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Autore: LeAmantiDiBillKaulitz    31/07/2017    1 recensioni
Prendete Chelsea e Alexandria, due migliori amiche particolarmente male assortite: una, rumorosa, casinista, molto oca e morbosamente ossessionata dal cinema, l'altra acida, nervosa, arrabbiata e decisamente pronta a picchiare tutti. Poi aggiungete Bill, antipatico, isterico, viziato ma terribilmente sexy. Mescolate con un'intervista ai Tokio Hotel per il giornalino universitario, con un Tom molto scemo, un Georg molto martire e un Gustav molto affamato. Il piatto è pronto: tra gaffes, incomprensioni, tacchi alti, litigi e romanticismo-fai-da-te, riusciranno le due ragazze a conquistare l'algido cuore del cantante?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
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.EPILOGO
Un anno dopo, Berlino, premiazione per “Misty Berlin”, regia di Chelsea Sienna Spiegelmann&Tom Kaulitz

E finalmente, il momento è arrivato. Incredibile, grottesco, paradossale, ma è arrivato. Il giorno in cui sono su di un palco tirato a lucido, con indosso un vestito lungo viola come i miei occhi e un paio di zeppe bianche e rosa come i dread accuratamente acconciati in una pericolosa impalcatura da matrona romana, con tanto di pesanti gioielli tribali tempestati di quarzi rosa e ametiste, a braccetto di Alexandria da una parte, con un lungo vestito nero con tanto di spacco, tacchi a spillo, e guanti strappati in vero stile emo, insieme a gioielli coordinati con teschi di brillanti e rubini perché quello non glielo estirperai mai dal cuore, quanto io sono punk dentro, quanto lei è dark, e Tom dall’altro braccio, con uno smoking che continua a tirarsi, evidentemente infastidito e le treccine accuratamente pettinate da suo fratello. Suo fratello, appunto. Che se ne sta appoggiato a lui pavoneggiandosi nell’abito di paillettes nere e nella giacchetta di strass dorate, i capelli corvini accuratamente lisciati, così ingioiellato da fare un baffo alla zarina Caterina di Russia, gli stivali alti fino alla coscia laccati di nero con inserti dorati e un’espressione di puro trionfo stampata sul visino perfetto. Eh sì, signori e signore. Alla fine, Chelsea Sienna Spiegelmann è riuscita alla realizzazione di un film, alla faccia di ogni pronostico o bookmaker. Certo, probabilmente è tutto merito del mio fratellone Tom, che senza il suo aiuto probabilmente sarei rimasta a dibattermi nella rete come prima, però adesso sono dove ho sempre sentito di dover appartenere. Qui, alla premiazione dell’Orso d’oro di Berlino, sopra un palcoscenico dove è stato appena chiamato il mio film, sotto un mare di riflettori e flash di macchine fotografiche. Giuro, se non fosse che prima di salire Alex non mi avesse mollato un ceffone ruggendomi nelle orecchie “Cerca di farmi fare bella figura quando saremo lassù, soldato palla di lardo!” e se Cooper Carter non mi avesse rovesciato sul vestito il suo drink, starei pensando di essere in uno dei miei iper realistici sogni in cui incorro ogni tanto la notte. Però no, questa volta sono realmente qui, col mio sorriso da patata bollita e la mia finezza da portuale, con la statuetta in mano e la ciccia lentigginosa che mi fa compagnia in questo momento unico nella storia di Lady Corleone. Ricordo quando eravamo ancora teenager senza onore e senza gloria, nella vecchia soffitta di casa mia, a guardare il cielo stellato dall’abbaino, contando quante comete vedevano attraversare la pianura, e c’era Avril Lavigne a tutto volume nell’impianto stereo che avevo riciclato da Billy Terry e Charity Rebecca, dopo che l’avevano fuso a suon di, guarda che strano, Tokio Hotel. C’eravamo io e Alex, sedute sul mio letto un po’ sfondato, e lei canticchiava What The Hell, mentre io mi limitavo a scribacchiare nervosamente su uno di quei quadernetti a fiorellini recuperati da