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Autore: Urban BlackWolf    25/07/2017    4 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il peso della coscienza

 

 

 

Paese di Altdorf. – Sponda orientale del lago dei Quattro Cantoni.

Svizzera centrale – 19/6/1915

 

“Signore, mi avete mandato a chiamare?” Fissando le spalle del superiore seduto davanti alla finestra il giovane soldato si portò la mano destra al berretto mettendosi sull'attenti.

“Fate preparare gli uomini. Partiamo tra venti minuti.” Non ritenendo di aggiungere altro sentì un leggero battere di tacchi e la porta della sua camera aprirsi per poi chiudersi nuovamente.

Mantenendo lo sguardo fisso alle poche righe dei fogli sparpagliati sulla scrivania avvertì bruciore alla bocca dello stomaco. Lo stesso fastidio che ormai da alcune settimane gli si era insinuato nelle viscere e che da circa trentasei ore si era acutizzato insopportabilmente. Sapeva da cosa fosse dipeso quel malessere. Rileggendo per l'ennesima volta quelle frasi ormai imparate a memoria, incurvò leggermente la schiena poggiando entrambi gli avambracci sul piano legnoso sentendo montare la rabbia.

Signor Kaiou sono felice di informare Voi e vostra moglie che sua figlia Michiru ed io saremo a Berna all'imbrunire di questa sera.

Portandosi un pugno alla bocca respirò profondamente inalando come ossigeno velenoso. Scansando con due dita il primo telegramma lesse il secondo socchiudendo gli occhi.

Al Tenente Henry Smaitter, distaccamento dell'esercito Elvetico di Bellinzona. Con il presente comunico l'avvenuto ritrovamento della signorina Michiru Kaiou nella città di Altdorf e la fine dall'incarico. Devo altresì denunciare che la fuggitiva Giovanna Aulis, di supporto presso il Vostro Comando come staffetta, è attualmente ricoverata presso il paese di Tilone impossibilitata nel muoversi e sarà a breve messa agli arresti e ricondotta al corpo d’appartenenza.

Menzogne! Tutto un'insieme coerentissimo di mancanze che per sua stessa mano e convinzione erano state inviate e che ora lo costringevano a porre immediato rimedio. Daniel non si era mai reputato un uomo meschino, ma vendicativo si. Quando aveva fatto leggere il mandato di cattura per quella donna alla sua fidanzata, con la promessa di distruggerlo non appena fosse stata sancita la loro unione, sapeva già che avrebbe ordinato ai soldati di Bellinzona di ritorno al Comando, di deviare per quel paese e porre agli arresti la staffetta. Non era mai sceso a patti con una donna e non lo avrebbe certo fatto per Michiru, anche se si trattava di una Kaiou. Ma il destino lo aveva giocato o meglio, la sua fidanzata lo aveva fatto, ed ora non poteva che constatare di avere per le mani solamente un pugno di mosche.

Quattro dei dieci fanti che stava ancora comandando erano appena ritornati da Tilone con la notizia di non avere trovato tracce ne della staffetta, ne tanto meno delle allieve del collegio di San Giovanni. Giocato! Era stato giocato da un branco di ragazzine, ed ora si ritrovava con fogli stracolmi di compromettenti falsità, la reputazione ad un passo dalla distruzione e l'orgoglio iracondo. Se da una parte poteva additare la colpa del mancato arresto della staffetta all'inettitudine dei soldati della Confederazione, lenti, male addestrati e per nulla inclini all'obbedienza, uscendo quasi illeso di fronte agli occhi del Tenente Smaitter, dall'altra non avrebbe potuto nascondersi al giudizio di Viktor Kaiou.

Digrignando i denti al dolore nel collo che il colpo a bruciapelo gli aveva lasciato, il medico si alzò dalla sedia della scrivania posando le mani l’una nell’altra dietro alla schiena perdendosi nel cielo terso al di la dei vetri della finestra. Sapeva che era stata lei! Non ne aveva le prove perché non vista, ma lo sapeva ed avrebbe fatto pagare a quella deviata tutto! L'abbattimento del suo ego nel fango di quella stradina era solamente l'ultima delle umiliazioni che Haruka Tenou avrebbe scontato. Quegli occhi carichi di sfida all'autorità costituita, la postura dritta, l'arroganza nella voce e lo smacco, dolorosamente cocente, di sapere Michiru preferire quelle labbra alle sue. Quelle mani alle sue.

