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Autore: John Hancock    28/07/2017    0 recensioni
Nel 2039 una potente setta religiosa, il Sacro Ordine, conquista il mondo sottomettendo tutte le Regioni al suo volere. Tre anni dopo scoppia la rivolta, che vede a capo il Quartiere 16 di Astoria, uno dei ghetti più discriminati della capitale di Sinnoh. Capitanati da un ex poliziotto ormai stanco della situazione in cui viveva la sua gente, i rivoltosi inizieranno a lottare per la loro libertà, braccati dai Sacerdoti.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blue, Gold, Green, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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Come L’Acqua Che Frantuma La Roccia
 


 
Kyle passò tutta la mattina a levigare il tavolo in camera sua e le sedie affini. Nel frattempo, Maisy portò fuori Hoothoot, Riolu e Arcanine. I tre si diressero nella foresta, scortati da Ursaring che aveva le direttive per il loro primo allenamento. Quando Kyle concluse il suo primo incarico aveva mani, faccia e maglia colmi di piccole schegge di legno, volate in ogni direzione mentre limava la superficie del tavolo. Andò nel piccolo angolo cottura, dove vi trovò scopa e paletta, con cui ripulì la polvere di legno creatasi sul pavimento. Una volta finito, uscì fuori casa, per incontrare Maisy.
Dalla sua permanenza lì, solo in quel momento poté osservare con più tranquillità la proprietà terriera: la casa si trovava sotto una parete rocciosa, leggermente sporgente, e quindi creava un minimo riparo al tetto. Il prato su cui si affacciava era pressoché solo erba, eccezion fatta per una piccola fontana a pompa, situata alla destra della casa, osservando con l’ingresso alle spalle; sulla sinistra si trovava un orto ben fornito e, isolato dal resto delle piante, un grosso albero verde che sembrava luccicare alla luce del Sole, davanti al quale si trovava una coppia di panche in legno.
Maisy si trovava lì, intenta a tagliare con cura il prato che cresceva attorno al tronco, in modo da non permettere a nessun filo d’erba di crescere sull’albero. Kyle le si avvicinò, con la faccia ancora imperlata di sudore.
Le grandi cesoie nelle mani della ragazza parevano quasi scivolare sul manto erboso, come fossero acqua in un ruscello sassoso. Riusciva a lavorare senza tuttavia perdere l’eleganza che aveva sempre trattenuto in ogni fibra del suo corpo da quando Kyle la vide per la prima volta.
I capelli di lei erano accuratamente acconciati in uno chignon trattenuto da una coppia di kanzashi color rosa perlaceo, abbinato al colore della lunga veste di quel giorno, colma di fiori blu che risaltavano notevolmente sullo sfondo monocromo. Sentendolo arrivare, Maisy si alzò, posò le cesoie sulla panchina e rimise ai piedi i suoi gheta.
- Ho finito – Kyle riprese momentaneamente il fiato, inspirando a fondo più volte.
- Ma metti sempre il kimono, come vestiti?
- Questo non è un kimono – Maisy sorrise, con la testa leggermente inclinata.
Una ciocca di capelli le ricadde davanti agli occhi ma lei la ricacciò prontamente dietro l’orecchio destro.
- È uno yukata. Simile al kimono ma diverso: per prima cosa, è estivo, fatto di cotone leggero. Secondo e più importante: è informale, a differenza del kimono, anche se entrambi vanno indossati quasi allo stesso modo.
Nel momento in cui Maisy concluse il suo pensiero, un frutto cadde dall’albero alle sue spalle, affondando comodamente nel letto d’erba.
Lei si voltò immediatamente, per poi inginocchiarsi e raccoglierlo. A Kyle la domanda venne spontanea.
- Che albero è? – chiese incuriosito, dato che da nessuna parte aveva mai visto un albero i cui frutti fossero racchiusi in dei gusci nodosi.
- È uno degli ultimi alberi puri di ghicocche. L’eredità di mio nonno è tutta qui – Maisy porse il frutto a Kyle, che lo accolse all’interno dei palmi. Immediatamente, il guscio si sfaldò in due parti esatte, rivelandone l’interno; una ghicocca bianca apparve.
