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Autore: Martocchia    31/07/2017    0 recensioni
Ojos de Cielo è il racconto di un amore, di due ragazzi, ma anche la storia di una canzone e di quante sue simili essa possa contenere. Questo è il racconto di come la musica possa radicarsi così in profondità da diventare linguaggio e linfa vitale, legame di un amore fresco come le rose bagnate dalla rugiada.
I primi capitoli potrebbero lasciarvi un po' interdetti, ma vi invito a proseguire, ad andare oltre ciò che appare e ad immedesimarvi nei personaggi che ho creato, i quali non sono poi tanto lontani dalla realtà...
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Sono passate un paio di settimane dalla mia visita al monastero, due settimane da quando ho consegnato il modulo dei laboratori. A parte i miei genitori e le mie tre migliori amiche, nessuno sa della mia decisione. Non voglio commenti o domande imbarazzanti da parte delle mie compagne di classe… L’unica cosa che mi interessa è cantare e non vedo l’ora di iniziare, per quanto sia anche completamente terrorizzata dalla prospettiva di doverlo fare davanti a, sostanzialmente, degli sconosciuti. Non amo essere al centro dell’attenzione, osservata, giudicata. Mi mette a disagio anche solo essere interrogata davanti alla mia classe! Non ho davvero idea di come riuscirò a superare questa maledetta paura, ma come posso anche solo immaginare un futuro nel mondo della musica se non l’affronto?
Dovrò trovare una soluzione molto in fretta, soprattutto perché il laboratorio incomincia proprio oggi! Questa notte ho dormito pochissimo a causa dell’agitazione ed è tutta la mattina che sto seduta al banco, con gli occhi persi nel vuoto, come uno zombie, tesa come una corda di violino. Fortuna che non ho avuto interrogazioni o verifiche: dubito avrei tirato fuori qualche pensiero di senso compiuto.
Al suono dell’ultima campanella, non mi butto, come al solito, fuori dalla classe, per non rimanere bloccata nel giornaliero ingorgo sulle scale, che affligge noi poveri tapini del terzo piano, ma con estrema calma metto a posto le mie cose, aspettando che la maggior parte della massa si smaltisca, per poter scendere senza problemi e trovarmi un posto tranquillo dove mangiare il mio panino in santa pace. Una delle panchine all’ingresso sarebbe perfetta… Fa ancora abbastanza caldo da poter stare all’aperto senza congelare o prendersi un raffreddore e poi c’è la vista sul nostro splendido Lago Maggiore: condizioni più che accettabili, direi.
Scendendo le scale prendo in mano il cellulare per controllare i messaggi ed è così che, sorpassando un ragazzo, probabilmente un ritardatario o qualcuno trattenuto da un professore in classe, prendo male le misure e gli dò involontariamente una spallata. Mi volto per scusarmi, ma, facendolo, inciampo nei miei stessi piedi e perdo l’appoggio sullo scalino. Il tempo sembra dilatarsi e rallentare mentre sento la borsa scivolarmi dalla spalla e cadere, insieme al mio cellulare, sfuggito dalla presa della mia mano, e vedo il pavimento farsi sempre più vicino. Ma non faccio in tempo ad assaggiarne la consistenza: un braccio mi cinge la vita, riportandomi miracolosamente in posizione verticale. Nonostante abbia afferrato prontamente il corrimano, ciò non mi impedisce di impattare contro il petto del mio provvidenziale soccorritore, il quale si appoggia con l’altra mano alla mia spalla, sorreggendosi, per non capitombolare a sua volta per le scale. D’istinto e decisamente sotto shock porto una mano su quella che mi sta mantenendo in equilibrio e alzo lo sguardo sul suo proprietario. È il ragazzo che ho appena superato frettolosamente! Prima non lo avevo degnato neanche di uno sguardo, ma ora che vi sono praticamente costretta, mi trovo davanti a un ragazzo tutt’altro che brutto: ha capelli castani, scuri, un po’ arruffati, che gli ricadono sulla fronte e incorniciano due meravigliosi occhi blu elettrico, con un’intensità di colore mai vista prima. 
Incontro il suo sguardo per un istante, ma, non riuscendo a sostenerlo, distolgo gli occhi da lui, mi libero delicatamente dalla sua presa e scendo qualche gradino, cercando un modo per scusarmi e ringraziarlo contemporaneamente.

