Storie originali > Favola
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Autore: Beauty    25/07/2017    2 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V
 
The Traitor's Offspring
 
 
 
C'era una volta...un soldato valoroso che tornava
dalla guerra. Nonostante il suo coraggio, le sue tasche erano
vuote e la spada era rimasta la sua unica ricchezza”.
 
H. C. Andersen, L'acciarino magico
 
 
 
 
 
New York, 2015. Ore 2:30 a.m.
 
LA VOCE APPENA METALLIZZATA della giornalista giungeva dal salotto, dalla parte opposta a quella della cameretta. Katie pensò che papà dovesse essersi addormentato un'altra volta di fronte alla TV.
- ...la polizia non ha lasciato alcuna dichiarazione. Sarah Hammonds, nove anni, è scomparsa ieri sera da casa sua, intorno alle ventidue e trenta. La madre, Kelly Hammonds, segretaria presso uno studio legale, sostiene di essere entrata nella cameretta della piccola per controllare se stesse dormendo. La stanza era in ordine, la finestra chiusa dall'interno e non vi era alcun segno di effrazione o colluttazione. La sorella maggiore della bambina, Anne Hammonds, studentessa del liceo, che riposava nella camera accanto, afferma di non aver udito alcun rumore, esattamente quanto riportato dalla stessa signora Hammonds, la quale ha raccontato di aver messo a letto la figlia intorno alle ventuno. Ha aggiunto inoltre che la bambina appariva serena e tranquilla.
La scomparsa di Sarah ha molto in comune con quella avvenuta sabato scorso in un quartiere molto vicino a quello in cui si trova la casa della famiglia Hammonds: Joey Mitchell, sette anni, è scomparso dalla sua cameretta apparentemente senza che nessuno si sia introdotto in casa con la forza per prelevarlo.
Il procuratore Albert Crawford ha assicurato che...
Katie tirò un sospiro di sollievo quando sentì il padre sbadigliare e poi spegnere la televisione. I passi pesanti del papà si trascinarono lungo il corridoio, e un attimo dopo la bambina lo sentì coricarsi a letto. L'intera casa cadde nel buio e nel silenzio.
Katie si raggomitolò sotto le coperte. Era contenta che la voce della giornalista fosse cessata. Mamma e papà guardavano sempre il telegiornale, la sera, ma a lei non piaceva: si sentivano sempre un sacco di brutte notizie, alcune delle quali la spaventavano o comunque la facevano andare a letto con un senso d'inquietudine.
Il rumore di lenzuola che frusciavano la fece sussultare, ma comprese subito che si trattava di suo fratello che cambiava posizione sul materasso. Katie tirò la testa fuori dalle coperte e si sporse dal letto.
- Toby...- chiamò sottovoce, sperando che suo fratello fosse ancora sveglio. Dividevano la stessa stanza, e i due letti erano paralleli l'uno all'altro, quello di Katie sulla destra della stanza e quello di Toby sulla sinistra. Sentì il fratellino mugolare e biascicare qualcosa.- Toby!- ripeté Katie, più forte.
Il bambino si girò a guardarla, assonnato.
- Che c'è?
- Hai sentito cosa hanno detto alla televisione?- sussurrò Katie.
- No...
- E' scomparsa una bambina - nel dirlo, Katie sentì un brivido correrle lungo la schiena.- L'hanno portata via dalla sua cameretta...
- E allora?- borbottò Toby, scocciato.
Katie avrebbe dovuto sapere che intraprendere quella conversazione con Toby si sarebbe rivelato controproducente. Suo fratello aveva otto anni e non temeva niente: era capace di guardarsi un intero film dell'orrore senza nascondere la faccia dietro il cuscino nemmeno una volta, giocava solo con videogames di zombie e collezionava figurine e modellini dei grandi mostri del cinema.
Contro alla parete opposta della stanza, a pochi metri dai loro letti, c'era una cassapanca che Toby aveva dedicato esclusivamente all'esposizione dei suoi modellini. Katie detestava tutte quelle brutte facce: Dracula, Frankenstein, la Mummia, l'Uomo Lupo...quando era buio come in quel momento le sembrava che gli occhi di plastica di tutti quei brutti ceffi prendessero vita e la scrutassero da lontano.
Katie rimase in silenzio per un paio di minuti, poi bisbigliò:- Toby?
Suo fratello sbuffò.
- Secondo te...chi è stato?- chiese Katie, nervosa.
Toby si mise a sedere sul materasso, e sebbene fosse buio sua sorella riuscì a intravedere un sorrisetto furbo e malizioso spuntare sulle sue labbra.
- Ma il mostro sotto al letto, no?
Katie trasalì.
- Non fare lo scemo!
- Io non faccio lo scemo. E' la verità. Sotto il letto di ogni bambino vive un mostro che ogni notte, mentre dormi, esce per controllare che tu stia diventando bello grasso, e quando è ora ti porta via per mangiarti. E gli piacciono soprattutto le bambine noiose e rompiscatole di nome Katie...
- Smettila!- ringhiò la sorellina, arrabbiata; ma il suo cuore aveva iniziato a palpitare più velocemente.
Toby ridacchio.
- E dai, stavo solo scherzando...!
- Non sei divertente!
- E tu sei una fifona - Toby sbadigliò, quindi si rimboccò le coperte.- Non c'è nessun mostro sotto al letto, stai tranquilla. Beh, buona notte...
- 'Notte...- pigolò Katie; dopo qualche minuto, sentì che il respiro di suo fratello si era fatto più pesante, segno che si era addormentato.
Katie rimase immobile a fissare il soffitto, gli occhi spalancati nel buio. Non riusciva a prendere sonno. La cameretta era completamente al buio, lei detestava le tenebre e lo scherzo di suo fratello le aveva lasciato addosso una certa agitazione. Pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo, non riuscì a impedirsi di guardare in direzione della cassapanca.
I modellini avevano un'aria ancor più sinistra e spettrale. Il Mostro della Laguna la fissava con la bocca melmosa spalancata e gli occhi vitrei, mentre la smorfia grottesca di Quasimodo non le sembrava così innocua come lo era alla luce del giorno.
Gli occhi della bambina incontrarono il modellino dell'Uomo Nero. Fra tutti i pupazzi di suo fratello, l'Uomo Nero era quello che la spaventava di più: era un mostro color della pece, con artigli al posto delle unghie, occhi rossi e famelici e la bocca contorta in un ghigno.
Katie si tirò la coperta fin sul naso. Non le piaceva, le faceva paura. Il buio e la tensione creavano l'illusione di un brillio negli occhi rossi dell'Uomo Nero, come se al posto della plastica avesse avuto dei bulbi oculari e la stesse...scrutando.
Katie strizzò gli occhi, ma quando li riaprì la sensazione non era scomparsa. L'Uomo Nero era ancora lì a fissarla.
La bambina si mise a sedere sul bordo del letto, cauta. Fece per poggiare i piedi a terra, ma le venne in mente la storia del mostro sotto al letto e li ritrasse. Si morse il labbro inferiore, poi prese un profondo respiro e spiccò un balzo, atterrando in piedi in mezzo ai due letti. Così, pensò, il mostro sotto al letto non avrebbe potuto afferrarle le caviglie e tirarla sotto.
Corse verso la cassapanca, prese l'Uomo Nero e lo chiuse in un cassetto.
Non fece in tempo a sospirare di sollievo che udì un mugolio alle sue spalle. Si voltò pronta a ricevere il rimprovero di Toby – suo fratello non sopportava che qualcuno toccasse i suoi modellini senza permesso –, ma rimase sconcertata: le lenzuola del letto di suo fratello si sollevavano e si abbassavano ritmicamente, come un fantasma fluttuante.
Katie deglutì, avvicinandosi.
- Toby?- chiamò, ma non ottenne alcuna risposta. Il mugolio si ripeté, e Toby scalciò di nuovo contro le lenzuola. O almeno, sperava che fosse Toby. Da dove si trovava, non riusciva a vedere la testa di suo fratello.
- Toby?- chiamò ancora.
Le lenzuola si sollevarono e si riabbassarono per l'ennesima volta, poi non si mossero più. Rimase solo una collinetta immobile e raggomitolata su se stessa, agitata solo da un flebile respiro sottostante.
- Toby?
La bambina arrivò sino al bordo del letto, nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la testa di suo fratello, ma Toby era invisibile; si distingueva solo la sua sagoma rannicchiata sotto le lenzuola.
- Toby?
Katie deglutì e allungò il braccio verso il letto. La mano le tremava. Scostò di scatto il lenzuolo.
Sgranò gli occhi e incespicò nel tentativo di allontanarsi.
Suo fratello non c'era. Toby era sparito.
C'era solo il materasso vuoto.
Katie iniziò a respirare affannosamente, con il cuore che sembrava volerle saltare via dal petto. Avrebbe voluto urlare, cercare suo fratello, correre ad avvisare mamma e papà, ma tutto ciò che riusciva a fare era fissare il segno sul materasso che rivelava che un tempo Toby era coricato in quel punto.
Udì un fruscio, prima lieve, poi più marcato.
Il buio. L'Uomo Nero. Il mostro sotto al letto.
Katie abbassò lo sguardo sui suoi piedi nudi, vicinissimi al letto di Toby.
Un paio di mani secche, nere e nodose spuntarono da sotto di esso e si avvolsero intorno alle caviglie della bambina.
Katie gridò e cadde a terra. Tentò di liberarsi, ma quelle mani avevano una forza straordinaria.
Fuori, nel corridoio, sentì i suoi genitori correre verso la cameretta. Fu un fugace barlume di speranza, ma inutile.
Gridò di nuovo mentre veniva trascinata sotto al letto, verso l'oscurità.
 