Il ragazzo osservò con timore il frutto, impaurito di averlo rovinato.
- Non ti preoccupare – Maisy lo tranquillizzò – È normale che si apra immediatamente.
- Questo non è un comune albero di ghicocche: di norma se ne dovrebbe raccogliere una sola al giorno, quando perfettamente matura, per evitare che l’albero muoia. Ma questo piccolo qui – la ragazza ne accarezzò il tronco – È diverso: puoi raccogliere più ghicocche al giorno, spesso cadono da sole quando sono mature, come in questo caso. Oppure sta a te decidere quando prenderne una. È in grado di produrre tutti i tipi di ghicocche, la cosa è casuale. Il nonno diceva sempre che questo albero era in grado di rispondere alle necessità del suo padrone.
- Quindi… è da qui che prendi i materiali per le Poké Ball? – chiese cautamente Kyle, impaurito di sbagliare qualcosa.
- Esattamente. Quando sarai degno, ne farò una anche a te. Ma ci vorrà molto tempo e, soprattutto, allenamento e lavoro.
- Io sono pronto per iniziare.
- Questo, però, sarà diverso da ciò che hai fatto finora. Non credere che io ti possa allenare come faceva Sur, ad esempio. Se vuoi diventare un vero allenatore, dovrai seguire le mie istruzioni anche se ti sembreranno… stupide.
Kyle la guardò con fare interrogativo, come se non avesse capito l’ultima frase.
- Quando poi sarai pronto, e lo saranno anche i tuoi Pokémon, potrete allenarvi assieme. Ma fino ad allora, i vostri allenamenti dovranno essere divisi.
- In cosa consisterà il mio?
- Non correre, Kyle, un passo alla volta. Ti dirò di volta in volta ciò che dovrai fare.
Maisy scorse lo sguardo palesemente deluso del ragazzo che sperava di poter essere messo al corrente il prima possibile rispetto a ciò che lo aspettava.
- Vogliamo iniziare? Abbiamo già perso troppo tempo – Maisy fece riaffiorare una scintilla negli occhi di Kyle.
- Certo! Dimmi solo che cosa fare.
Maisy sfilò uno dei suoi kanzashi su di cui era stato fissato un grosso fiore rosa dalle estremità azzurre, liberando in parte i capelli. Vedendoli ormai disfarsi sempre più velocemente, rimosse anche la seconda bacchetta. I capelli le ricaddero sulle spalle con un unico, fluido movimento. Kyle l’osservò rapito, non era affatto abituato a vedere una ragazza bianca che avesse un simile effetto su di lui. Gli parve quasi che il movimento dei capelli fosse durato in eterno.
- Questo fiore cresce solo in una particolare zona di questa montagna.
Lei lo tolse da sopra il kanzashi, tenendolo nella mano libera. Lo avvicinò agli occhi di Kyle, che adesso poteva osservarlo con minuzia. L’azzurro dei petali si ritrovava anche all’interno, dove al posto del polline c’era un altro insieme di petali, stavolta racchiusi su se stessi.
- La sua particolarità – continuò Maisy – sta nel fatto che il polline è protetto da un’ulteriore cerchia di petali, resistenti quanto la corteccia di un albero. E velenosi, soprattutto velenosi. Una sola goccia del suo nettare può uccidere all’istante.
Kyle ritrasse istintivamente il viso all’udire l’ultima affermazione. Maisy ne parve compiaciuta.
- Il tuo primo compito è di portarmene almeno tre. Puoi usare qualsiasi cosa tu riesca a trovare o costruire, per portarli indietro.
- Devo… raccogliere dei fiori, tutto qui?
- Non tutto ciò che sembra facile, lo è in realtà. Adesso vai, hai fino a stasera quando calerà il Sole per trovarli.
- Dovrò trovarli da solo, giusto?
- Ovviamente, Kyle.
Maisy ricompose in pochi attimi l’acconciatura, riprendendo poi in mano le cesoie per riprendere a tagliare l’erba al di sotto dell’albero.
Kyle si incamminò verso il portone d’ingresso. Sulla soglia, venne fermato dalla voce della sua maestra.
