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Autore: DramioneMalfoy    27/07/2017    1 recensioni
Essere la figlia di uno dei più influenti gerarchi nazisti può essere un vantaggio o una condanna ai primordi del terzo reich. Lo sa bene Kathrein Bergmann, costretta a mentire e dissimulare i propri pensieri. All'esordio di una nuova era è costretta a fronteggiare la realtà della pura razza ariana di cui fa parte e scendere a patti con la propria coscienza, non senza un coinvolgimento emotivo straordinario che si snoda attraverso esperienze al limite e affetti inseguiti sino in fondo al baratro. In questo connubio di sentimenti e colpi di scena Kathrein si lascia trasportare dalle sue emozioni e dall'affascinante e misteriosa vicinanza dello standartenführer Diedrich Schneider, con il quale vivrà un'intensa e passionale storia d'amore che sarà lo spiraglio di luce nel tunnel degli orrori della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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I segreti del Terzo Reich


Berlino, 3 settembre 1939

Il resto della mattinata trascorse tranquillamente senza nessun altro avvenimento degno di nota.

D'altronde l'aver semplicemente scorto da lontano il suo fidanzato era bastato a scombussolarle l'intera giornata. Così immaginò di non essere pronta a sopportare nient'altro e per questo restò nella sua camera sino all'ora di pranzo.

Rimuginò a lungo su quei brevi attimi di sguardi e il pensiero di quelle ultime battute che aveva udito tra suo padre e Diedrich le rimbombarono a lungo nelle orecchie.

Le informazioni per cui l'ufficiale era partito in fretta e furia per Monaco non lasciavano nemmeno il tempo di un saluto ovviamente, pensò ironicamente Kathrein mentre si rimirava un'ultima volta allo specchio e chiudeva l'anta dell'armadio.

Aprì la porta della sua stanza e scese per pranzare con i suoi genitori ma, con disdetta, il buon umore di suo padre era già svanito nel nulla e seduta al tavolo c'era solo sua madre come di consueto.

Si accomodò comunque, decisa a non dare più un eccessivo peso alle cose che continuavano a deluderla. Rivolse un mezzo sorriso a sua madre che non ricambiò e lasciò che i domestici posassero il piatto davanti a lei.

Mangiarono in silenzio per quasi tutto il pranzo e, sebbene Kathrein la guardasse qualche volta di soppiatto, Elsbeth sembrava non essersi nemmeno accorta della presenza di sua figlia.

Così la ragazza, non essendo abituata ad essere ignorata, decise di smorzare l'aria grave che si annidava sulle loro teste.

«Mamma, potresti aiutarmi a scegliere cosa indossare stasera?» chiese tutto d'un fiato e, forse, in maniera azzardata.

Cosa le era passato per la mente? Non si sarebbe più liberata di sua madre e dei suoi consigli, o meglio imposizioni, per il resto della giornata. Eppure le era sembrata la cosa più sensata da dire, nel disperato tentativo di conservare un po' di quel legame che negli anni era andato irrimediabilmente perduto.

Elsbeth, visibilmente scossa da qualcosa, si limitò ad annuire senza neanche alzare la testa. Quello non era di certo un comportamento da sua madre.

Così Kathrein sbatté le mani sul tavolo molto poco decorosamente e più forte di quanto avrebbe voluto, facendo tintinnare l'argenteria e straboccare un po' d'acqua dalla caraffa posta tra lei e sua madre.

Eppure tra lei ed Elsbeth c'erano ostacoli ben più grandi e muri di silenzi indistruttibili, le cui fondamenta erano state cementate inesorabilmente con il tempo.

La sera prima aveva scritto a Ruth e l'aveva informata che il viaggio di ritorno, a parte qualche piccolo diverbio con l'ufficiale Schulze di cui aveva omesso nella lettera, era andato per il meglio.

Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare, pur per brevi attimi, tra le confortevoli mura accoglienti della casa di sua zia.

«Si può sapere cosa succede in questa casa? Sembra il quartiere generale di Hitler in persona, i soldati entrano ed escono senza che nessuno possa limitarli. Tu non mi rivolgi la parola e vaghi come un'automa per le stanze e non credere che non capisca che stai tentando di evitare mio padre. In più il suddetto mi nasconde anche dei ritorni del mio fidanzato» sbottò in modo molto più maleducato rispetto alla disciplina che le era stata impartita.

Si alzò dalla sedia, puntellando le mani sul tavolo e guardando con aria di sfida sua madre che, invece, sempre vestita della sua calma placida, la ignorava come fosse una mosca.

Esasperata dal suo silenzio decise di abbandonare la sala da pranzo e, a passo di carica, si avviò verso le scale.

Era troppo furiosa per poter udire quel flebile "spero che potrai perdonare tuo padre un giorno" che sua madre aveva sussurrato mentre lei usciva dal salone.

Il suo incedere era turbinoso e quando si scontrò con suo padre appena fuori dal suo ufficio, rischiò di fare un mezzo giro su se stessa e cadere di sedere per terra.

Tuttavia le braccia salde di Heinfried lo impedirono e l'uomo si aprì in una fragorosa risata che all'udito di Kathrein arrivò fastidiosamente derisoria.