***
 
LA CARTA DEL FANTE di fiori andò a coprire il tre di denari.
Rosarossa si mordicchiò un angolo del labbro inferiore, studiando le carte che le erano toccate in sorte. Il fante valeva undici punti, soglia molto vicina alla carta del cavallo – dodici punti, la prima che lady Thorne aveva posato e che nessuna delle due era ancora riuscita a superare – e lei aveva fra le mani solo un dieci di picche, un nove di cuori, un cinque e un due di denari.
- Desidero pescare un'altra carta - annunciò.
- Mi lasciate via libera, Vostra Altezza - lady Thorne sorrise e calò la seconda carta di seguito: un dieci di cuori. Rosarossa sperò che le toccasse in sorte un asse, una regina o un re, e invece quando pescò dal mazzo ottenne solo un due di fiori.*
Lo calò senza entusiasmo.
Lady Thorne ridacchiò, quindi calò a sua volta la propria carta: la regina di denari.
Rosarossa osservò in silenzio mentre la sua avversaria effettuava la presa, vincendo la prima mano.
- Oggi sono fuori forma - commentò, pur sapendo di mentire. Non era mai stata brava a presa; quando era più piccola, non le era mai riuscito di vincere una sola mano contro sua sorella Biancaneve.
- No, Vostra Altezza. Siete solo sfortunata - lady Thorne sistemò il mazzo di carte appena vinto.- La presa è un gioco di fortuna. Non è come la zara, in cui occorrono strategia ed esperienza.
- Restate comunque la vincitrice.
Si trattava di una conversazione terribilmente tediosa e ricca di luoghi comuni, ma Rosarossa non fece neppure un tentativo per darle un tocco di colore. Perfino il silenzio che ne seguì fu totalmente privo di tensione.
Rosarossa si concesse qualche secondo per distrarsi ed ascoltare il crepitio delle fiamme nel camino acceso.
Non era mai venuta a conoscenza di quell'alloggio, prima che la Regina Cattiva disponesse che vi ci si trasferisse. Il che era buffo, dato che quel castello era stato la dimora di suo padre, e lei era una delle principesse; la logica avrebbe voluto che conoscesse ogni angolo del palazzo come le proprie tasche.
Invece, non era così.
Lei e sua sorella maggiore avevano trascorso l'infanzia quasi esclusivamente nella nursery dell'Ala Sud del castello, e raramente la lasciavano se non per cenare in compagnia del padre una volta alla settimana. Quando suo padre era ancora vivo, il palazzo reale era un luogo degno del nome che portava, non una fortezza militare.
Rosarossa sapeva poco del castello, e ancora meno conosceva della vita fuori di esso. Il re aveva specificatamente proibito qualsiasi forma di contatto con l'esterno alle sue due figlie. Rosarossa era molto piccola quando la regina era morta, non avrebbe saputo dire se la sua teoria si avvicinasse alla realtà o fosse solo frutto di un'ipotesi, ma sospettava che dopo la scomparsa della prima moglie, il re avesse iniziato a soffrire d'ipocondria.
Se c'era qualcosa che ricordava molto bene era il furioso strofinio della spugna contro la sua schiena ogni volta che le cameriere e la governante le facevano il bagno. Tutti là dentro tenevano in modo morboso che lei e Biancaneve fossero linde e pulite, vestite di tutto punto e in ottima salute.
Quando una delle due buscava un piccolo raffreddore, si scatenava un affannoso via vai e una sfilata di dottori ed erboristi fino a che il malanno non era passato.
Ogni volta si temeva che le due principessine avessero contratto la stessa misteriosa malattia che aveva portato la loro madre alla morte.
Rosarossa non sapeva come fosse morta la regina, così come non lo avevano mai saputo nemmeno Biancaneve, il re, i medici di corte o chiunque altro le fosse vicino. Si sapeva solo che la consorte di Sua Maestà aveva sempre goduto di una salute invidiabile, fino a che un giorno non aveva iniziato ad accusare debolezza, poi febbre molto alta, fino a che non si era messa a letto e qualche settimana dopo era morta. Tutto qui, nulla più e nulla di meno. La facilità con cui i demoni del Regno delle Ombre se l'erano portata via era disarmante.
Poco tempo dopo i solenni funerali, Biancaneve e Rosarossa erano state segregate nelle loro stanze, con la sola compagnia delle balie, della governante e delle cameriere. Trascorse un anno prima che potessero uscire di nuovo, e fu in occasione delle seconde nozze del padre.
- Desiderate giocare un'altra partita?- domandò lady Thorne; aveva l'aria rilassata, sprofondata nella poltroncina. Indossava un lungo vestito color lavanda, di seta, senza decorazioni fatta eccezione per una spilla a forma di goccia, d'oro con incastonate delle perle di fiume, all'altezza del seno. Il ventre prominente le impediva d'indossare il corsetto.- O preferite che vi legga qualcosa? Posso anche suonare il pianoforte, se lo volete.
Si accarezzava il pancione mentre parlava. Lady Thorne era al nono mese di gravidanza, e attendeva il suo secondo bambino di lì a poco. Solo il giorno prima era stata colta da una forte contrazione mentre cenava con la principessa Rosarossa, e sebbene fosse stato chiaro che non era ancora giunto il momento del parto, era stato altrettanto cristallino che il secondogenito del capitano Thorne avrebbe fatto la loro conoscenza a breve.
Lady Thorne aveva avuto il suo primo figlio a trentadue anni, abbastanza tardi per una donna sposata. Questa seconda gravidanza giungeva diversi anni dopo la prima, e la donna era parecchio in agitazione. Non smetteva mai di ringraziare Sua Maestà per la benevolenza e le cure concessale.
Già, realizzò Rosarossa, la Regina Cattiva sembrava essere molto interessata alla questione. Pareva che la salute di lady Thorne e del suo bambino non ancora nato le stesse sinceramente a cuore. Le aveva ordinato personalmente di non affaticarsi troppo e di riposare il più possibile, aveva convocato a palazzo tre medici solo per lei e due levatrici, aveva fatto in modo che le stanze di lady Thorne fossero il più confortevoli possibile, s'informava regolarmente sulla salute della donna e del neonato in arrivo e aveva perfino domandato se non occorresse una balia per tenere occupato il primo figlio dei coniugi in modo che non disturbasse la madre.
La principessa non sapeva se esserne sorpresa. La Regina Cattiva non era mai stata un tipo materno, non con lei e con Biancaneve; ma non si poteva negare che alcuni fanciulli nel corso del tempo avessero goduto del suo favore.
Come la sua ex protetta.
O come il primogenito del capitano Thorne e di sua moglie.
Rosarossa volse il capo verso il bambino in questione, mentre rispondeva alla madre.
- Non vorrei che vi stancaste - mentì. Non le importava granché di lady Thorne, né del suo bambino. Non quello che doveva ancora nascere, almeno.
- Oh, non preoccupatevi! Di certo non mi ucciderà.
Rosarossa sentì il cuore perdere un battito, a quell'affermazione.
- Come procedono gli studi di vostro figlio?- domandò per cambiare discorso. Non smise di guardare il ragazzino seduto sul pavimento in un angolo della stanza, mentre parlava.
Lady Thorne aveva un disgustoso atteggiamento da mamma chioccia. Non si spostava mai senza trascinarsi dietro il suo primogenito, o se proprio non poteva farne a meno, senza assicurarsi dove fosse e se stesse bene.
Quel giorno non aveva fatto eccezione.
Il primo figlio dei coniugi Thorne era accovacciato piuttosto lontano da dove la madre e la principessa stavano sedute, incastrato fra una libreria e una dormeuse. Il salottino era grande, di forma quadrata e arredato in ogni millimetro con mobili scuri e tendaggi pesanti, eppure il ragazzino era riuscito a trovare uno spazio in cui sistemarsi senza infastidire le altre due donne.
Teneva il capo abbassato così che il volto fosse interamente nascosto dalla massa di riccioli neri. Era concentrato nel suo gioco, una serie di soldatini di legno che aveva disposto in file di fanteria contro un drago di carta che aveva colorato e ritagliato.
- Molto bene. Sua Maestà vi avrà messa al corrente della cosa.
- Di che parlate, lady Thorne?
- Ha proposto a mio marito di far cominciare a Rael un addestramento militare in capo a un anno o due. Stando a quanto egli mi ha riferito, Sua Maestà ritiene che il bambino abbia la costituzione e la tempra adatta a divenire un soldato come il padre.
- Se Sua Maestà vede in lui del potenziale, io non sono nessuno per contraddirla - rispose la principessa Rosarossa, sgarbatamente. Lady Thorne la guardò perplessa, di sicuro non si capacitava del perché di tanta maleducazione.
Ma tu sei solo una dama di compagnia, pensò Rosarossa malignamente. Lady Thorne non poteva ribattere di fronte alla villania, se proveniva da qualcuno a lei superiore.
Concordarono di sfidarsi un un'altra partita di presa.
Rosarossa rifletté, mentre pescava le proprie carte dal mazzo, sulla decisione della Regina Cattiva di addestrare Rael Thorne. Il primo figlio del capitano e di sua moglie era un bambino di cinque anni, alto per la sua età, ma magrolino e allampanato, con i lineamenti sottili e piuttosto bruttino, con un naso e delle labbra troppo grandi per il suo volto.
Aveva inoltre un carattere molto mite e tranquillo. Rosarossa vedeva tutto in lui tranne che un soldato.
Quel dettaglio, unito all'interessamente per la gravidanza di lady Thorne, per Rosarossa era il chiaro segno che la Regina Cattiva volesse qualcosa dalla famiglia del capitano.
Guardò prima la sua dama di compagnia, poi il pancione nascosto sotto la stoffa dell'abito e infine sbirciò in direzione di Rael Thorne, ancora impegnato nella sua immaginaria guerra contro un drago finto. Sperò che, qualunque cosa la Regina Cattiva avesse in serbo per loro, fosse crudele e spietato.
Li odiava. Tutti e tre.
 
Il brillio d'astio negli occhi neri di Rosarossa fu l'ultima immagine che lo Specchio mostrò alla Regina Cattiva, prima di tornare a riflettere il volto gelido e incantevole della sovrana.
 
