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Autore: Ormhaxan    29/07/2017    4 recensioni
Gabrielle Nakovrar ha diciotto anni quando, seguendo le orme di suo padre e sua nonna prima di lei, entra a far parte della Bræthanir, la Fratellanza, gruppo di spietati e famigerati soldati al servizio dei sovrani di Yvjór, il regno della Primavera.
Ben presto, però, si renderà conto che dietro la gloriosa facciata fatta di palazzi maestosi, balli in maschera e sorrisi accondiscendenti si nasconde qualcosa di più profondo, oscuri segreti custoditi da secoli e la volontà di annientare coloro che dovrebbe essere protetti.
Nel regno a Nord di Ynjór, estremo baluardo che ancora resiste al dominio dei sovrani della Primavera, gli ultimi discendenti dei Sýrin, i mutaforma che un tempo popolavano ogni angolo dell'isola di Vøkandar, si stanno riunendo, insieme ad altri ribelli, sotto il comando di una combattente misteriosa che si fa chiamare Narmana.
E sarà proprio Narmana e il suo esercito che Gabrielle, adesso conosciuta con il nome di Nako, dovrà cercare di combattere quando la regina Lorhanna e il suo fratello bastardo, Lucien, ordineranno alla Fratellanza di marciare verso Nord in una missione che sembra essere un suicidio preannunciato.
Il vero nemico avrà realmente le sembianze di un lupo albino?
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Polvere dalle tinte rossastre si levò nell’aria secca del tardo pomeriggio.
Gabrielle si mosse veloce, roteando il longilineo corpo al ritmo di una melodia che solo lei riusciva ad udire, schivando il fendente che le sfiorò il braccio sinistro.
Bjorn piantò saldamente i piedi per terra, imprimendo le proprie orme nella terra rossa che ricopriva l’intero perimetro del campo di addestramento della fortezza della Fratellanza; respirò a pieni polmoni, riempiendo il petto ampio che si alzava e abbassava velocemente a causa della fatica provocata da quell’allenamento che andava avanti da quasi due ore.
I due compagni d’armi si guardarono dritto negli occhi, consapevoli che, sebbene quello fosse un allenamento, nessuno dei due avrebbe mai ceduto terreno all’altro o perso l’occasione per mostrare, fino alla fine, le tecniche migliori.
«Tieni ancora la difesa troppo bassa, ragazzina!» esclamò con il fiato corto Bjorn, che per primo aveva proposto quell’esercitazione per migliorare la tecnica dell’amica.
«Eppure da quel che mi risulta fino ad adesso non ho mai ceduto terreno o, peggio, mi sono ritrovata la tua lama a pochi centimetri dal collo.»
«Questo perché ci sono andato molto piano.»
«Allora smettila di andarci piano, di trattarmi come una principiante e dai il meglio di te: attaccami, pensa a me come un ribelle e non ti fermare prima di avermi messo in ginocchio e sconfitto.»