E poi non era solamente una questione di principio, di rivalsa; doveva trovarle, perché anche se il sapere di un coinvolgimento amoroso tra le due non lo turbava più di tanto, convinto com'era che si trattasse solamente di un capriccio post adolescenziale della sua promessa, il perdere la faccia di fronte ai Kaiou, all'alta società bernese e ai privilegi che si sarebbero affacciati se fosse riuscito a farne parte, era peggio di saperle perversamente unite in chissà quale gioco carnale.

E poi... la voleva! Voleva Michiru con tutto se stesso, con ogni stilla di forza libidinosa che sentiva di avere nel corpo. Sin dalla prima volta che l'aveva vista, in quella sala da ballo, alla festa danzante che il sindaco di Merano aveva indetto per salutare i raccolti di fine estate. Bellissima, una visione cinta da un abito da sera blu notte. I guanti del medesimo colore, un nastro a sorreggerle i capelli alla nuca, il collo sottile abbracciato da un pendente acquamarina, la figura aggraziata e i suoi occhi, dolcissimi, audaci e profondi. E quella voce, pura e vibrata come quella del suo strumento preferito; il violino. Si era presentato immediatamente facendo poi ricerche accurate, ma discrete, su quella fanciulla scesa dalla Svizzera solamente un anno prima, allontanatasi dalla famiglia d'origine per svolgere il ruolo d'insegnante in uno dei collegi più altolocati dell'Austria meridionale. Intraprendente, colta, estremamente posata, ben disposta al dialogo, ma soprattutto all'ascolto, unica erede di una delle famiglie emergenti di Berna, forse un po' troppo indipendente ed emancipata, ma degnissima di ogni considerazione. Aveva fatto carte false per conoscerla fino a quando la buona sorte non aveva fatto liberare un posto come medico nello stesso collegio nel quale lavorava e tutto da quel momento era andato come doveva andare, tutto fino alla comparsa di quella stramaledetta montanara. Daniel Kurzh si sentiva dannatamente sull'orlo del baratro, sentiva di stare per perdere tutto e se non avesse agito prontament, ogni suo sogno sarebbe andato in frantumi.

Guardando la piantina di zona lasciata aperta sulla scrivania la rigirò osservandola con attenzione. Quando la signorina Aino aveva annunciato che non li avrebbero seguiti, aveva menzionato Zurigo. Ormai all'uomo era chiaro che avevano agito in quella maniera per aiutare la staffetta ad allontanarsi da Tilone perché impossibilitata nel farlo da sola, ma forse la meta non faceva parte dell'inganno, forse realmente volevano dirigersi nel Cantone tedesco e li si sarebbe diretto, gettando sul tavolo di quella storia l’ultima carta utile che ancora sentiva di possedere per ribaltare la partita a proprio favore.

 

 

La notte era stata un'agonia. Immerse nella luce tremolante di un paio di fuochi da campo, ognuna delle ragazze aveva scelto di affrontare quello che era accaduto a modo suo.

Minako, sempre gioviale, allegra e piena di entusiasmo al pari della piccola Usagi, aveva silenziosamente affiancato il suo sacco da viaggio a quello di Makoto, non parlando o compiendo gesti eclatanti, rimanendo semplicemente a stretto contatto d'occhi, sapendo che se l'amica avesse necessitato di qualche cosa lei sarebbe stata li, pronta ad intervenire, guardinga vedetta del suo gruppo.

Rei, francese ed appartenente perciò ad un popolo oppresso dalla tirannide teutone, contro ogni logica politica manifestata fino a quel momento per una tedesca, coricata ma non dormiente, aveva continuato ad accarezzarle la schiena, fino a quando anche l'ultima lacrima di una devastazione interiore incolmabile, non aveva decretato per l'amica la tregua di un sogno comunque agitato e popolato d' incubi.

Usagi aveva cercato di fare quello che meglio le riusciva, ovvero manifestare affetto con parole, gesti e sguardi. Al rifiuto dell’altra di mangiare la deliziosa carne rimediata da Stefano, era arrivata addirittura ad imboccarla, impressionata da quello sguardo vitreo e da un mutismo inquietante.

Ami, più controllata di tutte le altre quattro, forte della sua maturità e di una professione che l'aveva spesso vista costretta a muovere il palmo della destra per chiudere per sempre le palpebre della morte, aveva preso ad osservare Kino da lontano, studiandone atteggiamenti e mosse post traumatiche, convinta che l'atto di strappare la vita ad un uomo, anche se della peggior specie, non sarebbe stato superato molto facilmente.

