L’ambiziosa
Minako Okukawa aveva girato il mondo, si era confrontata con le migliori
ballerine, aveva vinto numerosi trofei e ottenuto svariati riconoscimenti prima
di ritirarsi per dedicare la sua vita unicamente all’insegnamento della danza
classica.
Quando
Hiroko, una kohai affezionata a lei
dai tempi delle scuole superiori e contenta per il suo ritorno ad Hasetsu, le
aveva affidato il figlio minore, non l’aveva fatto perché fosse realmente
interessata alla danza classica o allo sport in generale, bensì per alimentare
la flebile speranza che Yuuri non crescesse pieno di paure e di timidezza. Ad
appena quattro anni, il piccolo era sensibile e timidissimo a livelli esagerati,
tanto da rispondere balbettando e da nascondersi alla vista dei clienti, anche
di quelli abituali.
La
giovane trentenne, da brava senpai,
prese a cuore la questione, come una sfida personale. Non che andare a prendere
ogni giorno all’asilo il bambino paffutello per portarselo dietro, verso il
locale al secondo piano dell’edificio in cui stava la sua piccola scuola di
danza, fosse servito poi a molto. Le altre bambine che si approcciavano alla
sublime arte sembravano metterlo ancor più a disagio, Minako lo capiva dai suoi
movimenti, goffi e insicuri, e dal fatto che si distraeva spesso a lezione,
anche se poi bastava che rimanesse solo, supplicandola infantilmente di ripetere
più lentamente i passi, per farle intravedere dei leggeri miglioramenti alla
sbarra. Forse fu per questo che alla donna sorse un’idea improvvisa, nacque
un’intuizione geniale che secondo lei l’avrebbe davvero aiutato ad aprirsi.
Raggiungere la soglia dei trentuno anni la induceva, in fondo, a desiderare un
allievo volenteroso di cui poter essere fiera e vantarsi con chiunque. Quel
bambino introverso dimostrava invero una buona propensione a imparare i passi
fondamentali, però in qualche modo lei sentiva che la sua disciplina rischiava
di mettere a Yuuri dei limiti, gli tarpava le ali, non stimolava al meglio la
sua immaginazione e che quelle quattro pareti in cui lo rinchiudeva
quotidianamente lo soffocassero.
Per
questo, un bel giorno, gli propose di seguirla in un luogo nuovo, un posto in
cui sicuramente il piccolo non era mai stato prima d’ora. La cosa parve
incuriosire parecchio il bambino, però Minako-sensei non gli anticipò nulla, si
limitò a trascinarlo letteralmente lungo il ponte di Hasetsu e poi sulle scale
che conducevano verso un’immensa struttura rettangolare.
Yuuri
spostò gli occhi castani per fissare con uno sguardo confuso e interrogativo la
sua maestra; questa lasciò la presa ferrea sulla sua manina, s’inginocchiò di
fronte a lui, per essere alla sua altezza, artigliandogli con inconsueta
dolcezza le spalle.
«Yuuri,
sai cosa significa “pattinare”? Hai mai visto delle persone indossare delle
scarpe speciali che scivolano sul pavimento?» chiese
tranquillamente.
Il
bambino dai capelli neri fece di no con la testa, non capiva cosa intendesse,
era davvero possibile quello? E poi, se scivolavano, non si facevano la
bua?
«Allora,
adesso proverai queste scarpette speciali e mi dirai se ti piacciono oppure no,
d’accordo?» concluse, compiaciuta di se stessa e dell’intuito femminile, che di
solito non sbagliava mai.
«D’accordo»,
ripeté Yuuri in un mormorio sottile, «sì, Minako-sensei, voglio provare le
scarpette che scivolano!».
Detto
questo, Minako lo accompagnò dentro e dopo aver attraversato due porte
scorrevoli a vetri, essere entrati in una stanza con un bancone e degli scaffali
più alti di lui, aver seguito negli spogliatoi un uomo, membro dello staff, che
gli aveva attaccato degli strani gusci duri sui gomiti e sulle ginocchia, un
casco sulla testa allacciato delicatamente sotto il mento, vide che alla maestra
vennero consegnate due paia delle scarpette di cui parlava – ma cosa avevano sotto la suola? Una piccola
lama?
Minako
lo condusse per mano e superarono un’altra porta prima di trovarsi in un
ambiente completamente diverso, ampio e spazioso. Yuuri ne rimase totalmente
stupito e i suoi occhietti rimasero incollati al pavimento al centro della
pista, che non era affatto normale.