Bjorn ghignò e Gabrielle seppe che quella era la risposta che stava aspettando: il moro scattò in avanti, dando inizio a una nuova serie di affondi e parate, di metallo cozzato contro altro metallo, all’ennesimo tempo di quella musica che solo loro sapevano ballare.
I colpi del ragazzo si fecero più forti, più studiati ed esperti, tanto che per Gabrielle fu difficile pararne alcuni; Bjorn era uno dei migliori componenti nella Fratellanza, il suo talento naturale era stato chiaro fin da subito, tanto che lo stesso Lucien lo aveva più volte riconosciuto pubblicamente.
Forse, si era sempre chiesta Gabrielle, la sua propensione al combattimento era insita in lui, risiedeva nelle sue radici, nella sua misteriosa stirpe proveniente dalle terre ad Ovest dell’Æntall, il bosco Sempreverde; la sua forza era innata, i suoi colpi eleganti seppur decisi e la sua indole sapeva essere allo stesso tempo intransigente ma mai spietata.
La spada mulinò ancora una volta sopra di lei, la lama satura dell’ultima luce del giorno morente e Gabrielle si ritrovò ad indietreggiare ancora una volta, sollevare l’avambraccio coperto con il sottile metallo dalle venature scure forgiato dai maestri fabbri al servizio della corona, gli unici in grado di creare un metallo tanto leggero quanto indistruttibile.
Digrignò i denti quando la lama cozzò contro il metallo tenuto fermo con solido cuoio, cercò di resistere al suo peso e alla forza che Bjorn stava mettendo in quel colpo che, lo sapeva, sarebbe stato l’ultimo di quell’allenamento; il piede sinistro cedette a causa di tale peso, facendole mancare la terra sotto i piedi e in un fulmineo istante Gabrielle si ritrovò distesa supina, la punta della spada di Bjorn a pochi centimetri dalla giugulare.
Tutto tacque: Nako e Vor, come venivano oramai chiamati da anni, si guardarono per un momento che parve lunghissimo, occhi color dell’ambra riflessi in quelli neri come la notte, mentre il fiato caldo di lui sfiorava come una morbida carezza il viso ovale e dalle gote rosee dell’altra; da quell’angolazione, la pelle del giovane uomo sembrava ancor più baciata dal sole del solito e i lunghi capelli del colore delle ali di corvo, un tempo racchiusi in una crocchia morbida, adesso ricadevano sciolti sul suo viso, resi umidi dal sudore provocato dalla fatica proprio come quelli vermigli di lei che, come un soffice cuscino, erano sparsi a ventaglio sulla nuda terra.

«Fine dell’allenamento, ragazzina! — annunciò Bjorn, spezzando il silenzio e tendendole una mano — Ti sei battuta egregiamente, ma non ancora abbastanza per battermi.»
«Presto riuscirò nell’impresa e quando accadrà saprai che sono divenuta più forte di te.»
«Vedremo. — Bjorn sorrise sornione mentre, in lontananza, un campanile annunciava lo scoccare dell’ottava ora — Tempo di andare: domani ci sarà l’esecuzione e Lucien mi ha ordinato di sovrintendere gli ultimi preparativi affinché tutto sia come ordinato.»


Il pensiero di ciò che stava attendendo entrambi provocò in Gabrielle un brivido lungo tutta la schiena.
Non che quella dell’indomani sarebbe stata la prima condanna a morte a cui assisteva o, ancora, la prima uccisione a sangue freddo a cui prendeva parte, ma qualcosa le diceva che insieme a Serghej sarebbe morta anche la sua opportunità di scoprire qualcosa di più sul passato e sui suoi tanti segreti. Con Serghej, sarebbe morta nuovamente sua nonna e i misteri che si era portata nella tomba.
Sarebbe stato diverso? L’indomani, quando l’ascia si sarebbe fatta strada tra la carne del traditore, prendendosi la sua vita oltre che la sua testa, avrebbe provato sensazioni contrastanti? Sperava con tutto il cuore di no.
La verità era che non era riuscita a raccontare a nessuno del suo incontro con Serghej, avvenuto due giorni prima nelle prigioni dei sotterranei della fortezza della Fratellanza; neanche con Bjorn, con il suo migliore amico con cui aveva sempre parlato di tutto, era riuscita a parlare dei dubbi che erano nati a causa di quelle parole menzognere che l’uomo – orso le aveva rivolto con una tale sicurezza da farle spavento.
E poi c’era stato quel nome, il nome di sua nonna e il modo in cui lui l’aveva guardata, come se Ariadne non fosse stata un fantasma o uno scherzo della sua mente, ma una persona in carne e ossa, ancora viva.