Giovanna da per se non aveva chiuso occhio. Non era riuscita ad assistere a quella scena, ma ad un'altra si e al solo ripensare alla sorella sbattuta contro quella roccia con quell'energumeno pronto a prenderla con la forza, una violenta carica d'odio tornava a spazzar via la buona coscienza di un'indole pacifista, ed il vedere Makoto in quelle condizioni la spingeva a pensare a cosa sarebbe successo a lei se la mano di Haruka non le avesse tolto la pistola dalle dita. Lo avrebbe ucciso. Gli avrebbe sparato e ne avrebbe goduto. Tanto bastava per farla sentire male.

Michiru in quella notte opprimente aveva continuato a tenere tutte sott'occhio, come una leonessa con la sua colonia, dando alla bionda ciò che voleva per farla tornare tranquilla. Se l'era tenuta stretta non pretendendo che si sfogasse, ma capendo benissimo la situazione, era stata di una dolcezza ed una comprensione incredibili. Quando quella bestia aveva trascinato Haruka fuori dal battuto, lei aveva iniziato a divincolarsi per raggiungerla e più la stretta dell'altro uomo si cementava alle sue braccia e più lei sentiva di non potergli obbedire. I lividi che le erano apparsi sui bicipiti erano un segno di quella lotta disperata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per andare da lei, qualsiasi.

E giunto il mattino con la sua aria frizzante di sgocciolante rugiada, mentre il sole si ergeva lento spargendo i suoi raggi sugli impalcati arborei accesi di luce, il gruppo si rimetteva in cammino verso una nuova meta; la città di Zurigo. Michiru non sapeva cosa avrebbe fatto una volta giunta a destinazione. In tasca non avevano che pochi franchi, quelli rimasti dal viaggio uniti alla generosità di Stefano, che aveva dato a Giovanna tutto quello che poteva in caso di bisogno.

Secondo i calcoli dell'insegnante non avrebbero dovuto trovare troppe difficoltà nel riuscire ad arrivare all'ospedale militare nei pressi di Basilea dove Wolfgang Aino era stato ricoverato, ma ben più complesso sarebbe stato far partire Makoto per Wehr, la sua città natale. Avrebbero trovato le frontiere chiuse e la linea ferroviaria interrotta, com'era successo per Ami. Per di più la ragazza tedesca non appariva certo in grado di viaggiare da sola.

Michiru sospirò sistemandosi meglio lo zaino sulla schiena già bagnata di sudore.

“Cosa c'è?” Le chiese Haruka stirando un sorriso forzato. Che domanda idiota sentiva di aver fatto.

“Stavo pensando a cosa faremo una volta giunte a Zurigo.” Confessò girandosi per guardare un attimo Makoto.

“Non crucciarti Michi. Vedremo il da farsi una volta giunte in città. Ormai dovresti aver capito che in questo viaggio nulla può essere messo in preventivo, giusto?”

L'altra respirò pesantemente. Non amava i cambi improvvisi di programma. La facevano sentire vulnerabile. Accettò con gratitudine una carezza vedendo Usagi avvicinarsi.

“Michiru...” Il suo sguardo azzurrissimo continuava ad essere velato da una giustificata preoccupazione.

“Ho paura che Mako abbia qualcosa che non va.”

“Certo che ha qualcosa che non va, ha ucciso un uomo!” Si intromise cruda Haruka venendo immediatamente zittita da un'occhiataccia dell'insegnante.

“Mmmm... Scusate.” E grattandosi la fronte le seguì dalle altre fermatesi ad un paio di metri.

Makoto era seduta su un tronco e si teneva le mani tra i capelli. A testa china aveva ripreso compostamente il suo pianto silenzioso, non rispondendo o guardando nessuna di loro.

“Dai Mako, su coraggio, alzati, dobbiamo andare.” Giovanna non era portata per quel genere di cose e ringraziò Michiru quando la vide accovacciarsi accanto a lei.

“Makoto ascoltami, purtroppo ormai è accaduto. Mi hai protetta e di questo non potrò mai ringraziarti abbastanza. So che è difficile, ma devi accettare il fatto di aver compiuto una brutta azione, ma senza la quale io avrei potuto subire cose piuttosto gravi. - Le mani in quelle dell'altra per costringerla a guardarla. - Ora cerchiamo un modo per farti tornare a casa.”

