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Autore: FRAMAR    28/07/2017    28 recensioni
Aspettare un bambino è sempre un motivo di gioia ma non per Angela. Il suo Franco ama la libertà e non avrebbe mai accettato una gravidanza. Angela prende una decisione tenere il bambino e lasciare Franco.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo sapete che giorno è oggi? 




 
Chiusi la porta e il rumore seppure lieve, mi sembrò enorme. Sentii rotolare dentro di me sassi, macigni e un’aria scura, l’aria che compariva in certi sogni ricchi di incubi, mi avvolse.

Ricordo visi, occhi e capelli, quadri, bisbigli. E’ strano ricordare così mentre rotolavano quei sassi dentro di me. Poi una mano,  ferma sul mio braccio. Parole, ma che parole? E un’altra porta. Chiusa. E la strada. E nella strada. Sola. Con macchine, gente, case e alberi. Viale di periferia. L’aria scura mi abbandonò piano. Ripresi coscienza delle cose intorno. Stretta nella mano avevo la lettera. Domanda e risposta. Ma a che serviva?

“Amore”, pensai, “amore addio!”, e vidi Franco. Il suo sorriso, il suo sguardo. La sua voglia di libertà. Che libertà. Che libertà ci sarebbe stata ora?

“Allora?”, mi domandò venendomi incontro, con lo sportello della macchina ancora aperto.
Mi sedetti in macchina, misi la lettera in tasca e sorrisi.

“Niente. Disturbi. Niente”.

“Meno male: Ho avuto una paura!”.

“Bè, sai, poteva essere…”.

“Si, si. Ma è meglio così: Sei ancora tanto giovane, così restiamo liberi, non è questo che vuoi?”.

“Si, si… è questo”.

Mi baciò su una guancia, in premio perché non ero incinta. Quasi dipendesse da me l’esserlo o il non esserlo.

“Domenica ci aspettano in montagna. Puoi venire vero?”.


Non risposi. Domenica. Quale domenica? Quante domeniche prima che si conoscesse troppo? E poi perché non gli avevo detto subito la verità?


“Non so”, dissi, “vedremo che scusa trovare per i miei”.


Lui rise e si mise a fischiare. Era felice. Era passato il pericolo e per lui tutto il mondo era bello.

 
Non mi feci trovare in casa per alcuni giorni. Non volevo rispondere al telefono. Mia madre mi guardava preoccupata. Parlava piano con mio padre. Non capivano. Ma per quanto?

Per una settimana andò bene, poi, una mattina, mentre bevevo il caffè non resistetti più. Corsi in bagno e vomitai.

Mia madre mi aveva seguita. Mi trovai la sua mano sulla fronte. Era calda e mi faceva sentire protetta. Non disse nulla. Mi capì e al suo silenzio rispose il mio pianto, la mia disperazione, la mia paura, il bisogno del suo perdono.

Hanno un bel dire che noi giovani siamo emancipati, che sappiamo tutto su tutto, che sappiamo affrontare tutte le situazioni e risolverle. Io forse non appartenevo più alla categoria da quando  sapevo di essere incinta. Ero tornata bambina. Ero piena di paure e angosce. Volevo solo la protezione di mia madre.

Seguirono giorni calmi. Vivevo come in un limbo. Ora che mi ero liberata del peso che portavo sapevo che la mamma avrebbe fatto lei tutto quello che sarebbe stato giusto e necessario. Non c’erano stati rimproveri, ma solo parole amare ma rassegnate. Aspettavo, piena d’attesa e speranza che la mamma risolvesse tutto, ma di una cosa ero certa. Non mi sarei sposata.  Mi resi conto in quei giorni di non amare più Franco. Capii quanta poca sensibilità avesse avuto con me, come aveva approfittato della mia giovane età con la scusa che mi davo arie da donna vissuta. Già, lui trentenne, con esperienza e io oca ventenne, E lo odiai. E ciò mi aiutò molto ad allontanarlo da me, tanto che non mi cercò più, pensando forse che il pericolo corso mi avesse messo paura nell’incontrarlo voleva dire riprendere ad avere rapporti con lui.

 
E venne il Natale. Venne la neve, scese dolce e imbiancò ogni cosa, e nella notte, mentre nevicava fitto, mio figlio nacque.