- Non sempre – fece una breve pausa - Ciò che si cerca, si trova nei posti dove le persone sono sicure di trovarlo. A volte, bisogna spingersi un po’ più in alto di dove arriva la vista degli altri, per vedere meglio. Oserei dire anche che serva per avere una più ampia visuale.
Maisy sorrise fra sé, ritornando alla sua occupazione, mentre Kyle cercò di registrare ogni singola parola emessa da lei.
Tornò a guardare la foresta che si apriva subito dopo la radura al di fuori del perimetro della sua nuova casa, dopodiché uscì dal portone e si incamminò fra gli alberi, diretto verso la cima della montagna.
 
Kyle continuò a camminare per circa venti minuti fra i tronchi degli alberi, facendosi spazio fra le erbacce che crescevano a dismisura. Il capo chino, rivolto al terreno, balzava da un lato all’altro, alla ricerca dei fiori che era stato incaricato di trovare.
S’inoltrò sempre più all’interno della foresta, accompagnato dal continuo cinguettare di Pokémon volanti che erano intenti a godersi il caldo sole. Decise di andare verso la vetta della montagna, in quanto ricordava perfettamente che, nel viaggio di andata assieme a Sur, non aveva intravisto nulla di simile ai colori di quel tipo di fiore.
Prese un piccolo e accidentato percorso, di cui erano sopravvissute solo delle porzioni, cancellato dalle intemperie e dalla vegetazione che, senza controllo, cresceva indomita su quelle montagne.
Per quanto possibile, si limitò a seguirlo, mentre lo sguardo andava in ogni direzione, scrutando ogni pianta e cespuglio, alla ricerca del rosa dei fiori. Si spinse sempre più in alto, mentre il terreno iniziava a rendersi mano a mano più ripido e tortuoso, con numerosi rovi che bloccavano la strada.
All’iniziò fu facile districarsi in quel labirinto, in quanto bastava semplicemente aggirare le spine. Ma, quando Kyle ebbe camminato per due ore abbondanti, si ritrovò ormai circondato da alberi e arbusti, rendendo quasi impossibile passare in altre parti se non in quelle piccole insenature fra il fogliame che occupava tutta la zona visibile. Per tre volte Kyle fu costretto ad arrampicarsi sul tronco di un albero, almeno un paio di metri, per riuscire a superare una barriera di fitte spine che, come un virus, sembrava invadere con prepotenza crescente la vegetazione di quella porzione di montagna.
Era ormai ora di pranzo e Kyle moriva di fame. Dopo aver camminato tutta la mattina, senza neanche bere un goccio d’acqua, le forze iniziarono a venire meno. Si fermò un attimo, stendendosi nel manto erboso ai piedi di un grosso albero, per poter riprendere fiato e far calmare il cuore che continuava a martellargli nelle tempie. Chiuse gli occhi e lasciò andare le braccia perpendicolarmente al corpo. In quel preciso istante, il tempo parve accelerare e il silenzio estinguersi
Dal nulla, il suono di acqua in movimento, giunse alle sue orecchie.
Kyle si alzò a sedere immediatamente, con la schiena dolorante. Sì, ne era sicuro: quello era il rumore di una fonte d’acqua montana.
“C’è dell’acqua qui vicino. E dove c’è acqua… ci deve per forza essere la vita”.
Con questo pensiero palesato in mente, Kyle scattò in piedi e si diresse di tutta corsa verso la fonte del rumore. Non badò ai rami che gli frustarono il viso e gli strapparono le vesti, né alle fitte che iniziavano a raggiungerlo nel basso ventre e nei polpacci, per colpa dello sforzo. Continuò a correre, finché non giunse nel punto desiderato.
Un piccolo ruscello scendeva dalle vette, strisciando fra gli alberi, aggirando rocce e muovendosi sinuoso fra la vegetazione.
Kyle si avvicinò cautamente alla riva, su cui crescevano diversi alberi giovani di bacche. Uno di questi, stracolmo di Baccafrago, attirò la sua attenzione. Il ragazzo ne raccolse un paio, belle grosse e dall’aspetto invitante, per poi mangiarle con avidità. Il suo corpo urlò di felicità mentre nuove energie affluivano al suo interno, mentre il morso della fame allentava la sua presa.