A quella frase la ragazza ebbe un fremito alzandosi di colpo. Con lo sguardo fisso in un punto non definito della foresta, raccolse il bastone che l'aiutava nella marcia e contro animali striscianti e tornando a camminare con rinnovato vigore le precedette aprendo la fila. Michiru e Giovanna si rialzarono lentamente guardandosi poco convinte. Haruka scosse la testa iniziando a seguirla. Quella situazione non le piaceva per niente.

 

 

Stefano tirò le briglie guardando i due commilitoni avvicinarsi al galoppo. Se correvano così poteva voler dire che avevano notizie. Se correvano così forse le avevano trovate. Stringendo le redini cercò di avvicinarsi il più possibile alla cavalcatura del Sottotenente per sentire meglio. Sapeva di essere controllato da un paio di colleghi. Dalla fuga di Michiru non era stato lasciato solo un attimo ed era sempre più difficile avere libertà di movimento. Si fidava di pochissimi uomini, tutti nati e cresciuti nel suo stesso quartiere, ma degli altri doveva stare attento, ed uno di loro era sicuramente diventato una spia di Kurzh.

“Signore, alcuni contadini hanno visto un gruppo di persone dirigersi verso il bacino di FullerGraft.”

“In quanti erano?” Non voleva fare un buco nell'acqua iniziando a girare a vuoto per sterrati inseguendo semplici scalatori o boscaioli.

“Non hanno potuto confermarlo, ma la cosa interessante è che uno di loro aveva le stampelle ed è strano perché andavano verso il crinale.”

Perfetto, si disse aprendo la cartina identificando il lago che nasceva dalla confluenza di tre torrenti.

“Muoviamoci allora. Percorrendo i sentieri secondari potremmo bloccarle prima di sera o al piè tardi nella giornata di domani.”

 

 

Si fermarono un paio di volte per riposare in una delle quali consumando il pranzo. Approfittando di un laghetto di montagna Usagi pescò qualcosa e Haruka cacciò una lepre. Ben poca cosa se paragonate a tutte le proteine che avrebbero dovuto assimilare per provare a concludere quel viaggio, ma si accontentarono riprendendo a camminare subito dopo le due del pomeriggio. Il sentiero non era molto impervio, tutt'altro. Se paragonato al San Gottardo poteva dirsi più una semplice scarpinata che una scalata vera e propria. Solo un tratto si presentava abbastanza complesso; trenta metri di sentiero sconnesso scavato nella roccia che costeggiava una ripida gola, largo più o meno ottanta centimetri, pieno di vegetazione e piante spinose. Davanti un salto di svariati metri. In fondo, rumoroso e violento, uno dei tre ruscelli che andavano a gettarsi in un lago artificiale poco più a valle.

Arrivata davanti al costone di roccia Haruka iniziò a fissarlo. Non era un passaggio adatto alle ragazze, ma avrebbero guadagnato ore di marcia e tempo. Tanto tempo. Quasi un giorno.

“Piantando quattro o cinque chiodature d'ancoraggio ce la possiamo fare.” Disse alla sorella sfilandosi lo zaino.

“Non possiamo fare diversamente?” Chiese Giovanna sporgendosi per guardare il sentiero venendo investita da una folata di vento.

“Vorresti arrivare al torrente qui sotto e metterci il triplo del tempo?!” Acida guardò le stampelle storcendo la bocca.

Bisognava solamente ragionare con calma. Lei avrebbe aperto la cordata, Michiru l'avrebbe chiusa e la sorella sarebbe stata messa esattamente nel centro della fila, accanto a Makoto che all'occorrenza l'avrebbe aiutata.... “Dannazione!”

“Vedo che hai messo a fuoco Ruka mia. Non possiamo più contare sulle braccia e la forza di Kino. Almeno per ora.”

Intimandole di non muoversi e soprattutto, di non fare del sarcasmo idiota, la bionda andò da Ami cercando di capire quali sforzi potesse compiere Giovanna per non rischiare di far saltare tutti i punti. Spiegando all'infermiera la complessità del passaggio ebbe un secco no che la costrinse a rivedere tutto il percorso.

“Va bene allora opteremo per il greto del torrente. Torniamo indietro al bivio e scendiamo di li.”