-Oddio, sono così imbranata! Mi dispiace, stai bene? Non ti sei fatto male, vero? Perché altrimenti sarebbe davvero il colmo e mi sentirei molto in colpa… No, ok, sto straparlando, lo so. Deve essere lo spavento! Normalmente sono praticamente una mummia! Oh, scusami… cioè grazie… mi hai salvata… -. Ma che figuraccia sto facendo?! Si può essere più imbarazzanti di così?! Non credo proprio.
Arrossisco vistosamente e abbasso la testa, continuando però a tenere lo sguardo discretamente fisso sul ragazzo, il quale, intanto, si sta chinando a raccogliere la mia borsa e il mio cellulare, incredibilmente integro, che ora mi porge, sorridendo lievemente divertito.

-Non preoccuparti, può capitare. Beh, a chi è particolarmente imbranato può succedere piuttosto spesso, ma forse questo non avrei dovuto dirlo… Non era riferito a te, cioè non ti conosco, quindi non posso dirlo. – rido, rincuorata dal suo disagio così simile al mio, seguita a ruota da lui e rimango incantata dal suono cristallino della sua risata. – Vedi? Straparlo anch’io e non è normale neanche per me! Piuttosto, tu stai bene? Hai rischiato di fare un volo… Non vorrei averti fatto male afferrandoti in quel modo. – mi chiede con uno sguardo preoccupato.

- No no, sto benissimo, grazie a te! Se non ci fossi stato tu… Se anche mi avessi fatto male, sarebbe stato molto meglio dell’alternativa. Grazie, davvero. – gli sorrido grata, riprendendo le mie cose dalle sue mani.

-Figurati! Sarebbe stato davvero da ingrati restare lì a guardarti cadere. Comunque io sono Luca. – dice porgendomi la mano.

- Clara. – la afferro e sento la mia mano piccola piccola nella sua, grande, affusolata, dalle dita lunghe e piacevolmente calda, in contrasto con la mia temperatura corporea perennemente bassa. Solo dando un’occhiata distratta all’orologio al polso del ragazzo noto quanto sia tardi e mi allarmo: - Caspita, ma è tardissimo! Spero di non averti fatto perdere il pullman! -.

Luca scuote la testa sorridendo: - No, tranquilla. Mi devo fermare qui a scuola per il musical. -.

Lo guardo sorpresa.
-Come? Per il musical? Anch’io mi fermo per questo! – esclamo, sollevata dall’aver trovato così in fretta qualcuno di simpatico con cui condividere l’esperienza.

- Sul serio? Allora che ne dici se pranziamo insieme e facciamo quattro chiacchere? -. Rimango a fissarlo sbalordita: penso di non aver sentito bene… Un ragazzo alquanto carino sta cercando di fare amicizia con me e mi ha invitata a pranzo? Devo ammettere che scegliere fra un “sì” e un “certo” è davvero dura. Ma devo aver fatto una faccia davvero strana, perché Luca abbassa lo sguardo e si gratta la testa imbarazzato.

- Non interpretare male il mio invito… Non sono quel tipo di ragazzo, lo giuro. Solo sono in questa scuola da poco e non conosco molte persone. Mi farebbe piacere avere un’amica con cui fare il corso… Sempre che tu adesso non abbia altri programmi, un appuntamento con il tuo ragazzo o altro. Non devi sentirti obbligata. -. È così imbarazzato da assomigliare a un cucciolo sperduto e non posso fare a meno di sorridere intenerita.

- No, va bene. Avrei mangiato da sola, ma in compagnia sarà sicuramente più interessante e poi te lo devo… Mi hai salvato da una dolorosa e rovinosa caduta! – rispondo, facendo nascere uno splendido sorriso sulle labbra rosee del ragazzo davanti a me.

- Ti disturba mangiare fuori? Io stavo andando alle panchine all’ingresso prima. – chiedo, mentre scendiamo fianco a fianco le ultime rampe di scale.

- No, assolutamente. È perfetto e poi è una giornata magnifica! -.

