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Autore: EffyLou    30/07/2017    2 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۲ . Do
 


 
Impero di Persia, provincia di Battria.
Rocca di Arimazes, 327 a.C.

 
«No! Non se ne parla».
Rossane era in piedi, di fronte allo scrittorio dello studio di suo padre Ossiarte. Le braccia incrociate al petto, il mento sollevato.
Il satrapo la guardava con fare rassegnato. «È già stato deciso. Sposandoti con re Alessandro, non solo diventerai la regina di Macedonia e dell’impero di Persia, ma garantirai la vita alle tue sorelle e alla servitù, e la carica di satrapo a me».
Gliel’aveva spiegato già dieci volte. Rossane sembrava irremovibile, ma a forza di sottolineare il fatto che Amu e Darya sarebbero rimaste in vita in cambio del matrimonio, la sua volontà vacillò. Ossiarte sapeva di star facendo breccia nel cuore di pietra di quella sua figliola irritante.
Non capiva perché avesse quell’atteggiamento di sdegno verso il matrimonio, le altre fanciulle non desideravano altro.
Non era stata educata come le sue sorelle, non del tutto. Amu e Darya non avevano mai dimostrato di avere polso o un’indole dominante, una vena ribelle, e Ossiarte non si era premurato di insegnare loro un minimo di politica ed economia. Cosa che, invece, aveva fatto con Rossane parallelamente ai suoi studi “da donna”. Era molto giovane, ma era più colta delle sue sorelle proprio perché il satrapo teneva particolarmente alla formazione culturale di Rossane.
Sapeva che non poteva costringerla ad un matrimonio, a relegarla alla vita di moglie e madre, e si era mosso di conseguenza. Farla sposare non rientrava neanche nei suoi, di piani. Poiché sperava di portarla, in futuro, ad ereditare la provincia di Battria. Mentre Amu e Darya venivano preparate esclusivamente per la vita di mogli e madri o, in alternativa, di concubine, Rossane veniva preparata anche al comando.
Lei non voleva sposarsi e lui era d’accordo, acconsentiva. Ma la proposta del re di Macedonia non poteva essere rifiutata. Era un ottimo patto per entrambe le parti. Rossane avrebbe potuto comandare insieme al re, come regina, e la sua famiglia sarebbe rimasta in vita e con la solita carica prestigiosa.
«Stasera spaccherà il pane con la spada» le riferì. «È già deciso. Tu non potrai far nulla per impedirlo. Ti prego di vedere il lato vantaggioso e positivo della tua situazione. Buon pomeriggio».
La liquidò con un gesto ed un saluto sbrigativo. Rossane sbuffò dal naso come un toro, girò i tacchi e si dileguò.
Il matrimonio non rientrava nei suoi piani, non aveva alcuna intenzione di sposarsi. Non con un re nemico. Però le parole del padre la fecero riflettere.
I lati vantaggiosi e positivi c’erano, erano numerosi in effetti, e in cambio le sue sorelle sarebbero state al sicuro.
Inoltre non era un matrimonio dettato dall’amore, ma dall’interesse politico. Pertanto una volta sposati, gli unici doveri di Rossane sarebbero stati quelli di mostrarsi in pubblico con il suo re e dargli un erede a tempo debito. Per il resto avrebbe avuto le sue concubine e lei la sua vita di sempre, tutto sommato. E sarebbe stata regina. Poteva essere fattibile. Vantaggioso per tutti e fattibile.
Sperò solo che re Alessandro non fosse un vecchio bavoso come Pirsar.
 
 
Il pranzo era terminato da poco, Ossiarte l’aveva poi convocata e ora il caldo sole del primo pomeriggio cullava il riposo pomeridiano.
Rossane andò a raccontare del matrimonio combinato alle sue sorelle, chiuse nel salottino per la lettura. Furono molto felici per lei, la sorella si risparmiò di dire loro del patto tra Ossiarte e re Alessandro. Fece solo presente che il sovrano aveva chiesto la sua mano campando in aria spiegazioni quali l’amore a prima vista.
Amu credeva in queste cose, la guardava sospirando romanticamente.
Poi le sue sorelle si erano ritirate nelle loro stanze per il consueto sonno di bellezza, e Rossane aveva preso le pergamene con l’epopea di Gilgamesh. Era uscita nel giardino interno. Avrebbe voluto scalare una delle torrette di guardia e leggere in pace, ma prese posto sul muretto sotto una delle arcate del porticato. Appoggiò la schiena alla colonna di pietra fresca, all’ombra, le pergamene in grembo e una aperta tra le mani.