***
 
NESSUNA DELLE DUE sorelle Hadleigh profferì parola mentre seguivano la Fata Turchina. Di tanto in tanto Elizabeth lanciava delle occhiate preoccupate a sua sorella, che però non le restituiva nemmeno lo sguardo. Non percorsero molti metri prima che la maggiore delle Hadleigh mettesse un piede in fallo e incespicasse.
Riuscì a mantenere l'equilibrio, ma il movimento inconsulto attirò l'attenzione della Fata Turchina.
- Siete ancora scosse, posso capirlo. Tu soprattutto non mi sembri del tutto lucida - accennò ad Anya.- Prendi la mano di tua sorella.
Anya non si mosse. Elizabeth decise di prendere l'iniziativa, ma si limitò solo a stringere un lembo della manica di sua sorella fra il pollice e l'indice. Temeva che se avesse toccato Anya questa avrebbe avuto una brutta reazione, anche se non sapeva esattamente che reazione e quanto brutta.
- Brava. Ora chiudete gli occhi, sarà questione di un attimo.
Elizabeth socchiuse le palpebre e trattenne il respiro. Si sentì improvvisamente leggera, senza preoccupazioni e quasi intontita, come se fosse a un passo dal cadere addormentata.
Riaprì gli occhi di scatto, e vide che non si trovavano più nella Foresta Incantata.
Intorno a loro si ergevano quattro pareti di legno, e le loro teste erano riparate da un soffitto di paglia. C'era solo un tavolo con una sedia contro il muro alla loro sinistra, mentre davanti e dietro di loro c'erano due porte.
La Fata Turchina si guardò intorno con un sorrisetto soddisfatto.
- La zona non è del tutto sicura ma lo è abbastanza. Chiedo scusa, provvedo subito...- allungò il braccio destro di fronte a sé, sfregò il medio, l'anulare e il mignolo contro l'indice e il pollice e dalle sue dita cadde una polverina simile a sabbia.
La Fata Turchina fece cadere la polvere in quattro mucchietti a distanza eguale fra di essi; quando ritrasse il braccio, i mucchietti iniziarono a crescere in verticale, formando quattro colonne di legno; a loro volta esse si unirono a formare un quadrato sopra di esse, poi uno schienale e dei braccioli.
- Non sono abituata ad avere ospiti. Una seconda sedia è d'obbligo, in questo caso - sorrise, poi accennò alla porta alle loro spalle.- Là potrete darvi una rinfrescata. C'è un catino e una vasca da bagno. Chiedete all'acqua.
- All'acqua?
- Basterà un per favore.
Elizabeth era sicura che sua sorella stesse per avere un crollo nervoso. Anya sembrava l'unica vittima superstite a un massacro perpetrato da Jason Voorhes – pallida e tremante, con i capelli che le ricadevano disordinatamente sugli occhi e lo sguardo assente. Era la prima volta che Elizabeth la vedeva in quello stato, sconvolta e senza più padronanza di sé, ma non poteva biasimarla.
Sebbene non potesse vedersi in faccia, a pensarci bene, lei non doveva essere conciata tanto meglio.
Elizabeth aveva la certezza assoluta di due cose: primo, non erano più a New York, bensì nel Regno delle Favole, come lo aveva chiamato papà; secondo, lì c'era qualcosa che non andava.
Il solo essere stata quasi accoltellata da Biancaneve e sbranata da un lupo umanoide era un chiaro invito a bruciare tutte le idee che si era fatta leggendo i libri di fiabe da bambina.
A quel pensiero, sentì la tracolla intorno alla spalla farsi più pesante.
La Fata Turchina fece loro segno di andare verso la porta. Elizabeth tirò sua sorella per una manica e la trascinò in quello che aveva tutta l'aria di essere un piccolo bagno. Richiuse la porta: c'erano effettivamente un catino e una vasca da bagno molto somigliante a quelle di epoca vittoriana che si vedevano a volte nei musei, alta e sorretta da piedistalli a forma di zampa di leone.
In cima a essa c'era una finestrella di forma quadrata.
Non c'era acqua nel catino o altrove, nemmeno una brocca che potesse contenerla. Elizabeth si chinò sulla vasca, mordendosi l'interno della guancia. Sapeva che era stupido, ma...
- Ehm...uhm...- pensò a cosa dire.- Potresti...ehm...- sussurrò.- Potresti riempire la vasca, per favore?
Sul fondo della vasca cominciò a formarsi una piccola pozza d'acqua, che andò espandendosi fino a essere alta almeno dieci centimetri. Elizabeth sorrise.
- Ehi!- bisbigliò.- Hai visto?
Anya sembrava essersi ripresa. Ignorò sia lei sia la vasca, e raggiunse la finestra. Si sollevò sulle punte e alzò le braccia per cercare di raggiungerla, e quando capì che in questo modo non avrebbe ottenuto niente si aggrappò con entrambe le mani al davanzale e puntellò uno stivaletto contro il bordo della vasca per sollevarsi.
- Reggimi, su!- la incitò. Elizabeth corse a prenderla per i fianchi non tanto per aiutarla a salire quanto per evitare che si rompesse qualche vertebra in una eventuale caduta.
- Che stai facendo?
- Shhht!- la zittì malamente Anya.- Aiutami a salire...!- sillabò poi a fior di labbra, con i gomiti appoggiati al davanzale e senza toccare il pavimento.- Tu da qui non ci passi di sicuro, ma io posso uscire e poi trovare il modo di aprirti la porta...!
- Ma non credi che sia un po'...
- Io non lo farei, se fossi in te - giunse la voce della Fata Turchina dall'altra stanza; Elizabeth non avrebbe saputo dire se fosse stata la sorpresa o se fosse solo scivolata, ma Anya lasciò andare la presa e lei si ritrovò a sorreggerla per aiutarla a rimettersi in piedi senza che le cadesse addosso; sua sorella la ringraziò guardandola come se fosse tutta colpa sua.- Rischi veramente di farti male salendo sulla vasca per uscire dalla finestra. E' molto più conveniente usare la porta d'ingresso. Senza contare che di questi tempi è poco sicuro uscire di notte e senza una protezione.
Calò il silenzio da entrambe le parti. Anya afferrò le mani di Elizabeth e le tirò via dai propri fianchi con malgarbo, poi si ravvivò i capelli.
- Come faceva a sapere che ero salita sulla vasca?- bofonchiò.
- Fate pure con comodo. Quando uscirete troverete qualcosa di caldo da mettere sotto i denti.
 
