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Autore: The Lunatic Timelady    25/07/2017    1 recensioni
Amber si sedette sul letto in fondo alla stanza, anch'esso completamente grigio e cominciò a singhiozzare, nascondendosi il viso tra le mani. Aveva letto e sentito parlare dei condannati all'isolamento, della pazzia portata dalla mancanza di distinzione tra il giorno e la notte, la riduzione al minimo di qualsiasi stimolo esterno, perfino i colori. I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle, le luci della cella, che fino a quel momento avevano solo tremato leggermente, si fulminarono con un piccolo “tac”. Nello stesso istante anche le telecamere di sorveglianza che inquadravano ogni angolo della stanza si guastarono.
Intanto il Dottore proseguiva nella scansione della superficie terrestre, con il TARDIS posto in orbita geostazionaria sopra l'Europa.
Eccoti qua! disse con un ampio sorriso quando finalmente comparve un indicatore puntiforme sulla mappa a rilevamento elettromagnetico del pianeta sottostante. Controllò le coordinate e le inserì nel sistema di navigazione del TARDIS.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dalek, Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Amber si svegliò. Dall'attrezzatura che vide appena sopra la sua testa si rese conto di trovarsi in quella che sembrava un'ambulanza, ma anziché avere attorno paramedici ed infermieri era circondata da poliziotti. Appena provò a muoversi scoprì di essere legata al lettino. “Perchè?” sussurrò appena se ne rese conto, ma subito chiuse la bocca: ora ricordava! 
Venne portata ammanettata attraverso i corridoi della prigione. Non fu necessario sedarla perché non oppose nessuna resistenza: camminava a capo chino, piangendo sommessamente. Alle sue spalle, appena dopo il suo passaggio, tutte le luci delle lampade al neon sfarfallavano per qualche secondo. Appena spalancarono la porta riconobbe una cella di isolamento: la stanza era grigia e spoglia, illuminata da una luce intensa da fare quasi male agli occhi, lei stessa era rivestita da un camicione grigio che le arriva alle ginocchia. Le tolsero le manette e chiusero la porta metallica con un tonfo.
Amber si sedette sul letto in fondo alla stanza, anch'esso completamente grigio e cominciò a singhiozzare, nascondendosi il viso tra le mani. Aveva letto e sentito parlare dei condannati all'isolamento, della pazzia portata dalla mancanza di distinzione tra il giorno e la notte, la riduzione al minimo di qualsiasi stimolo esterno, perfino i colori. I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle, le luci della cella, che fino a quel momento avevano solo tremato leggermente, si fulminarono con un piccolo “tac”. Nello stesso istante anche le telecamere di sorveglianza che inquadravano ogni angolo della stanza si guastarono.

 
Intanto il Dottore proseguiva nella scansione della superficie terrestre, con il TARDIS posto in orbita geostazionaria sopra l'Europa.
“Eccoti qua!” disse con un ampio sorriso quando finalmente comparve un indicatore puntiforme sulla mappa a rilevamento elettromagnetico del pianeta sottostante. Controllò le coordinate e le inserì nel sistema di navigazione del TARDIS.

 
Amber aveva smesso di singhiozzare, si guardava intorno nel buio completo di quella stanza senza finestre. Fu allora che accadde qualcosa che mai si sarebbe sognata e che mai avrebbe dimenticato: accompagnata da uno strano rumore, quasi un rantolo, una cabina della polizia blu si materializzò davanti a lei, in mezzo alla cella. Una luce calda filtrava dalle finestre, unica fonte luminosa per gli occhi della ragazza, che rimase come pietrificata con le braccia intorno alle ginocchia.
Con un cigolio stridulo la porta si aprì e un uomo alto, in abito e cravatta con un lungo soprabito marrone chiaro ne uscì guardandosi intorno incuriosito. Subito notò la presenza di Amber nella stanza, i capelli rosso mogano che staccavano con decisione dal fondo grigio della stanza e dall'abito dello stesso colore.
Non appena fissò gli occhi su di lei, sentì un rumore di secchi scatti metallici alle sue spalle: uomini armati stavano per aprire il fuoco contro di loro e mentre già alcuni proiettili rimbalzavano contro il TARDIS senza poterlo scalfire, prese la ragazza per il polso dicendole: “Corri!”
Amber non seppe mai ridire cosa le fosse passato per la testa in quel momento, ma non esitò un istante a precipitarsi con un perfetto sconosciuto in una cabina apparsa dal nulla in una cella sigillata. Quando la porta di legno blu si richiuse alle loro spalle, dimenticò completamente la prigione, i poliziotti, gli spari: non riusciva a smettere di guardarsi intorno balbettando.