«Va tutto bene, Nako?» le chiese Bjorn, vedendola assorta e pensierosa.
«Tutto bene, sì. — rispose frettolosamente l’altra — Pensavo a ciò che accadrà domani, alle ripercussioni che la morte del traditore potrebbe avere e altre sciocche preoccupazioni. Corri, adesso, vai prima che qualcuno noti il tuo ritardo e non preoccuparti per la ragazzina che è stata appena sconfitta miseramente dal suo superiore.»
Bjorn le riservò un ultimo sguardo indagatore, non del tutto convinto della risposta dell’amica e, ancora pensieroso, le diede le spalle e si allontanò da lei con passo svelto.


Si rividero quella stessa sera, nelle prime ore della notte e si sedettero attorno ad un lungo tavolo ligneo a sorseggiare birra.
Gabrielle aveva continuato a rimuginare su Serghej, su sua nonna, sulle possibili relazioni tra i due, ma nessuna risposta era arrivata alle sue domande.
Chiedere a sua madre sarebbe stato impossibile, non solo perché a momento non le era permesso avere contatto con lei, ma anche per motivi che andavano oltre questo: sua madre si era sempre tenuta lontana da quella vita, suo padre non aveva mai parlato con lei della Fratellanza, di sua madre o della sua morte inaspettata.
Risposte non le avrebbe avute da Lucien, il quale avrebbe preferito ucciderla piuttosto che rivelare i massimi segreti della casa reale, del suo stesso sangue; risposte non sarebbero giunte da i suoi fratelli o da chiunque altro e questo non lasciava a Gabrielle altre soluzioni se non quella di lasciar perdere e rinunciare.
«Tutto è pronto! — aveva esclamato Bjorn mentre si accomodava sulla panca, porgendole una delle due pinte di birra annacquata — A quanto sembra tutti sono in fermento, non vedono l’ora di ammirare la testa del traditore rotolare ai piedi della nostra amata regina che, sono certo, sarà la più compiaciuta di tutti.»
«Puoi biasimarla? — si ritrovò a chiedere Gabrielle — I Sýrin, insieme ai ribelli, hanno portato, seppur involontariamente, alla morte di sua sorella. Lo stesso erede al trono ha trovato la morte per mano di uno di loro e prima ancora…»
Gabrielle sospirò, non potendo neanche lontanamente immaginare il dolore provato dalla regina, la perdita della persona amata: «Nelle vie della Capitale sussurrano che il suo cuore sia di pietra, ma sappiamo benissimo entrambi che non è stato sempre così, che sono stati quelli del Nord a tramutarlo per sempre.»
«Ho sentito, tanto tempo fa, prima che fosse bandita, una ballata dedicata a lei e al Comandante: mi ha quasi spezzato il cuore udirla e se è triste anche solo un briciolo quanto la tristezza provata da Lorhanna allora giuro, lo giuro, che non vorrò mai innamorarmi. — Bjorn prese un lungo sorso di birra — No, non posso biasimarla per il suo desiderio di vendetta, dubito che qualcuno potrebbe.»
 
 


**




Una lacrima solitaria solcò il suo viso pallido quando, quella mattina, Lorhanna aprì gli occhi.
Inspirò profondamente, cercando di calmare il cuore che pareva sul punto di esploderle nel petto e di dimenticare, suo malgrado, il sogno appena concluso — un sogno che sogno poi non era, un sogno che era un ricordo, un sogno che era un futuro mai arrivato.
Si alzò dal letto, scostando le coperte e, a piedi nudi, si mosse silenziosa verso una bacinella di porcellana decorata con fiori colorati che riempì di acqua fresca; si sciacquò più volte il viso, indugiando con i palmi delle mani sulle sua guance e quando incontrò il suo riflesso nello specchio della toeletta davanti a sé non riuscì a trattenere un triste e profondo sospiro.
Una parte di lei, una piccola parte di lei, poteva ancora udire la musica riempire la sala delle feste illuminata dalla brillante luce dei candelabri di cristallo, il calore della sua mano sul suo fianco, il suo sorriso luminoso e, più di altra cosa, il melodioso suono della sua voce — la sua voce che le ripeteva che l’amava.