Anya non permise a Elizabeth di lavarsi, nemmeno le mani o la faccia. Le disse che non dovevano toccare niente di cui non fossero totalmente certe della provenienza o dell'inoffensività.
- E dell'acqua che spunta dal niente in casa di una sconosciuta non risponde a nessuno dei requisiti.
- Ma non credi che...
- Pronuncia la parola magia e sei morta!
La Fata Turchina aveva preparato loro una zuppa di verdure che sembrava veramente deliziosa, ma Anya ordinò fra i denti a Elizabeth di non provare neanche a berla. Fu per non sembrare maleducata che la minore delle sorelle Hadleigh si decise a cominciare una conversazione.
- Ehm...noi...- si umettò le labbra.- Noi...la ringraziamo molto, signora.
- Sono la Fata Turchina.
Anya sbuffò e alzò gli occhi al cielo. La Fata Turchina ridacchiò e guardò Elizabeth.
- Tua sorella ancora sembra scettica. Ma è comprensibile, provenendo da un mondo molto diverso da questo.
- Io sono convintissima - la rimbeccò Anya.- Più che convinta. Con tutto il casino che è successo sarebbe da imbecilli non essere convinti. Ma le chiedo scusa se ancora fatico ad accettare che siamo finite nel Paese delle Meraviglie o quello che è...E comunque, lei come fa a sapere da dove veniamo o che siamo sorelle?
- Veramente questa è la Foresta Incantata. Il Paese delle Meraviglie è parecchio distante da qui.
Anya la guardò come per chiederle se la stesse prendendo in giro o no.
- Sarò felice di disegnare per voi una mappa, se lo vorrete - continuò la Fata Turchina come se nulla fosse.- Vi sarà di sicuro utile.
- No, per niente - Anya si mise a sedere dritta.- Senta, noi la ringraziamo per averci tirato fuori dai guai e per aver mandato via quel...qualunque cosa fosse. Però adesso io e mia sorella vogliamo tornare a casa. Non sappiamo neanche come siamo finite qui, a dira tutta...
- Comprensibile. In effetti, avevo sospettato che il vostro primo desiderio sarebbe stato questo...
- Bene. Ci dica da che parte è la strada e noi togliamo il disturbo - Anya si alzò in piedi e tirò Elizabeth per un braccio affinché facesse altrettanto; la minore delle sorelle rimase però seduta quando la Fata Turchina chiese loro di aspettare.
- Prima che andiate, tuttavia, vi chiederei di ascoltare ciò che ho da dire.
Anya si ributtò a peso morto sulla sedia.
- Sentiamo - sbuffò.
Elizabeth si sentiva profondamente in imbarazzo per la sgarbatezza di sua sorella. Era consapevole che la Fata Turchina non avesse cattive intenzioni – chiunque voleva far loro del male, in quel posto, ci aveva provato senza tanti salamelecchi – e anzi stesse cercando di aiutarle, ma Anya questo non riusciva o non voleva capirlo.
Comprendeva che sua sorella, visto anche il carattere che si ritrovava, non volesse accettare quella realtà e desiderasse solo tornarsene a casa – anche lei lo voleva –, ma un po' di collaborazione da parte sua non avrebbe guastato.
La Fata Turchina si strinse nel suo scialle di lana e le rughe sul suo viso si fecero più scavate. Elizabeth in quel momento pensò che non aveva per niente l'aspetto di una fata; sembrava piuttosto una donna stanca e provata dalla vita.
- So come conoscete i nostri regni, nel vostro mondo - esordì.- Alexander al tempo fece in modo che la vera storia di questi luoghi giungesse alle orecchie dei bambini nel modo più bello e lieto possibile.
- Chi è Alexander?- si lasciò sfuggire Elizabeth. Anya si accigliò, nemmeno lei sapeva di chi stesse parlando la Fata Turchina. Quest'ultima si mostrò sorpresa, ma non soddisfò la loro curiosità.
- Immaginavo anche questo. Non importa. Lo saprete a tempo debito - sospirò.- So che conoscete almeno alcune delle storie che vengono narrate su questo posto. Di certo Richard non vi avrà tenute del tutto all'oscuro.
- Intende...le fiabe?- Anya pronunciò quella frase come se stesse raccontando una barzelletta.- Certo, ovvio. Chi non ne conosce almeno una? La differenza fra leggere una fiaba e scoprire che tutta questa roba è vera, però...
- Vi sarete rese conto - la Fata Turchina la interruppe.- Vi sarete rese conto che...quanto vi hanno raccontato è molto diverso da ciò che avete visto.
- Sta dicendo...- Elizabeth si sporse in avanti.- Sta dicendo che...la realtà...voglio dire...- cercò di trovare le parole adatte.- Questo posto...è il luogo dove vivono tutte le fiabe, ma che non sono come ce le hanno raccontate?
- Un tempo lo erano. Dopo che l'Eroe anni fa...ecco...quello che dovete sapere è che questo mondo ha attraversato tempi molto bui. Poi, qualcuno giunse in nostro aiuto e cacciò il Male...ora però l'Oscurità sta per tornare, e tutto quanto sta cambiando. Purtroppo temo che il Male abbia intaccato anche gli animi del Dipartimento Favole.
- Conosce il Dipartimento Favole?- chiese Elizabeth.- Noi siamo venute qui seguendo nostro padre...beh, abbiamo visto delle insegne recanti quella dicitura vicino a...- s'interruppe.
- Mi fa piacere che Richard abbia tenuto il segreto, stavolta. Il Dipartimento Favole è una sezione della polizia del vostro mondo. Fu fondata anni fa da Alexander Hadleigh. I poliziotti che lavorano al suo interno si occupano di mantenere l'ordine in questo mondo.
- Alexander Hadleigh?- Anya fece una smorfia.- Non...non è un nostro parente, vero?- guardò sua sorella per cercare conferma.- E lei come conosce nostro padre?
- Tutti lo conoscono.