“Ma...ma… è più grande all'interno”.
“Non smetterete mai di dirlo, eh?” ridacchiò il Dottore mentre tirava leve e premeva pulsanti. “Per favore, potresti tenerle così?” le chiese guardandola, tenendo con entrambe le mani due leve a differenti altezze.
Amber, senza pensarci troppo, corse verso di lui, contrastando gli scossoni della nave e prese il suo posto con le leve. “Grazie!” le disse, correndo dall'altra parte della consolle di comando.
La ragazza intanto continuava a guardarsi intorno stupitissima. In pochi istanti però si ricordò di chi era e da dove veniva: scuotendo la testa lasciò andare le leve e stava già aprendo bocca per gridare qualcosa, quando il Dottore proruppe.
“Che ne dici di un tè nella Londra vittoriana? Dicono che sia il più buono di tutti i tempi!”
“Ehi, ehi, aspetta un attimo! Che cos'è tutta questa… roba? Chi sei tu?”
“Io sono il Dottore, e questo è il TARDIS” disse allegramente facendo una giravolta teatrale con le braccia alzate.
“TARDIS?”
“Time And Relative Dimension In Space. Con lei viaggio nello spazio e nel tempo, dall'origine dell'Universo alla sua fine, dalla stanza dell'adolescente Elvis Presley allo studio di Beethoven, fino alla tua spoglia stanzetta. E tu...” aggiunse avvicinandosi “Tu cosa ci facevi in prigione? E come ti chiami?”
Amber non riusciva a nascondere un'espressione a metà tra l'irritato e lo stupito. Balbettò qualche sillaba incomprensibile, cercando di frenare il suo istinto che in quel momento le diceva di iniziare a correre urlando. Prese un profondo respiro che mise ordine le cose nella sua mente: era nel luogo più strano che avesse mai visto, con un uomo che sembrava avere enormi poteri, ma scappare voleva dire prendersi una pallottola e morire per certo.
“Mi chiamo Amber. Perché mi hai liberata?”
Guardando verso l'alto il Dottore rispose: “Beh, non ti ho liberata, ti ho… Presa in prestito diciamo. Non posso interferire con la giustizia di altre civiltà, quindi presto ti riporterò indietro, se è questo quello che meriti” e dicendo queste ultime parole assunse un'espressione indecifrabile, sicura e corrucciata allo stesso tempo.
Ma dopo pochi secondi i suoi tratti si rilassano: “Allora andiamo a prendercela questa tazza di tè?”, disse correndo ad aprire la porta.
Amber si avvicinò con cautela alla porta e guardò fuori: subito riconobbe Trafalgar Square, ma rimase quasi stordita nel vedere che anziché macchine e semafori le strade erano piene di gente in abiti ottocenteschi e carrozze nere tirate da cavalli.
Fece qualche passo indietro: “No no non è possibile! È tutto uno scherzo, non è vero? È il set di un film, qualcosa!”
Poi guardò il Dottore che la fissava sorridendo e con una leggera aria di compatimento, tenendo le mani in tasca come in attesa che capisse tutto. Amber fece di nuovo correre lo sguardo tutto attorno a sé: quella stanza era enorme e guardando la porta ricordò il suo aspetto da fuori.
“Tu vieni dal futuro!” esclamò “Sì, non c'è altra spiegazione! Nel futuro avete imparato a piegare lo spazio tempo come un tessuto e in modo da chiuderlo in una cabina, a viaggiarci attraverso” esclamò trionfante, mentre gli zigomi le si dipingevano di un rosso intenso.
“È pazzesco! L'uomo potrà fare queste cose” ma non fece in tempo a finire di parlare che con un piccolo scoppio lo schermo attaccato alla consolle del TARDIS si fulminò. “Oh mio dio, mi dispiace!”
Il Dottore rivolse uno sguardo distratto e placido allo schermo. “Oh beh, era vecchio non importa! Hai palesemente i nervi a pezzi eh? Usciamo! Però prima è meglio coprire le tue… nudità”.
Lanciò un'occhiata alle gambe lasciate nude dal camicione grigio e corse in un angolo del TARDIS. Aprì una piccola porta da cui si intravedeva un'ampia cabina armadio: “Prego!”
“Wow!” esclamò Amber sgranando gli occhi.
Scelse un lungo abito bianco, non molto ampio per essere in stile vittoriano, e un soprabito azzurro. Anziché delle calzature dell'epoca indossò delle Converse bianche ed uscendo dal guardaroba alzò il bordo della gonna mostrandole al Dottore: “Mi piacciono le tue, e non so perché credo che queste siano la scelta migliore”.
