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Autore: Eleanor S MacNeil    01/08/2017    0 recensioni
Vol. I – La Figlia dello Scorpione
Di sangue grondano le mani. Di vendetta sono le voci che si alzano dalla terra.
Immersa nell'acqua del mare e nel sangue è riposta la corona degli scorpioni.
Posta sul capo del cervo e del lupo brilla la corona di foglie e ferro.
D'oro e sabbia è la corona dei leoni e nella terra è custodita quella dei serpenti.
Ascolta i bisbigli del silenzio, ascolta il clangore della battaglia, poiché la guerra è alle porte e il vento della vendetta soffia più forte.
Loro vogliono Sangue.
Loro vogliono Vendetta.
Loro porteranno Morte.
Quando i re cadranno nuovo sangue regnerà.
Possa il sangue di Tanaros vivere in eterno.
Revisionata.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Attenzione!

I primi capitoli sono stati revisionati a causa dell'inserimento di un nuovo personaggio, perciò, se non li avete ancora letti, vi consiglio di farlo, altrimenti la lettura di questo capitolo vi farà sorgere molti dubbi, in quanto la trama stessa ha subito una notevole variazione!








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Video

I Figli di Tanaros – Trailer

I Figli di Tanaros – This is War

Soraya an Sgairp – Broken Crown



Cap. 4

Sangue e Mare








Acantha intrecciava i capelli della figlia. Aveva la mente altrove, immersa in pensieri lontani e poco felici. Non era un mistero che le nozze tra Dyani ed Erik non fossero ben viste da lei, tanto meno il futuro sposo, ma aveva deciso di dare al giovane una possibilità. Se sua figlia aveva scelto di sposarlo senza troppe remore, cercando sin dal loro primo incontro d'instaurare un qualche approccio, qualcosa di buono doveva pur venir fuori.

Sorrise al riflesso di Dyani nello specchio. Quei suoi occhi verdi da cerbiatta le ricordavano lei alla sua età, quando, ancora fanciulla, attendeva il giorno delle sue nozze con Derek.

Lei ed il marito erano stati promessi sin dalla nascita, fidanzati senza essere innamorati. La prima volta che lo vide fu il giorno prima delle nozze. Lui era così attraente, dal fisico mascolino e forte. Lei aveva appena sedici anni, lui era già un uomo di ventiquattro. L'aveva amato sin dal primo momento, ma sapeva perfettamente di non essere ricambiata. Derek era un frequentatore di bordelli, amava le donne e non era un uomo da matrimonio. Sapeva che l'aveva sposata per volere del padre, re Akin, ma non si era data per vinta.

Con la nascita di Andràs, dieci mesi dopo le nozze, aveva giurato a sé stessa di rendere il suo matrimonio felice e tenuto saldo dall'amore. C'era riuscita, aveva fatto capitolare un donnaiolo come Derek ed aveva reso la loro unione felice e basata sulla fedeltà.

Erano trascorsi ormai vent'anni dalle loro nozze e, da allora, non erano state celebrate altre unioni reali, solo il funerale di re Akin, avvenuto diciannove anni prima, quando il regno di Talamh o, per meglio dire, re Egor, si era sollevato contro gli altri regni, pretendendo il dominio sulle montagne che dividevano Talamh da Logh. La questione era da secoli incerta, alcuni dicevano che la montagna di Òir rientrasse nei confini di Logh, altri in quelli di Talamh, ma al termine di quella guerra civile, Egor aveva dichiarato la resa, lasciando al regno di Seraphi la catena montuosa e, di conseguenza, il monte e le miniere dei Morti, ma in quella diatriba due re avevano perso la vita e due nuovi sovrani erano ascesi al trono. Suo marito era divenuto re di Keyll e Markos era succeduto al fratello maggiore Morven.

Le campane la distolsero dai suoi pensieri, riportandola alla realtà. Re Egor stava per fare il suo ingresso nella Rocca. Le nozze si sarebbero tenute l'indomani, al tramonto, e il sovrano di Talamh aveva deciso di pernottare il meno possibile a Rìoghachd e questo a lei non dispiaceva.

Silenziosamente e con grazia, si diresse verso il cortile, Dyani la seguiva senza proferire parola. Controllò attentamente che i figli fossero in ordine, prima di affiancare il marito e re Markos.

