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Autore: Fatelfay    31/07/2017    1 recensioni
Ci sono alcuni giorni, interi mesi in cui non ricordi cosa sia successo: è una benedizione e al contempo la prova più concreta del tuo lutto.
Ma le notti... non hai mai dimenticato le notti.
Storia legata alla vecchissima "A volte... tu... ancora". Prende spunto da essa ma non è necessaria leggere la prima per capire questa.
Post-Reichenbach.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'John: Il Vuoto'
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Disclaimer iniziale: questa storia non è a scopo di lucro, i personaggi e l'opera da cui è tratta (Sherlock) appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, alla BBC e ai Mofftiss. I diritti d'autore quindi sono loro.
 
Nota: questa "storia" nasce da un'altra ff "A volte... tu... ancora" ma non è necessario leggerla per capire questa, anche se potrebbe essere più interessante leggerla dopo la prima.
I capitolo non sono legati fra di loro se non dal tema, quindi potete leggerli nell'ordine che più vi aggrada. Personalmente, vi consiglio di intervallare un "Salvataggio" tra un capitolo e l'altro.


 




Abbandono
 

I hurt much more
Than anytime before
I had no options left again
~ Linkin Park,
Breaking the Habit


 
War is coming to take you away.
There will be blood and loss,
there will be sand and smoke,
there will be ash and breeze.
Yet your remains will be nothing.
 

Fa caldo, così tanto caldo che i capelli corti non sono ancora abbastanza corti, la maglia ti si appiccica al petto e ti stritola, mentre il sudore ti cade negli occhi facendoteli bruciare. Sei chino sull’ennesimo corpo urlante che cerca in tutti i modi di essere coraggioso e non gridare, ma con la sabbia nelle ferite e lo shock non si può chiedere dell’auto-controllo e del contegno. Non ti interessa nemmeno dato il caos che ti circonda, il rumore delle armi e le urla dei soldati. Sapevi, più o meno, in cosa ti stavi cacciando quando hai deciso di arruolarti, ma niente ti avrebbe potuto davvero preparare allo spettacolo a cui assisti ogni giorno.
Fasci le ferite più gravi e rallenti l’emorragia del soldato britannico sotto di te, prima di fare segno con un braccio e chiamare a gran voce un collega per aiutarti a portare il ferito via di lì. State bassi, muovendovi veloci e in sincronia acquisita dopo troppo lavoro insieme (anche se solo una settimana in un campo di guerra è troppo lavoro). Poi torni indietro, veloce, attento a non diventare un bersaglio, il peso ormai noto dell’arma a farti compagnia insieme a medicinali e mezzi di fortuna. Corri per avvicinarti al centro del conflitto, dove gli spari sono maggiori, i rumori più confusi e il sangue macchia già la terra.
Il cuore ti batte veloce nelle tempie, segnando lo scorrere del tempo sotto il sole cocente dell’Afghanistan mentre gli schieramenti provano ad uccidersi a vicenda e tu provi a salvare qualche soldato che batte la tua bandiera. Ti chini quando senti alcune urla diverse dal solito, trovando un riparo di fortuna dietro un muro distrutto che avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Ti copri le orecchie con le mani e ti guardi intorno per memorizzare dove sono gli altri prima di chinare il capo e stringere le palpebre, conficcando le orbite nelle ginocchia. Non serve a niente: la luce ti acceca, il rimbombo quasi ti rompe i timpani e la terra trema per qualche secondo. Respiri con il naso anche se ti servirebbe più ossigeno e i tuoi polmoni sbraitano per averne di più. Conti fino a tre prima di aprire gli occhi e staccare le mani dalle tue orecchie che fischiano percependo in maniera distorta gli altri suoni. Corri dal ferito più vicino e mentre quello trema farfugliando cose a caso, tu lo rassicuri dicendogli che andrà tutto bene, che ora è tutto a posto, che lo riporterai al sicuro. Sorridi, fingendo con tutte le tue forze di essere in un ospedale in madrepatria e star controllando un paziente che stai per operare di appendicite. Provi a convincerti che sia così semplice e quella sia la verità, mentre leghi un laccio stretto intorno alla coscia destra del soldato. Stringi un po’ più del dovuto, mentre lui non sente nemmeno il dolore per lo shock, le dopamine e il rilascio immediato di endorfine che gli stanno sconquassando i nervi e il cervello. Speri solo che non si accorga adesso dello stato in cui è la sua gamba. Lo trascini alla svelta lontano da lì nelle retrovie, dove un soldato ti aiuta a portarlo al sicuro con gli altri feriti. Tornate entrambi nel caos della guerra mentre niente ha più senso e tu provi a fare del tuo meglio per limitare i morti e sistemare alla svelta e alla bell’e meglio ciò che a cui poi dovrai prestare fin troppa attenzione.
Ti rendi cura del braccio spezzato e con frattura esposta dell’uomo che piange dal dolore davanti a te anche se stringe i denti e prova a non lamentarsi.
Sorridi ripetendo come un mantra che andrà tutto bene, mentre glielo metti in una posizione più sicura e gli mostri come tenerlo, prima di dirgli come togliersi dai piedi: non vuoi ritrovarti con eroi morti per niente. Almeno non oggi.
Lui annuisce e accenna a un lieve sorriso prima di chinare il capo e chiudere le palpebre per il frastuono che fa accucciare entrambi. È inutile provare a non reagire: ogni volta che un colpo più forte arriva improvviso, tutti si chinano istintivamente senza nemmeno rendersene conto.
Questa volta però non senti il frastuono e non è il tuo istinto a farti cadere. Ti ritrovi a terra, immobile, le orecchie che fischiano e non senti più niente. L’uomo sotto di te ti sposta di peso, facendoti cadere come un corpo morto sul terreno accanto a lui. Non lo senti. Non vedi niente mentre il tuo corpo è pesante ma sembra sospeso nel nulla.
Tutto torna all’improvviso: la polvere, la sabbia, il caldo, il tuo cuore che rulla dentro di te, il cielo azzurro e l’uomo con il braccio spezzato che urla, chiedendo aiuto mentre il tuo corpo non risponde, non ancora. Lo senti gridare tra il fischio alle orecchie e il caos della guerra e non capisci cosa stia succedendo. Fa male, troppo per rimanere lì, la polvere e la sabbia ti bruciano gli occhi e ti fanno respirare in rantoli. Fa caldo e fa freddo: quasi geli sotto il sole cocente dell’Afghanistan mentre ti fa male il petto e credi che un arto si sia improvvisamente trasformato in un grumo di agonia. Il battito del tuo cuore è l’unica cosa che riesci a capire davvero. Batte, batte veloce, ma ad ogni battito va un po’ più lento. Hai freddo, geli sotto il sole estivo dell’Asia. E fa male, troppo male per non gridare e chiudere gli occhi. Se solo tutto potesse finire…