«Minako-sensei,
m-ma… è bellissimo! Guarda, guarda, è tutto bianco, così liscio, come uno
specchio! E perché ci sono tutte quelle linee sopra? Chi le ha disegnate?»
pronunciò tutte queste domande con genuina meraviglia e la donna percepì un
nuovo progresso in Yuuri, era la prima volta che il piccolo non riusciva a
tenere a freno la lingua, di solito se ne stava zitto e al massimo snocciolava
pochissime parole e balbettii.
«Un
giorno saprai rispondere da solo. Inizia a pattinare,
Yuuri».
Minako
non avrebbe smesso di supportare e consigliare il bambino, in quel preciso
momento e nel suo futuro, pensò sorridendo intenerita, prima di lasciare che lui
calzasse i pattini e li provasse per la prima volta. Lo scricciolo, proprio come
Hiroko, sì che sapeva come farsi benvolere!
“Quando
ero più piccolo, passavo più tempo alle lezioni di danza che a casa. Sono stati
proprio i consigli di Minako-sensei a spingermi a iniziare a pattinare”.
[Yuuri, dal secondo
episodio]
*
Una
consuetudine comune dei bambini piccoli, quando trovavano qualcosa di piacevole
e divertente da fare, consisteva nel passarci giornate intere, poiché giocare
era più importante di tutto il resto.
Se
una bambina amava lo scivolo, vi saliva sopra e scendeva giù innumerevoli volte,
senza mai stancarsi; se un’altra preferiva l’altalena, si dondolava avanti e
indietro, indietro e avanti, in un incessante moto.
Se
un bambino adorava l’acqua dell’oceano, in estate impiegava tutto il tempo
concessogli dai genitori stando ammollato, spruzzando, giocando e nuotando con
altri bagnanti, piccoli o grandi.
Per
Yuuri, l’attrazione principale non era uno scivolo, un’altalena, una bicicletta
oppure l’acqua dell’oceano, anche se in un certo senso l’acqua centrava lo
stesso. No, lui voleva fortemente andare all’Ice Castle di Hasetsu, sulla pista di
pattinaggio sul ghiaccio, attendeva con impazienza l’orario prenotato per lui,
facendosi accompagnare sempre e comunque da Minako-sensei o, talvolta, anche
dalla sua mamma e da Mari-neesan.
Al
piccolo Yuuri, quella pista magica
piaceva tantissimo, l’adorava. Scivolando alacremente sui pattini da ghiaccio, a
dispetto dell’immancabile timidezza che lo caratterizzava, era riuscito a farsi
la sua prima amica, una graziosa bambina con i capelli marroni e un codino
laterale, di sette anni, che gli rivolgeva spesso dolci sorrisi e complimenti
spontanei. Lei si chiamava Yuuko.
«Ta-da!».
Una
semplice esclamazione seguì la posa finale, infatti, dopo aver compiuto un lungo
giro per la pista muovendo mani e gambe un po’ a caso, il bambino si era fermato
divaricando le gambette di fronte a Yuuko, posta fuori dal ghiaccio, oltre le
barriere di metallo che limitavano il circuito.
Lei
sembrò entusiasta, mentre portava le manine a coprirsi le fossette sulle guance
rosate. «Bravo,
Yuuri-kun».
Il più piccolo spostò le proprie dita,
prima tenute stese, dietro la nuca ed esibì un sorriso imbarazzato, prima di
venire improvvisamente spintonato da un altro bambinone che i due riconobbero.
Aveva scuri capelli ispidi, sembravano gli aculei di un porcospino. Yuuri non si
fece male, ma si ritrovò inginocchiato sulla superficie
ghiacciata.
«Fuori dalla palle,
lardello!».
«È appena arrivato, Takeshi-kun, non
prenderlo in giro!» lo difese Yuuko, visibilmente contrariata con il nuovo
arrivato.
«Lardello lardelloso!» continuò il
bambino di nome Takeshi, deridendolo di nuovo, mentre l’altra allargava le
braccia in alto, strizzava gli occhi e pareva sul punto di esplodere, difatti
tempo qualche secondo e partì all’inseguimento del robusto e irriverente
compagno di pattinaggio, che frattanto continuava a ridere
sguaiatamente.