Ad ogni modo suo padre si ricompose in pochi secondi e puntò lo sguardo nel suo con aria seria e risoluta, mentre scioglieva la presa sulle sue spalle e si aggiustava la giacca della divisa.

«Sei sempre stata un terremoto nonostante i disperati tentativi di tua madre di sedare la tua esuberanza, Kathrein»

Ma più che un ammonimento a Kathrein le parole di suo padre sembrarono sinceramente divertite. Il rapporto che aveva avuto con Heinfried anni prima era stato così meravigliosamente invidiabile da tutti. Adesso aveva qualche difficoltà a ricordare quei momenti e raramente si concedeva alla nostalgia di tempi scivolati tra le sue dita per sempre.

«Credo si sia arresa visto che non mi rivolge neppure la parola adesso» ribatté con vivacità, quasi a volerlo incolpare degli atteggiamenti di sua madre. In fondo era davvero un po' così.

Heinfried sembrò ignorare la frecciatina pungente e si scostò di lato, indicandole cortesemente il suo ufficio con un braccio.

Esitò un attimo pensando a quando aveva visto quella donna, le cui parole rabbrividivano ancora nella sua mente, entrare in quella stanza qualche ora prima. Non aveva avuto spiegazioni da nessuno su chi fosse e non si era fatta poi troppe domande a cui sapeva non avrebbe ricevuto risposte.

Varcò la soglia della porta e per un attimo si sentì spaesata, rendendosi conto di non essere entrata in quella stanza per molti anni. Quando era più piccola passava tutte le sue giornate lì a disegnare, mentre suo padre compilava scartoffie e le permetteva persino di rimanere anche quando doveva ricevere dei clienti.

Con l'avvento della cancelleria di Hitler, poi, i suoi affari divennero man mano sempre più importanti e, soprattutto, segreti. Per cui le orecchie di Kathrein, non più quelle di un'innocente ed ingenua bambina, non avrebbero più udito le conversazioni di suo padre e dei suoi colleghi.

Notò che nulla era stato spostato e tutto sembrava conservare il suo posto decennale. La scrivania in corrispondenza della porta dava le spalle ad una grande finestra da cui era possibile scorgere l'incantevole giardino dell'enorme maniero. Su quella stessa parete, poco più in là, un'imponente libreria composta da tre scaffali e molte mensole contenevano una quantità di letture che, man mano, Heinfried aggiornava e da cui spesso Kathrein aveva preso qualcosa in prestito.

Il tappeto figurale Qom, annodato a mano da sapienti artigiani indiani e ricco di dettagli raffiguranti antiche battaglie mitiche, si trovava ai piedi della scrivania e la separava dal  pregiato divano in legno di quercia. Davanti ad esso continuava ad essere disposto il tavolino sul quale Kathrein adorava disegnare e colorare.

Nel tempo aveva abbandonato quella passione per il disegno, come aveva fatto con tante altre, ma contava di riprenderle tutte in un giorno non troppo lontano. Magari quando la guerra sarebbe finita e la danza non sarebbe più stata considerata solo la disciplina di quelle donne che vogliono esprimere il proprio corpo attraverso atteggiamenti indecorosi e appariscenti, per lei sarebbe stato più facile riprendere.

Il resto delle pareti erano decorate con quadri appartenenti agli antenati di Heinfried e arazzi orientali. Sopra il camino, come su tutti quelli presenti nella residenza, vi era uno scatto di Elsbeth. Splendida e raggiante, quella era la prima volta che era stata a casa Bergmann e si trovava lì per ufficializzare il suo fidanzamento. 

Nonostante la bellezza e la spontaneità della fotografia, il quadro si stagliava in maniera sobria ed austera al centro della stanza

Nonostante la bellezza e la spontaneità della fotografia, il quadro si stagliava in maniera sobria ed austera al centro della stanza. Sembrava troneggiare gravemente e dominare lo spazio, catturando lo sguardo di qualsiasi spettatore.

Nessuno era mai stato indifferente al fascino esercitato così naturalmente da Elsbeth e, proprio come aveva ipnotizzato lo sguardo ammaliato di quell'uomo sullo sfondo della foto e di tanti altri uomini e quelli invidiosi di tutte le donne che l'avessero conosciuta, anche adesso a distanza di anni quella foto riusciva a suscitare in chiunque ammirazione e meraviglia. Il tempo, sebbene avesse indurito i suoi lineamenti, non aveva scalfito la bellezza eterea di Elsbeth e questa era stata tramandata alla sua unica figlia, con tutti i vantaggi e svantaggi che ciò comportava.

Tutto in quella stanza emanava lusso, raffinatezza e potere.

Si sedette compostamente sul divanetto e, non ricordando quanto fosse comodo, si crogiolò immediatamente e portò le gambe al petto, circondandole con le braccia.

Suo padre la guardò severamente e non tardò ad ammonirla verbalmente:

«Siediti compostamente come una signora del tuo rango, Kathrein»

Tuttavia la ragazza non si mosse di un centimetro. Tutt'altro, si strinse di più le gambe al petto e fece vagare il suo sguardo sul volto indurito di suo padre.

«Sto bene così» rispose semplicemente la ragazza, rimanendo poi in silenzio in attesa che suo padre le dicesse cosa desiderasse.

«Converrai con me che non è una postura raffinata ed elegante» ribatté Heinfried mentre si spalleggiava sulla sedia, aspirando del fumo dal suo sigaro.

