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Autore: mido_ri    25/07/2017    0 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sab, 4 novembre, notte

- C-che?! -

- Mamma…ricordo dove l’ho vista l’ultima volta! -

“Vista?”

- Non capisco… -

Il ragazzo si alzò con un’espressione decisa.

- Mi ha detto che stava andando in cantina a prendere il vino…o forse l’olio… -

Lo guardai con delusione.

“Quindi stava guardando quel fottuto mobile per caso?”

Mi battei una mano in fronte e lo raggiunsi.

- Ro, meglio non pensarci per ora -

Gli aggiustai la felpa sulle spalle e lo intimai a sedersi di nuovo.

- Sì, ma…forse qualcuno… -

- Ro, hai ucciso tu tua madre, non conta qual è l’ultimo posto dove l’hai vista -

Riccardo abbassò il capo e i suoi occhi si spensero; ero convinto che stesse delirando, in fondo era normale dopo tutto ciò che aveva passato, e io lo sapevo bene.

- Senti…dovresti tornare a casa adesso, non possiamo restare qui -

- Perché? -

I suoi occhi innocenti mi scrutarono l’intero viso.

- Perché questa casa è sotto sequestro…e io non dovrei avere neanche le chiavi, ma nessuno lo sa. Se ci trovassero qui insieme sarebbe un bel guaio -

Lui annuì e mi restituì la felpa.

- Che fai? -

- Torna a casa, io voglio stare qui -

- Ro…credimi, tua nonna non ti odia, era preoccupata per te…devi tornare -

In realtà sua nonna doveva davvero essere infastidita dalla presenza del nipote, ma non al punto da odiarlo.

“Anche quella signora deve averne viste di brutte”

- M-mh… -

Finalmente mi seguì e lo guidai fino a casa sua, camminando in silenzio dinanzi a quel paesaggio che pareva ancora più triste e desolato.

Sab, 4 novembre, mattina

Mi svegliai di soprassalto al suono della voce di Matteo che imprecava di prima mattina.

- Ma ti vuoi alzare?! Sono le otto e mezza, dovevamo essere a scuola venti minuti fa-

Mi lanciò una scarpa addosso.

- E perché diamine ti sei messo a dormire con la tuta? Puzzi anche -

Mugugnai qualcosa e mi girai dall’altro lato, poi mi arrivò un’altra scarpa addosso.

- Ma che giorno è… -

Mi stropicciai gli occhi con le mani intorpidite e cercai di mettere a fuoco la sua immagine.

- Sabato, deficiente! -

Gli dissi che non andavo mai a scuola il sabato, mentre mi tiravo le coperte fin sopra la testa e infilavo un braccio sotto il cuscino caldo.

Matteo lasciò la stanza pronunciando altri insulti sottovoce.

Sab, 4 novembre, sera

- Ora basta -

Matteo tirò via le coperte dal mio letto, trovandomi a ancora con la tuta addosso, rannicchiato e con la testa sotto il cuscino.

- Non hai fatto un cazzo tutto il giorno! Ti sei alzato solo per mangiare e pisciare! -

Mi tirò per un braccio e mi costrinse ad alzarmi dal materasso sul quale ormai era impressa la forma del mio corpo.

- Adesso ti vesti e usciamo con gli altri, punto -

Marcò quella parola per incitarmi a stare zitto e non fare proteste, pronunciai un sommesso “okay” e andai in bagno a lavarmi.

Dopo una quarantina di minuti sotto la doccia, spesi fra il tentare di non addormentarmi e il rispondere “un attimo!” ogni trenta secondi alle urla di Matteo, il ragazzo cominciò a bussare alla porta ininterrottamente, sostenendo che “dovevo sbrigarmi perché lui doveva pisciare, altrimenti l’avrebbe fatta addosso a me quando sarei uscito dal bagno”.

- Ma insomma, Matteo! È questo il modo di rivolgerti al tuo amico? -

- Mica è colpa mia se sta due ore nel cesso, quando poi ha il bagno in camera sua! -

- Questo è più comodo! -

Gridai con la testa sotto l’acqua bollente, mentre la schiuma dello shampoo scivolava lungo la mia schiena.

- Ah sì?! -

Il ragazzo smise di bussare e scomparve, finché non lo sentii urlare attraverso la finestra del bagno aperta, dal giardino.