Il
piccolo Yuuri, nonostante stringesse i minuti pugni coperti dai guanti e tenesse
ancora un broncio offeso, in fondo ammirava sinceramente quei due bambini per il
loro essere così diversi e più schietti rispetto a lui.
In
particolare, vedeva lei come il suo punto di riferimento all’interno dell’Ice Castle di Hasetsu, l’unica con la quale
si trovasse completamente a proprio agio a spiccicare parola, oltre alla sua
famiglia e a Minako-sensei.
Era
ancora troppo piccolo per capire cosa provasse esattamente nei suoi confronti,
se si trattasse di una prima cotta, se la vedesse più come un’altra sorella, ma
Yuuri rimase colpito nel vederla muoversi con genuina disinvoltura e grazia
naturale sul ghiaccio artificiale, nonostante fosse ancora arrabbiata con
Nishigori Takeshi e intenzionata ad acchiapparlo, forse per obbligare
l’amichetto a scusarsi per il comportamento da bullo di poco
prima.
E
andò effettivamente così. Con Yuuko a fare da collante, in qualche modo,
passarono i mesi e Yuuri iniziò pian piano a vedere anche Nishigori come suo
amico.
I
tre bambini trascorsero anni più o meno sereni e spensierati a pattinare
insieme, dato che non si vedevano quasi mai fuori da quel determinato
contesto.
Secondo
Yuuri, che non mancava giammai di sminuirsi, tanto per lui il pattinaggio
artistico, per quanto lo adorasse, rimaneva ancora un piacevole gioco, un
passatempo costruttivo, Yuu-chan diventava sempre più brava, sempre più
aggraziata, sempre più il suo idolo.
Quando
la Dama dell’Ice Castle di Hasetsu –
così gli piaceva definirla – iniziò a interessarsi alle gare regionali
organizzate dai vari club di pattinaggio delle medie, il bambino fu tra i primi
a incoraggiarla a prendervi parte, si offrì persino di accompagnarla insieme a
Nishigori ed entrambi esultarono felici, quando ella riuscì a piazzarsi sul
podio con un meritatissimo secondo posto.
«Yuuri-kun,
grazie mille, però promettimi che l’anno prossimo gareggerai pure tu! Sento che
puoi farcela, anche Takeshi-kun è d’accordo con me. Lui non te lo dice
apertamente, ma fidati, noi crediamo in te!» sostenne con spontaneo fervore la
tredicenne, dopo averlo abbracciato di slancio. Era molto carina. Indossava il
costume di scena, un vestitino rosa con le spalline fatte di velo, e aveva
raccolto i lunghi capelli castani in una coda di cavallo. La piccola medaglia
d’argento pareva brillare intorno al suo collo e il mazzolino di fiori bianchi
emanava un gradevole profumo.
«Mi
dispiace, Yuu-chan. Io pattino perché mi piace, non per competere con altri»,
dichiarò subito l’undicenne, sfuggendo al suo abbraccio affettuoso e allo
sguardo amichevole della ragazzina, la quale non capiva ancora come mai uno che
amasse tantissimo il pattinaggio artistico come lui, non potesse mostrare la sua
profonda passione a un pubblico più numeroso e
interessato.
Promise
a se stessa che avrebbe continuato a seguire il pattinaggio internazionale
trasmesso in televisione e che, se necessario, avrebbe acquistato una marea di
giornali sportivi, nella speranza di riuscire a vedere qualcuno che potesse convincere il suo
migliore amico a cambiare idea, anzi, meglio, a prendere sul serio quell’idea
stupenda!
Giurò
solennemente di non arrendersi mai nell’importantissima ricerca che le toccava,
stringendo forte fra le dita il suo premio, fissando determinata l’altro suo
migliore amico, che levò gli occhi neri al cielo e sollevò le spalle larghe,
rassegnato di fronte alla testardaggine dilagante delle
femmine.
“Yuu-chan
era la mia compagna di pattinaggio artistico, e ha due anni più di me. Quando
eravamo piccoli, lei era davvero bravissima. Era il mio idolo, la Dama dell’Ice
Castle di Hasetsu.” [Yuuri, dal primo
episodio]
*
Era
mezzanotte passata nella pittoresca cittadina di Hasetsu, nel Kyushu, in
Giappone, ma dalla finestra della cameretta di una casa, al primo piano, si
poteva scorgere la luce soffusa di una televisione accesa.