“D'accordo Ruka, ma anche se partissimo ora stiamo strette con i tempi. Abbiamo si e no cinque ore di luce e con questa gamba ti assicuro che non riusciremo a scendere e risalire prima di notte e sai meglio di me che non ci si accampa mai sul greto di un torrente.”

Giovanna aveva ragione. Se a causa di qualche pioggia più a monte le acque si fossero alzate improvvisamente, il loro bivacco avrebbe rischiato di essere travolto. Sempre più risentita la bionda si guardò allora intorno mani sui fianchi e scuotendo la testa decretò la fine della marcia giornaliera. “Ci rimetteremo in cammino domani mattina. Scenderemo e risaliremo arrivando al lago di FullerGraft in serata.”

“Ma non abbiamo visto spazi sufficientemente ampi per approntare un bivacco.” Intervenne Minako ancora piena d'energie.

Sentendosi accerchiata da un borbottio di ribellione la bionda alzò le mani cercando d'imporre autorità. “Vorrà dire che dormiremo avendo meno spazio. L'importante è il fuoco, per il resto possiamo arrangiarci. Se necessario ci stringeremo, ma non riposeremo sul greto di un corso d'acqua.”

“Ma ieri lo abbiamo fatto e non è stata neanche la prima volta!” Intervenne Rei con saccenza e Haruka esplose stanca di dover dare spiegazioni sul suo operato a gente ignorante di montagna.

“Boia di un cane, ma cosa ce l'avete a fare la testa! E che cavolo, ragionate! Ogni volta abbiamo stazzato più in alto del greto e lontane a sufficienza per stare in sicurezza. Comunque signorina Hino, fino a prova contraria non devo giustificarmi con nessuna! La guida sono io, io do le direttive di viaggio, io decido la disposizione di cordata, io dico quando ci si alza, si mangia e ci si corica e non voglio sentire più lamentele! Sono stata chiara!?”

Viso a viso la mora socchiuse gli occhi inalando pesantemente aria. “Non credevo che questo gruppo si fosse trasformato in un regime.”

“Bè novità delle novità... si, lo è!”

“Haruka dai basta.” Provò Giovanna accarezzandole la spalla.

“Si ragazze. In fin dei conti Rei voleva solamente capire.”

“Non difenderle sempre Michi! Ha fatto una domanda idiota! Se avesse ragionato ci sarebbe arrivata da sola.”

“Che cosa? - Rei le andò sotto come pronta a menar le mani. - Ma come ti permetti zotica montanara che non sei altro!”

Sbottando a riderle in faccia l'altra si arpionò il viso con una mano iniziando a scuotere la testa. “Ma che mi tocca sentire. Hino non è il caso con me.”

“Chi ti credi di essere Tenou?!”

Al sentire il suo cognome Haruka tornò immediatamente seria rendendo i suoi occhi glaciali. Giovanna e Michiru si fiondarono frapponendosi alle due.

“Ora ci diamo una calmatina... Tutte!” Disse Giò guardandole alternativamente.

“A per me... Ma che badi a non starmi troppo tra i piedi.” Stuzzicò la guida.

“Non ti preoccupare non c'è pericolo cara. Non tutte pendiamo dalle tue labbra.” Colpì ravvivando la brace.

“ Basta Rei!” Questa volta Michiru si vide costretta ad alzare la voce prima di venire interrotta da Usagi, che guardandosi intorno chiese dove fosse Mako.

“Ma era proprio qui! Accanto a me!” Minako si girò a trecentosessanta gradi iniziando a chiamarla imitata dalle altre.

“Ecco ci mancava anche questa adesso!” Masticò nervosamente la bionda non capendo come potesse essere sparita nel nulla.

“Mako...” Chiamò Usagi sentendo il suo eco perdersi in lontananza, verso lo strapiombo e proprio abbandonando gli occhi a quell'infinità di rami e foglie abbarbicati al costone, che un pensiero atroce la colse.

“Oddio Santissimo e se...” Ed inginocchiandosi di fronte al quel salto piantando i palmi sulle rocce si sporse guardando di sotto fino a quando Haruka non le catturò la cintura dei calzoni strattonandola all'indietro.

“Ma di... sei scema?!”

“Haru e se si fosse...”

“Usagi non dire sciocchezze! Eravamo tutte qui! Non può essere scivolata di sotto.” Intervenne Michiru mentre Giovanna faceva capolino sul camminamento.