- Fottiti! -

L’acqua diventò improvvisamente gelata, balzai fuori dalla doccia rischiando di scivolare e rompermi una gamba, poi indossai l’accappatoio e uscii frettolosamente dal bagno. Trovai Matteo che stava entrando dal portone, con un’aria compiaciuta; gli corsi incontro e lo sollevai sulle mie spalle, lo trascinai in bagno e lo gettai nella doccia con tutti i vestiti addosso.

- Ah sì?! -

- Ragazzi! Ma che state combinando lì dentro? -

Uscii dal bagno sghignazzando e feci appena in tempo a chiudere la porta della mia stanza, quando suonò il campanello.

Poiché io e Matteo non eravamo ancora giunti a una tregua, ci precipitammo entrambi lungo il corridoio, in segno di sfida, scalzi e ancora bagnati dalla testa ai piedi. Arrivai per primo e aprii il portone, facendo la linguaccia all’altro, come un bambino. Il sorriso mi scomparve dalle labbra quando mi ritrovai davanti Marco e gli altri, incluso Riccardo che mi guardava stranito.

Matteo mi raggiunse subito dopo, urlando che ero un gran cretino, poi si arrestò anche lui dietro di me.

- Ehm…ciao -

Mi grattai la nuca in imbarazzo, realizzando solo in quel momento che avevo ancora l’accappatoio addosso. Marco mi diede una gomitata nel fianco e fece una faccia inquietante.

- Doccia insieme? Potevate invitarmi… -

Poi si fece largo con il braccio ed entrò come se quella fosse casa sua, gli altri lo seguirono a ruota. Soltanto Riccardo rimase immobile dinanzi alla porta, con le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo basso.

- E-entra… -

Si ritrovarono tutti seduti sul divano a guardarci in faccia.

- Vado a vestirmi -

Io e Matteo parlammo all’unisono, risultando ancora più ridicoli di quanto già non fossimo.

Ognuno scappò nella propria stanza, rosso in viso, mentre in salotto si diffondevano delle risatine.

Quando ritornai in salotto, erano tutti in piedi davanti all’uscita e mi guardavano male. Matteo scosse la testa con rassegnazione.

- Alessio ultimamente sta prendendo le abitudini dei bradipi -

- Anche a letto? -

Marco si beccò uno schiaffo sulla nuca.

Fuori faceva freddo e i nuvoloni scuri preannunciavano un temporale durante la notte; mi strinsi nel cappotto scuro e lanciai un’occhiata a Riccardo senza farmi beccare dagli altri: da quando si era presentato davanti alla porta di quella casa non aveva detto neanche una parola, ma era stato tutto il tempo con il capo basso, in disparte, annuendo appena quando qualcuno gli rivolgeva una domanda.

Dopo aver mangiato (per meglio dire: esserci abboffati) in una panineria, raggiungemmo a piedi il solito vecchio parco pubblico e facemmo a gara a chi doveva sedersi sulle altalene in condizioni migliori. Io presi posto sulla scaletta di legno di un castello per bambini e mi accesi una sigaretta.

- No, no! Ma che fai? -

Marco me la tolse di mano e la pestò con il piede.

- Hai soldi? -

Annuii. Estrasse dalla tasca una busta di tabacco, in cui però c’era tutt’altro.

- Mh…no, stasera passo -

- Dai -

Il ragazzo mi diede una spinta sulla schiena e mi puntò in viso un paio d’iridi blu.

- Offro io! -

Ricacciai i soldi nella tasca e lo feci sedere accanto a me, senza dire una parola, nel frattempo gli altri si lamentavano per l’ingiustizia e gettavano soldi sul grembo di Marco, intento a inumidire una cartina con la lingua.

- Tieni -

Mi portai la canna alle labbra, indeciso; i miei occhi si posarono erroneamente su quelli di Riccardo, che dondolava silenziosamente sull’altalena che mi stava di fronte. Le sue labbra sembrarono fremere per un attimo, poi voltò il capò e si limitò a fissare un punto in lontananza.

Dom, 5 novembre, notte

Appoggiai la testa sul sottile corrimano di legno che affiancava le scalette su cui ero seduto, chissà quanti bambini avevano fatto scivolare le proprie mani su di esso, ignari che un giorno un ragazzo come me ci avrebbe appoggiato il capo.

“Non per vantarmi, ma non a tutti gli adolescenti capita una vita del genere…ahah, sono proprio fatto”

Le voci degli altri mi giungevano indistinte e ovattate, eccetto quella di Marco, che ogni tanto gridava frasi fuori contesto, apprese da squallide serie TV.