Una volta finito si avvicinò al ruscello. Facendo attenzione a non finire in acqua, iniziò a bere, affondando le mani dove il fondale roccioso era meno profondo. Ne trasse diverse, profonde, sorsate, prima di restare immobile a osservare l’acqua che scorreva limpida. Il cielo, così come gli alberi, si riflettevano nello specchio d’acqua.
Kyle rimase in quella posizione per molto tempo, mentre il Sole abbandonava il suo punto di zenit e si avviava nella discesa per poter, infine, lasciare il posto alla sua regina bianca. Quando la luce riflessa dal ruscello iniziò a diminuire, le figure da quest’ultimo specchiate, iniziarono ad essere più visibili.
In quel momento, balenò negli occhi di Kyle uno strano riflesso, che non aveva nulla a che fare col verde del fogliame. Più in alto, dove gli alberi cedevano il posto al cielo, qualcosa attirò la sua attenzione.
Si raddrizzò, puntellandosi sui gomiti. Volse lo sguardo verso l’alto, quando finalmente li vide: in prossimità dei grandi alberi, c’erano dei fiori rosa.
Kyle non poté capire con precisione se fossero quelli da lui cercati, in quanto la troppa distanza non rendeva possibile vedere il colore azzurro che li caratterizzava.
- Finalmente vi ho trovati… ecco cosa intendeva Maisy quando diceva che bisogna spingersi un po’ più in alto del solito. Devo solo andare a prenderli.
Si avvicinò all’albero più vicino, la cui cima era completamente piena di fiori. Ai piedi del tronco, soppesò l’altezza a cui si trovava il suo obiettivo. Erano circa una trentina di metri, più o meno, e il primo ramo dell’albero era a circa due metri dal suolo.
Kyle si guardò in giro, in cerca di qualcosa che potesse aiutarlo. Il suo sguardo si poggiò sull’albero alla sinistra di quello su cui doveva arrampicarsi, nettamente più piccolo ma privo di fiori. Ci si avvicinò immediatamente e si iniziò ad arrampicare, usando un masso lì vicino come scalino extra. Salì facilmente fra i primi, grossi rami, prendendo velocemente altezza. Una volta che fu arrivato oltre i tre metri, salì sul ramo più vicino all’albero dei fiori, e prese a camminarci sopra.
“Menomale che sono sempre stato bravo ad arrampicarmi”.
Con questo pensiero fisso in mente a farsi forza, Kyle arrivò fin dove poté, senza rischiare di far spezzare il ramo, per poi saltare sull’altro albero. Atterrò su uno degli ultimi rami in basso, afferrandosi con le braccia e rischiando pericolosamente di cadere. A fatica si issò, non curante delle escoriazioni che iniziavano a crearsi nell’interno del braccio.
Una volta tiratosi su, volse lo sguardo verso l’alto.
- Beh – inspirò profondamente più volte – facciamo finta che sia come quando ero piccolo e mi arrampicavo sui mobili della cucina per prendere i biscotti di Daisy.
Lentamente, incominciò la sua ascesa, arrampicandosi fra i rami più vicini e saltando quando necessario, per raggiungere quelli più lontani. In men che non si dica, riuscì a raggiungere la cima, proprio sotto i fiori.
Distratto momentaneamente, la vista gli cadde sulla valle che si stendeva ai piedi della montagna. New Hope era invisibile, protetta dai legami dei Pokémon Psico. Ma, nonostante questo, la vista era comunque spettacolare: le vette innevate, in lontananza, riflettevano l’arancione del sole in tramonto, mentre l’erba risplendeva verde ovunque si guardasse e gli alberi, con i loro fiori, davano una spruzzata di colore tipica di una bomboletta spray.
La mente ritornò alla realtà quando una grossa Butterfree volò vicino a Kyle, sulla sua testa. Si avvicinò, senza paura, ai fiori e iniziò a succhiarne il polline. I suoi denti penetrarono senza la minima difficoltà all’interno del guscio azzurro, mentre un rivolo di liquido dorato fuoriusciva e una parte ne colava sul viso del Pokémon, per poi cadere nel vuoto, lentamente, a causa della sua densità.