“Scivolata forse no, ma ragazze... Guardate.”

A circa venti metri da loro Makoto stava schiacciata spalle alla roccia e sguardo rivolto verso un punto lontano, oltre lo strapiombo, il costone opposto e forse anche il cielo stesso. Il viso di pietra, la muscolatura tesa, i palmi serrati alle erbacce della parete.

“Ma come ha fatto ad arrivare fino a li?!” Si chiese Haruka cercando di tenere le altre lontane.

“Mako! Dobbiamo fare qualcosa Ruka.”

“Lo so Michi, stai calma. Adesso vado a prenderla.” Disse iniziando a sentire la tensione.

Imbragata in un paio di minuti, con una manciata di chiodi nella tasca posteriore e la piccozza nella destra, la bionda iniziò a scivolare con passo felpato lungo la parete faccia alla roccia. Compiuti i primi passi ed avvertita sotto le suole la vegetazione scivolosa e le schegge pietrose, conficcò un primo chiodo passando la corda nell’occhiello entrando così in sicurezza. Qualche altro metro e ne piantò un secondo. Poi un terzo.

“Makoto sto arrivando. Non muoverti.” Agganciando il moschettone si voltò lentamente verso lo strapiombo chiudendo gli occhi alla corrente proveniente dal basso. Si, decisamente non sarebbe stato un passaggio facile. Lentamente riprese a camminare sentendo le caviglie tremarle sotto le asperità seni nascoste dal verde.

Tu guarda se questa volta non mi vado a rompere una gamba, pensò serrando la destra alla piccozza.

“Mako sono qui... arrivo.” Un altro passo e qualcosa cedette sotto il piede d'appoggio e la bionda scivolò paurosamente verso il vuoto.

“Ruka!” Urlò Giovanna vedendola poi aggrappata alla corda.

Ma porca, porca, porchissima di quella puttana. “Sto bene tranquilla!”

E mentre Giovanna scambiava uno sguardo con Michiru ferma dietro di lei, Usagi ne approfittò per sgattaiolare verso l'accesso al sentiero. Sorreggendosi alla corda iniziò a camminare lentamente verso le altre due.

“Usa no!” L'insegnante provò ad afferrarla, ma in pratica franò su Giovanna.

La bionda se la vide arrivare di gran carriera sgranando gli occhi esterrefatta. “Ma dannazione Tzukino, che fai?!”

“Non puoi farcela a portarla in dietro da sola.” E pian piano riuscì a raggiungerla.

“Tu sei pazza! Non è un gioco!”

“Lo so, ma Mako è mia amica e non la lascerò da sola, chiaro?!” Più che risoluta la ragazzina ritenne chiusa la questione.

Sospirando e lanciando mentalmente un altro paio di imprecazioni che tanto male non facevano, la guida riprese a camminare lentamente mettendo un piede affianco all'altro seguita dalla piu' piccola.

“Mako, Mako siamo qui. Guardaci.” Urlò la biondina sporgendosi per uscire dal “cono d'ombra” del tronco dell'altra.

Bloccandole lesta il petto con il palmo della sinistra Haruka cercò di respirare più lentamente possibile. Forse quell'impiastro belga non se n'era resa conto, ma la porzione di roccia sulla quale stavano ora camminando si era notevolmente ridotta.

“U..SA...GI, non sporgerti così.” Soffiò tra i denti.

“Cosa?” Una rapida occhiata al baratro e via, schiacciata ansimante contro la roccia.

“O mammina.”

“O mammina dici? Be, vedi di non farti prendere dal panico, perché non voglio ritrovarmi ferma tra due fuochi. Intesi?”

Scuotendo vistosamente la testa l'altra riprese a seguire la più grande fino ad arrivare abbastanza vicino a Makoto. Nulla da dire; quello sguardo completamente assente non presagiva nulla di buono. Faceva una certa impressione pensare che neanche quarantotto ore prima, quella solare creatura dall'animo spigliato era una semplicissima ragazza come tante altre, mentre ora la vita l'aveva trasformata di colpo e brutalmente in un'adulta. Haruka si morse le labbra iniziando a preparare la corda da passarle attorno alla vita.

“Makoto hai visto? Sono riuscita a raggiungerti. Credevi non ce la facessi vero?!”

“Usa... vattene!”

La sentirono finalmente parlare per la prima volta da quando aveva premuto il grilletto.

“E perché scusa?”