Le rughe agli angoli della bocca della Fata Turchina s'inclinarono impercettibilmente, ma a nessuna delle due ragazze sfuggì. Era come se quell'essere magico provasse disgusto nel parlare di Richard Hadleigh.
- Senta...qualsiasi cosa abbia combinato, noi non c'entriamo niente - disse Anya, sulla difensiva.
- Purtroppo temo che tu sia nel torto.
- Sta scherzando?!- boccheggiò la maggiore delle sorelle Hadleigh.- Non può prendersela con noi per qualsiasi cazzata abbia fatto nostro padre.
- Mi hai frainteso. Non sono io che la penso in questo modo. E' la profezia a stabilirlo.
- Una profezia?- Elizabeth si torse le dita delle mani.- Ci...ci hanno accennato a una profezia, vero?- balbettò, guardando la sorella. Anya le sferrò un calcio nel polpaccio.
- Vuoi stare zitta?!- ringhiò.
- Chi? Chi è stato?- incalzò la Fata Turchina.
Elizabeth esitò, poi rispose.
- Tremotino.
- Tremotino?!
- L'abbiamo incontrato nel bosco, prima che quella bestiaccia cercasse di ammazzarci - intervenne Anya.- Non sappiamo se sia il suo nome, lui ha detto di chiamarsi così.
- Come avete fatto a estorcergli questa informazione?
Le ragazze si strinsero nelle spalle.
- Non l'abbiamo fatto - rispose alla fine Elizabeth.- Ce l'ha detto lui.
La Fata Turchina non sembrava in grado di capacitarsi della cosa. Stette in silenzio per due o tre minuti interi, senza guardarle, persa nelle sue riflessioni. Infine, scosse il capo.
- L'ho sentita nel momento in cui mi sono avvicinata a voi. Sicuramente l'avrà sentita anche lui.
- Sentito che cosa, scusi?- gracchiò Anya, che ci stava capendo sempre di meno.
- La scintilla.
La Fata Turchina si avvicinò ad Anya. Le sfiorò la fronte con la punta delle dita, e la ragazza subito si ritrasse. La Fata Turchina non se la prese.
- E' debole - constatò.- Ma pare destinata a crescere.
- Cosa?!
- La magia. Scorre in ognuna di voi due, ma è ancora flebile. Avrà bisogno di tempo ed esercizio per svilupparsi.
- No, chiedo scusa, ma se c'è una cosa che non scorre qui è proprio la magia - la rimbeccò Anya, sempre sulla difensiva, ma la Fata Turchina l'ignorò. Si volse verso Elizabeth e le tese il palmo aperto.
- Posso avere la tua mano, per favore? La destra.
Elizabeth gliela porse. La Fata Turchina la esaminò pensierosa, accarezzandole il dorso fino alla punta delle dita. Corrugò la fronte.
- Ti ha toccato, vero? Lui, Tremotino, ti ha toccato...
- Sì - Elizabeth ricordò quella sensazione spiacevole, quella scossa che aveva avvertito quando si erano inavvertitamente sfiorati.- Per un secondo. Mentre gli passavo questo - decise che tanto valeva vuotare il sacco, sia in senso letterale che metaforico; estrasse il libro di favole dalla borsa.- Questo l'ho trovato nel mio zaino questo pomeriggio - spiegò.- Non ce l'ho messo io e non so chi possa essere stato. L'avevo lasciato a casa quando sono uscita ed è ricomparso nella mia borsa...e...noi...noi abbiamo visto...cose strane...
- Sì - il volto della Fata Turchina sembrò distendersi; sfiorò appena il libro di favole, poi ritrasse la mano come se avesse paura di scottarsi.- I tasselli stanno andando al loro posto.
- Posso avere i sottotitoli in una lingua che conosco, per cortesia?- sbottò Anya.
- Tremotino non concede il proprio nome a chiunque - spiegò velocemente la Fata Turchina.- Per lui non esistono semplici presentazioni. Ha delle regole tutte sue che segue alla lettera e che si è obbligati a seguire se si vuole uscire indenni dal suo gioco. Usa il proprio nome e quello delle persone come un oggetto che concede potere a chi lo possiede. Se ve l'ha detto, allora vuole qualcosa da voi. Hai detto che gli hai passato il libro?
- Sì, voleva esaminarlo. Ma questo è stato dopo che ci ha detto il suo nome. Ha chiesto di poter vedere il libro in cambio di informazioni.
- Come mai non l'ha preso?
Elizabeth fece spallucce.
- Perché avrebbe dovuto prenderlo?- inquisì Anya.
- Perché uno come lui non si fa sfuggire un'occasione come questa quando gli si presenta. In qualche modo, siete riuscite a eludere l'accordo.
- Vuol dire che siamo state brave?- la maggiore delle sorelle inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.- Forse era perché era incazzato che ci ha mollate in balia di quell'animale.
- Credo che volesse mettervi alla prova.
- Vedere se saremmo sopravvissute o no?- Elizabeth ripose il libro nella borsa.
- Proprio così. Ha sentito che in voi c'è la scintilla. E ha pensato che, se una di voi era la ragazza della profezia, allora sarebbe sopravvissuta. Era una prova, e ora ha la certezza che la Salvatrice sia arrivata. Ragazze, ascoltatemi attentamente: qualsiasi cosa succeda, non fidatevi mai di Tremotino.
- Insomma, che cos'è questa profezia?- chiese Anya.
- Cosa vi ha detto Tremotino in merito?
- Nulla di chiaro. Ce l'ha solo accennato, fregandoci come due sceme.
La Fata Turchina restò in silenzio. Arretrò di un passo e nascose una mano sotto lo scialle.
- Il mio re mi ha affidato questo compito - sospirò.- Ora è giusto che dia a voi quello che vi spetta.
Elizabeth non avrebbe saputo spiegare come mai, ma si aspettava qualcosa di spettacolare. Pensava che la Fata Turchina avrebbe donato loro una bacchetta magica, un ciondolo d'oro, una corona...rimase abbastanza delusa quando si vide porre un pezzo di pergamena ingiallita piegato in quattro.
- Fate attenzione - si raccomandò.- E' molto importante.
Elizabeth aprì il foglio ed Anya si sporse per leggere insieme a lei.
 
