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Autore: Hi Asija    31/07/2017    0 recensioni
«Se mi ami, lasciami andare. Scappa prima che lo venga a sapere» sussurrò Hailey.
Ma ora, ora non provo più nulla. Il mio cuore è troppo oscuro per provare qualcosa. Il suo ricordo è più grande di tutto il resto. Un resto che vorrei distruggere per arrivare a lei.
Ma non posso distruggere ciò che non è qui.
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Shady Jones è una diciassettenne di Johannesburg con aspirazioni molto alte: diventare una bassista professionista.
Non parla molto e tende a non fidarsi delle persone. Nonostante la sua origine, stringe solamente amicizie con coetanei neri, mai con gli Afrikaner. Fa parte di una gang, nella quale sono presenti due bianchi, Ninja e Gerhard.
Shady è una persona tranquilla, ma la sua città la contraddice. Negli ultimi anni, al cospetto di Johannesburg sono stati costruiti robot consenzienti e dalle sembianze umane, i quali dovrebbero proteggere la contea.
Un semplice microchip ed un semplice e sottile endoscheletro ricoperto da uno strato di pura verità. Pelle, organi, sangue. Ma nessun battito cardiaco.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~«Shady?» mi chiama Cottie. Sposto la testa alla mia sinistra, guardano negli occhi la nera. Lei sorride, poi abbassa lo sguardo, fissando intensamente le sue scarpe di marca, ma ugualmente distrutte.

«Dove ci vedi tra dieci anni?» mi chiede, spiazzandomi.

Ci penso un po' su. Ho molte idee nella testa, ma solo poche sono concrete e non troppo lontane dalle mie aspettative. «Io tra dieci anni mi vedo negli USA» le dico tranquilla.

Cottie fa uno scatto agile e scende dalla ringhiera. «Ma io ho detto ci» mi ricorda.

Annuisco, così penso ancora. «Io tra dieci anni ci vedo negli USA» ripeto.

Sul viso della nera si forma un sorriso enorme. «Magari» dice solamente.

Alzo lo sguardo, puntando gli occhi sul panorama che quotidianamente il tramonto di Johannesburg ci offre. Una leggera brezza si sta alzando, così lascio che il vento se infili nelle vie sconosciute dei miei capelli castani. Per la testa mi passano molti ricordi, insieme a parole e a musica. Una leggera e debole melodia si fa spazio nella mia memoria. Sono semplici accordi con una chitarra quasi scordata: come se l'autore non avesse nemmeno la voglia o il tempo di poterla accordare. La voglia e il tempo vanno a braccetto. Se hai tempo, non hai voglia di fare ciò che devi fare, ma se non lo hai, la voglia è sempre più forte. Continuo a ripetermi che questo mondo è nato al contrario, probabilmente.

Connie poggia la schiena su un muro alla mia destra, accendendosi uno spinello. Lo accende, poi ci sono svariati secondi di silenzio. «Io me ne voglio andare da qui» dice, passandomi lo spinello. Io accettò la sua proposta. «Al più presto.»

Annuisco, fumando. Prendo un grosso respiro, poi inspiro. «Io no» rispondo convinta.

Cottie ride. «Hai trovato qualcuno?»

Scuoto la testa. «No, nessuno» rispondo divertita. Fisso ancora un po' il tramonto, poi abbasso lo sguardo, schiudendo la bocca. Un raro tentativo di uscire dall'imbarazzo. «Sono affezionata a questo posto» dico infine.

Le passo lo spinello, poi lei si siede a terra. Altri interminabili secondi di silenzio. «Anch’io lo ero» comincia «Poi...» cerca di trovare le parole, ma dalla sua bocca sembrano uscire solo parole poco sicure «Poi è diventato questo» dice solamente.

«Questo cosa?» le chiedo.

Cottie sospira. «Un mattatoio pieno di ragazzini da riformatorio, Shady» mi risponde.

Annuisco. «Siamo noi a renderlo tale» rispondo, scendendo a mia volta dalla ringhiera «Insomma, guardati. Stai fumando uno spinello a sedici anni» le dico.

Un sospiro. «Cos'ho da perdere?» chiede. «Tutto quello che potevo perdere, ormai mi ha lasciato. Per colpa di persone come me... io ho perso tutto quello che avevo.»

«Non pensi a te?» le chiedo.
Lei annuisce. «A volte.»
«E non pensi che la tua persona sia una valida ragione per non finire come gli altri?»

Cottie trattiene una lacrima. «Shady, guardaci.»

Passano altri interminabili secondi colmi di silenzio e di singhiozzi da parte della nera. Nella mia testa sono in riproduzione a un volume più alto le note di quella melodia stanca e sofferente.

«Siamo peggio di loro» dice Cottie, riferendosi a Ninja e Gerhard. «Siamo peggio del peggio» conclude.

Scuoto la testa. «Non facciamo nulla, al contrario loro» sentenzio.

Cottie si alza, piangendo copiosamente. «Ne sei così sicura?» mi chiede con un tono frustrato. «Tu hai rubato un basso da uno dei musei più importati dell'intero Sud Africa» prende un respiro «Ho rapinato due volte un ospedale per bambini malati di cancro» dice infine.

Io abbasso lo sguardo, dando un occhiata alla stabilità del basso nominato poco prima da Cottie.

«Loro spacciano, e probabilmente uccideranno persone senza saperlo. Noi abbiamo solo cercato di inseguire i nostri sogni, anche senza le possibilità. Io ho seppellito i miei segreti dentro la mia pelle, solamente per cercare di essere migliore» le dico. «Sarei un angelo della morte?»

Lei scuote il capo colmo di piccoli riccioli. «Sarebbe il colmo, Shady» comincia a ridere. «Il punto non è questo, però.»

«E qual è?» chiedo.

«Il punto è che viviamo in una società dove se uccidi qualcuno, non sei colpevole, ma se cerchi di seguire i tuoi sogni...» viene interrotta da un assordante suono di una sirena della polizia robot. «Sì, insomma. Sei ricercato» dice infine, prendendomi per mano e chiamando gli altri due.

Ninja guida il gruppo verso il rifugio, mentre noi corriamo verso quello che poco prima avevo contemplato nella più tranquilla quiete della mia mente: il tramonto. Improvvisamente si sentono degli spari a vuoto, i quali sembrano provenire da una pistola a salve. Scaccio tutti i pensieri dalla mia testa, poi guardo in alto, un elicottero si sta calando nel giardino.

Una folata di vento ghiacciato si fa strada tra noi quattro, dividendomi dal resto del gruppo. L'elicottero atterra improvvisamente di fronte a me, aprendosi con uno scatto violento. Cinque o sei poliziotti della polizia robot scendono da esso, circondandomi. È impressionante come delle macchine possano sembrare così tanto umane.

Uno di loro si avvicina a me. Indossa una tuta grigia, un passamontagna e una sciarpa verde chiaro. Estrae dalla tasca dei pantaloni un microfono interno, poi lo porta alla sua bocca, l'unico pezzo di pelle scoperto. «Unità 11. Ne abbiamo una» dice infine una voce femminile.
Quella del poliziotto.

  
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