Ritornò sui suoi passi, sedendosi sul bordo del letto a baldacchino e osservò in silenzio la singola rosa dai petali blu che se ne stava in un piccolo vaso sul suo comodino; era un bocciolo, un tenero bocciolo in procinto di fiorire ancora una volta, per l’ennesima volta, senza mai appassire — l’eterno simbolo del suo eterno amore.
La rosa era un pegno d’amore, l’ultimo dono del solo uomo che Lorhanna avesse mai amato e che, quindici anni prima, era spirato tra le sue braccia: François Lynsir, figlio di una delle famiglie più antiche della Primavera, Comandante dell’Esercito reale morto per difendere la regina Norhanna e il suo seguito da un attacco di ribelli del Nord.
François, il suo amante, il suo promesso sposo.


«Vyanth! — esclamò in un sussurro deciso, portando la mano destra a mezz’aria e tracciando un cerchio invisibile attorno alla corolla del fiore — Vyanth. Sboccia.»
In un attimo, il bocciolo si schiuse, mostrando i suoi petali nel loro massimo splendore e sul viso di Lorhanna comparve un fugace sorriso.
«Il mio amore non appassirà mai, così come non appassirà il nostro fiore. — sussurrò a se stessa, al suo cuore divenuto pietra, incapace di amare ancora — Vendetta sarà fatta. Avrò la testa di tutti loro, iniziando da quel sudicio Serghej, lo spergiuro che si professò tuo amico.»


Quando le sue dame di compagnia entrarono nelle sue stanze un’ora dopo, a Lorhanna non sfuggirono le parole sussurrate e i sorrisi timidi che due di queste si scambiarono.
Entrambe erano giovani, in età da marito e non fu una sorpresa per la sovrana scoprire che una delle due, la fanciulla dai lunghi capelli color nocciola e il viso rubicondo, era appena stata ufficialmente promessa in sposa all’uomo che, a suo dire, amava con tutto il cuore.
Il giovane, disse la ragazza, era capitano della guardie personali di una famiglia della nobiltà minore; quando, poi, la stessa fanciulla le chiese la sua benedizione, Lorhanna non esitò e le disse che sì, anche la corona benediva quella unione.
Una unione che era così simile alla sua e che, Lorhanna sperò, avrebbe avuto un finale diverso. Un finale felice.

Quando tornerò da Ynjór ci sposeremo. — le aveva detto lui prima di partire, stringendo le piccole mani di lei nelle proprie — Diventerete mia moglie e io vostro marito; avremo dei figli, tanti figli e saremo felici. Lo prometto.  


L’aveva baciata un ultima volta, un’ultima meravigliosa volta prima di andare e lei era stata certa che quella promessa sarebbe presto divenuta realtà.
Due mesi dopo, François era tornato da lei in punto di morte, con ferite talmente profonde che neanche i Grigi erano riusciti a curarlo; due mesi dopo, Lorhanna aveva seppellito il suo promesso sposo nel Tempio in cui riposavano i suoi antenati e da allora si era ripromessa di non provare mai più un sentimento anche solo lontanamente simile al puro amore.
Nulla era stato uguale dopo: non il suo rapporto con Norhanna, che si ostinava a sognare una pace con i ribelli del Nord; non il suo amore per quella sorella un tempo adorata che, con l’andare del tempo, era sempre più una sconosciuta; non il modo in cui era vista dalla corte e dai nobili che, al posto di rispettarla, provavano compassione per lei.
Tutto ciò che importava, che era esistito da quel giorno in avanti per Lorhanna era la vendetta: vendetta per sua sorella, la cui mente era stata avvelenata; vendetta per suo nipote che, seppur abominio, era stato sangue del suo sangue; soprattutto, vendetta per François, per il suo amore perduto.

«Vostra Maestà, tutto è pronto.»
Lorhanna riservò un ultimo sguardo algido al suo riflesso e rispose: «Eccellente.»


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