«Papà stiamo davvero conversando sul mio modo di stare seduta? So quali atteggiamenti devo assumere davanti al resto della società, non preoccuparti di certo non ti farò fare brutta figura. Adesso vogliamo rendermi partecipe del perché mi trovo qui?»

La schiettezza di Kathrein fece sorridere suo padre che, con un sonoro sbuffo cacciò via il fumo, rendendosi conto che quella peculiarità caratteriale l'avesse ereditata da lui.

Si alzò dalla scrivania e prese qualcosa dalla libreria. Da un tomo grande e rilegato in pelle, estrasse alcuni fogli ingialliti dal tempo e li porse a sua figlia.

Asetticamente la ragazza allungò la mano e li afferrò senza alcuna tribolazione. I bozzetti che vide, però, la lasciarono confusa e la costrinsero a guardare nuovamente suo padre con aria interrogativa.

«Divise militari? Io non capisco...»

Ma prima ancora che potesse finire di parlare, suo padre spense il sigaro nel posacenere sulla scrivania. Poi si sedette accanto a lei e, mentre allungava un braccio sullo schienale del divano alle sue spalle, parlò pacatamente in modo tale che sua figlia intendesse tutto e alla perfezione.

«Con l'avanzare della guerra gli uomini e i giovani tedeschi che si arruolano sono sempre in aumento e ciò richiede un'organizzazione paramilitare decisamente più elaborata. Saranno istituiti nuovi gradi in tutti i corpi: SA, SS, Wehrmacht, Luftwaffe. Serviranno nuove divise con ulteriori differenziazioni di mostrine e spalline. Ciò permetterà una corretta suddivisione e subordinazione gerarchica necessaria e imprenscindibile»

Heinfried fece qualche secondo di pausa e poi riprese a parlare senza chiedersi se Kathrein lo stesse ancora seguendo, certo che la ragazza avesse capito già tutto.

In realtà Kathrein fu molto frastornata da quelle prime parole. Perché suo padre le stava parlando di questo genere di cose? Solitamente, come per Diedrich, il suo lavoro non era discutibile neanche su un piano lontanamente disinteressato. Per questo non fece domande e aspetto che fosse suo padre a rivelarle solo ciò che davvero voleva farle sapere.

«Non c'è molto tempo, Kathrein. Ora che i reparti militari pullulano di tedeschi ariani è necessario che vengano realizzati nuovi disegni per le divise. Sarà molto più facile se consegnassimo i bozzetti già pronti alla casa stilistica di Hugo Boss. Te la sentiresti di prendere in onere questo incarico?»

La domanda arrivò alla diretta interessata come uno schiaffo in pieno viso e questa ebbe qualche difficoltà a formulare qualche frase di senso compiuto. I pensieri si affollavano, inconciliabilmente e turbinosamente, uno dopo l'altro senza una connessione logica tra loro.

Erano questi i compiti di improrogabile necessità a cui doveva adempiere? Era per questo che suo padre l'aveva costretta a far ritorno dalla Francia? Era tornata a Berlino per svolgere questo genere di doveri nei confronti di un regime in cui non credeva?

Non seppe dire se le sue aspettative furono disattese oppure no. Aveva davvero creduto che il suo ruolo nella società, il ruolo di una donna, potesse essere impiegato in attività realmente influenti all'interno del Reich o, in fondo, aveva segretamente sperato di non dover contribuire troppo a quella macchina disseminatrice di follie e atrocità? Non si rispose per la seconda volta e mandò giù un groppone che premeva per ribellarsi e affermarsi in quanto donna e non solo oggetto di procreazione ariana.

«Padre sarei onorata dì poter contribuire alla causa, ma non credo di essere adatta a questo compito. Ho passato molti anni lontana dalla Germania e non conosco bene l'organizzazione militare e i suoi simboli nei vari gradi, e poi non disegno da molto tempo lo sapete bene» tentò una flebile opposizione che non aveva né testa né coda e lo sapeva.

Era intenzionata a riprendere a disegnare prima o poi, ma mai e poi mai si sarebbe immaginata di doverlo fare per quel dannatissimo regime dittatoriale in cui la presenza femminile era ridotta ad una mera presenza di margine.

«Sciocchezze» esclamò Heinfried mentre scacciava con una mano un fastidioso insetto inesistente davanti al suo viso. «Non c'è tedesca più adatta di te per questo compito. Sai disegnare meglio di chiunque altro e le divise non differiranno poi così tanto da questi modelli che hai in mano, cambieranno soprattutto le mostrine e le spalline come ti dicevo»

Suo malgrado quella di suo padre non fu davvero una domanda e si ritrovò costretta ad accettare quell'incarico pensando che, dopotutto, non fosse di certo il peggiore dei mali. Tra tutti i compiti ingrati che avrebbero potuto esserle affidati, quello era un'inezia che non minava la sua libertà e non la costringeva tra le mura di un matrimonio di razza. Almeno per il momento poteva preservare la sua indipendenza, per quanto vivere sotto lo stesso tetto di Heinfried lo permettesse.

Suo padre le spiegò pazientemente tutte le modifiche che sarebbero dovute essere apportate alle vecchie uniformi e Kathrein prestò attenzione ad ogni singola parola. Annotò alcuni appunti al margine di un foglio bianco in modo tale da non dovergli porre domande in seguito.