Erik era in piedi alla destra del padre, accanto a lui Soraya e Marek. Vide lo sguardo fin troppo teso dell'erede al trono di Crùn, sembrava volesse saltare al collo di Egor da un momento all'altro.

Intemperante e impulsivo, troppo per un futuro sovrano, pensò Acantha, sistemandosi l'abito e riportando gli occhi verdi sul re di Talamh. Era un uomo di cinquantacinque anni, dai capelli di un castano chiaro quasi biondo ed occhi castani.

Si diceva che per salire al trono avesse ucciso i suoi quattro fratelli. Stessa cosa per il figlio Ecbert, suo erede al trono, il quale aveva tolto la vita al primogenito del padre, Efrem, alla tenera età di quindici anni. Ma erano solo dicerie, forse messe in giro per demolire il sovrano, ma le morti sospette in quella famiglia non si fermavano ai fratelli, perfino la prima moglie di Egor, sterile, morì cadendo dalle scale, la seconda, madre di Antee ed Ecbert, ed anche ex moglie di uno dei fratelli deceduti del re, era morta dando alla luce un figlio morto, dopo ben tre aborti. La terza, ed ultima moglie, era morta annegata nella vasca da bagno, tre mesi dopo aver dato alla luce una figlia, Agar. Per non parlare del marito di quest'ultima, morto anche lui in seguito ad una strana febbre.

Una famiglia davvero singolare. Markos aveva sposato Antee per salvaguardare la pace con Talamh, ma doveva ben guardarsi dalla famiglia reale, se le voci erano vere, si era portato alla corte la figlia di un assassino.

I tre sovrani si strinsero la mano prima che Egor potesse rivolgere il suo sguardo alla futura regina di Logh. La guardò con una strana smorfia sul volto, come se si aspettasse chissà quale fanciulla.

Porse a Soraya un lieve inchino, per poi baciarle il dorso della mano. «Finalmente ho l'onore d'incontravi, principessa Soraya.»

Ma Soraya non rispose, sentendo il fratello accanto a lei irrigidirsi. Erik lo detestava, l'aveva incontrato un paio di volte durante i viaggi a Talamh che compiva con il padre, e mai, in nessuna di quelle occasioni, aveva avuto modo di cambiare opinione su quell'uomo dallo sguardo d'avvoltoio.

Non ci fu il tempo di porgere altri ossequi, qualcosa in lontananza si stava avvicinando alla Rocca. Si udivano canti e tamburi, suoni dolci e insieme forti. Re Egor si voltò di scatto, scostando il mantello di pregiato velluto rosso, facendo attenzione a non sbilanciarsi troppo, per non rischiare di far cadere la pesante corona d'oro che portava sulla testa. Qualcuno stava interrompendo il suo ingresso nella capitale e questo non era di suo gradimento.

Man mano quel suono divenne un canto distinto accompagnato da tamburi. Le campane cominciarono a suonare, preannunciando l'ingresso delle sacerdotesse di Coltas. I loro capelli rossi sembravano fiamme ardenti alla luce del sole mattutino ed i loro occhi ricordavano l'ambra degli alberi della foresta di Firth.

Marek osservava quelle donne camminare a passo moderato verso di loro, la loro somma sacerdotessa doveva avere l'età di Azar, ma i suoi capelli non avevano assunto il tipico colore argentato della vecchiaia, c'erano solo alcuni ciuffi grigi, ma nulla di più.

Quando poi i tamburi cessarono di suonare e con loro le campane, calò un silenzio spettrale nel cortile del castello, ed il giovane principe si sentì sopraffatto dall'ansia.

Si avvicinò ad Erik, tirandolo per la manica. «É vero che le sacerdotesse di Coltas sono le sole persone ad essere immuni al veleno degli scorpioni, poiché si pensa che siano nate proprio da esso?»

Erik fece spallucce, sbuffando lievemente dal naso. «Nascono da un uomo e una donna esattamente come tutti gli altri esseri umani.»

«Sì, ma si pensa che la prima sacerdotessa della dea Àrsaidh sia nata dal veleno di uno scorpione e che il suo sangue fosse incendiario.»

«Sono donne, Marek. Semplici donne con il dono della preveggenza, nulla di più!»