“Tu non capisci, nessuna di voi può capire. Ho ucciso! Ho ucciso un uomo e non potrò mai essere perdonata per questo!” Nella voce nessuna incrinatura, nessun cedimento.

“Non dire così. Te lo ha detto anche Michiru. Lo hai fatto per salvarla, per proteggerla. Non avevi scelta.”

“C'è sempre una scelta!” E mosse pericolosamente il piede sinistro verso il baratro.

Haruka iniziò a sudare freddo. Se avesse deciso di lanciarsi nel vuoto non avrebbe potuto impedirglielo.

“Può anche darsi, ma è accaduto tutto troppo in fretta. Non si poteva fare diversamente e tu lo sai benissimo.” Ma l'altra iniziò a staccare le spalle dalla roccia fissando il vuoto.

No, così non va, si disse la bionda provando a fare qualcosa. “Makoto ascoltami, quello che stai affermando può anche essere vero, ma ora hai una nuova scelta, ovvero quella di continuare a vivere provando a porre rimedio a quello che hai dovuto fare. E poi vorresti forse far trascorrere tutta la vita della tua amica con i sensi di colpa per non essere riuscita a riportarti in dietro?” Vide la ragazza voltarsi un attimo e guardare Usagi intimandole poi di portarla via.

“Io? Dovrei portarla via io? Ma lo sai quanto può essere testarda quando ci si mette.” Disse finendo di intrecciare la corda con l'ultimo nodo.

“Mako, tutto si risolverà. Pensa a tua madre, hai tuoi nonni e a tutti quelli che ti stanno aspettando a casa e che ti vogliono bene.” Supplico' Usagi.

Nel sentire quelle parole l'amica poggiò per un attimo le spalle alla roccia e la guida ne approfittò per cancellare l’ultimo metro che le separava.

“Sta ferma Haruka!” Minacciò sporgendosi più di prima e alzando le mani l'altra tornò ad allontanarsi di un passo.

“Va bene Kino. Non mi muovo... visto?! Non mi muovo!”

“Non lo capisci Usa? Come posso tornare a casa dopo avere insudiciato le mie mani con la colpa?! Non posso. Proprio non posso. Come potrebbe mia madre continuare ad amarmi sapendo che sono un'assassina? Meglio sapere di avere una figlia morta!”

A quelle parole un ricordo frustò Haruka. Una stanza, lei seduta sul letto e sua madre inginocchiatale davanti. Ve lo chiedo con il cuore madre, non lordatevi le mani con una come me.

Come potrei lordarmi le mani toccando la creatura alla quale ho dato la vita?

Una situazione completamente diversa, ma lo stesso identico terrore di non essere più accettata.

“Non è vero!” Sbottò avendone ormai le scatole piene di tutte quelle fesserie senza senso. Le sembrava di ascoltare la voce dei suoi pensieri giovanili.

“Scomparendo dalla faccia della terra non proteggerà i tuoi cari dal dolore che proverebbero nel perderti. Fuggire Makoto non ha mai risolto nulla, anzi. Te lo dice una che non ha fatto altro per tanto, tantissimo tempo, finendo per ferire chi amava e rinunciando alla sua vita per seguire convinzioni vigliacche e menefreghiste.”

“Haru...” La guardò Usagi non riuscendo a capire bene il senso di quelle parole, ma Minako si. Spostando le sue iridi dal vuoto alla ragazza più grande serrò la mascella iniziando a piangere.

“Ti posso assicurare che le persone che ti vogliono bene continueranno a farlo nonostante tutto. Dovessero andare contro il mondo intero per farlo.- Iniziando a farle scivolare la corda sulle spalle arrivò ad allacciargliela saldamente alla vita. - Ci vorrà tempo Mako, ma andrà meglio vedrai.”

“Non ce la faccio Haruka.”

“Si che ce la farai. Non oggi, non domani, ma ce la farai. Usagi ha ragione; non sei sola.” Le sorrise asciugandole le lacrime.

Imbragando anche la più piccola la bionda guardò la strada percorsa e quella ancora da percorrere. In situazioni come quelle era sempre meglio continuare ad andare avanti che tornare indietro.

“Michiru, Giovanna, ascoltate. E' meglio che porti le ragazze dall'altra parte. Troveremo un posto per passare la notte. Voi fate altrettanto. Ci vedremo domani al torrente qui sotto.”