Quando ebbero terminato la ragazza fece per alzarsi e uscire dalla stanza. Tuttavia, la voce di suo padre la richiamò e, inaspettatamente, avanzo una proposta che arrivò piacevolmente a riscaldarle il cuore.

«Se vuoi puoi rimanere qui, a disegnare intendo. Un tempo ti piaceva»

Erano tempi così remoti che Kathrein non credeva neppure suo padre li ricordasse. Questa constatazione migliorò decisamente la sua giornata e, seppur fosse leggermente risentita con lui per non averle detto dell'arrivo di Diedrich, il suo invito a rimanere lì con lui le alleggerì il peso di quel compito così indigesto che doveva svolgere.

Così, senza dire null'altro, si risedette sul divano questa volta in una posizione più composta. Appoggiò le pagine bianche sul tavolo e accanto posizionò il foglio con le direttive di suo padre e i vecchi bozzetti a cui ispirarsi. Heinfried le porse una matita e una gomma da cancellare.

Iniziò a tracciare qualche tratto e poi vere e proprie linee, riscoprendosi più abile di quanto non lo fosse in passato. Si chiese come potesse esserlo visto che negli anni aveva tralasciato quel passatempo. Forse, come aveva sempre ribadito Elsbeth senza che nessuno potesse realmente contraddirla, quello di Kathrein nel disegno era davvero un dono.

Si impegnò e curò soprattutto i gradi delle mostrine e i simboli che contraddistinguevano ciascun grado militare.

Non seppe dire il perché prestasse così attenzione per un compito di cui in realtà non le interessava granché; ma il fatto che suo padre avesse affidato a lei un incarico per lui così importante, concernente il suo lavoro, la fece sentire considerata e più vicina a lui, sebbene non ne condividesse la causa, avrebbe fatto di tutto per poter essere ritenuta una figlia perfetta da lui.

Nonostante tutto, il parere e l'affetto dei suoi genitori, e in particolare di Heinfried, erano la prima cosa nella vita di Kathrein e l'importanza della famiglia, vista come nucleo fondante della società, era uno dei pochi concetti che sosteneva del Reich.

«Quanto tempo pensi che ci vorrà?»

Kathrein sussultò un attimo. Non si aspettava che suo padre le parlasse ancora, per quella giornata l'aveva fatto già troppo rispetto ai suoi standard. Così fu costretta a cancellare con la gomma bianca l'ultima linea tracciata, tremolante, e soffiò via dal foglio i trucioli grigiastri.

«Le divise sono di facile realizzazione e non differiscono troppo in uno stesso reparto militare. Contrariamente cambiano di molto quando si disegnano quelle di un altro corpo. Ad ogni modo credo sarebbe meglio mandare i disegni in sartoria un po' per volta, man mano che sono pronti. Non sono difficili da disegnare, ma sono molti reparti e decisamente tanti gradi per cui ci impiegherò almeno un paio di settimane» affermò la ragazza senza alzare lo sguardo, troppo concentrata nel disegnare una giacca delle squadre di assalto.

Suo padre annuì e la stanza ripiombò di nuovo nel silenzio, fin quando Heinfried non si decise a parlare ulteriormente.

«Stasera ci sarà anche il führer per il tuo ritorno in società» le comunicò l'uomo mentre continuava a compilare e firmare i rapporti dei suoi uomini.

«Si la mamma mi ha accennato qualcosa» mormorò in risposta Kathrein. Nonostante l'argomento non fosse dei migliori, di certo non uno dei suoi preferiti, decise di non farlo cadere poiché era la prima volta dopo tanti anni che lei e suo padre riuscivano ad intrattenere una conversazione per così tanto tempo. Così continuò: «Certamente non si sarebbe dovuto disturbare in un viaggio di così tante ore da Monaco solo per il mio ritorno in società»

Falsità e cortesia. Erano i due elementi imprescindibili che aveva imparato fosse opportuno adottare nella società tedesca di Berlino in quegli anni. Sia lei che Heinfried sapevano bene che la visita del führer non riguardava certo i semplici convenevoli.

Suo padre non le rispose e, seppur non le interessasse, sapeva che Hitler non si sarebbe di certo scomodato soltanto per quella festa. Sicuramente aveva altre motivazioni politiche che Heinfried aveva fatto in modo di far coincidere con il suo ritorno, così da riportare l'attenzione di tutta la Germania più influente sulla bellezza avvenente e tipicamente ariana di sua figlia.

Kathrein, pensò, che se il führer e i suoi uomini non avessero presenziato al ricevimento sarebbe stata una delusione per suo padre, ma di certo non per lei. Un flash le riportò alla mente lo sguardo folle e lascivo che tanti anni prima aveva letto negli occhi di quell'uomo e la paura di Geli che le chiedeva, mutamente e supplicante, aiuto.

Ricacciò indietro le lacrime e a quel punto la voce di sua madre, che la chiamava a gran voce per la casa, arrivò nitida alle sue orecchie. Sembrava essere furiosa per il ritardo mostruoso di sua figlia nella preparazione ed Heinfried non poté fare a meno di ridere davanti all'espressione esasperata della ragazza.