Avery Aubrey qualche sparuta idea per qualche film che avesse più senso de “La rivolta dei babbuini” o di “La capra che scoreggia lamponi” e glieli proponevo con aria sognante, mentre lei mi rifilava i suoi inquietanti disegni di scheletri danzanti e zombie in frac all’orchestra di Dusseldorf. Non so quante certezze potevamo dare, con quei “Ho visto una stella!” “L’hai espresso un desiderio?”, e poi sdraiate nel lettino troppo stretto per entrambe, a darci qualche pizzicotto e a chiederci che fare delle nostre insignificanti vite. Quando ancora Alex mi diceva che ci saremmo trasferite a Stoccolma, lei sarebbe diventata una graffitara e io avrei allevato gatti obesi, ci saremmo trovate una persona con cui stare, o “al massimo, due gemelli, un maschio e una femmina, o due maschi, o due femmine, che cambia?” perché non siamo mai state in grado di concepire il fatto di dover vivere separate, o quando ancora io ero convinta che saremmo state a Los Angeles, e io le dicevo che se io sarei stata la nuova Pasolini, ma mi diceva che al massimo io sarei stata la nuova Terrence Malick. Eppure, andava bene così all’epoca. Andava bene sognare giorno e notte, andare sullo skateboard per ore senza studiare un cazzo, che tanto ci pensava Charlotte Chanel a farci matematica e Avery Aubrey tutto il resto, e poi via, le serate al pub sotto casa, a raccontarsi i propri sogni, a giocarsi a freccette o a carte la propria esistenza, lei che suonava insieme a Stenka sul palco, mentre io raccontavo qualche strana chimera a chiunque fosse disposto ad ascoltarmi, lei che tirava freccette con rabbia e io che giocavo col jukebox e mettevo sempre la stessa canzone dei Led Zeppelin, lei che giocava a poker sbattendo i pugni sul tavolo e io che stavo con le ragazze gitane appena arrivate e imparavo a leggere i tarocchi e i fondi di the. Erano esistenze tutte loro, le nostre, quelle cene con tutti i miei fratelli, e i piatti che volavano, e le crisi adolescenziali, e le gite di classe in campeggio, e io che mi limonavo tutte le fidanzate dei ragazzi gnocchi della scuola mentre lei si cercava sempre avanzi di galera, e le litigate furibonde, e gli abbracci in lacrime, e le leggende, e le speranze, e la musica libera nei vinili dei nostri padri, e gli Hollywood Undead a tutto volume a cullarci insieme ai Green Day e ai Panic! At The Disco. La nostra vita era fatta così, prima di trovarci su questo palco, con un Orso d’Oro in mano, un film tradotto in mille lingue e l’improvvisa carrellata di una fama che fino a ieri non ci saremmo nemmeno potute immaginare. Hanno vinto, signori e signore. C’è stato un nuovo ’68 in strada, e questa volta sono sbancati i registi surrealisti che fanno film di vita vera, usando i propri fratelli come attori e casa propria come location, con una telecamera da spalla che non vale una cicca, che scrivono sceneggiature assurde e meno sensate di “Dal tramonto all’alba”, di Robert Rodriguez, del 1996, con George Clooney e Quentin Tarantino, che basano la loro colonna sonora su canzoni dei Tokio Hotel e di cover di Avril Lavigne versione punk. Questa volta, sbaragliando ogni bookmaker, Chelsea Sienna Spiegelmann ha vinto quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: un suo film ha acquistato la fama e il riconoscimento, non sarà trasmesso solo nel piccolo cinema svedese ma nelle grandi città, brillerà in colorate locandine della China Town americane come nei piccoli cinema accuratamente nascosti dalle parti di Ponte Mammolo. La rivolta è stata vinta nel sangue dai rivoluzionari, che hanno sovvertito le regole del gioco, affermandosi per una volta in mezzo ai kolossal passati di moda, sbrinando l’ignoranza della gente per dare un prodotto costato sudore della fronte e porconate in gaelico. Ce l’hanno fatta, signori e signore. Tom Kaulitz e Chelsea Sienna Spiegelmann, i registi surrealisti del nuovo millennio.