Vicina è l'ora, lenta l'agonia
dei Fratelli Creatori il malvagio ritorno s'avvicina.
Prossimo è il momento, della Luna di Sangue il tempo è giunto,
tredici volte la purezza verrà corrotta,
tredici volte l'innocenza sarà violata,
tredici volte la speranza cadrà infranta.
Lenta sorge la Luna, l'Oscurità s'appressa,
del fine lieto si disperderà l'ombra.
I peccati dei padri saranno purificati,
del traditore figlio della salvezza la discendenza giungerà.
La Salvatrice a libertà giungerà, le cinque Chiavi ella conquisterà.
Solo un sogno infranto guarirà la ferita.
Solo la bellezza nella morte riporterà la vita...
 
Il testo s'interrompeva bruscamente in fondo alla pagina. Le due ragazze si guardarono, frastornate.
- Sembra...sembra un indovinello...- mormorò Elizabeth.
- Sin dal primo momento in cui il Male venne cacciato da questo mondo si è parlato del ritorno di un'epoca buia, in cui ogni barlume di speranza e felicità sarebbe stato cancellato. In cui il lieto fine sarebbe scomparso. Ora, dati gli ultimi avvenimenti, è chiaro che quest'epoca è giunta. Ma c'è ancora una speranza. Chi sta facendo tutto questo non potrà portare a termine il suo obiettivo senza la Pietra del Male.
- La Pietra del Male?- fece eco Elizabeth, quasi in trance.
La Fata Turchina annuì.
- E' un oggetto molto potente. Molti ancora credono che sia solo una leggenda, ma non è così. Alexander Hadleigh la nascose quando l'Oscurità lasciò questo mondo, nessuno sa dove sia. E se cadesse nelle mani sbagliate, non oso pensare a cosa...- s'interruppe, turbata.- La profezia che avete appena letto, però, parla di una Salvatrice. Un essere femminile che non appartiene a questo mondo, che sarà in grado d'impedire il ritorno dell'Oscurità. E dei fratelli Grimm...- la Fata Turchina sospirò.- Ma vi avverto, non sarà semplice. Solo Alexander Hadleigh sapeva dove fosse la Pietra del Male, e anche le Chiavi sono ben nascoste. Sono l'unica cosa che possono rivelarne l'ubicazione.
- Se ho capito bene, il sogno infranto e la bellezza della morte sono due delle Chiavi...- disse Elizabeth.
- Suppongo di sì. Purtroppo la profezia non è completa, e nessuno sa quali siano le altre tre Chiavi...
- Non che i primi due siano molto chiari - borbottò Anya.- Che accidenti vogliono dire sogno infranto e bellezza nella morte? E soprattutto, perché sta facendo leggere questa roba a noi? Non sarebbe meglio se vi metteste tutti a cercare questa Salvatrice?
- A giudizio mio e di molti altri – Tremotino incluso – la Salvatrice è una di voi.
Anya ammutolì. Vide che sua sorella pendeva dalle labbra della Fata Turchina, sembrava dimentica di tutto, del guaio in cui si trovavano, di ciò che avevano passato, del fatto che ancora non sapessero come fare a tornare a casa...Anya s'impose di mantenere almeno lei un briciolo di lucidità. L'intera vicenda l'aveva sconquassata, e le parole di quella Fata Turchina dei suoi stivali non facevano altro che confonderla.
Doveva rimanere fredda e obiettiva.
- E...non che me ne freghi, è giusto per togliermi una curiosità...su che base lei e quel fenomeno da baraccone nel bosco pensate questo?
- Non vi è altra soluzione. Alexander Hadleigh salvò questo mondo un tempo, e la profezia parla della discendenza di un traditore, a sua volta figlio di una grande salvezza. Voi siete giunte qui nell'ora più buia...non può essere che una di voi.
- Scusi, ma non è possibile che si tratti di qualcun'altra?- insistette Anya.- Insomma, non possiamo essere le uniche Hadleigh al mondo. E poi, non conosciamo nessuno che si chiami Alexander e...okay, papà non è il massimo, ma da qui a dargli del traditore...traditore di cosa o di chi, peraltro?
- La profezia non mente.
- Un consiglio spassionato, fata, la prossima volta che raccoglie qualche altro poveraccio nel bosco, sia meno criptica!
- Chi è la ragazza della profezia?- chiese Elizabeth.- Ammesso che sia una di noi...qui si parla di una sola Salvatrice. Chi è? Noi siamo in due...se tutto ciò fosse vero, una delle due è la Salvatrice e l'altra...
- ...è la povera sfigata che s'è trovata in mezzo senza un perché - concluse Anya a mezza voce.
- Questo nessuno è in grado di dirvelo. Dovrete scoprirlo da voi.
- Noi non scopriremo proprio niente!- Anya si alzò in piedi e stavolta diede a Elizabeth uno scossone così violento da farla alzare dalla sedia a forza.- Abbiamo ascoltato quello che aveva da dirci. Ora per favore ci aiuti a tornare a casa...e per favore, di idiota che gioca con le parole ne abbiamo già incontrato uno.
- Dunque...- la Fata Turchina le guardò entrambe.- Dunque, non accettate il vostro destino?
- Con tutto il rispetto...- Anya si umettò le labbra.- Io credo che il destino non esita. Semmai esiste la sfortuna, e noi oggi ne abbiamo avuta abbastanza - bloccò la reazione di protesta di sua sorella sul nascere.- Non sappiamo niente di questa storia, Liz. Non dovremmo nemmeno essere qui, ti rendi conto? Anche ammesso che questa storia della Salvatrice sia vera...e ho i miei dubbi...anche ammesso che lo fosse, andremmo completamente alla cieca. Mi spiace, ma non siamo due eroine, siamo due persone normali. Faremmo solo dei gran casini - tornò a rivolgersi alla Fata Turchina.- Senta, davvero, mi spiace tanto ma non insista.
- Non posso sperare in un vostro cambiamento d'idea?
- Siamo decise. Cerchi di capire, noi...noi non c'entriamo niente con questa storia. Non c'entriamo niente con questo mondo!- aggiunse con enfasi.- Noi viviamo a New York nella...realtà. Ed è lì che dobbiamo tornare, perciò per favore adesso ci dia una mano...
- Capisco...- la Fata Turchina sospirò, palesemente delusa.- Comprendo le vostre ragioni, e non posso fare nulla per fermarvi. Quando uscirete da qui, andate verso nord. Troverete ancora qualche poliziotto del Dipartimento Favole, forse anche vostro padre. Dite che vi mando io. Vi riporteranno a casa loro...
 