“Ma come sta Makoto?” Chiese l'insegnante vedendo l'altra stirare le labbra.

“Meglio. Vero Mako? Non preoccupatevi, penserò io a loro.” E forte nell'avere coltello e pietra focaia sempre con se, incoraggiò la tedesca a muoversi per compiere gli ultimi metri.

 

 

Comprensorio abitativo di Monte Carasso, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 28/5/2017

 

Diga sul bacino artificiale del lago FullerGraft. Aperta un'inchiesta. Ritrovati inneschi che farebbero pensare ad un sabotaggio. Coinvolto un ufficiale dell'esercito Austroungarico in missione per conto di una famiglia elvetica. Si prevedono insabbiamenti.

Michiru sorrise alzando le spalle. Erano passati cento anni, ma la prassi di far sparire la verità non era mai stata tanto attuale.

Stiracchiandosi la schiena guardò il monitor soddisfatta. Ritrovare quel ritaglio di giornale era stato un colpo di fortuna, perchè nella sua ricerca notturna, attraverso il tempo e la storia del suo paese, era riuscita finalmente ad imbattersi in un nome, uno dei due che tanto stava affannosamente cercando da più di cinque ore; Milena. Il realtà ne aveva trovate più di una, tutte trascritte nell'archivio cittadino di Bodio, tutte, tranne una, sposate con altrettanti uomini del luogo e tutte, tranne una, nate e vissute fino alla fine dei loro giorni in quella zona.

Solamente una “straniera” proveniente dal nord della Confederazione aveva catturato la sua attenzione e riuscendo a seguirne le sporadiche tracce, era giunta a leggere quell'articolo uscito su un giornale locale di Lucerna verso l'inizio dell'estate del 1915. Aveva ancora le idee molto confuse e poteva anche darsi che tanta dedizione non sarebbe riuscita a portarla a nulla, ma era comunque contenta di sapere che con molta probabilità uno dei due nomi incisi sulla lapide dell'altopiano non aveva visto una fine tanto prematura. Si, perché in quel giorno di cento anni prima su una delle dighe del lago FullerGraft, accanto ad un gruppo di staffette proveniente proprio dalle loro parti, Michiru vi aveva trovato anche il nome della giovane Milena.

Dell'altra donna invece, nessuna traccia. Heles sembrava non essere mai venuta al mondo. Aveva trovato il suo nome solo una volta, affiancato a quello dell'altra nell'annuario del Comune di Bellinzona. Michiru aveva paura che il motivo fosse quello ipotizzato da Haruka e da tutti coloro in possesso di un briciolo di pragmatismo. Si era sempre in guerra e la frontiera con l'Italia era a pochi chilometri.

Stringendo le labbra guadò la porta della loro camera da letto e poi l'orologio della cucina. Strano che la sua dolce metà non si fosse già svegliata vogliosa di un caffè. Evidentemente la scalata del giorno precedente l'aveva piegata molto più del previsto. Ridacchiando si alzò dallo sgabello ed aprendo leggermente l'anta lasciò che la luce le inondasse il volto ancora immerso nel mondo dei sogni. Pancia sotto, abbarbicata al cuscino come una cozza allo scoglio, non sembrava proprio intenzionata ad uscire quel letargo.

Altro che cavallino di fanteria. Dovrei chiamarti orso. Pensò beandosi delle dolcezza che Haruka manifestava a livelli preoccupanti ogni volta che si abbandonava al sonno.

 

 

 

Note dell'autrice: Credo di aver “spoilerato” qualcosa, ma ormai siamo alla fine della nostra storia (ma forse farò un allegato) e perciò, visto che questo capitolo non mi ha catturata più di tanto, ho voluto renderlo un po' più pepato. Va be, non è che si capisca qualcosa, ma io, a differenza vostra, so già come va a finire ... pa pa pero.

Comunque quello che è chiaro che il dottor belloccio non si è ancora arreso e non lo farà fino alla fine, rendendo tutto ancora una volta faticoso. Sfiancante.

Per quanto riguarda la reazione di Makoto, credo possa starci, anche se dannatamente cruda e, a mio parere, ingiustificata.

Un inciso; la storia che sta trovando Michiru su Heles e Milena può sembrare molto simile a quella delle protagoniste del sogno di Haruka, ma non e' identica.

Per il resto, vi ringrazio come sempre e sperando di non deludervi vi do appuntamento alla prossima.

Ciauuuu

 

   
 
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