-Ma porca te, Chess, ce l’hai fatta!- ruggisce Alexandria, dicasi anche la nostra co-protagonista, dandomi un fraterno schiaffone accompagnato da, ma guarda un po’, un abbraccio trascinante. – E porco pure te, capra bollita, grandioso!- non si spreca a dare un pugno nello stomaco e ad abbracciarlo di conseguenza. Devo dire che è migliorata, adesso per i suoi standard è semi dolce. Dio.
-Avete visto? Misty Berlin ha ottenuto il successo che si meritava, ora possiamo pure andare a fare tutti camping in casa nostra!- esclama Tom, prendendomi di peso in braccio. Mi sembra giusto far notare che sono un po’ ingrassata.
-Dico, ma sei scemo o lo fai?- abbaia Bill, dandogli uno strattone a una treccina, perché il nostro attore principale era, è, e rimarrà per sempre una vera palla al piede – Io in casa mia sta gente non ce la voglio!
-Ma Bill … - mugolo io, facendo gli occhi dolci – Però io e Alex siamo le tue fidanzate, non riesco a capire perché …
-Oh, cosa c’entra, Ballicastle?!- mi guarda dall’alto in basso, scuotendo la testa – Casa mia deve rimanere uno specchio rosa perfetto e inappuntabile, mi ci manca solo che tu me lo insozzi con le tue patatine fritte e i tuoi kebab o che Alexandria mi rompa le casse con quelle vostre schifezze death.
No, Bill non ha ancora imparato a chiamarmi Chelsea. A volte divento “patatina mia”, a volte “troietta cicciottella”, a volte “rotolino di lardo”, qualche volta “salsicciotta lentigginosa”, ma Chelsea mai, sostituito brillantemente da qualche altra città angloirlandese di dubbia esistenza. Come Alex diventa sempre “scheletrino mio”, “ossicino isterico”, “pappagallino spelacchiato”, più raramente “limoncino iperacido”. Ma tutto ciò solo quando è particolarmente in vena, o quando, più spesso, vuole chiederci un favore particolarmente difficoltoso. Sennò siamo semplicemente “puttanelle”, “zoccolette”.
Raggiungiamo tutto il nostro colorito cast, che si fa notare in mezzo a tutti per i suoi vestiti assurdi, i suoi striscioni da concerto e le sue urla belluine miste tedesco/gaelico. Guardo Cooper Carter e la piccola Charlotte Chanel che saltellano in giro sventolando qualche cartellone pseudo nazista scribacchiato dalla mia sorellina sotto dettatura di quel coglione di mio fratello maggiore, mentre Madison Hope balla per la stanza, roteando come un derviscio rotante, con tanto di salti e spaccate volanti. Poi guardo quel santo di Georg abbracciato a quella strega di Avery Aubrey, vestita di verde come una pianta gigante, con tanto di cappellino ornato di margherite (nel film, ovviamente, faceva la biologa pazza); quando si sono fidanzati io e Alexandria abbiamo pensato bene di fare le nostre condoglianze al nostro povero amico che si è andato a sistemare con una che, per quanto indubbiamente bellissima, è in realtà la classica psicopatica che conquisterà il mondo a capo di un’orda di piante carnivore mannare. Osservo Katie Crystal e Gustav che si ingozzano impunemente di tartine al caviale, imboccandosi a vicenda; per qualche oscuro motivo, pure loro due si sono fidanzati, dopo che il buon batterista è stato l’unico a soccorrerla durante la sua depressione post fine di “High School Musical” e lei gli si è appiccicata come una patella: mi chiedo a sto punto se la bellezza delle mie sorelle possa davvero far chiudere gli occhi ai G&G sui loro caratteracci psicopatici. Scivolo su Billy Terry e Charity Rebecca che, come nel peggiore dei film romantici di serie C che giusto una regista come la sottoscritta potrebbe girare, hanno conquistato il cuore del mio fratellone elettivo; giusto ora gli siedono uno su un ginocchio e l’altra sull’altro, guardandolo con quei loro occhi violetti e perversi, fieri di essere conquistati una preda apparentemente irraggiungibile. Che dire, in quest’anno, si sono magnificamente impegnati entrambi per aggiudicarselo, al suono del loro corale “Se tu e Alex vi