Il Primo Ministro scivolò rapidamente dietro il tronco di una quercia. Grazie all'Amuleto viaggiare tramite i passaggi magici era più sicuro e non si correva il rischio di sbagliare destinazione. Sua Maestà la Regina aveva fatto in modo che tutti i passaggi fossero incantati in modo da non permettere a nessuno senza un Amuleto di utilizzarli come un tempo.
Nascose l'Amuleto nella camicia e si coprì la parte inferiore del volto con il bavero del mantello, calandosi anche il cappuccio sul capo per mimetizzarsi meglio. La notte e la tenuta completamente scura gli permettevano di nascondersi e di muoversi più facilmente.
Impugnò saldamente l'arco ed estrasse una freccia dalla faretra.
Inspirò a fondo l'odore di muschio e di erba umida, di legno e di aria pura. Ricordò i tempi in cui il bosco era la sua casa, i tempi in cui vi trascorreva le giornate in compagnia del suo amico Cacciatore e di suo fratello, ma scacciò subito quel ricordo. Aveva detto addio a quella vita, e non voleva più riaverla indietro. Ora non era più la Foresta Incantata, la sua padrona. Era la Regina.
Si sporse quel tanto che bastava per poter vedere ciò che stava accandendo giù dalla discesa di alberi, in prossimità del luogo dove avrebbe dovuto trovare le due ragazze. La Regina Cattiva gli aveva indicato il punto più vicino che lo Specchio era riuscito a mostrare.
Checché se ne dicesse, lo Specchio non era infallibile: mostrava solo ciò che non era protetto da una magia più potente della sua.
Gli occhi azzurri del Primo Ministro si fecero più attenti quando vide le due ragazze indicate dalla Regina e dallo Specchio uscire da una capanna ai piedi della discesa. Sentì una delle due sbraitare come un minatore in osteria lamentandosi che ma che cavolo, abbiamo rischiato di farci ammazzare e adesso ci dice che per tornare a casa dobbiamo tornare indietro da papà?!, per poi ammutolirsi quando la capanna alle sue spalle si dissolse nell'aria.
Il Primo Ministro non ne fu sorpreso – lo Specchio aveva mostrato solo il punto più vicino a loro, non il luogo esatto, segno che qualche essere magico dovesse averci messo lo zampino. Attese che le due ragazze venissero più vicine per colpire.
 
