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Autore: Honodetsu    27/07/2017    0 recensioni
"...Provò una rabbia cieca, un moto di rancore che gli si annidava nello stomaco e che si irradiava in tutto il corpo. Un moto, però, destinato a fermarsi all'interno del suo organismo, del suo essere e che già sapeva lo avrebbe corroso fino alla morte..."
Emozioni e pensieri che probabilmente si annidarono nella testa di quello che fu un grande uomo nel momento della fine.
Leggete e fatemi sapere cosa ne pensate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Napoleonico
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-Napoleone, Isola di Sant'Elena-


15 agosto 1769, nasce ad Ajaccio Napoleone Bonaparte, pochi mesi dopo che la Repubblica di Genova aveva ceduto la Corsica alla Francia.

La nave da battaglia HMS Northumberland finalmente avvistò le coste di un'isoletta sperduta nel mezzo dell'oceano Atlantico. Era il 7 agosto dell'anno 1815 e quella era l'isola di Sant'Elena. Napoleone sentì ogni singolo suono di quel lungo viaggio: lo scricchiolio delle assi, i passi svelti dei marinai sopra coperta, le onde che andavano ad infrangersi contro lo scafo. Adesso però la nave era ferma, l'ancora era stata calata e l'unico suono udibile era quello dell'oceano e del vento.
Ormai uscito fuori coperta la dura realtà dei fatti era divenuta schiacciante. A pochi metri dalla nave su cui si trovava poteva vedere quell'isola che, già sapeva, avrebbe segnato la sua fine.
Fu fatto salire su una scialuppa di salvataggio, seguito da tre ufficiali e dodici domestici che sarebbero stati i suoi unici compagni in quella sua ultima e forzata avventura.
Nel momento in cui la barca toccò le onde dell'oceano, Bonaparte nella sua posizione seduta, strinse i pugni. In quella stretta tignosa e rabbiosa risiedeva il suo sdegno, troppo forte ma allo stesso tempo troppo debole per poter cambiare le cose. Ed eccolo, il grande uomo che aveva cambiato il volto dell'Europa: ora seduto su una barca, circondato da nemici stranieri, costretto all'esilio in una squallida isoletta sperduta. Provò una rabbia cieca, un moto di rancore che gli si annidava nello stomaco e che si irradiava in tutto il corpo. Un moto, però, destinato a fermarsi all'interno del suo organismo, del suo essere e che già sapeva lo avrebbe corroso fino alla morte.
Come poteva un uomo come lui fare la fine di un esule? La fine di un criminale, un senza patria, un abbandonato.
Posò lo sguardo sui tre generali seduti difronte a lui. Li guardò uno per uno, con rabbia, con disgusto. E senza voler prestare minimamente interesse a quello che potevano provare realmente quegli uomini inglesi, si ritrovò a pensare con collera che adesso quegli sporchi bastardi dovevano essere contenti. Già, dovevano esserlo per forza, se lo erano tolti di mezzo. Continuò a guardarli con odio finché non raggiunsero la riva, con la disperata certezza da parte del gran d'uomo che essi, ovviamente, non potevano che rappresentare la gioia maligna del popolo inglese nel vederlo ridotto in quello stato. Nel vederlo piegato, finalmente catturato.
Una volta toccata la costa sabbiosa, una volta udito i tre ufficiali alzarsi, una volta essere sceso dalla barca ed aver affondato il piede nella sabbia bianca; Napoleone sentì quella rabbia che lo aveva animato per tutto il tempo, svanire.
Al suo posto un nulla asettico e destabilizzante, che risucchiava qualunque altra emozione.
Com'era stato sciocco, perché stava odiando tanto quegli uomini? Quelli sarebbero stati gli ultimi volti sconosciuti che avrebbe potuto vedere per il resto della sua esule vita. Provò improvvisamente una forma di attaccamento verso di loro, sentiva che se fosse riuscito a farli rimanere con lui il più allungo possibile allora niente sarebbe stato definitivo. Che pensiero sciocco, si odiò da solo per questa sua debolezza.
Gli fu fatta vedere quella che sarebbe stata la sua ultima dimora e finiti i convenevoli formali, il momento tanto temuto giunse.
Osservò con occhio vitreo i tre ufficiali allontanarsi sulla barca in direzione della nave militare. Alle sue spalle i domestici, con i bagagli in mano, si dirigevano verso la dimora.
Ebbene era successo ancora, era di nuovo in esilio. Solo che questa volta non provò il prorompente sentimento di rivalsa che lo aveva spinto a fuggire dall'isola d'Elba. Questa volta non sentì nulla.
Soltanto un senso di sorda sconfitta che gli gravava addosso. Aveva perduto a Waterloo, era di nuovo in esilio. Tutto era perso, il suo dominio in Europa, il suo dominio in Francia. Tutto.
Di fatti, quello a pesargli di più non era stato tanto la solitudine dell'esilio quanto tanto quello che essa comportasse: l'abbandono del suo potere. La perdita delle sue conquiste sudate, avvenute nel corso degli anni della sua ascesa al trono francese ed a quelle successive. Alla perdita della sua gloria, della sua fama. E quello che più di tutto temeva era il poter essere dimenticato. Una paura sciocca, in cuor suo lo sapeva, dopotutto lui era l'uomo che aveva sconvolto con innovazioni geniali il modo di far politica ed economia in tutta Europa. Ma se c'era qualcosa che aveva imparato in quegli anni di potere era che nulla era certo, anche le cose più scontate, i dogmi più forti, potevano essere sradicati in un modo o nell'altro. E lui era l'esempio più concreto di tutto ciò.


