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Autore: Fiamma Drakon    15/06/2009    2 recensioni
Avevano viaggiato insieme così tanto, così a lungo eppure ancora nessuno dei due aveva capito che il “tesoro più prezioso” era proprio accanto a sé, dov’era stato per così tanto tempo, fin da quando si erano conosciuti.
E' la mia primissima fic su FFXII perciò chiedo clemenza...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Penelo, Vaan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Precious Avevano viaggiato insieme così tanto, così a lungo eppure ancora nessuno dei due aveva capito che il “tesoro più prezioso” era proprio accanto a sé, dov’era stato per così tanto tempo, fin da quando si erano conosciuti.
Forse il loro legame di amicizia li rendeva ciechi, incapaci di vedere cosa realmente c’era tra di loro.
O semplicemente non si rendevano conto che ciò che provava lui era ricambiato in ugual misura da lei.


“Ancora niente sul fronte occidentale... no, dai scherzo.
Qua non c’è mai neanche tempo per dire “mi annoio”: succede sempre qualcosa d’imprevisto e. via! All’avventura.
Non che me ne lamenti: finalmente un po’ di movimento, però non mi dispiacerebbe affatto avere anche qualche attimo per respirare...
Certo che questa storia del “tesoro più prezioso” ha conquistato tutti, ma proprio tutti! Ognuno è alla ricerca della cosa più preziosa della sua vita. Io mi chiamo “alla deriva” in questa storia... sono sperduto, ma credo che riuscirò a superarlo... spero.
Uff... questa cosa del diario di bordo mi ha preso peggio di quel che credessi... credevo che non avrei partecipato affatto, invece mi sono lasciato trascinare...
Chissà cosa direbb...”.