“Allons-y!” le disse offrendole il braccio.

 
Pochi minuti dopo erano seduti in una sala da tè.
“Vedi Amber, mi sono materializzato nella tua prigione perché il TARDIS ti ha individuata come l'ultima perla degli Shmeri. All'inizio pensavo che si trovasse semplicemente lì, ma appena ti ho vista ho riconosciuto quella speciale luce negli occhi che solo gli Shmeri hanno”.
“Shmeri?”
“Sono una specie di alieni che credevo estinta, ma a quanto pare tu ti sei salvata”
“No, adesso stai esagerando, Dottore! Io non sono un alieno”
“Non c'è niente di male ad essere un alieno” le rispose lanciandole un'occhiata eloquente.
“Non mi dirai che sei… Ma... Sembri un umano! Hai due occhi, un naso, una bocca...”
“Due cuori!”
Amber lo guardò spalancando gli occhi. Il Dottore le prese le mani e le appoggiò sul proprio petto. Restò per qualche momento così, sentendo quel doppio battito a ritmo sfalsato. Lentamente tolse le mani dal Dottore e le portò al proprio viso, i suoi occhi terrorizzati dietro le dita: se quell'uomo era un alieno, se stava veramente dicendo la verità, allora anche lei…
“Scusami, non intendevo dire che sei una Shmeri, ma che l'ultima perla degli Shmeri è in te”.
“Com'è possibile? È pericolosa? Sto morendo?”
“No, non stai morendo. Ma di recente non ti è sembrato di poter fare cose un po' strane riguardo… che so... l'elettricità?”
“Dottore, mi dispiace, è per questo che ero in prigione. Ti prego, non mi giudicare, ma… Ho ucciso delle persone, senza volerlo, ma ora sono morte per causa mia”. L'espressione del Dottore si fece grave. “Capisco cosa vuol dire. Per favore, raccontami cos'è successo”.
“Era un venerdì sera. Era molto tardi e avevo passato la serata con degli amici. Eravamo lontani da casa mia e mentre tornavo in macchina si è scatenato un violento temporale. Avevo paura, i fulmini cadevano molto vicini alla strada, ma fermarmi sarebbe stato più rischioso, potevo solo andare avanti e sperare che non succedesse nulla. Avevo già pensato a come comportarmi in caso un fulmine colpisse la macchina: dovevo stare dentro e non fare da conduttore tra la macchina e la terra. Solo che prima di un fulmine è stato un lampione a colpirmi: è caduto sulla parte posteriore dell'auto, sfondando il tetto e mancandomi per poco. La macchina era rovinata ma io stavo bene. Stavo cercando il mio cellulare per chiamare i soccorsi, quando un fulmine mi colpì proprio in testa. È stato terribile, ho sentito l'elettricità attraversarmi dalla testa ai piedi, faceva un male atroce, al punto che sono svenuta. Mentre perdevo i sensi credevo che sarei morta. Invece mi sono risvegliata in ospedale.
“I miei genitori mi hanno detto che sono stata soccorsa da un uomo che passava per caso di lì, che sono stata in coma per alcuni giorni. Mentre mi raccontavano questo, tutte le apparecchiature elettriche nella mia stanza si sono fulminate, come sovraccaricate di energia, ma non ci abbiamo fatto molto caso, pensavamo fosse un guasto dell'impianto elettrico dell'ospedale. I medici non riuscivano a spiegarsi come fossi sopravvissuta ad una scossa elettrica di quel tipo riportando solo delle lievi ferite. Naturalmente sono rimasta in ospedale anche per quella notte, ed è stato allora che ho fatto quelle cose terribili.
“Quella notte ho sognato di nuovo l'incidente: la paura della guida al buio con il temporale, lo spavento della caduta del palo e quando ho risentito anche il dolore atroce del fulmine che mi attraversava mi sono svegliata urlando. Non so come sia successo, e se avessi saputo come evitarlo l'avrei evitato anche a costo di rimetterci la vita. Ma mentre mi svegliavo terrorizzata, in quei pochi secondi prima che mi rendessi conto che si trattava solo di un sogno, una potentissima scossa elettrica ha attraversato ogni materiale conduttore presente nell'edificio. Tutti i pazienti che erano attaccati a delle macchine, tutti quelli che in quell'istante stavano maneggiando del metallo e chiunque fosse vicino ad un apparecchio elettrico è stato fulminato, morendo sul colpo.