L'uomo guardò l'orologio al polso e poi posò lo sguardo su di lei, che nel frattempo stava sistemano i fogli in una cartellina che lui stesso le aveva dato.

«In effetti è tardi e dovresti andare a prepararti. Dovrai essere impeccabile, perché è la tua festa e sarai al centro dell'attenzione per tutta la serata» esclamò risolutivo Heinfried mentre si accendeva nuovamente il sigaro.

«Non vedo l'ora» sbottò ironicamente Kathrein, alzando gli occhi al cielo.

«Sei nata per questo» rispose semplicemente l'uomo e la conversazione sembrò essere terminata lì.

«Ah Kathrein, stasera ci sarà anche Himmler. Discuterai con lui i nuovi simboli da applicare sulle uniformi. Puoi andare»

Così Kathrein lo salutò educatamente e lui si limitò a fare un cenno con il capo, mentre assorto sembrava leggere qualcosa di estremamente importante tra le righe di quei fogli.

Sulla parete di fronte all'ufficio di suo padre l'orologio a pendolo segnava le diciannove e si rassegnò che sua madre dovesse essere davvero infuriata

«Dove diavolo eri finita, signorinella?» sbottò Elsbeth quando la incontrò nel corridoio. Le mani sui fianchi e l'aria corrucciata le conferivano una severità che, nel tempo, Kathrein aveva imparato a non temere più.

Fece per rispondere ma sua madre la zittì in anticipo con un gesto stizzito della mano. Poi la prese sotto braccio e si avviò con lei al piano superiore, per prepararla al meglio per il suo gran ritorno a Berlino. Tutti gli uomini sarebbero rimasti a bocca aperta e tutte le donne l'avrebbero invidiata. La figlia di Heinfried ed Elsbeth sarebbe stata considerata l'ariana più pura di tutta la società. Con quei pensieri, Elsbeth la condusse nella sua stanza. 

Ore 20:00

Circa un'ora dopo Kathrein era pronta, non che ci volesse molto dato che il trucco alle ragazze tedesche era vietato poiché considerato volgare.

Così si era limitata a fare un bagno rigenerante e a lasciarsi pettinare i capelli da sua madre, che aveva optato per una piccola pinzetta che li legasse dietro mentre il resto della chioma le scendeva fluida sulla schiena.

Indossò un vestito blu acquamarina comprato qualche mese prima in una boutique francese. Il tessuto scorreva morbido sulle sue sinuosità e si apriva in una gonna con uno strascico non eccessivo. La parte superiore del vestito era velata e lasciava intravedere le spalle da alcuni ghirigori di pizzo, senza risultare volgare. In vita una cinta dorata si abbinava perfettamente con le scarpe beige con un tacco leggermente alto e la borsetta piccola e stretta.

Come unico accessorio indossò un anello appartenuto a sua nonna molti anni prima. Guardò il portagioie e, prima di richiuderlo, si soffermò a guardare la collana di Hellen con la stella a sei punte. Chissà se l'avrebbe mai rivista, si disse. L'accarezzo leggermente con i polpastrelli e l'oro sembrò risplendere sotto le sue dita.

Poi posò lo sguardo sulla collana di Diedrich. Era magnifica e sembrava essere stata creata a posta per i suoi occhi e per essere ammirata. 
Sarebbe stata perfetta abbinata al suo vestito quella sera, ma decise di non metterla. Sebbene i diamanti e i topazi fossero le sue pietre preferite, era ancora risentita con Diedrich e mettere un suo regalo avrebbe significato un po' perdonarlo.

Le sembrò un ragionamento stupido ma non demorse e chiuse seccamente il portagioie.

Si voltò verso sua madre che era già perfettamente vestita e acconciata, fasciata da un vestito color pervinca che risaltava le sue forme aggraziate. Pur essendo un abito molto sobrio sulle sfumature del blu, Elsbeth lo indossava con eleganza innata. I suoi capelli biondissimi erano morbidamente raccolti sulla nuca con alcune forcine, in una pettinatura decisamente elaborata, e alcuni boccoli le ricadevano sul viso compostamente. Gli orecchini di diamanti pendevano dai suoi lobi e proiettavano piccole ombre sul lungo collo da cigno.

«Non vuoi metterla?» domandò sua madre, riferendosi alla collana di Diedrich.

Kathrein scosse la testa e sentì il bisogno di darle una giustificazione, pur non essendo la verità.

«La metterò quando ci sarà lui»

Elsbeth sembrò essere soddisfatta dalla spiegazione, anzi sembrò esserne addirittura contenta. Le si avvicinò e le accarezzò il viso con un movimento leggero della mano, poi prima di uscire le mormorò:

«L'ufficiale Schneider è un uomo molto fortunato»

Rimasta sola nella stanza si guardò allo specchio e pensò al grande cambiamento che era avvenuto dall'ultima festa così sontuosa che si era tenuta in quella casa. Aveva conosciuto Diedrich e aveva detto addio per sempre a Geli. Per ogni fine c'è sempre un nuovo inizio e la vita sembrava averle fatto incontrare Diedrich per colmare il vuoto che stava lasciando Geli. In cuor suo sapeva che nessuno avrebbe mai potuto alleviare il dolore di quella mancanza. Anche il suo corpo era decisamente cambiato, a ventiquattro anni era più maturo rispetto ai suoi sedici.