siete prese Bill in due, ora spiegateci perché noi due che siamo gemelli non possiamo prenderci Tom!”, e puntualmente eccoli lì, che se lo sbaciucchiano felicemente. Un anno, un film, e troppi intrighi amorosi tra gli Spiegelmann-Herder e i quattro Tokio Hotel. A pensarci bene, non sarebbe malaccio cominciare a pensare a un film sulla base de “La capra che scoreggiava lamponi”, un ritorno alle origini, alla commedia onirica secondo i sacri dettami di Jim Jarmush e di Aki Kaorismaki, un sublime gioco di vite che si intrecciano in una situazione straordinariamente normale eppure caratterizzata dal surrealismo che può riflettersi come niente, aggiungendo e togliendo personaggi fuori dal mondo che si alternano mollemente in una dimensione paradigmatica in cui tutti possono ritrovarsi anche se apparentemente indica solo le brughiere d’Irlanda, bagnate dal vento e frustate dal mare, illuminate dal sole malato di estati piovose e inverni nebbiosi. Sarebbe una storia suburbana perfetta, un richiamo di stile non da ridere, decisamente diverso dal nostro brillante Misty Berlin. Ritornerebbe Alex come sedicente zingara che legge le carte, tornerebbero Terry e Charity nei panni di due gemelli amanti (e magari questa volta la gravidanza di Charity la faremo meglio invece che infilarle un pallone da calcio sotto la maglia), tornerebbe Cooper come ex militare nazista fuggito dalla Germania, tornerebbe Madison nella ballerina fuggita dalla Russia per scampare alle leggi contro l’omosessualità di Putin. E poi ci sarebbero Tom, che sarebbe perfetto nei panni di un giovane giornalista statunitense che tenta di scoprire i misteri delle sue origini, e Bill, magari un famosissimo cantante che tenta di fuggire dalle telecamere e dai paparazzi, e Georg, che ci starebbe benissimo di nuovo come autista dalla corriera che porta nel paesino deputato a luogo d’azione, e Gustav, un abitante che tutto vede e tutto sente. E poi io, che in qualche modo mi infiltrerò.
E figurarsi che splendido polpettone ne verrebbe fuori, magari alternando una colonna sonora che mischia Evan Taubenfeld e i System Of A Down.
-Tesoro, non è una cosa meravigliosa? Ce l’abbiamo fatta alla fine. A fare il film che tanto speravo di girare dai tempi dei tempi.- sospiro, stringendo il braccio alla mia migliore amica, sorridendole e traboccando gioia da tutti i pori.
-Sì, amore.- annuisce lei, per poi fulminarmi con lo sguardo – Ma non provare a montarti la testa, ora, capito? Orso d’oro o no, rimani sempre una …
-Cucciolotte, usciamo?- Bill si intromette nel discorso, prendendoci a braccetto con uno di quei suoi sorrisetti da checca – Sto morendo di caldo!
-Ma io veramente avrei sete e … - inizio io, ma un calcione nello stinco mi fa tacere e seguire stancamente la Delfina e Alexandria fuori dalla sala, svicolando in mezzo a fotografi e giornalisti che tentano di bloccarci e intervistarci (una, a un certo punto, riesce a placcarci e chiede a Bill “Ma, Bill, chi sono queste due ragazze? Insomma, dov’è il tuo fidanzato super palestrato?” ma basta che lui schiocchi le dita e la Coinquilina Hannibal si scatena con tutta la sua belluina malvagità “La sai una cosa, stronzetta? Bill ha una dichiarazione da fare a tutte le Aliens di questo mondo: lui non è gay, è lesbica, va bene?! E da che mondo è mondo, le lesbiche stanno con altre donne”), fino a raggiungere l’uscita di servizio. Mi inginocchio per terra, sfilandomi rapidamente dalla complessa acconciatura uno spillone sormontato da un’ametista e lo infilo nella serratura. Che credete, è servito vedere film di rapine. Dopo un po’ di rimestamenti, la serratura scatta, e sgattaioliamo tutti e tre fuori, sulle scale di servizio, finalmente al freddo della sera, sotto le pallide stelle che illuminano Berlino e il suo cielo di velluto nero che pare solo un enorme domino di una maschera veneziana sepolta sotto i misteri di Murano.