In pochi secondi ci ritroviamo all’aria aperta. Una sferzata di aria fresca mi scompiglia i capelli e, mentre cerco di metterli a posto, mi dirigo verso una panchina posta al sole, seguita da Luca. Mi siedo, rendendomi conto solo ora di quanto le gambe mi stiano tremando, a causa dell’effetto ritardato dello spavento. Ripiego una gamba sotto di me, lasciando l’altra ciondolare a pochi centimetri dal suolo, prendo distrattamente il pranzo dalla borsa e osservo il panorama stupendo che si stende dinanzi a me. Amo la mia piccola città di lago! Il verde che la circonda, la tranquillità, le viste mozzafiato, l’acqua piatta e limpida del Lago Maggiore, solcata da traghetti e da barche delle scuole di canottaggio della zona, fra le più rinomate in Italia, le montagne per la maggior parte dell’anno ricoperte di neve e la sensazione di trovarsi in un posto incantato, dove nulla di terribile potrebbe mai accadere. Chiudo gli occhi, beandomi del calore del sole e non potendo fare a meno di sorridere per questo. Mi rendo però conto di essere di ben poca compagnia per il ragazzo che mangia di fianco a me e che si è formato un silenzio leggermente imbarazzante, anche se stranamente piacevole. Volto la testa per iniziare una conversazione, ma lo ritrovo a osservarmi intensamente. Colto in fallo, Luca abbassa immediatamente lo sguardo sul proprio panino.

-Scusa, non era mia intenzione fissarti. Solo sembravi così serena, in pace… - cerca di giustificarsi lui, ma lo interrompo subito.

-Non preoccuparti, davvero. Piuttosto, avrei dovuto farti compagnia e invece mi sono messa a guardare il lago… -.

-Beh, ne vale la pena. È un posto davvero stupendo questo. – mormora Luca volgendo lo sguardo verso l’orizzonte. Colgo la palla al balzo per fargli qualche domanda su di lui.

-Quindi, se ho capito bene, non sei di queste parti… Ti sei trasferito da poco? -.

-In realtà i miei nonni materni sono di Luino e per questo ho trascorso dei periodi, in estate soprattutto, in queste zone. Con i miei genitori ho sempre vissuto a Milano, ma da diverso tempo cercavano casa qui per trasferirsi. Loro non amano troppo la confusione delle grandi città… E così quest’estate abbiamo traslocato. – mi spiega brevemente, modellando la carta stagnola in cui era contenuto il suo pranzo in una pallina e incominciando a giocherellarci.

- Li capisco: anch’io mal sopporto la confusione. È uno dei motivi per cui amo tanto dove vivo. – sorrido tra me e me pensando anche al mio terribile senso dell’orientamento, che a malapena mi permette di orientarmi in una città come Luino, figuriamoci a Milano! Già la geografia di Varese è un mistero per me! – Come ti trovi qui? – chiedo, rispostando la mia attenzione su di lui.

-Bene, direi. È un ambiente diverso a quello a cui ero abituato, ma sicuramente molto più sereno e raccolto. Mi fa ancora un po’ strano trovarmi in una scuola dove in pratica tutti si conoscono… Però penso che mi ci abituerò in fretta. Sicuramente quando avrò imparato a capire di chi parlano i miei compagni…  -.

Rido, immedesimandomi nella sua situazione di nuovo studente in un liceo di periferia. – Imparerai in fretta come orientarti fra i vari nomi e cognomi, fidati. Quelli di cui si parla alla fine sono sempre gli stessi e anche se non li conosci non è la fine del mondo, anzi, a volte è una fortuna rimanere nell’ignoranza. – lo rassicuro, alzando gli occhi al cielo e provocando una sua risata.

-Comunque che indirizzo frequenti? – mi chiede e sembra sinceramente interessato a me.

-Scienze Umane. Quarta. Evita i commenti, per favore! – lo supplico, ma probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno: la sua espressione non cambia, a differenza di quella degli altri, quando gli rivelo cosa studio e si ammanta di sorpresa solo alla mia richiesta. –Evidentemente dalle tue parti certi pregiudizi non ci sono. Meglio così! Tu, invece, cosa fai? -.

-Prima o poi dovrai spiegarmi questa cosa dei pregiudizi… Ho idea di essermi perso qualcosa. Comunque faccio lo Scientifico tradizionale, quarto anno anch’io. C’è qualcosa che dovrei sapere riguardo a questo indirizzo? -.