Era un miracolo! Il mio bambino. Dopo tante ore di dolore tremendo in cui mi sembrava niente avesse più fine lui venne al mondo. Era il ritratto di suo padre. Mi venne da ridere al vederlo così somigliante.. E da piangere.

I miei genitori erano accanto a me, felici per la buona riuscita del parto e orgogliosi di essere nonni.

In una grande città si può nascere senza che nessuno se ne accorga, e poi tutti quei mesi trascorsi nella nostra casa al mare per nascondermi dalle amiche e dai parenti! Ma ora? Stringevo al cuore  mio figlio e decisi che non mi sarei mai separata da lui, e non mi importava nulla di quello che avrebbero pensato i conoscenti.

Babbo ci portò a casa l’ultimo giorno dell’anno e a mezzanotte mi addormentai con mio figlio attaccato al seno. E mai capodanno fu più dolce e meraviglioso.

In Febbraio le giornate sono belle e luminose, annunciano già una timida primavera. Ai giardini c’è il sole e il verde nuovo dei prati che sta nascendo. Il bambino dorme dentro la carrozzina mentre io, seduta su di una panchina, leggo un giornale. Mi piacciono queste passeggiate calme, pigre, da giovane mamma tutta nuova e ringrazio sempre il cielo che mi ha dato due genitori così comprensivi che mi lasciano trascorrere questo dolce periodo con serenità. Un’ombra mi copre il sole. Alzo la testa. Vorrei fuggire ma non posso. I nostri occhi non si lasciano. E’ trascorso tanto tempo da che ci siamo lasciati, ma sembra un attimo.

“E' tuo”.

“Si”.

“Quando ti sei sposata?”.

Abbasso il capo. E lui si siede accanto a me e guarda il bambino che dorme. Non ci vuole un’aquila per capire. Basta fare i conti dei mesi.

“Mi assomiglia”, dice piano, con commozione.

“Si”, rispondo, e ho paura.

“Perché non me lo hai detto?”, prosegue con amarezza, “io sono il padre e io avevo il diritto sapere di lui. Il diritto di decidere con te della nascita di mio figlio!”.

“Ma tu, tu,  amavi la libertà”, dico per scusarmi perché capisco che ha ragione, “io non potevo intrappolarti dicendoti di lui…”.

“Stupida, stupida e immatura!”. La mia libertà! Ma lo sai che giorni disperati sono stati i miei da quando mi hai lasciato? Hai deciso tutto tu, tu, col tuo cervello piccolo, piccolo. L’unica cosa buona che hai fatto è stato tenerti il bambino. Sapessi quanto ti ho cercato, e nessuno sapeva dov’eri”.

“Tu, tu, mi hai cercata? Perché?”.

“Perché ti amavo. Perché volevo proteggerti e aiutarti, perché immaginavo il tuo spavento davanti a una cosa più grande di te. Ma non sapevo del bambino. Pensavo tu fossi sgomenta per i nostri rapporti, volevo tranquillizzarti, dirti che ti amavo anche senza di loro, che ti avrei aiutato a diventare donna giorno per giorno. Poi alcuni giorni fa un nostro amico mi disse di averti vista nel parco con la carrozzina. Allora ho capito tutto”.

“Tu”, dico piano, “tu…”. E non so proseguire perché le sue labbra sono sulle mie, dolcemente e ci baciamo tante, tante volte, mentre il bambino dorme ignaro e felice.

 
Aprendo la porta mia madre non è per nulla sorpresa. Franco tiene in braccio il bambino e io sono appesa al suo braccio.

“Lo immaginavo che sarebbe finita così”, dice  mia madre, “ma dovevate da soli ritrovarvi, capirvi, per scegliervi e sistemarvi”. Prende il bambino dalle braccia di suo padre e dice:
“Ciao tipino, resterai ancora tanti giorni con la nonna mentre quei matti dei tuoi genitori andranno in viaggio di nozze”,  e volgendosi a noi, “e mi raccomando che sia un viaggio molto lungo!”

Stringendo il bambino s’avvia brontolando per il corridoio, ma prima di entrare nella camera del bimbo si volta ancora una volta:

“Lo sapete che giorno è oggi? Il 14 febbraio: san Valentino”.

Scoppiamo tutti a ridere mentre il bambino si mette a piangere perché ormai ha fame e non intende aspettare più.
 

   
 
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