La telecamera parte fissa, direttamente sui visi tristi dei tre ragazzi, affacciati al balcone di una ricca villa vittoriana in un luogo non troppo ben precisato. Sono importanti le espressioni; c’è una ragazza bionda che fuma distrattamente una sigaretta, sogghigna al nulla, guardando le stelle. C’è una ragazza lentigginosa che fissa la strada, piangendo silenziosamente, senza premurarsi di asciugare il mascara che cola miseramente. C’è un ragazzo così effeminato da fare impressione che fissa davanti a sé, mordicchiandosi pensosamente un’unghia. C’è una musica sottile nell’aria, una sorta di Lana Del Rey, forse, la luna che li illumina dolcemente, lattea e pallida. Nessuno dei tre guarda l’altro, sono soli tra la folla, come se stessero mollemente assistendo alla fine di un impero di cui loro in fondo non fanno parte. La telecamera allarga un po’ sui loro corpi. La rossa trema, la bionda è ferma immobile, il ragazzo è in tensione. La ripresa è sempre fissa sui tre personaggi, inquadra bene la rossa che non regge più e scoppia in lacrime, si volta come per scappare ma la bionda la afferra per un braccio, le sibila addosso, cattiva
-Stai a guardare, troia. Guarda.
Spinge la rossa verso il parapetto, lei piange forte più sente la bionda sghignazzare. Il ragazzo la stringe a sé, le accarezza i capelli, sospira, non piange ma è distrutto
-Non piangere, tesoro mio. Non piangere, ti prego.
-Io … io non ce la faccio, Bill, non ce la faccio … Alex, ti prego, andiamo via …
La ripresa deve comunicare tutto l’orrore che permea questa situazione sconosciuta, è una ripresa piena e presente nel dolore.
-Alex, ti prego. Chelsea è stanca, per favore …
Lui stringe la rossa, lascia qualche lacrima solcargli le guance. È stanco. Morto.
-Andare via? Ma siete impazziti? Perché farlo adesso?- la bionda ride, era normale ma ora non lo è più, ovvio. – Perché non guardare la fine del nostro inferno?
La telecamera gira finalmente, inquadrando la costruzione del muro di Berlino. Si sente in sottofondo una risata, un sospiro, un pianto spezzato. Uno schiaffo.

-Credo mi sia appena venuto in mente un’idea semplicemente geniale per il nostro prossimo film. Magari questa volta con una sfumatura più storica e … - inizio io, tirando le maniche dei miei due fidanzati.
-Ti ho già detto di non montarti al testa- mi rimbecca Alex, scuotendo i capelli – Hai vinto il premio, bene, brava. Ora basta!
-Davvero, Cork, per piacere non cominciare a stressare. Guarda,- Bill mi agita sotto al naso le sue unghie perfette – Mi sono impercettibilmente scheggiato un’unghia e ho una rughetta sotto l’occhio sinistro. E tutto questo per colpa tua, sia chiaro.- Alexandria non fa in tempo ad esultare perché non l’ha tirata in causa che subito risuona – E anche tua, pappagallo incatramato, che ti credi.
Ci guardiamo tutti e tre, appoggiati alla balaustra di marmo bianco di Carrara, Alex che sorseggia distrattamente la birra da una lattina fregata a un tecnico del suono, perché sicuramente non siamo le tipe capaci di abituarci ai flute di champagne e ai drink di alta classe, ma ci facciamo andare bene qualche lattina e qualche bicchiere sbeccato di whisky dei peggiori, Bill che fuma una sigaretta lunga da star degli anni ’50, tirata fuori da un portasigarette rosa shocking con ricamata sopra una B maiuscola di piccoli strass violetti, io che mi ingozzo alla velocità della luce di tartine al paté d’anatra, sembrando un piccolo criceto bianco e rosa, guardandomi in giro con aria circospetta e pronta a debellare eventuali assalti del Panzer Gustav.