Finì di leggere due pergamene, il sole che andava a calare dietro le montagne. Cominciata la terza, sentì una voce dietro di sé.
«L’epopea di Gilgamesh, eh? Una lettura importante per una principessa».
Rossane si voltò di scatto. Incrociò due occhi eterocromatici, uno era azzurro come il cielo e l’altro nero come il baratro più profondo. Lo sguardo di chi spogliava e leggeva l’anima, si sentì esposta al suo giudizio.
Boccheggiò. Era l’uomo che aveva incrociato il suo sguardo la sera dell’invasione della rocca, il soldato macedone. I capelli erano biondi, puliti e luminosi, il viso glabro, le labbra piegate in un sorriso sfrontato. L’armatura saldata al corpo possente, il mantello cremisi che scendeva dalle spalle, la daga legata alla cintura.
«Insinui forse che dovrei leggere qualcosa di più banale?» replicò piccata, mettendosi a sedere.
Il soldato incrociò le braccia al petto. «No, dicevo solo che è difficile trovare una donna a cui piacciano queste letture. Ci sono altre opere di tuo interesse?»
Lei lo guardò diffidente, richiudendo lentamente le pergamene. «Molte» rispose, cauta. «Mi piace studiare, mi piace la cultura. Parli il persiano egregiamente, insolito per un soldato» osservò infine, inquisitrice.
Gli occhi di lui brillarono. «Seguendo re Alessandro per tutto l’impero di Persia, la lingua si impara» le fece un sorriso enigmatico. «Conosci qualche opera della Macedonia o della Grecia?»
«Le opere di Platone, Aristotele. Al palazzo di Ai Khanum non avevamo molte pergamene straniere, difficile trovare qualcuno che traduca tali lingue, in Battria» alzò le spalle.
«Aristotele è stato il precettore del re Alessandro» le disse il soldato. «So che stasera è previsto il vostro matrimonio»
Rossane si adombrò. «Sarà solo un matrimonio politico, sarò il punto di congiunzione tra due culture diverse. Tutto qui»
«Il nostro re dice che è rimasto molto colpito dalla tua bellezza, principessa»
Lei sollevò un sopracciglio. «Il vostro re non è il primo né l’ultimo ad avere di me questa considerazione. Mi piace curare il mio corpo, ma ritengo che la bellezza esteriore sia effimera. Con gli anni sfiorisce e si sciupa, e cosa rimane allora? Virtù, doti, conoscenze, azioni passate. Preferisco curarmi di queste cose, piuttosto che dare eccessiva importanza all’estetica» replicò, sollevando il mento e guardandolo dritto negli occhi con il suo fare impunito.
Il soldato sembrò colpito da quelle parole, tanto che aggrottò le sopracciglia e la guardò con attenzione. Rossane si sentì studiata come se fosse un animale esotico mai visto prima. Infine, il macedone le fece un sorriso gentile. Percepì la stima dietro quegli occhi eterocromatici.
La campana suonò, annunciando la cena.
«Non potrei essere più d’accordo. È ora di rientrare, cenare e sposarsi. Sei emozionata?»
«No. Solo curiosa»
«La curiosità è la dote più grande che una persona possa avere, a mio modesto parere» sorrise di nuovo e le porse il braccio. «Posso accompagnarti, principessa?».
Rossane incrociò di nuovo il suo sguardo, sollevando la testa per poterlo guardare. Sfarfallò le ciglia, poi annuì incerta, con le pergamene sotto il braccio mentre l’altro si appoggiava a quello del soldato.
«Curioso. Non sei affatto vestita come una sposa» osservò lui, con un sorriso.
«Te l’ho detto, è solo un matrimonio politico. Non gli do tutta questa importanza»
«Tuo padre o la tua balia non si sono impuntati per farti cambiare?»
«Sanno che è una battaglia persa in partenza»
Il soldato ridacchiò, Rossane sollevò un sopracciglio con un sorrisetto sornione. «Ti burli di me, soldato?»
«No, principessa, al contrario. Trovo divertente in senso positivo questo temperamento pepato» rispose portando una mano sul cuore e pronunciandosi con fare solenne.