Era
passato all’incirca un anno e la quattordicenne Yuuko aveva atteso con ansia e
trepidazione il giorno in cui la ricerca di un idolo, per sé e per Yuuri-kun,
avrebbe portato i suoi frutti e sembrava che il giorno, finalmente, fosse
arrivato.
Non
riuscì a trattenere le lacrime di gioia mista a commozione che le piovvero dagli
occhi. Smaniò sui tasti del suo Samsung
per digitare il numero di Takeshi, che le rispose con voce abbastanza
strascicata e insonnolita dopo almeno cinque squilli.
«Takeshi-kun!
Indovina!» esclamò, fingendosi vaga, anche se in realtà stava fissando
gongolante le immagini in movimento sullo schermo, strabuzzando adorante gli
occhi ramati quando vennero inquadrati i tre giovanissimi pattinatori sul podio
della finale, alla quale aveva appena assistito con grande
attenzione.
«Non
sono in vena – sbadigliò – sono stanco. Lasciami indovinare domani.
Buonano-».
«Ma
è lui!!!» strillò, per poi ricordarsi che era tardi, moderando la propria voce.
«Takeshi-kun, finalmente l’ho trovato, deve essere per forza lui! Il pattinatore
che farà cambiare idea a Yuuri-kun. Non è una notizia meravigliosa? Se aspettavo
domani per comunicartelo, non sarei riuscita a dormire. E pensa, non è nemmeno
tanto avanti con l’età, ha solo un paio d’anni più di me! Sento che questo
ragazzo non mi dispiace…» confessò quasi senza fermarsi un attimo a respirare,
facendo avanti e indietro dal letto alla porta, dalla porta al letto. Takeshi si
schiaffò una mano in viso, infastidito. Non gli interessava sapere che aspetto
fantastico avesse questo campione perché Yuuko dichiarasse apertamente di
essersene invaghita. Non gliene fregava assolutamente nulla, eppure se ne sentì
improvvisamente geloso. Un po’ come quando conobbero Yuuri, lui lo infastidiva e
lo provocava apposta, dato che prima era l’unico a girare intorno alla bambina,
il solo ad avere un’intesa e una complicità speciale con lei, malgrado gli
occasionali bisticci e le discussioni animate, infatti, andava tutto a
meraviglia fra loro.
«Allora,
Takeshi-kun, domani faremo così…» riprese a parlare lei, interrompendo il flusso
dei suoi pensieri. Lui si stese di fianco e sbadigliò di nuovo, chiudendo gli
occhi e annuendo di riflesso.
«È
semplice, dobbiamo trattenere Yuuri-kun negli spogliatoi, davanti al televisore
al plasma, e attendere il notiziario», lo informò spiccia, anche perché capiva
la stanchezza del compagno, non era mica così insensibile. Si salutarono dandosi
appuntamento di mattina al solito incrocio, allora Yuuko spense la televisione,
slegò i capelli e si coricò, incrociando speranzosa le dita sopra al
cuscino.
Davanti
al distributore di bibite, Yuuri assottigliò gli occhi castani dietro le lenti
degli occhiali, indeciso su quale bevanda prendere.
Premurosa,
Yuuko si offrì di scegliere al posto suo, inserì le monetine, si piegò e
raccolse due lattine. Poi, lei si voltò appena per incrociare intenzionalmente
lo sguardo di Takeshi, che prese il telecomando per accendere la
tv.
«Carota
e sali minerali. Provala, è buona!» disse a Yuuri, porgendogli la lattina
chiusa. Per sé aveva preso la stessa marca, solo che conteneva succo d’arancia
al posto di quello alla carota.
«Grazie».
Il
dodicenne la ringraziò in un mormorio educato e rispettoso, per poi sedere sulla
panca. Avevano appena finito di bere chiacchierando del più e del meno, quando
il conduttore del notiziario annunciò i primi riferimenti alla finale dei
campionati mondiali Juniores di pattinaggio artistico nelle varie categorie,
disputati a Sofia, in Bulgaria, finché non comparve lui, finché non mostrarono
una parte dell’esecuzione del suo programma breve.
«Victor Nikiforov, il russo… Ha vinto i
mondiali Juniores con il punteggio più alto della storia! È fantastico!» commentò entusiasta la ragazza, che si
pose dinnanzi alla tv al plasma, senza ovviamente coprire tutta la visuale ai
due compagni, per poi fare esaltata una giravolta e osservare la reazione
dell’amico. Takeshi, di fronte a quell’euforia esagerata, spostò il viso
dall’altra parte e tirò fuori la lingua, invece Yuuri schiuse appena le labbra e
non nascose un’espressione meravigliata, che gli faceva brillare le
iridi.