Non so che effetto potremmo fare, a vederti questi tre personaggi completamente diversi uno dall’altro che guardano la città da sopra un balcone come una nuova oligarchia poco seria e tanto squinternata, eppure c’è qualcosa di romantico anche in noi, che ci teniamo per mano nonostante tutto, come un cordone di sopravissuti a un tragico incidente nucleare, unici al mondo ad essere vivi in mezzo alla morte e alla desolazione, tre reduci che non sanno cosa fare e nemmeno dove andare ma che hanno ancora la realtà di loro stessi, si conoscono e si legano nel tentativo di ricreare quelle condizioni ideali come prima del conflitto che ha portato il mondo alla rovina. Non hanno casa, morale o passato, ma vogliono proiettarsi verso un futuro così incerto da fare paura. Però sono insieme, e questo dovrebbe bastare, si tengono le mani per non perdersi nella nebbia radioattiva che si alza dai nuovi deserti freddi che hanno ricoperto l’Europa, si stringono uno alle altre per riscaldare i loro cuori congelati dalla polvere radiogena che cade dal cielo diventato di un insostenibile beige sporco, litigano per ricordarsi di come era la vita prima della fine, si amano per ravvivare notti buie come solo l’inferno può essere, sopravvivono come possono per non lasciarsi andare in mezzo a quegli scheletri di persone che forse potrebbero anche conoscere, fanno gli sciacalli verso ogni cosa ancora intera, fregandosene della morale. Sono i nuovi eroi di un mondo distrutto, i nemici di una completa revisione della società, i frutti genetici della malvagità e della crudeltà del genere umano. Sono semplicemente i cattivi ragazzi che vincono dove tutti gli altri sono costretti a cedere le armi, e hanno il mondo in mano quando gli dei muoiono.
-Sapete una cosa, ragazze?- cinguetta Bill, lisciandosi l’abito aderentissimo – Sono quasi contento di avervi conosciuto.
Io e Alex sputiamo rispettivamente la tartina e la birra, strabuzzando gli occhi. Eh?
-Se è uno scherzo, non fa ridere.- sputo io, tossendo paté dappertutto.
-Veramente, Bill, che cazzo dici?- abbaia la mia amica, pulendosi la bava di birra.
-Quello che ho detto, oche giulive.- ribatte lui, guardandoci malissimo – E pulitevi la bocca, sozze creature!- obbediamo celermente, pulendoci ognuna nel vestito dell’altra, guardandolo con i nostri occhi violetti e marroni – Voglio dire, è passato più di un anno da quel giorno maledetto in cui ci avete fatto quell’oscena intervista che faceva cadere le braccia e non rendeva merito del nostro disco strepitoso. Dunque, è passato quasi un anno da quando mi avete insalivato la bocca e da quando ho malauguratamente deciso che meritavate una possibilità, tanto da avervi addirittura inviato dei profumi di Dior, che non sono ancora riuscito a sentirvi addosso, oltretutto.
-Profumi Dior?! Ma allora eri tu ad averli mandati?!- strilla la Coinquilina Hannibal, sputando altra birra. – Ma porca puttana, Chess!
-E chi volevi che li avesse mandati, scusa?! Non penso che voi due galline possiate avere tanti spasimanti, eh!- le urla Bill, dandole un ceffone sulla testa. – Dove li avete messi?!
-Li abbiamo buttati nel cesso.- rispondo io con tutta la calma del mondo. – Scusa, tesoro mio, ma siccome non erano firmati, io e Alex eravamo convinte che fossero a base di acido muriatico e che ci volessero morte, così prima abbiamo pensato di regalarli a Katie Crystal, ma alla fine la bontà ha vinto sull’odio secolare e li abbiamo direttamente svuotati nello scarico.
Non riesco a capire perché ora Bill si sia accasciato sul pavimento ululando “Christian, perdonale, non sanno quello che fanno!”, per poi vederlo rialzarsi come una furia e sentirlo ruggire
-Razza di ingrate teste di melone, erano un regalo da parte mia! Siete …
-Meravigliose?- tento di suggerirgli, ma l’unica risposta che ottengo è un pugno
-Ma che meravigliose, siete cerebrolese!