Fuori le porte della sala dei banchetti, due servitori si inchinarono con espressione indecifrabile. Sia Rossane che il soldato ricambiarono con un gesto del capo, e la principessa lasciò ad uno di loro tutte le pergamene di Gilgamesh ordinando di farli riportare nella sua stanza. Fecero il loro ingresso senza essere notati. Lui le rivolse un ultimo sorriso e la lasciò andare dalle sue sorelle.
Rossane corse da loro tenendosi la gonna tra le dita. Amu la guardava come si guarda un fiore esotico e raro. Le carezzò i capelli, cominciò ad intrecciarli a gemme e fili d’oro in una lunga treccia laterale che arrivava fino al bacino. Mizda le guardava l’abito con severità, scioccò la lingua sul palato e fece un cenno a Darya. La ragazzina si sfilò il cinturino d’oro che le legava la tunica rosa alla vita e lo agganciò al corpo della sorella mettendo in risalto il girovita.
Amu si tolse la collana di gemme e gliela mise al collo, Fayruz si tolse il bracciale d’oro arricciato e l’aiuto a metterlo facendolo salire fino a sotto la spalla. Darya le donò un altro bracciale d’oro. Infine la concubina l’aiutò a mettere almeno un filo di kajal sulla palpebra.
Le sue sorelle e Mizda le parlavano di quanto fossero felici che Rossane avesse trovato un marito, tra l’altro un re. Un conquistatore straniero, il re di Macedonia divenuto il Re dei Re e faraone d’Egitto. Rossane si sentiva di vivere in una leggenda, tra tante belle donne… possibile che un uomo del genere avesse scelto di prendere in moglie proprio lei? Non era l’unica bella donna persiana. Perché lei e non Amu o Darya? Erano principesse anche loro, molto belle tra l’altro. Non aveva niente di più rispetto alle sue sorelle.
Ossiarte arrivò al tavolo della figlia, le fece un sorriso cauto e la accompagnò al tavolo centrale, dove come da usanza battriana per i matrimoni, il re avrebbe spaccato il pane con la spada e avrebbe sancito il matrimonio.
«Andrà bene, vedrai» le disse, a bassa voce.
Ossiarte apprezzò il gesto delle sue figlie, della balia e della concubina. Avevano abbellito Rossane, rendendola visibilmente una principessa anche se non sfoggiava lo sfarzo persiano.
«Inoltre è stata disposta la partenza verso Ai Khanum dopodomani. Il re deve riorganizzare un esercito e ripartire al più presto»
«Io dovrò andare con lui quando sarà il momento, non è vero?»
Il padre le fece un cenno d’assenso. «Ma tu hai un polso molto forte, figlia mia, una vena portata per il comando che spero uscirà fuori con questo matrimonio. Non devi preoccuparti di niente».
Rossane tacque. Si sedette sul sofà ai lati del tavolo imbandito. C’era un grosso pane al centro, pronto ad essere tagliato. Fiori, candelabri. Si mosse nervosamente, torturandosi le dita delle mani, gli occhi bassi.
Il rumore freddo di una spada sguainata. Il terribile presentimento che tutta quella messa in scena fosse una trappola e lei stesse per essere giustiziata sul momento. Ma sui visi dei soldati e della servitù persiana c’erano sorrisi o sguardi soddisfatti. Il rumore secco della lama che taglia il pane, di netto. Il bagliore della spada si riflesse negli occhi sgranati della principessa. Sollevò lo sguardo, incontrò due occhi che ben conosceva e da cui si era separata all’inizio del banchetto. Eterocromatici. Uno azzurro e uno nero. Il sorriso soddisfatto, trionfale. I capelli biondi. Ora lo guardava con occhi diversi.
«Tu…!».
La folla esplose in un applauso, mentre lei era incapace di distogliere lo sguardo dal suo. Come se esistessero solo loro due in tutta la sala affollata dall’esercito macedone e dalla servitù.
Rossane boccheggiava, sentì le guance imporporarsi e il petto sollevarsi in cerca d’aria. Si sentì in imbarazzo e si vergognò per come gli aveva parlato sotto il portico, in tono così confidenziale. Lui era re Alessandro di Macedonia, Re dei Re e faraone d’Egitto. Non le aveva detto niente, si era spacciato per un semplice soldato. Fece il giro del tavolo e si sedette vicino a lei sotto gli applausi della folla. Rossane distolse lo sguardo dalla sua figura, puntandola sul pane appena tagliato di netto.
Era sposata. Era regina.
I presenti attesero invano di vederli allontanarsi insieme per consumare il matrimonio. Non si rivolsero la parola per tutta la serata e si allontanarono in silenzio, ognuno nelle proprie stanze. Non parlarono neppure il giorno seguente, nonostante durante i banchetti sedessero insieme. Lei si sentiva osservata dai suoi occhi penetranti e cercava di mantenere un atteggiamento tranquillo e noncurante.
 