Elizabeth sentiva le gambe pesanti, e faticava a stare dietro al passo sostenuto di sua sorella – che peraltro non stava andando da nessuna parte ma continuava a fare su e giù per cercare di ritrovare l'orientamento. Si sentiva strana, frastornata, come se non avesse più il controllo di sé e delle proprie azioni. E forse era proprio così.
Continuava a pensare alla Fata Turchina. Alla profezia.
Era assurdo, ma si disse che avrebbe dovuto imparare a conviverci, con l’assurdità. C’erano un sacco di cose che non avevano senso: la Luna di Sangue, le tredici speranze, le tredici innocenze e purezze infrante, e poi, che cavolo significavano il sogno infranto e la bellezza nella morte? E che c’entravano i fratelli Grimm? E soprattutto chi era la Salvatrice?
Quell’ultima domanda non le dava pace. Il pensiero che una di loro due potesse essere la Salvatrice, che forse lei era la ragazza di cui parlava la profezia, la torturava.
Se così era, allora non poteva tirarsi indietro. Personaggi delle favole o no, ne aveva la responsabilità. Ma la profezia non diceva nulla di chiaro. Si parlava solo di progenie di un traditore.
Traditore.
Alexander Hadleigh.
Salvatrice.
- Anya!- chiamò.
Sua sorella la guardò scocciata.
- Cosa c'è? Scusa, sto cercando di capire da che parte andare...trasportarci direttamemte lì era troppo per quella fata dei miei stivali, evidentemente...
- Io...io penso che dovremmo ragionare bene sulla cosa.
Anya non disse nulla. Si limitò a squadrarla come se la vedesse per la prima volta.
- Non mi ero accorta che avessi sbattuto la testa, quando sei caduta - e riprese a cercare di capire in che direzione andare.
Elizabeth non si diede per vinta.
- Puoi per una volta non essere così acida e starmi a sentire?! Lo so che tutto questo va fuori da ogni logica, ma ci sono troppe coincidenze. E la profezia parla di un traditore...se il traditore è papà, allora...
- Senti, Liz, ora tu questa storia della profezia te la devi dimenticare. Noi torneremo a casa e tutto questo sarà solo un bruttissimo ricordo, okay?
- Ma abbiamo delle responsabilità! Cioè, una di noi le ha, ma...
- Liz, basta. Noi torneremo a casa, punto e stop. E' che abbiamo delle responsabilità. E comunque, la profezia non dice un bel niente. Potrebbe riferirsi a chiunque.
- E come la mettiamo con Alexander Hadleigh? La Fata Turchina ha ragione, non può essere un caso...
- Ma chi lo conosce, questo Alexander Hadleigh?! Non l'ho mai sentito nominare in vita mia, e neanche tu! Per quanto ne sappiamo è un emerito sconosciuto con il nostro stesso cognome...
- E se fosse veramente un nostro parente? Che so, un antenato...se ci pensi, noi a parte papà quali altri parenti abbiamo?
- Non ti basta quell'esemplare paterno di bradipo? Cosa vuoi, ancora? Conoscere la famiglia di quella pazza che all'altro mondo ha cercato di spedirci per davvero?!
Anya si pentì immediatamente di quello che aveva detto una volta terminato di pronunciare l'ultima parola. Elizabeth incassò il colpo. Si accorse di non provare niente se non un enorme senso di vuoto.
Le attraversarono la mente sequenze di immagini sfuocate: la mamma che spalancava la porta della loro camera da letto, che afferrava sua sorella per un braccio e la trascinava via, poi la corda, la corda bianca intorno ai polsi, la carne che bruciava e poi...acqua.
Acqua caldissima, bollente, profonda. Un pianto. Gli strilli di sua sorella. I passi di corsa di suo padre lungo il corridoio, e poi i passi di sua madre, che si allontanavano sempre di più...
Inspirò a fondo cercando di riprendersi.
Superò sua sorella, scendendo un breve e poco ripido pendio, ma si arrestò accanto a un salice. Cercò di ritrovare un minimo di calma.
Era sempre così: ricordi sfuocati e confusi, mai nulla di chiaro.
Avrebbe voluto ricordare, ma una parte di lei – neanche tanto nascosta – era contenta di non riuscire a farlo: sapeva che sarebbe stato terribile.
- Liz!- sua sorella la raggiunse; le posò una mano sulla spalla e la fece voltare.- Liz, scusami, io...non volevo, davvero, mi spiace...
- Avevamo stabilito una regola, io e te, vero?- mormorò Elizabeth.
Anya annuì.
- Non si parla della mamma - dichiarò.- Scusa, davvero...è che ogni tanto mi dimentico che non ti va di parlarne...
- Non è questo - ammise Elizabeth con una punta di frustrazione.- Non è niente. Sul serio, non fa niente. E' che...io non mi ricordo niente di quel giorno. Quando la mamma è sparita.
- E meno male che non ti ricordi!- Anya si era rabbuiata a sua volta. Elizabeth si sentì improvvisamente egoista e in colpa per aver avuto quella reazione spropositata e illogica. Perché, questo lo sapeva, se lei non ricordava nulla, Anya era più grande e ricordava tutto.
Il discorso cadde, come sempre. A nessuna delle due andava mai di parlarne.
A pochi metri da loro, il Primo Ministro tese l'arco e puntò la freccia. Gli occhi si ridussero a due fessure. Piegò il gomito e mirò verso quella che fra le due sembrava essere la sorella maggiore. Solo l'istante di un attimo, pensò, e poi sarebbe toccato all'altra.
Del tutto ignara di ciò che stava per accadere, Elizabeth ritentò il discorso di prima.
- Tornando a noi, penso che dovremmo almeno rifletterci. Qui sembra esserci in gioco qualcosa di serio...
- E' il Regno delle Favole, Liz. Come può essere serio?
- Per favore, cerca di mettere da parte il tuo cinismo per cinque minuti e ascoltami!- sbottò la ragazza.- Non è normale, tutto questo. Hai mai letto una storia in cui Biancaneve fa fuori i sette nani? No, non penso. Credo che dovremmo almeno...
- Liz, ora basta! Tu torni a casa con me e non discutere!
Elizabeth lanciò un gemito di esasperazione, e le diede uno spintone.
Un secondo dopo, una freccia si conficcò a tutta velocità nel tronco del salice.
Il Primo Ministro imprecò a mezza voce mentre estraeva un'altra freccia dalla faretra.
Elizabeth strabuzzò gli occhi. Fece per tirare via la freccia dal tronco, ma questa si spezzò e la ragazza rimase con solo la parte posteriore fra le dita.
- Ma che cosa...- cominciò Anya, ma non le fu permesso di terminare.
Nel tronco del salice si spalancò una voragine da cui scaturì un'abbagliante luce verde. Proprio come quando avevano attraversato la parete, le due ragazze avvertirono un risucchio.
Elizabeth scivolò sull'erba e il risucchio l'attirò verso la voragine. Gridò. Anya si gettò in ginocchio verso di lei e l'afferrò per la mano e il braccio.
- Tieniti!- la spronò; sentì che il risucchio stava trascinando anche lei nella voragine. Strisciò sull'erba e lasciò il braccio di Elizabeth per conficcare le unghie nel terreno in modo da rimanervi ancorata; l'altra mano che tratteneva sua sorella cominciò a scivolare lungo il tessuto della felpa. Nonostante i capelli le svolazzassero davanti agli occhi, vide che Elizabeth era già stata risucchiata nella voragine fino alla vita. La sua mano intanto era scesa dall'avambraccio fino al polso.
Anya cercò di fare un disperato sforzo e di tirare sua sorella indietro con lei sull'erba, ma la mano di Elizabeth era sempre più sudata, le scivolava. E la voragine si stava chiudendo.
- Ma che diavolo è?!
- Zitta e pensa a tenerti...!
- Sto scivolando...!
Ormai Anya teneva sua sorella solo per le dita. Il risucchio si fece più forte, e con uno scatto violento la mano di Elizabeth si staccò dalla sua.
Lanciò un grido e scomparve all'interno della voragine. Questa si richiuse, e il salice tornò a essere un salice normale.
Anya chiamò il nome di sua sorella e fece per avventarsi contro l'albero; ma prima che potesse toccarlo qualcuno l'afferrò per la radice dei capelli e la tirò indietro. Finì con la schiena sull'erba.
La presa non si allentò, e la ragazza sentì qualcosa di freddo e liscio premerle contro la giugulare. Abbassò lo sguardo, e scorse la lama di un coltello.
Un attimo dopo, i suoi occhi ne incrociarono altri due, azzurri e gelidi come il ghiaccio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*il gioco è una variante di presa, un gioco di carte molto in voga nel Basso Medioevo. La procedura in questa variante è semplice: un giocatore mette in tavola una carta scoperta, e gli altri giocatori vi pongono sopra a turno una carta. Vince colui che posa la carta con il valore superiore rispetto alla carta iniziale posta sul tavolo, e il premio è l'intero mazzo di carte posate sino ad ora. Il gioco procede fino a che non si esaurisce il mazzo, al termine del quale il vincitore è quello che ha effettuato le “prese” più cospicue, ovvero colui che ha più carte di valore in mano; in caso di parità, si conta il numero delle carte.
I punteggi delle carte di Fante, Cavallo, Regina e Re li ho presi da un altro gioco famoso nel Basso Medioevo, ovvero i trionfi. Il punteggio è rispettivamente di undici, dodici, tredici e quattordici. L'Asse come al solito prende tutto ;).
Questo gioco, come molti altri, tornerà più avanti nella storia.
  
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