La leggenda della prima sacerdotessa, narrava che una donna gravida era stata punta da uno scorpione nero, proprio mentre implorava la dea Àrsaidh di lavare via la sua sofferenza causata dall'uomo che l'aveva abbandonata con un figlio in grembo. Pochi mesi dopo la donna aveva dato alla luce una bambina i cui capelli erano rossi come il fuoco e gli occhi ambrati come il tramonto. La piccola era nata proprio sull'isola di Coltas, dove la madre era stata mandata in esilio a causa della gravidanza indesiderata.

Quella bambina era poi cresciuta e, dopo la morte della madre, aveva deciso di dedicare la sua vita alla dea da cui aveva ereditato il dono della preveggenza, fondando un tempio in suo onore sull'isola di Coltas. Era poi tornata nell'antico regno, dove la madre era nata, raccogliendo intorno a sé altre fanciulle con lo stesso dono, portandole a Coltas per istruirle nel nome della dea. Erano solo leggende, poco chiare e con svariate lacune, ma erano proprio i misteri che le circondavano a rendere quelle storie così attraenti.

Erik e Soraya erano cresciuti ascoltando quei miti, ma mentre la sorella vi credeva fermamente, lui era rimasto scettico proprio come il padre. Non credeva alle storie mitologiche di donne nate dal sangue degli scorpioni o di uomini il cui corpo era fatto di legno e corteccia. No, credeva nella volontà degli uomini e nelle leggi della guerra.


***


Non visitava mai quel luogo, ma quella notte era speciale. Markos chiuse gli occhi, riportando alla mente il volto di Seraphi, i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi blu come il mare. Una donna dalla bellezza eterea e algida. Quanto gli mancava il dolce suono dei campanelli che tintinnavano ad ogni suo passo, Seraphi portava sempre quelle cavigliere tintinnanti e di rado indossava calzature. Soraya aveva ereditato quell'abitudine, ma i campanelli alle sue caviglie non producevano lo stesso suono poiché aveva un'andatura diversa da quella della madre.

Quanto avrebbe voluto riaverla al suo fianco, sentire la sua voce, il suo profumo. Lei era la regina di due regni, forte e indomita, caparbia e giusta. In sua assenza sapeva dominare gli animi ardenti dei soldati di Crùn, nonostante provenisse da un regno do poeti, pastori e bardi. Ogni suo consiglio era più prezioso dell'oro per lui.

«Padre.»

«Dovresti riposare, Soraya.» Markos non si voltò, rimase fermo, ascoltando i passi della figlia avvicinarsi, quei campanelli lo fecero sorridere. «Uscire di notte non è sicuro.»

«Temi per la mia sicurezza?»

«Temo per la sicurezza di chi potrebbe cercare di farti del male.»

Soraya sorrise, affiancando il padre, osservando la statua raffigurante Seraphi. Le candele accese attorno al piedistallo la illuminavano abbastanza e la luna, quasi piena, la rischiarava. Il piccolo tempietto circolare di marmo bianco era circondato da gigli del medesimo colore, ma uno blu era stato messo ai piedi della statua. Solo a Logh crescevano gigli blu, solo nei giardini del palazzo reale.

«Oggi è l'anniversario del nostro fidanzamento.» Era raro che Markos nominasse Seraphi, non era avvezzo ai ricordi, era un guerriero che non mostrava mai i suoi sentimenti.

«Mi manca. Mi manca la sua voce, il suo sorriso, mi mancano le sue carezze, la sua dolcezza.»

«A me no.» Markos voltò lo sguardo verso la figlia, guardandola dritta negli occhi. La luna piena brillava abbastanza da illuminare quella notte. «Ogni volta che ti guardo negli occhi rivedo tua madre, la sua forza, il suo coraggio. Ogni volta che ti guardo rivedo lei e il senso di mancanza svanisce.»

Soraya annuì, poggiando il capo contro la spalla di Markos, respirando l'aria fredda della notte. «E pensare che zio Slane dice che somiglio molto più a te.»

Markos rise, allargando il braccio per poter stringere le spalle di Soraya. «Caratterialmente parlando, tu sei più simile a me, ma nei tuoi occhi...nei tuoi occhi c'è la fierezza di Seraphi e la tempesta marina che ha accompagnato la tua nascita.»

Soraya sapeva a cosa si stava riferendo. Era la storia della sua vita, la storia della sua nascita, delle circostanze in cui lei ed Erik erano venuti al mondo.