Il
ragazzino riteneva oramai che l’Ice
Castle di Hasetsu gli riservasse sempre grandi sorprese e piacevoli
scoperte, ma questa sicuramente le batteva tutte quante!
L’astro
nascente della Russia, lo straniero longilineo e talentuoso che catturò
totalmente la sua attenzione in quei pochi minuti concessi dal notiziario, lo
stava ispirando, gli faceva quasi desiderare un futuro in cui lui potesse
rappresentare il Giappone e pattinare sullo stesso ghiaccio di colui che pareva
incarnare alla perfezione il suo ideale di pattinaggio
artistico.
Seduto
su quella panchina rivestita di azzurro, si coprì le ginocchia con mani tremanti
e sentì che voleva immediatamente esprimere cosa stesse provando in quel momento
sulla sua pista magica, la sensazione indescrivibile dei pattini che scivolavano
leggeri sul ghiaccio segnandolo con cerchi bianchi ed ellissi sbilenche, bramare
la medesima postura, la stessa eleganza e musicalità di… Victor? Era Victor il
suo nome?
«Yuu-chan,
ricordi i movimenti che abbiamo appena visto?» la percezione della sua voce che
pronunciava quella domanda gli sembrò quasi ovattata, lontana e allo stesso
tempo vicina.
Yuuko
stava rimproverando Takeshi per qualcosa che aveva detto o fatto, non aveva
seguito per nulla la loro conversazione in realtà, ma la ragazza fu molto felice
di venirgli incontro.
«Certo
che li ricordo. Non sottovalutarmi, seguo sempre l’intera stagione dall’inizio
alla fine e ho osservato il bellissimo Victor più di una volta! Perché?»
s’interessò lei, disponibile e affabile come al solito.
Alla
parola bellissimo, Takeshi sbuffò,
però venne ignorato.
«Ecco…
Se non ti dispiace, vorrei copiarli. Insomma, imitarli, riprodurli, mi capisci?»
chiarì Yuuri, levandosi di colpo in piedi per nascondere il velato imbarazzo
sorto sulle gote e per dirigersi verso il proprio
armadietto.
Sequenze
espressive di passi, trottole, salti non troppo complicati, piroette, voli
dell’angelo, movimenti con le braccia. Arti flessi, piegati ad angolo o estesi,
allungati.
Armonia
espressa da un corpo dinamico e tecnicismi messi da parte.
Una
delle prime lezioni impartite sottolineava lo sviluppo graduale della
coordinazione, dell’equilibrio, dell’elasticità, per questo il pattinaggio
veniva spesso considerato uno sport divertente, coinvolgente, fantasioso e
completo.
Tutti
i bambini che si cimentavano in questo sport accettavano la spiegazione senza
ribattere, facendo tesoro dell’esperienza acquisita.
Yuuri
e Yuuko provarono la medesima coreografia per ore, serenamente, per nulla
provati dalla fatica dovuta alla danza e dai piedi indolenziti.
«Victor la farebbe
così!».
Lei
mostrò e suggerì quello che ricordava, mentre lui l’affiancava, la seguiva e si
correggeva, si migliorava, acquisiva sicurezza.
Per
la prima volta nella sua vita, Yuuri fece propri i movimenti di un altro e si
sentì benissimo, nessuna inadeguatezza o paranoia poteva distoglierlo dal
raggiungimento dell’obiettivo, tutto parve dissolversi nell’aria in virtù della
soddisfazione personale di dissetarsi a una nuova fonte di
ispirazione.
Anche
quando si fece tardi e l’altro compagno li richiamò, poiché dovevano sbrigarsi a
uscire oppure li avrebbero cacciati in malo modo per aver sforato sull’orario di
chiusura del palazzetto del ghiaccio, la sensazione di benessere mista ad
affaticamento fisico non scomparve e li fece sorridere con leggerezza finché non
si salutarono, imboccando le vie per le rispettive case.
“Allora
avevo appena dodici anni, ma Victor, quattro anni più grande, era già il numero
uno al mondo. Ho provato e riprovato a imitarlo, cercando di arrivare al suo
livello”. [Yuuri, dal secondo
episodio]
*
Pensare,
parlare o soltanto accennare a Victor, divenne presto parte della routine
quotidiana dei due ragazzi.