Inarco un sopracciglio. – Oh, tu non hai da preoccuparti. Per lo Scientifico da queste parti ci sono tappeti rossi e altarini con fiori e candele. Per quanto riguarda le Scienze Umane ti basti sapere che per noi c’è solo una cantina buia con tanto di topi. Metaforicamente parlando, s’intende. – preciso, notando la sua espressione confusa.

-Argomento da evitare? -. Che ragazzo intelligente! Ha afferrato al volo!

-Direi proprio di sì. Con chiunque faccia il mio indirizzo. -.

-Cercherò di ricordarlo per il futuro. -.

Dopodiché rimaniamo in silenzio per un po’, godendoci semplicemente la bella giornata di inizio autunno. Luca si stiracchia, stende le gambe e appoggia la testa al muro retrostante, chiudendo gli occhi. Rimane così, senza fiatare, respirando piano, quasi da farmi pensare che si sia appisolato. Non posso fare a meno di osservarlo e pensare che sia decisamente al di sopra delle mie possibilità. Meglio che me ne renda conto prima di illudermi e rimanerci male. In fondo lo conosco da neanche due ore e molto probabilmente dopo oggi si scorderà di quell’imbranata, che ha rischiato di cadergli sui piedi. Però era da tanto che non parlavo in questo modo con un ragazzo, forse, in realtà, neanche con Marco ero così spontanea…
Sono persa in questi pensieri, quando sento Luca, di fianco a me, sospirare. Ha girato lievemente il viso verso di me e aperto gli occhi, i quali, colpiti dal sole, sono ancora più luminosi e intensi.

-Sono davvero curioso di sapere di più del musical. Ho una voglia di cantare… -.

Sgrano gli occhi dalla sorpresa. –Aspetta… Anche tu canti? -.

Il ragazzo si rimette seduto e annuisce. –Non dirmi che anche tu… -.

-Eh già! Che strana coincidenza! -.

-Magari era destino! – scherza lui, enfatizzando le parole, come un attore teatrale –Ma per te non sarà il primo anno, o sbaglio? -.

- E invece sbagli… -.

-Come mai non hai partecipato prima? – chiede sorpreso.

-Non amo mettermi in mostra e ci sono persone che lo frequentano che preferivo non incontrare… - abbasso gli occhi imbarazzata, pensando a Marco.

-Ex? – tenta, colpendo perfettamente il bersaglio. Mi chiedo come diavolo faccia! Sembra che mi legga nella mente, o che mi conosca da una vita!

-Esattamente… Ma è una storia passata. Per questo quest’anno ho deciso di provare. -.

-In questo caso penso che siamo stati fortunati a trovarci: almeno avremo una faccia amica su cui fare affidamento. -.

È così ottimista! Sprizza allegria da tutti i pori e infonde positività anche a chi lo circonda. È contagioso! Mi rendo conto che per tanto tempo sono stata l’esatto opposto… Ma ora? Non so ancora dire con certezza come sono. Sto cercando di conoscermi di nuovo, ma non è così semplice…

-Penso sia ora di andare. – dice Luca, guardando il proprio orologio. –Che ne dici? Ti va di incantare tutti con le nostre voci? – si alza in piedi e mi porge una mano.

-Come puoi sapere che canto così bene? Non mi hai mai sentita! -. La sua figura è in controluce e non riesco a distinguerla chiaramente. Sono costretta a mettere una mano davanti agli occhi. Mi sta sorridendo e osservando con un’intensità tale che, se non fossi già seduta, le mie gambe non riuscirebbero a reggermi.

-Normalmente so leggere bene le persone. Ho un buon intuito. E sono più che sicuro di non sbagliarmi su di te. Sei speciale… -. Rimango interdetta davanti alla sua affermazione, ma tutto nel mio corpo, nella mia mente e nel mio cuore, mi dice di fidarmi di lui. La tentazione di afferrare quella mano è troppa e alla fine lo faccio, alzandomi a mia volta dalla panchina.

-D’accordo. – dico semplicemente. Incominciamo quindi a dirigerci verso l’Aula Magna del liceo e tutto il mio essere è così desideroso di cantare e buttare fuori tutte le mie emozioni, da non rendermi conto che la mia mano e quella di Luca non si sono separate.
 
   
 
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