Di lì a poco la villa avrebbe cominciato a riempirsi e gli invitati si sarebbero riversati nel giardino al chiaro di luna, dove le fontane e I gazebo illuminati creavano un'atmosfera surreale, e nelle stanze per danzare o scambiare chiacchiere e convenevoli. Gli uomini che discutevano di politica, poi, si sarebbero trasferiti nella stanza adiacente allo studio di Heinfried per bere il bicchiere della staffa e giocare qualche partita a biliardo.

Ogni festa in quella società sembrava seguire sempre gli stessi ritmi e le stesse prassi. Le donne, invece, restavano a pettegolare sulle futilità più disparate: vestiti, accessori, giovani ufficiali e i loro possibili matrimoni con figlie ariane di altri ufficiali.

Pensò ancora una volta alla macchina nel vialetto che si allontanava portando nuovamente Diedrich lontano da lei quella mattina. A quest'ora, probabilmente, dopo aver assolto ai suoi doveri a Monaco verso il führer che adesso si recava a villa Bergmann, era sul treno di ritorno in Italia.

Sbuffò e si ravvivò i capelli. Qualcosa, o meglio qualcuno, bussò alla porta e lei alzò gli occhi al cielo. Poi lo invitò ad entrare immaginando che fosse di nuovo sua madre ad intimarle di scendere.

«Signorina Kathtrein, vostro padre...siete molto bella»

Se ne fosse stata capace la ragazza sarebbe arrossita davanti al complimento così diretto dell'ufficiale Schulze. Passò qualche secondo ad osservarlo sull'uscio e lo trovò più affascinante del solito nella sua divisa stirata. Era già pronto per la festa e lo capì dai capelli perfettamente in ordine. Il ricordo di quando invece li aveva visti spettinati e leggermente umidi, amplificando il suo fascino se possibile, le riportò alla mente i loro volti così vicini qualche sera prima. Poi rammentò anche il battibecco, si diede un contegno e rispose, pur non sapendo cosa articolare di fronte a quel viso geometricamente perfetto.

«Anche voi lo siete, molto» rispose spontaneamente la ragazza, con un'audacia che la fece auto-rimproverare e che le fece mordere la lingua.

Intuendo il suo imbarazzo, però, l'uomo la tolse da quell'impiccio come aveva fatto in Francia nel portico quando si era allontanato da lei.

«Vostro padre mi ha chiesto di riportarvi questi, li avete dimenticati nel suo ufficio»

Il suo tono pacatamente militare aveva ripreso possesso di lui che lasciò i disegni dei bozzetti sulla scrivania e, dopo un lieve cenno di galanteria con il capo, uscì rapidamente dalla sua camera.

Forse, si disse Kathrein, anche lui sentiva un'attrazione che non poteva essere soddisfatta e probabilmente si sentiva in colpa per la sua fidanzata. Aveva sentito di molti ufficiali che tradivano le proprie mogli e non avevano mai provato rimorso. Forse Diedrich stesso le aveva riservato il medesimo trattamento, ma Alexander sembrava frenarsi per un motivo in particolare ogni volta che si trovavano soli. Così Kathrein l'aveva associato a quella ragazza che aveva visto in fotografia e con il quale quella mattina l'aveva visto passeggiare nel giardino.

Si chiese se quella donna ci sarebbe stata al ricevimento e questa possibilità, non seppe perché, la disturbò e la fece irritare più di quanto le fosse concesso.

Si maledì come una stupida, chiedendosi perché fosse gelosa di due uomini. 
Forse sua madre aveva ragione quando, arrabbiandosi, le diceva che era una ragazzina viziata abituata a ricevere tutto ciò che chiedeva.

Avanzava pretese su due ufficiali, di cui uno non le era mai appartenuto davvero e l'altro non sapeva più se poterlo considerare il suo fidanzato.

Passò ancora qualche minuto davanti allo specchio, rimuginando a lungo su quei pensieri.

«A cosa pensa quella bella testolina?»

Sussultò e si girò immediatamente al suono di quella voce così calda.

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti uno degli uomini più belli e avvenenti di Berlino si trovava appoggiato allo stipite della sua porta.

«Cosa ci fai qui?» chiese Kathrein assumendo un'espressione diffidente, mente si voltava nuovamente verso lo specchio e riapriva il portagioie per prendere gli orecchini.

Prima di richiuderlo lanciò nuovamente uno sguardo alle due collane e fece a botte con la voglia di corrergli incontro e abbracciarlo o prenderlo a pugni.

Sentimenti contrastanti le turbinavano nel cuore mente metteva quanta più distanza potesse tra lei e quell'uomo. Se avesse agito con il cuore, lo sapeva, avrebbe ceduto in men che non si dica. Preferiva ragionare con il cervello e la lucidità.

Diedrich si staccò dallo stipite e si avvicinò a lei che, di spalle, sistemava alle orecchie gli orecchini diamantati.

«Non potevo di certo perdermi la festa per il ritorno in società della mia fidanzata, non credi?»

Quando le fu dietro Kathrein sentì la vicinanza bruciarle sul fondo schiena e incrociò il suo sguardo, come aveva fatto la mattina stessa, nello specchio di fronte.

«Ah ma davvero?» più che una domanda la sua fu un'affermazione beffarda.