Le onde dell'oceano si lasciavano morire dolcemente sulle coste sabbiose producendo un suono ritmico ed ormai fin troppo familiare alle vecchie orecchie dell'ex Imperatore di Francia.
Con occhi vitrei e con la volontà ormai piegata al giogo amaro della vita, se ne stava seduto su una sedia di legno scricchiolante, premendosi una mano allo stomaco dolorante. Era come se una manciata di spilli gli si fossero infilzati nelle pareti dell'organo, straziandolo.
Davanti a lui una scrivania, poco più in là, la finestra da cui poteva scorgere la spiaggia. Doveva essere più o meno mezzogiorno da come il sole era alto nel cielo e dai suoni che provenivano dalla casa. Ed in quel momento di profonda solitudine e di dolore, chiuso nelle sue camere, si ritrovò a pensare al passato.

5 ottobre 1795, periodo tardo della rivoluzione francese. Tentativo di ribellione da parte dei realisti, convinti che la Francia fosse favorevole al ritorno della monarchia. Ribellione in seguito stroncata da alcuni reparti armati al comando del giovane Napoleone.

La sua mente volò al suo primo intervento nel periodo rivoluzionario e di come con la sua lenta ed allo stesso tempo veloce salita al potere avesse posto fine alla rivoluzione e di come si pose promotore delle idee liberali, più positive, nate in quel periodo tanto instabile della storia francese. Si morse un labbro con ardore ed ignorando le fitte provenienti dallo stomaco, lui era stato l'uomo capace di andare contro l'Ancien régime divenendo il solo “snodo” che permettesse una riconciliazione nazionale.
Lui era stato l'uomo che aveva “purificato” la rivoluzione, ripulendola da tutti i crimini commessi durante quegli anni bui e conservandone invece le cose buone.
Con stizza si ritrovò a stringere le mani intorno ad i braccioli della sedia. Lui era stato l'uomo capace di rinnegare l'autorità del Papa incoronandosi da solo e nonostante ciò era riuscito a fare un concordato con la Santa Sede, ed in fine era stato capace di farsi scomunicare da quest'ultima.
Aveva emanato il Codice Civile, aveva incentivato lo sviluppo economico, agricolo ed industriale sia in patria che nei territori esteri sotto il suo potere. Aveva creato dalle macerie uno stato fondato su un potere unitario ed accentratore, potere che poteva controllare solo lui; nella sue mani. Sorrise a quel ricordo.
Si era fatto promotore di idee liberali per alcuni popoli e rivoluzionarie per alcuni governi, al suo passaggio intere popolazioni si inchinavano al suo genio e lo acclamavano come liberatore.
Come nel caso italiano. Ed al ripensarci il suo sorriso si incrinò. Beh, lì probabilmente non fu esattamente quel grande liberatore che i patrioti italiani si aspettavano. Probabilmente aveva deluso molti animi e con una certa amarezza si ritrovò ad ammettere che, in fin dei conti, delle sorti italiane non gliene era mai importato molto. Lui sì che era stato un vero sovrano machiavellico.
Sorrise di nuovo, un sorriso triste e malinconico.
Come gli mancavano quei tempi, come gli mancava quella sensazione tremendamente piacevole, quasi stupefacente, che solo il potere poteva donargli.

5 maggio 1821 alle ore 17:49, all'età di 52 anni, Napoleone Bonaparte si spegne nell'isola di Sant'Elena a causa di tumore allo stomaco covato in grembo da anni.
 
  
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