-E va beh, amore della zia, stai calmino eh!- latra Alexandria – La prossima volta ti firmi e non li buttiamo nel cesso, ok?
-No, la prossima volta ci metto davvero l’acido muriatico dentro.- sibila inviperito, rassettandosi vestito e capelli. Prende un profondo respiro, e poi continua – Comunque, a parte ciò, ho detto che è appunto passato un anno e un film, addirittura, in cui … beh, vi devo ringraziare. Odio doverlo ammettere, non pensiate che sentirete mai più un discorso simile, ma mi sono reso conto che ve lo devo. Grazie. Voi … a modo vostro, con la vostra scurrilità, i vostri vestiti orribili, la vostra casa lurida, la vostra musica inascoltabile, i vostri discorsi idioti, mi avete aperto un mondo che non credevo fosse possibile per me accedervi. Mi avete fatto vedere il mondo dietro le pareti. Pensate, quella canzone l’ho scritta per voi. Sì, per un pappagallo incatramato e una battona irlandese grassa, perché in qualche maniera mi avete rivoluzionato. Sì, forse parlate tanto di rivolte punk, e vi devo comunicare che una rivolta siete riuscite a farla, ed è la mia personale. Pensavo che non avrei mai potuto avere nessuno, che tutti avrebbero continuato a trovarmi insopportabile, acido e cattivo, perché in fondo lo sono, assolutamente, ma voi mi avete sopportato, come fa Tom. Siete sempre state lì, e più io cercavo ingenuamente di allontanarvi dalla mia sfera di moda e odio, più voi restavate lì fuori a bussare, come quegli insopportabili venditori porta a porta. Ho cercato di stare da solo, e voi siete penetrate senza grazia nella mia solitudine, distruggendola, facendovi odiare, ma avevate oramai aperto lo spiraglio giusto per far entrare nella mia bolla di sapone rosa super fashion la luce del mondo reale, e non quella dei negozi o riflessa sui diamanti. Dunque, grazie. Per esserci state, per avermi salvato da un bozzolo che si stringeva sempre di più. Grazie per avermi rovinato la vita, per essere state moleste, insopportabili e puzzolenti. Grazie per avermi dato quei biscotti di Chernobyl, per avermi presentato i vostri strepitosi fratelli, per esservi vestite come dico io. Grazie per avermi sopportato sempre, per avermi dato la parte principale nel nostro film, per essere state delle rompipalle assurde. Semplicemente, grazie. Ragazze … - ci guarda, con quei suoi occhi straordinari – Siete meravigliose.
Non penso ci possano essere mai sceneggiature, film, regie e cineprese che possano immortalare il momento in cui io e Alex ci guardiamo, sbattendo gli occhi, e ci baciamo, trascinando il nostro Bill nel nostro squinternato bacio, qui, sul balcone. No, questo non potrà mai essere un film, perché nemmeno la Grande Regista Surrealista potrà mai essere capace di replicare l’attimo in cui le nostre tre labbra si toccano e il sussurro corale che ne esce, aprendosi in un ventaglio di dolcezza cyberpunk
-Sì, ragazze. Siamo meravigliose.

 

“You keep giving me a taste of your venom”
Regia: Charlie and Lisa
Sceneggiatura: Charlie and Lisa
Scenografia: Charlie and Lisa
Fotografia&Montaggio: Charlie and Lisa
Colonna Sonora: Tokio Hotel, Green Day, etc…
Bill Kaulitz as himself
Charlie as Chelsea Sienna Spiegelmann
Lisa as Alexandria Herder
Tom Kaulitz as himself
Georg Listing as himself
Gustav Schafer as himself
Anno di produzione: 2016-17
Distribuzione: in tutti i cineclub sfigati di terza categoria.


E' con onore e orgoglio che Charlie e Lisa pongono la fine alla loro scapestrata storia! Che Chess e Alex possano sempre essere dalla vostra, insieme all'Innefabile Kaulitz, ovviamente. Grazie di cuore a tutti quelli che hanno letto, ci rivedremo presto con un'originale romantica incentrata sulle due ragazze, baciii
Charlie e Lisa

   
 
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