Quando poi l'ufficiale le circondò la vita con le sue braccia forti e posò la sua mascella nell'incavo del suo collo inspirando l'odore dei suoi capelli, Kathrein non poté fare a meno di controllare la propria mano che si appoggiò immediatamente e quasi come un'esigenza necessaria dopo mesi di lontananza sul suo avambraccio fasciato dalla divisa.

Lui annuì e, strusciando la barba sulla sua pelle candida, provocò in lei un repentino cambio di umore. Adesso la serata le sembrava molto più sopportabile, ma la rabbia che provava nei suoi confronti non era scemata.

Osservò il suo riflesso e constatò dal viso che dovesse essere molto stanco, sebbene fosse sempre bellissimo e tirato a lucido per la serata.

«Edda sarà davvero dispiaciuta della tua partenza» mormorò sarcastica, mentre si rigirava tra le sue braccia che non sembravano intenzionate ad allentare la stretta.

«Sì, sicuramente non l'avrà presa bene» convenne con lei l'uomo mentre si chinava per darle un bacio.

Tuttavia Kathrein si scostò e lasciò che i suoi palmi facessero pressione sul petto ampio dell'ufficiale per tenerlo lontano più di quanto il suo cuore avrebbe davvero voluto.

«E allora potevi benissimo rimanere con lei, ufficiale Schneider» il tono volutamente velenoso non sembrò minimamente scalfire la maschera di ghiaccio di Diedrich, tutt'altro la situazione parve divertirlo.

«Sei gelosa?» domandò ironicamente mentre alzava il sopracciglio e osservava come Kathrein cercasse di stare sulle sue, inutilmente.

«Ho motivi per esserlo?» chiese incautamente la ragazza mentre puntava i suoi limpidi occhi in quelli così enigmaticamente oscuri di Diedrich. Sebbene il calore del suo sguardo e la protezione delle sue braccia le fossero mancati più di ogni altra cosa, non riusciva a superare la sensazione di delusione che i chiacchiericci sul suo conto avevano instillato in lei.

«Direi proprio di no» mormorò l'uomo mentre annullava definitivamente, e questa volta senza che Kathrein avesse il tempo di respingerlo, la distanza tra le loro labbra.

D'altro canto, invece, lei non sarebbe riuscita ad allontanarlo nuovamente e, nonostante la razionalità urlasse per farla staccare, allacciò le braccia dietro al suo collo e si abbandonò completamente alla sensazione di appagamento che, dopo sei mesi, stava provando.

D'altro canto, invece, lei non sarebbe riuscita ad allontanarlo nuovamente e, nonostante la razionalità urlasse per farla staccare, allacciò le braccia dietro al suo collo e si abbandonò completamente alla sensazione di appagamento che, dopo sei m...

Dopo poco, però, si dovette staccare per riprendere fiato e, mentre le mani di Diedrich erano ancora appoggiate sulla sua schiena a stringerla, la necessità di ottenere spiegazioni esaustive tornò prepotentemente ad impossessarsi delle sue viscere.

«Eppure molti dicono che si sia infilata nel tuo letto» sputò acida, seppur essersi concessa al bacio non la facesse sembrare più così ferma nella sua ostilità.

Diedrich la guardò dapprima confuso e poi scoppiò a ridere. Kathrein si rese conto che quel suono le era mancato come l'ossigeno sott'acqua, eppure in quel momento le sembrò così spropositatamente fuori luogo. Si sedette sul letto e, non accennando alcun sorriso divertito, Diedrich tornò serio capendo che la sua fidanzata fosse seria.

«Mi stai chiedendo davvero se ho scopato con la figlia del Duce?» l'espressione indurita di Diedrich era mortalmente seria e avrebbe fatto rabbrividire chiunque, ma non Kathrein.

La durezza e la schiettezza delle sue parole disturbarono la ragazza ma, dall'altra parte, fu contenta che non utilizzasse termini più docili per parlare di un'altra donna. Schioccò seccamente la lingua contro il palato e osservò Diedrich sedersi accanto a lei.

«Sono stato in viaggio undici ore oggi per tornare da te e credi davvero che abbia potuto tradirti?» domandò e la sincerità che lesse nei suoi occhi la fece sentire una stupida, eppure non tutti i campanelli d'allarme si assopirono nella sua testa.

«Non capisco allora da cosa nascano i pettegolezzi, Diedrich» mormorò, voltando il viso nella direzione opposta quasi a non voler lasciarsi corrompere dal suo viso angelico.

Sentì i polpastrelli dell'uomo fare pressione tra le sue nocche affinché ricambiasse la stretta e, quando ci riuscì, prese ad accarezzarle il dorso.

«Kath, la verità è che una sera sono rientrato tardi da una cena con alcuni dei vertici fascisti e l'ho ritrovata nuda nel mio letto. La cosa comunque non deve disturbarti, l'ho cacciata via anche piuttosto malamente per una donna del suo rango. Ma sono un signore, avrei potuto riferirlo a suo padre o a sua marito e mi ha supplicato di non farlo, e ad ogni modo non perderei tempo con una donna che supplica senza dignità neanche se la desiderassi»

«E tu la desideri Diedrich?» punta sul vivo la domanda uscì secca e lapidaria.

«Se così fosse sarei ancora in Italia» rispose l'uomo mentre si alzava dal letto e si risistemava la giacca.

