno persino naturale, così come tutti gli altri. Va bene così?

Vedendo che lei non rispondeva e continuava a tenere lo sguardo fisso fuori dalla finestra, pensò che c’era il particolare più importante ancora da chiarire. Lo fece cercando di mantenere la voce calma e mascherare ogni emozione.

- Naturalmente mi rendo conto che sei una donna giovane e bella e che di certo troverai un nuovo compagno. È giusto che sia così, solo ti chiedo di farlo con discrezione, perlomeno i primi tempi. Zia Margaret ed il nonno si sono molto affezionati a te e poi sono vecchi, non so se riuscirebbero a resistere al dolore per un nostro divorzio. Sono certo che anche tu non desideri farli soffrire ancora né tantomeno vuoi attirare l’attenzione su di noi. Ti do la mia parola d’onore che quando le acque si saranno calmate e nessuno penserà più a noi, ti lascerò libera  di amare chi ti pare e piace. Maria?- la chiamò ad un tratto perché lei sembrava  assente.

Infatti continuava a guardare fuori dalla finestra mentre un pensiero strambo le attraversava la mente che non voleva accettare la nuova delusione.

- “Che strana primavera,  sta nevicando di nuovo. Eppure siamo ad aprile!”  – si stava dicendo tra sé.

Non gli rispose e l’uomo continuò.

- Credo che questa sia la migliore soluzione. In realtà il nostro rapporto non poteva andare avanti, forse perché è nato male. Venivamo tutt’e due da un periodo terribile e ci siamo attaccati l’uno all’altra senza renderci conto del male che potevamo farci a vicenda. Mi dispiace solo per il bambino,  ma non l’abbiamo fatto di proposito a metterlo al mondo e sono certo che un giorno capirà una scelta che faremo soprattutto per non costringerlo a crescere con due genitori che stanno insieme per forza.

Per qualche momento tra loro calò il silenzio. Christopher avrebbe desiderato leggerle nel pensiero.

- Era questo che volevi, non è così? – le chiese alla fine non resistendo più al suo mutismo.

Maria fu colta da un sussulto d’orgoglio e gli rispose con un filo di voce:

- Certo! Ora però vattene per favore, sono stanca e voglio riposare. Anzi, dillo anche agli altri che desidero dormire un po’ e non ho bisogno di nessuna compagnia.

- Va bene. Lo farò.

Si allontanò chiudendo pian piano la porta dietro di sé.

Allora Maria si rannicchiò il più possibile sotto le coperte. Osservò ancora  fuori dalla finestra  la neve che cadeva e si mise ad ascoltarne il rumore. Intorno c’era solo un desolato silenzio perché la neve non fa nessun  rumore.

   
 
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