Essendo
curiosa di natura, Yuuko era la prima a spettegolare riguardo a ogni curiosità
che le giungesse all’orecchio, oppure alla sua vista da vera fangirl.
Un
giorno, per esempio, all’interno del familiare spogliatoio nell’Ice Castle, seduti uno di fronte all’altra,
le gambe che quasi si sfioravano, Yuuko mostrò a Yuuri una rivista, dove una
pagina in particolare riportava un articolo sul loro idolo; in testa al foglio,
vi era stampata una fotografia colorata del giovane campione russo, vestito come
una persona normale, che stringeva in un abbraccio affettuoso un cane dal pelo
color sabbia e dall’aria simpatica.
Victor
e l’animale costituivano davvero un bel quadretto, adorabile a
vedersi.
Takeshi
dava le spalle a entrambi, più interessato alla lettura di un manga che alle
chiacchiere frivole da fans.
«Ho
letto qui che Victor ha un barboncino», puntualizzò
Yuuko, felice e intenerita, tenendo un dito sulla foto. «Guardalo, è
carinissimo!».
«Oh,
è davvero un bel cagnolino!» enfatizzò
Yuuri, prendendo la rivista tra le mani.
L’unica
esperienza che aveva vissuto con un animale era avvenuta l’anno precedente,
quando volle provare a dar da bere del latte fresco a un gatto soriano, che
talvolta visitava l’onsen di
famiglia, per ritrovarsi pieno di graffi sulle mani e su una
coscia.
Malgrado
il ricordo non proprio positivo, pensò che prendere un cane doveva per forza
essere figo. Quella tenera creatura non avrebbe soffiato contro di lui rizzando
il pelo e non l’avrebbe assalito ingiustamente. Chiese a Yuuko se poteva
portarsi a casa la rivista e lei acconsentì senza
problemi.
Tempo
una settimana, dopo averne disquisito davanti ai suoi genitori e a sua sorella
maggiore, la decisione di prendersi cura di un cagnolino divenne un fatto
concreto.
Yuuri
ne approfittò per portare il nuovo membro della famiglia Katsuki, il suo
cucciolo di barboncino, nei pressi della pista magica, perché voleva
mostrargliela.
Quando
sopraggiunsero anche Yuu-chan e Nishigori, dopo essere usciti da scuola, la
ragazza in divisa rimase piacevolmente sorpresa nel vederlo in così tenera
compagnia.
«Hai preso anche tu un barboncino?»
constatò l’amica, piegandosi leggermente e tendendo l’unica mano libera dal peso
della borsa scolastica, con l’intento di accarezzare il
cagnolino.
«Già, si chiama “Victor”», rispose
seraficamente Yuuri, sempre tenendo la piccola palla di pelo riccioluto fra le
braccia, mentre il cucciolo ansimava con la linguetta di fuori, voltando curioso
la testolina da una parte all’altra, come se volesse fissare tutti e tre gli
amici.
«Victor ti piace proprio, eh? Spero che
presto potrai misurarti con lui», ribatté lei, fiduciosa, incrociando il suo
sguardo incredulo.
“È
così evidente, Yuuri-kun, in ogni singolo gesto che compi. Per te non si tratta
semplicemente di un gioco, di un passatempo, ma di una cosa seria. Tu ami così
tanto il pattinaggio, ma temi la competizione. Ti accontenti di avere solamente
noi due come tuoi amici, senza
credere che con il tempo, magari, le cose cambieranno. Non proverò più a
forzarti, ti lascio libera scelta, nella ferma speranza che tu diventi pronto e
consapevole delle tue capacità innate e del tuo talento, che supera il mio.
Diventa padrone del tuo destino, lo so che puoi farcela!” considerò lei, nella sua mente,
rimanendo piuttosto indietro rispetto ai due compagni che la precedettero
all’interno della struttura sportiva. Si voltò abbastanza per fissare il
panorama incantevole della loro bella cittadina, e infine, con un sorriso
gioioso, fece la sua corsetta per raggiungerli dentro.
“Guardandolo,
ho sempre pensato che doveva amare tantissimo il pattinaggio. Non giocava
nemmeno con gli amici”.
“Beh,
non è che sia mai stato bravo a farsene, di amici. Pattinaggio escluso, lottare
per ciò che gli interessa non è il suo forte”. [Yuuko e Takeshi, dal secondo
episodio]
______
Disclaimer:
I personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di lucro, ma
solo per puro piacere personale.