«L'hanno vista uscire dalla mia stanza e da allora le persone hanno cominciato a chiacchierare, ma posso assicurarti che questo e tutto quello che hai potuto sentire su chiunque altra non è niente di più di un semplice chiacchiericcio» affermò, mentre tendeva una mano nella sua direzione attendendo che la accettasse e decidesse di scendere con lui. Vedendo l'esitazione della sua fidanzata, però, si affrettò ad aggiungere:

«Non ho mai avuto intenzione di mancarti di rispetto Kathrein e mai lo farò»

Le sembrò totalmente sincero e, in fondo, Diedrich sapeva essere dedito e leale solo nei confronti di qualcuno o qualcosa a cui teneva davvero. E, oltre sua madre molti anni prima, non era mai stato così fedele a nessun altro come lo era adesso con Kathrein.

«Diedrich hanno detto molte cose sul tuo conto e su molte focose e belle ragazze italiane, come posso fidarmi?»

L'uomo si avvicinò a lei e portò una mano al suo viso. Solo allora notò un anello al dito che non gli aveva mai visto prima, raffigurante un teschio. Storse il naso davanti all'oggetto funesto e l'ufficiale le prese le guance tra i polpastrelli del pollice e dell'indice con un movimento gentile. 
Poi fissò insistentemente gli occhi nei suoi, guardandola intensamente e trasmettendole la pura e sincera verità dei fatti.

«Perché io ti amo, Kathrein, ormai da anni»

Il peso di quelle parole le fece accelerare il battito cardiaco. In molti anni di frequentazione quella era la prima volta che Diedrich le confessava così apertamente e in maniera così spontanea e diretta i suoi sentimenti.

«E non c'è stata una notte che io abbia passato lontano da te senza desiderare il tuo corpo» le sussurrò piegandosi sulle sue stesse ginocchia, a pochi centimetri dal suo orecchio.

«E se solo tu non fossi già pronta per questa festa, non so cosa ti farei. Ma aspetterò» mormorò l'uomo alzandosi, dopo averle lasciato una scia di baci roventi sul collo che, automaticamente, era stato reclinato leggermente per permettergli un maggiore accesso.

Fu lui, come sempre, a riportare il contegno e la pacatezza. Nonostante fosse ancora scossa dai suoi baci e dalla reazione così naturale del suo corpo verso quello di lui, ciò che più di tutto continuava a vorticarle nella testa era il pensiero di quella dichiarazione così disarmante e inaspettata.

Tuttavia anche lui sembrò necessitare ancora un contatto fisico e per questo le sfiorò il collo con due dita. Poi affermò semplicemente:

«Qui manca qualcosa»

Lo vide dirigersi verso la cassettiera su cui era poggiato il portagioie per prendere la collana che lui stesso le aveva regalato.

«Perché stamattina sei andato via così di fretta senza neanche salutarmi?» chiese e l'uomo si fermò a metà strada, sospirò e poi si voltò verso di lei.

«Dovevo portare delle notizie importanti al führer Kathrein. Affrontare un viaggio di cinque ore per arrivare a Monaco e poi di nuovo altre cinque ore per tornare a Berlino in tempo da te, non potevo concedermi il lusso di indugiare qui neanche per un minuto altrimenti non ce l'avrei fatta a lasciarti andare di nuovo»

«Sei mesi sono molto tempo» assentì Kathrein, ma poi un dubbio si insinuò in lei e non tardò ad esporlo.

«Notizie così importanti da non poter attendere qualche ora l'arrivo del führer al ricevimento?»

«La duchessa di Windsor ci ha informati su alcuni piani francesi. La Francia vuole attaccarci probabilmente, Kathrein. Certe notizie non possono attendere nemmeno un'ora»

La ragazza sussultò quando immaginò i due paesi in guerra e preferì cancellare i corpi dilaniati e le atrocità che si figuravano nella sua testa.

«Intendi Wallis Simpson?»

Diedrich sembrò irrigidirsi e farsi decisamente sugli attenti, mentre abbandonava l'idea di recuperare la collana dal portagioie e si avvicinava nuovamente a lei.

«La conosci?»

Per tutta risposta Kathrein fece spallucce, lasciando intendere che la conoscesse solo di nome e, a quel punto, l'uomo sembrò rilassarsi. Fece per dirle qualcosa, ma sua madre bussò alla porta e gli intimò di scendere poiché aspettavano solo loro.

«Metti la collana e scendi, ti aspetto giù»

Le lasciò un ultimo bacio che sapeva di ritrovamento e speranza. Speranza di poter, finalmente, costruire qualcosa insieme senza la distanza e l'inganno machiavellico del tempo.

Rimase qualche attimo spaesata al centro del letto, sfiorandosi le labbra e sorridendo al ricordo delle sue parole così sincere. Poi si alzò e aggiunse la collana ai suoi accessori della serata.

Sorrise al suo riflesso indugiandovi ancora. Adesso, come quel collier al suo collo, si sentiva al posto giusto e aveva riacquistato molta fiducia nel suo rapporto con Diedrich.

Inspirò profondamente e si avviò verso la porta, poi uscì pronta ad affrontare una serata che, ancora non sapeva, si sarebbe rivelata ricca di avvenimenti.

  
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