Ti svegli con le tue urla, le guance rigate di lacrime che non ricordi di aver versato. La stanza è nel buio più assoluto e i tuoi occhi non riesco ad adattarsi per riconoscere gli oggetti. Senti però le coperte e man mano che l’odore della guerra se ne va, riconosci anche il profumo dell’abitazione in cui sei. Rimani immobile, mentre le lacrime non smettono di scorrere, anche se nel sogno non stavi piangendo. Il braccio ferito è quasi inesistente accanto a te, ma il dolore al petto non se ne va, quasi più insistente di prima.
Aspetti, preghi senza dire una parola, mentre speri di sbagliarti di nuovo. Chiudi gli occhi fingendo che ciò ti aiuti a concentrarti anche se il buio assoluto della tua stanza ti rende cieco. Aspetti, preghi, speri, ma non ti muovi, mentre cerchi di sentire il minimo rumore.
Il silenzio perdura, mentre l’appartamento tace e la strada dorme.
Non senti niente e il dolore che hai nel petto diventa un buco nero che ti impedisce di respirare.
Ti sdrai di nuovo, stringendo i denti per non fare rumore, mentre le lacrime non smettono di solcare il tuo viso e bagnare il cuscino.
Potresti illuderti che lui stia semplicemente dormendo, sia immerso nella sua mente o sia fuori a girare per Londra. Potresti farlo, ma da solo in camera tua nel buio della notte, non riesci a fingere ancora. Sai che non c’è. Sai che ti ha abbandonato.
Affondi il viso nel cuscino per zittire i singhiozzi e i suoni che non riesci a trattenere, mentre ti chiedi, ancora una volta, perché hai chiesto a Dio di farti vivere.
Il suo violino non sta ancora suonando.












Note di Delirio:
Non so perchè fra tutto ciò che ho da scrivere, ho deciso di iniziare questo piccolo progetto (già finito peraltro).
Tuttavia, si sa che le muse e l'ingegno fanno quello che vogliono e io li seguo fedelmente.
Come già detto, potete leggere le storie indipendentemente dalla fanfiction da cui ha origine e potete anche leggere i capitoli nell'ordine che preferite. Personalmente vi cosiglio di alternare un "Salvataggio" a uno degli altri capitoli.

Seconda nota da fare che c'entra solo relativamente con la storia, è la canzone citata all'inizio di ogni capitolo: sono pezzi tratti sempre dalla stessa canzone dei LP. Di solito preferisco evitare di introdurre canzoni, infatti c'era già una mini-introduzione personale in inglese. Purtroppo, gli avvenimenti recenti mi hanno fatto cambiare idea. Quindi questa è l'eccezione e un modo per ricordare.

Tornando alla storia, sono felice che siate passati di qua e, se ve la sentite, lasciate un commento. Mi fa sempre piacere sentire il parere altrui.
Prometto di non mordere.

Ciao!

 
  
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