«La notte in cui tu ed Erik siete nati arrivò una tempesta dal mare, i tuoni vibravano nell'aria, le saette cadevano dal cielo e il vento soffiava talmente forte da sradicare gli alberi» disse Markos, guardando la statua della moglie. «Nulla è più forte e devastante di una tempesta marina, tranne te. Sei rumorosa e spavalda e questo mi spaventa perché ti tuffi nel pericolo senza pensare, senza riflettere, ed io vorrei solo proteggerti da quel rischio che tu cerchi.»

La giovane sorrise, stringendosi di più al corpo del padre. Era così rilassante chiacchierare con lui, parlare di tutto e restare ferma ad ascoltare la sua voce profonda che la cullava come le braccia di sua madre.

«Sei indomabile e forte proprio come la tempesta che si abbatté su Crùn quella notte. A volte credo che ti sia entrata dentro, che quella forza della natura risieda nel tuo cuore. Come risiede nel mio, ecco perché siamo uguali, mio piccolo scorpione.» Markos guardò la figlia per un breve istante. Quegli occhi blu, profondi come il mare, erano lo specchio di un animo ribelle. «Hai il mio carattere, ma somigli a tua madre molto più di quanto pensi. Il giorno delle nostre nozze fuggì in groppa al suo cavallo e dovetti correrle dietro per poterla riportare a palazzo. Seraphi era una forza della natura, era una guerriera ed una regina, sebbene non adoperasse la lancia come te, figlia mia, lei era comunque una combattente, sapeva quando era tempo di riflettere e quando bisognava agire. Crùn non avrà mai una regina come lei, purtroppo, ma Logh sì!»

Soraya annuì, cercando di sembrare convinta, ma più ci pensava, più sentiva di non essere adatta a regnare. Lei voleva la battaglia, il sangue, la gloria, non la corona e la responsabilità di un popolo.

«Tu sei figlia della tempesta, non dimenticarlo mai!» esclamò Markos, come se i pensieri di Soraya fossero arrivati a lui. Voleva infonderle coraggio, forza. Quanto avrebbe voluto tenere quella fanciulla sotto una teca di cristallo per sempre, proteggerla dalle avversità di un mondo di sangue e morte, dove gli uomini erano avidi e superbi, quanto avrebbe voluto, ma non poteva.

L'aveva cresciuta forte e determinata, aveva fatto del suo meglio per darle tutto ciò di cui aveva bisogno, ora doveva solo lasciarla andare e vedere quanto aveva imparato.

Soraya non era più la bambina che gli rubava la spada per giocarci, la piccola che correva per i corridoi della Rocca con un elmo troppo grande in testa, che urlava rincorrendo il gatto di Antee. No, sua figlia non era più quella bambina. Giorno dopo giorno si era trasformata in una giovane donna intraprendente e caparbia, forse anche troppo, ma era comunque la sua bambina, sua figlia.

Da bambina era diventata fanciulla, da fanciulla guerriera, da guerriera donna, da donna moglie e, presto, madre, regina. E che regina. Sì, ne era certo, sua figlia aveva i requisiti adatti per essere una sovrana, doveva solo trovare la sicurezza e il coraggio di accettare la corona e adempiere al suo destino.


***


Dyani se ne stava seduta davanti allo specchio, il sole era ormai sorto da ore ed il giorno delle nozze era giunto fin troppo velocemente. Non aveva avuto modo di parlare con Erik per più di due minuti, ogni volta lo vedeva allontanarsi con una qualche scusa ridicola e lei, sconsolata, si ritrovava a chiedersi che cosa avesse di sbagliato.

Sussultò quando sentì bussare alla porta. Con flemma aprì trovandosi di fronte il soggetto dei suoi pensieri.

«Voglio mostrarti una cosa» disse semplicemente Erik, invitandola a seguirlo. Non era stato brusco, tanto meno scortese, solo frettoloso e sbrigativo.

Lo seguì lungo i corridoi della Rocca, fino nei giardini dove aveva passeggiato spesso con sua madre. Da lì imboccarono una piccola scalinata di pietra che li portò in un giardino superiore che, fino a quel momento, non aveva mai visto. Là, proprio a ridosso della scogliera, tra piante di azalee rosa e glicine, gigli e fiori di ciliegio, un piccolo tempietto circolare di marmo bianco spiccava tra il verde ed i colori viola e rosa dei fiori. La primavera era giunta e poteva inebriarsi del dolce profumo dei fiori e l'odore salmastro del mare sotto la scogliera.