Vaan si riscosse quando sentì qualcuno bussare alla porta della sua camera.
- Vaan...? -.
Era l’inconfondibile voce di Penelo.
Chiuse di scatto il diario e lo nascose sotto il letto.
- Sì? - esclamò, esitante, voltandosi verso la porta.
Questa si schiuse appena per lasciar trapelare un filo di luce dal corridoio e gettare l’ombra del profilo di Penelo nella stanza, prima che entrasse.
- Che cosa stai facendo? Sei chiuso qui dentro da tutta la sera... non sei nemmeno venuto a cena... - disse lei, incuriosita, avvicinandosi al ragazzo, che nel frattempo si era messo seduto sul letto.
- Niente! Non avevo fame stasera... - disse lui, cercando di giustificarsi.
- Ah, davvero? Strano... davvero strano... non è che avevi qualcosa di importante da fare da solo? - gli domandò di nuovo lei, inarcando in modo assai eloquente un sopracciglio.
Vaan avvampò per l’imbarazzo, allontanandosi un poco da lei.
- Non era niente di così eclatante, davvero! - esclamò il ragazzo, mal celando un certo nervosismo.
- Ehi, Vaan hai finito con il diario di b...? -.
Philo fece irruzione nella camera di Vaan e si fermò sull’uscio quando vide Penelo.
- Ops, scusate... - disse, palesemente imbarazzata per l’intrusione.
In quel preciso istante Vaan avrebbe voluto sopprimerla: le aveva espressamente chiesto di non dire del diario a nessuno, perché poi l’avrebbe rimesso al suo posto senza che nessuno se ne accorgesse.
Dannazione e ora?
Lo sguardo di Vaan cadde su Penelo, che lo fissava meravigliata e divertita al tempo stesso.
- Scusatemi... - ripeté ancora Philo, prima di uscire dalla stanza, lasciandolo da solo con la bionda.
- Avevi detto che non ti saresti lasciato trascinare nella storia del diario di bordo, eh capitano Vaan? - disse Penelo non appena Philo ebbe chiuso la porta.
- Be’, e allora? Non è come pensi te... - ribatté Vaan, indignato.
- Avanti, dove l’hai nascosto? - lo interruppe Penelo.
Il ragazzo, sbuffando, lo estrasse da sotto il letto e glielo porse: si era fatto beccare come un allocco. La prossima volta sarebbe stato più accorto.
Mentre la ragazza scorreva le pagine del diario, lui rimase come incantato a guardarla, osservando i suoi occhi azzurri come il cielo.
Dentro avvertì come un sussulto che non aveva mai provato prima: era stato stranissimo.
- Bravo! Almeno non ce lo lasci riempire solo a noi... - gli disse lei in tono ironico.
Più la guardava, più sentiva come un filo indissolubile legarlo a lei, ai suoi occhi, al suo corpo.
Niente pareva aver più un senso, solo lui e lei, che d’un tratto pareva aver assunto le sembianze di un paradisiaco angelo sceso sulla terra, soli nella camera.
Vaan rimase imbambolato a fissarla per quelli che gli parvero istanti infiniti.
Dentro si sentiva come scombussolato, totalmente privo di raziocinio.
Era strano, perché Penelo l’aveva vista tante volte e mai gli aveva fatto quell’effetto, non gli aveva mai provocato una tale confusione psicologica, emotiva e... fisica.
La ragazza fece per andarsene.
- Penelo, aspetta - disse, prendendola per il polso.
Lei si volse verso di lui con un maestoso gesto del capo almeno, per quello che la vista del ragazzo captò. I suoi occhi azzurri e cristallini lo fissavano con stupore e innocenza infinita, tanto che Vaan si perse ancora una volta in essi.
- Sì...? - domandò con innocenza.
Lui si sentì ardere mentre, totalmente succube del proprio corpo, attirava a sé la ragazza, piano, con una delicatezza del tutto estranea al suo solito. E lei si lasciò catturare, lasciò che le sue braccia le cingessero le spalle e i suoi occhi si confondessero nello sguardo di Vaan.
Quante volte i loro sguardi si erano incrociati da quando si erano conosciuti, intrisi di una tacita intesa, ma mai come quella volta si sentì letteralmente trascinare da quegli occhi, come fossero magneti. Ebbe il fugace, improvviso desiderio di perdersi definitivamente in essi, senza più via di scampo, senza più la possibilità di uscire da quei pozzi blu oceano.
Erano vicinissimi e nessuno dei due pareva voler porre ulteriore distanza tra loro: i loro sguardi erano molto più eloquenti di qualsiasi parola.
Si avvicinarono ancora, poi lei, inconsciamente, succube del magnetico sguardo di Vaan, lo spinse sul letto e lei sopra di lui.
Si sfiorarono, dapprima timidamente, poi sempre più intimamente, come volessero fondersi l’uno con l’altra, senza potersi più staccare.
Le loro labbra si sfiorarono, cercandosi poi con foga crescente, abbandonando ogni timidezza iniziale.
Erano ambedue succubi dei loro corpi, dei loro istinti, ma nessuno cercava di ritrovare la ragione, perché era piacevole.
Dannatamente piacevole.
Le mani di Vaan risalirono lungo le braccia di Penelo, provocandole una nuova ondata di piacere, mentre lei sfiorava il suo petto, ricercando i lacci che la tenevano lontana dalla sua pelle.
Lui ricercò lungo la sua schiena i lacci del corsetto, allentandoli a poco a poco, senza staccarsi dalle sue labbra.
Quando ebbe finalmente allentato tutti i lacci, il corsetto scivolò via e ricadde ai piedi del letto.
Vaan poi si lasciò togliere il giubbino, che Penelo lasciò vicino al suo corsetto, per poi stringersi a lui, sfiorandogli appena il petto con il seno.
Interruppero il bacio, mantenendo però vivo il contatto visivo.
Vaan le tracciò con il dito arabescate figure inesistenti sul petto, contornandole i seni, scendendole fino all’ombelico e più giù ancora. Ogni punto sfiorato dal ragazzo sembrava  zampillare piacere, un piacere intenso, coinvolgente.
Era così bello, così dolce, appassionante, struggente.
Come una secchiata d’acqua gelida, la ragione riprese improvvisamente possesso dei loro corpi e i due si guardarono, sbattendo più volte le palpebre, confusi.
Penelo scese dal petto di Vaan rapida, raccogliendo il corsetto caduto.
Vaan si rimise seduto, senza badare al giubbino, guardandosi intorno, per poi soffermarsi a fissare Penelo.
Un imbarazzato silenzio prese possesso dell’aria, spandendosi a macchia d’olio in tutta la stanza.
- Mi... dispiace... - disse lui, imbarazzato, mantenendo gli occhi bassi.
Lo sguardo di Penelo indugiava sulla figura di Vaan: si sentiva strana a guardarlo, anche se non riusciva a distogliere gli occhi da lui. Poi le baluginò alla mente ciò che si erano prefissi di cercare.
- Il “tesoro più prezioso”... - disse lei.
Vaan la guardò, confuso e spaesato.
Pronunciare quelle parole le diede una strana sensazione di certezza e finalmente capì di averlo trovato: il suo “tesoro più prezioso”.
Lui ancora la guardava: era stato preso da uno strano desiderio, un qualcosa che non aveva mai provato e del quale era pentito, ma che era stato piacevole.
La squadrò ancora qualche istante: era sempre stata accanto a lui e non gli era mai passato per la testa una cosa simile.
E perché ora sì?
Il “tesoro più prezioso”.
Si lasciò cullare da quelle parole, dalla strana sensazione che gli davano e dallo strano significato che d’un tratto avevano assunto per lui.
Poi, eccola: la certezza, la sicurezza che lei era il suo “tesoro più prezioso”.
Era sempre stato accanto a lui e se ne era reso conto solo in quel momento.
Che idiota.
Lei si sedette accanto a lui e si squadrarono di nuovo, gli sguardi intrisi di una rinnovata e meravigliata consapevolezza.
- Il mio “tesoro più prezioso” - esclamarono all’unisono, intrecciando le mani amorevolmente, senza perdersi di vista un solo istante.
Si baciarono ancora, un ultimo bacio di sfuggita, puro, sincero, prima di separarsi.
   
 
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