Kyle, ricordando la pericolosità del fiore, si spostò in fretta per evitare di venir colpito dalla linfa.
Solo in quel momento realizzò che si era dimenticato il modo per trasportare i fiori senza venirne a contatto. Per sua fortuna, fu quella Butterfree a dargli la soluzione. Svolazzò, una volta sazia, sui rami in prossimità di Kyle e, come capendo le sue necessità, si appollaiò su un vecchio nido ormai abbandonato.
- Posso? – chiese stupidamente Kyle, come se il Pokémon lo potesse ascoltare.
Con sua grande sorpresa, Butterfree sbatté un paio di volte le ali, fissandolo dritto negli occhi, per poi rialzarsi in volo e volare via.
Kyle, ancora stupito, raccolse il nido e lo incastrò in una cavità del tronco affusolato, mentre coglieva i fiori con una mano e l’altra usata per reggersi. Una volta presi tre esemplarli, iniziò la sua discesa, con le ultime luci che ormai iniziavano a morire.
Una seconda volta Butterfree lo stupì, ritornando in suo aiuto. Iniziò a volare in cerchio sopra la sua testa, lasciando al suo passaggio una polvere che pareva essere impregnata della vita delle stelle: cadendo lentamente, illuminava il percorso fino a terra, poggiandosi poi sui rami, rendendoli tante grosse lucciole.
 
 
Maisy era intenta a preparare la cena, con Arcanine, Riolu e Hoothoot a farle compagnia. Ursaring come sempre in giro fra i boschi, sotto suo ordine.
Mentre pelava delle patate, venne disturbata da una voce proveniente dal prato esterno. Incuriosita, uscì a dare uno sguardo.
- … Davvero sei sicura di non voler restare a mangiare qualcosa? Sicuramente Maisy ha qualcosa per te.
- Kyle, con chi parli? – chiese quest’ultima, sentendosi presa in causa.
- Oh, Maisy, ho trovato i fiori! – alzò fiero il nido, in cui erano riposti con cura i tre esemplari da lei richiesti.
- Questa Butterfree mi ha aiutato a prenderli e a tornare qui. Senza lei, avrei dovuto camminare al buio.
In quel momento, Butterfree si andò a poggiare sulla punta dell’albero di ghicocche, lasciando al suo passaggio altra polvere luminosa.
Maisy, sorpresa, si avvicinò a Kyle. Prese uno dei kanzashi, ne rimosse il fiore e lo sostituì con uno di quelli raccolti da Kyle. Dopodiché lo inserì nuovamente fra i capelli, riportandoli all’ordine. Vedendo la faccia incuriosita del ragazzo, decise di rispondere in anticipo alla sua domanda.
- Non avrei creduto tu facessi già ritorno, complimenti. Comunque, sì, era solo per sostituire quello vecchio. E no, non è stato affatto inutile, ho potuto testare le tue abilità, anche se non ti sembra.
Kyle rimase in silenzio, conscio di essere stato letto nella mente.
- Inoltre – continuò Maisy – Devo dire che sei stato promosso a pieni voti. Lei è una nuova amica?
- Chi…? Ah, no, Butterfree ha detto che mi avrebbe solo accompagnato e poi sarebbe andata.
- In che senso, ha detto?
- Beh… me lo ha fatto capire, coi movimenti, almeno credo…
Maisy lo guardò dubbiosa, cosa che mise Kyle sotto pressione.
Poi, il sorriso di lei gli rimosse ogni peso dallo stomaco.
- A questo punto, direi che è ora di cena. Mai assaggiate le patate in salsa di Baccalampon? – chiese lei con naturalezza.
Kyle rispose con una debole scossata di testa, andando a indicare un “no”.
- Perfetto, allora potrai sicuramente dire che la mia è la migliore che tu abbia mai mangiato.
I due entrarono dentro casa, dove i Pokémon di Kyle lo aspettavano con trepidante eccitazione.
Nella notte, Butterfree si levò in volo un’ultima volta, lasciando la sua polvere luminosa su tutti i rami dell’albero di ghicocche, facendolo sembrare la coda di una cometa che vola alta e lontana nello spazio più profondo.
 
 
 
 
- Hancock
   
 
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