 
Arrivò il momento della partenza, due settimane di viaggio e notti condivise sotto la sua stessa tenda sontuosa.
La prima notte, dopo la cena intorno ad uno dei focolari accesi nell’accampamento, entrò nella tenda di Alessandro, che era pure la sua.
Si sentì in imbarazzo. Lasciò addosso la camicia di lino, lunga fino a sopra il ginocchio. Liberò i capelli dalle gemme e dai fili d’oro, lavò il viso, tolse le cavigliere e gli ornamenti di cui le era stato fatto dono dopo le nozze.
Alessandro entrò mentre lei era seduta tra le coperte, a pettinare i lunghi capelli castani, morbidi ed ondulati. Si fermò all’entrata della tenda, come paralizzato, guardando la donna che aveva sposato illuminata dalla debole luce delle candele. Era così bella nella penombra, mentre era concentrata a pettinarsi quella lucente chioma bruna. Avrebbe voluto accarezzarla, baciarla. Era ammaliato da tanta bellezza. Era un fiore esotico, raro e prezioso. Una stella luminosa nel cielo nero.
Rossane alzò gli occhi su di lui, per poi riabbassarli poco dopo.
Alessandro cominciò a sganciare l’armatura e il mantello, tolse la camicia di lino con cui aveva viaggiato restando totalmente nudo di fronte a lei. Non che gli importasse, tanto Rossane non lo stava guardando e inoltre prima o poi l’avrebbe dovuto vedere. Indossò una tunica azzurra.
Si sedette vicino a lei, le posò una mano sulla sua che stringeva le dita sulla spazzola di setole morbide. La persiana alzò gli occhi su di lui, interrogativa. Quei grandi occhi che, con quella luce, erano scuri e torbidi.
«Io sarò paziente, mia regina. Non voglio forzarti a fare niente, non ti toccherò se non lo vorrai. Questo matrimonio verrà consumato quando sarai tu a deciderlo. So che non è un momento felice, ti sei ritrovata in questa situazione contro la tua volontà»
«Grazie per la comprensione, maestà» sussurrò, abbassando lo sguardo.
«Ci tengo che tu sappia che questo è sì un matrimonio politico, ma spero di unire la politica alla passione. Sono perdutamente innamorato dal primo momento in cui ti ho vista. So che per te non è la stessa cosa, ma cercherò di conquistare te, la tua fiducia, il tuo cuore»
Lei gli sorrise. «Sei un conquistatore, magari non sarà così difficile»
«Lo spero, ma ho il sentore che sarà più difficile conquistare il tuo cuore che tutta l’Asia, mia regina» le fece un sorriso divertito, le baciò il dorso della mano e la lasciò andare.
Rossane si sdraiò tra le pellicce di un qualche animale, vicino a suo marito. Com’era strana per lei quella situazione. Magari non per lui, probabilmente era abituato a condividere il letto con una donna come le sue concubine. Ma per la neo regina, quella era la prima volta che si trovava a condividere il letto con un uomo.
   
 
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