“Io non avevo la minima idea di avere quel potere. Sono passate tre settimane in cui la mia famiglia mi ha rinnegata, in cui la giustizia mi ha condannata a tre ergastoli, in cui ogni notte sento tutte quelle voci, 42 voci, che gridano di terrore per la loro morte...”
A queste parole scoppiò in lacrime e mentre piangeva delle piccole scariche elettriche cominciarono ad uscire dalle sue dita, frantumando la tazza da tè che teneva in mano. “Vedi Dottore? Vedi cosa succede? Come posso vivere così?”
Più si agitava e più quei piccoli fulmini diventavano forti, propagandosi nell'aria con improvvisi sfrigolii.
“Calma, calma. Adesso ascoltami”. Con una mossa fulminea il Dottore si era sporto sul tavolo e le aveva messo le mani ai due lati della testa. “Hai bisogno di un dottore, e io sono qui per questo. Lasciati andare, ecco!”
Come indotta dalla tranquillità del Dottore, Amber si accasciò sul tavolo, caduta in un sonno profondo. Naturalmente tutto questo aveva attirato l'attenzione degli altri clienti della sala da tè, che guardavano spaventati ed incuriositi la coppia.
“Hey! Salve a tutti! Avete appena assistito alle prove di un nuovissimo numero di magia del mago ehm… del mago Potter. Ci stiamo ancora lavorando. Venite… venite a vederci! Ci esibiamo qui domani sera alle nove! Ah, la mia assistente è narcolettica, povera ragazza! Si addormenta ovunque in qualsiasi momento, ora la riporto a casa” disse il Dottore, caricandosela in spalla e uscendo dal locale.
“Oh mio dio, ha bisogno di aiuto?” chiese il proprietario correndo verso di loro.
“No, no, non si preoccupi. Ci sono abituato ormai!” rispose il Dottore attraversando la porta.
Dopo qualche istante di stupore, il proprietario si affacciò in strada urlando: “Ehi! Non avete pagato il conto!”
Ma ormai il Dottore ed Amber erano spariti.

 
Percorrendo i vicoli più stretti e meno frequentati tornò al TARDIS.
Adagiò Amber sul pavimento e di nuovo ne sfiorò le tempie con le dita. “Coraggio, lasciami entrare” sussurrò, sforzandosi di vincere le difese psichiche della ragazza.
“Ecco!” esclamò dopo qualche secondo “Quel fulmine non era una normale scarica elettrica, gli Shmeri volevano che avessi tu la loro perla. Eri adatta!”
“Come?” mugugnò Amber, appena svegliatasi dal quel sonno indotto. “Cosa stavi facendo nella mia mente?”
“Ho dovuto controllare i tuoi ricordi e pensieri più recenti. A proposito, so di essere terribilmente sexy, ma non vado pazzo per quel genere di fantasia. Ad ogni modo, ho scoperto che gli Shmeri pensavano di riuscire a cancellare completamente il loro ricordo dal tuo cervello, invece è rimasta un'impronta. Sono venuti a trovarti più volte, ti hanno osservata e poi rimuovevano il ricordo: hanno scoperto che la tua affinità con l'elettricità era diversa da quella degli altri esseri umani, così ti hanno scelta per diventare la portatrice della loro perla se non ci fosse stata più speranza per il loro pianeta, e così è stato! Prima hanno controllato che fossi idonea al duro processo di impianto, ovvero il fulmine che ti ha colpita, e ora che la perla è parte di te hai la capacità di generare e controllare l'elettricità!”
“Io non voglio questo potere. Non voglio fare del male a nessun altro”.
Il Dottore si accovacciò di fronte a lei, mettendole una mano sulla spalla.
“Imparerai a controllarlo, ti prometto che non farai più male a nessuno. So cosa vuol dire avere delle anime sulla coscienza e non voglio che nessuno provi quella sensazione”.
“L'ho visto, quando tu sei entrato nella mia mente”.
“Come???”
“L'ho sognato, hai lasciato che alcuni dei tuoi ricordi mi scivolassero nella testa. Dottore, mi dispiace”.
Per una decina di secondi i loro sguardi si incontrarono in un lungo abbraccio affettuoso, in cui si scambiarono e accolsero a vicenda comprensione, tristezza e perdono.

 
Improvvisamente sentirono dei fortissimi colpi contro la porta del TARDIS. 
N.d.A. Spero che questa prima parte vi piaccia! A breve ne verrà caricata una seconda. Se siete arrivati fino qui vi chiedo per favore di recensire, anche solo con due parole: è la prima volta in assoluto che pubblico qualcosa di mio e ho un grande bisogno di avere feedback, anche negativi se necessario. A presto! 
   
 
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