Erik si fermò di fronte al tempio e lì Dyani vide per la prima volta il volto di Seraphi, la regina di Logh e Crùn dall'incomparabile bellezza.

«Dyani lei è mia madre.» Erik indicò la statua facendo un piccolo cenno di riverenza con il capo. «Mio padre fece costruire questo piccolo tempio poco dopo la sua morte e, nonostante abbia sposato Antee, non ha mai smesso di amarla.»

«Perché mi avete portata qui?»

«Innanzitutto non sopporto il tono formale, tanto meno il voi» specificò Erik, ricordando a Dyani la prima conversazione avuta con Soraya. «In secondo luogo, ho deciso di portarti qui perché non voglio un matrimonio politico come quello tra mio padre e Antee.»

Dyani annuì, forse tutti i suoi tentativi ed i consigli avuti sia dalla madre che da Soraya avevano sortito il loro effetto?

«Stasera io ti giurerò rispetto e devozione, ma sappi che dovrai avere molta pazienza con me. Non sono sicuro di essere tagliato per fare il marito, ma ti chiedo di sopportare i miei modi rudi e distaccati. Non sono avvezzo alle effusioni o alle dimostrazioni di affetto, non posso prometterti di essere un marito amorevole e presente, ma proverò a non ignorarti e darti quel poco di affetto che riuscirò ad esternare.» Erik si piegò verso di lei, lasciandole un bacio sulla guancia.

Dyani sentì il tocco delle sue labbra calde, accompagnate dall'ispido della barbetta bionda. Un piccolo passo era stato fatto, almeno non si sarebbe sentita ignorata e poco voluta.


***


Agar an Leòghann non aveva il volto tipico di una vedova. Suo marito era morto da meno di due mesi e lei non accennava ad alcun segno di costernazione o lutto, anzi, vestiva abiti dalle tonalità chiare e portava i capelli castani sciolti lungo la schiena. Nessun velo, nessuna treccia, nessun abito scuro.

Il suo defunto marito era un nobile di Talamh, un Lord molto più vecchio di lei e alquanto insignificante. Per tre anni l'aveva sopportato, ma due mesi prima era stato colpito da una febbre contratta a causa di una ferita infetta che l'aveva ucciso nel giro di quattro giorni dopo atroci sofferenze.

Non aveva avuto figli e, di certo, non ne voleva. Alcune dame vociferavano che avesse fatto di tutto pur di non partorirne. Il suo istinto materno era pari a quello di un sasso, se si voleva ascoltare il parere di Azar.

Camminava per i corridoi della Rocca con passo deciso e spavaldo, con il mento alto e la schiena dritta, sempre al fianco del padre, come per mostrare al mondo che era lei la figlia prediletta e non Antee, la regina di Crùn.

«Sei arrivata solo ieri e già ti metti su un piedistallo?»

Agar si voltò verso la sorella. «Stavo giusto cercando te, sorella.»

«Ebbene, eccomi qui.»

«Nostro padre vuole vederti.»

«Ed ha mandato la sua piccola prediletta a chiamarmi. Scommetto che dietro a quel falso sorriso si cela il ghigno divertito di una vipera.» Antee non amava la sorella minore, nata da Netia Coineanach, una lady di Talamh, che aveva fatto carte false per entrare nel letto di suo padre quando era ancora sposato con Alasia an Tarbh, sua madre.

Ma Agar non disse niente, si limitò a sorridere, sorpassando la sorella per invitarla a seguirla.

Antee fece il suo gioco, Agar era una donna subdola, calcolatrice, proprio come sua madre, e non si era sorpresa quando la notizia della morte di suo cognato era giunta a Crùn. Probabilmente l'aveva ucciso lei, o aveva chiesto a Ecbert di farlo, oppure a qualche suo amante. Ormai la conosceva, non faceva mai niente per nulla. Ogni sua azione era mossa da un desiderio, ogni suo minimo gesto era ben calcolato per ottenere una conseguenza a lungo termine. Chissà cosa le passava in quella testolina.

Quando entrò nella stanza di Egor, vide che era presente anche Ecbert, seduto allo scrittoio con un taglia carte in mano. Un altro figlio nato con il desiderio di potere nella mente e nel cuore.

«Sorella!» esclamò Ecbert, alzandosi e abbracciandola, per poi sussurrarle all'orecchio. «Vedo che ancora continui a fallire.»

Antee fece un finto sorriso, ricambiando l'abbraccio e sussurrando a sua volta. «Vedo che continui ad essere la seconda scelta di nostro padre.»