Mi stancai di fissare l’erba secca ai miei piedi, alzai gli occhi in cerca di qualcosa di più interessante, ed essi si posarono inevitabilmente su quel corpo minuto che dondolava lentamente sulla vecchia altalena, con i piedi che penzolavano. Anche lui teneva lo sguardo inchiodato a terra, mi chiesi se stesse ancora seguendo una formica con lo sguardo, come aveva fatto a casa mia non molto tempo prima, anche se a me sembrava essere già trascorsa un’eternità.

La sua bocca si schiuse e ne fuoriuscì un debole sospiro, poi finalmente alzò la testa e fui costretto a voltarmi per non essere sorpreso a fissarlo ancora una volta. Riccardo si tirò su dall’altalena e si diresse verso Marco, poi si frugò un po’ in tasca con una mano, finché non estrasse dei soldi; glieli porse senza dire una sola parola, l’altro li accolse con un sorrisetto soddisfatto.

“Forse dovrei dirgli che non è saggio farsi la prima canna con quella roba…oh, che importa, ho sonno…”

 

- Ale -

Protestai con un gemito.

- Ohi, Ale…non vuoi mica dormire su questo scivolo tutta la notte? -

Qualcuno mi scosse di nuovo una spalla.

- Alzati, mi sa che il tuo amichetto non si sente bene -

Nonostante non riuscissi ancora a mettere a fuoco e non mi ricordassi neanche dov’ero, mi rizzai a sedere immediatamente. Riccardo era lì, ancora su quell’altalena che oscillava impercettibilmente; era accasciato contro la catena arrugginita, con la mano stretta attorno a essa, il volto pallido e gli occhi chiusi. Sembrava che stesse dormendo, mi dispiacque farlo svegliare.

- Ehi…Ro -

I suoi occhi si aprirono di scatto e si fissarono nei miei, fui sicuro di essere diventato completamente rosso, perché sentivo le guance andarmi a fuoco.

“Sarà colpa della droga…”

- Stai bene? -

Lui scosse la testa e cadde in avanti, lo afferrai prontamente.

- Sei un cretino… -

Risi.

- Se non avessi fumato forse ti avrei fermato…ti ho lasciato di nuovo fare una cazzata -

Evidentemente lui era ancora più rimbambito di me, perché parve non avermi sentito affatto.

- Okay…me la vedo io, tu continua pure a dormire come un ghiro -

Sbuffai, ma non riuscii a staccargli gli occhi di dosso: la sua faccia era appoggiata sulla mia spalla, in modo che la guancia appariva teneramente paffuta e più colorata, mentre il resto del corpo era proteso all’indietro, ancora sull’altalena, sembravamo un bambino e il padre incapace.

Mi decisi a darmi da fare e infilai una mano nella tasca del mio cappotto, in cerca del cellulare.

- Merda…non c’è campo -

Approfittai della sonnolenza dell’altro per potergli frugare nei jeans, finché non trovai anche il suo telefono, che invece prendeva la linea. Ancora rosso in viso, fui costretto a svegliare di nuovo il ragazzo per chiedergli la password, che lui pronunciò a fatica per via della faccia premuta contro il mio petto.

“Ma adesso chi cavolo chiamo per portarlo a casa?”

Mi voltai verso gli altri, ma non era il caso di chiedere loro un passaggio a meno che non volessi farli schiantare contro un muro.

Il cellulare vibrò nella mia mano e per poco non lo scaraventai a terra per la paura, quell’aggeggio ne aveva già passate troppe. Lessi il messaggio appena arrivato, notando poi che ce n’erano anche altri inviati dallo stesso contatto.

Roberto

Dove sei? inviato alle 2:06

Dimmi quando devo passarti a prendere inviato alle 2:35

Devo venire? inviato alle 2:44

 

- Ro…chi è Roberto? -

Lo dissi con una punta di gelosia nella voce.

- U-uhm… -

Il ragazzo si stropicciò gli occhi.

- Il…compagno di mamma -

Sospirai di sollievo, scacciando via dalla testa l’immagine del tizio del parcheggio.

Cercai quel contatto nella rubrica e ascoltai il cellulare bussare, provando un po’ di imbarazzo perché non avevo mai visto quell’uomo. Ricordai che una volta Riccardo aveva accennato a un compagno il giorno dopo che il presunto stalker si era presentato a casa sua, rompendo la finestra.

Una voce maschile rispose dall’altro capo del telefono, con un tono preoccupato.

 

 

  
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