Nonostante i palesi insulti, i due non abbandonarono quel finto sorriso di cortesia quando si staccarono, rivolgendo poi i loro sguardi al padre, intento a guardare la sua immagine allo specchio.

«Sei riuscita nel tuo intento?»

«Non ancora, padre» rispose Antee, avanzando di qualche passo. «Soraya aspetta un figlio e Azar controlla tutto quello che mangia e beve.»

«Non importa, i piani stanno cambiando.» Egor si voltò, guardando i figli. «Uccidere Seraphi ci ha portati più vicini a Logh di quanto pensassimo, ora dobbiamo solo trovare la soluzione al problema Soraya.»

«Posso pensarci io, padre.» Agar avanzò verso il padre, ma lui scosse il capo.

«No, Agar, per il momento deve restare viva, ma non il figlio che porta in grembo.»

«Ci vorrà del tempo» affermò Antee.

Agar però non era della stessa opinione, ansiosa di compiacere il padre. «No se la lasciate a me, padre. Stasera al banchetto posso...»

«Non adesso, non con questa confusione in atto, desterebbe troppi sospetti su di noi.» Egor fece cenno a Ecbert di alzarsi, per potersi sedere dietro allo scrittoio. «Accadrà poco prima della sua partenza per Logh, per poter rimandare l'incoronazione.»

«Ed Erik?» domandò Ecbert, fissando il padre negli occhi gemelli.

«Lui? Il futuro re morirà quando prenderemo Crùn e non prima.»

«A tal proposito, ho un piano da proporvi, padre, ed un perfetto capro espiatorio.» Antee, si avvicinò a Egor, piegandosi per sussurrargli qualcosa all'orecchio.

Ecbert e Agar cercarono di ascoltare, ma la voce della sorella era troppo bassa e loro troppo lontani per riuscire a sentire, ma dal ghigno compiaciuto di Egor capirono che la regina aveva ideato qualcosa di talmente malvagio da soddisfare le brame di potere del padre.


***


Il tramonto aveva colorato il cielo con tinte calde, le fiaccole lungo la scalinata esterna, che dalla Rocca scendeva fino alla spiaggia lungo la parete della scogliera, erano state accese ed i campanelli dell'arco suonavano leggeri mossi dal lieve venticello.

Dyani avanzava lenta sulla spiaggia, sotto al braccio del padre, mentre gli invitati la osservavano rapiti. Per la prima volta aveva vestito un abito più leggero, dalle maniche lunghe di un tessuto quasi trasparente, bianco come imponeva la tradizione di Keyll. I capelli adornati di nastri e fiori, raccolti in trecce, lasciavano scoperto il collo sottile e lungo.

Erik era vestito con i colori della sua casata, la casacca blu faceva risaltare il colore dei suoi occhi, i pantaloni neri e la cintura del medesimo colore sembravano fuori luogo per un matrimonio, ma per gli an Sgairp era il colore del loro stendardo.

Dyani si sentiva come attratta da quel giovane di fronte a lei. Era magnetico, bello, forte, carismatico, ben diverso dagli uomini di Keyll, molto lontano dall'idea che si era fatta di lui. Quando suo padre mise la sua mano in quella di Erik, lasciandola definitivamente alla sua protezione, sentì una strana scossa attraversarle il braccio, ma non vi fece caso, troppo concentrata sul suo futuro sposo.

Sentiva in lontananza le parole del sacerdote del sio Ceart e della sacerdotessa della dea Bethia, come un'antica favola trasportata dal vento, un lieve canto dolce e significativo. Lasciò che legassero la sua mano sinistra a quella di Erik con una corda formata da nastri colorati. Li guardò attentamente, notando per la prima volta che ogni corda nuziale era diversa, poiché era formata dai colori delle casate dei due sposi, nel loro caso vide il blu ed il nero degli an Sgairp unito al verde, argento e oro dei cù Allaidh.

«Nel nome della dea Bethia io ti giuro eterno amore. Nel nome del dio Ceart io ti giuro eterna fedeltà. Da questo momento, fino alla fine dei miei giorni, ogni mio respiro sarà per te, ogni mio sguardo sarà per te, ogni mio battito sarà per te. Nel nome degli dei, io ti dono il mio cuore e la mia anima, per sempre» dissero Erik e Dyani all'unisono, quando ormai la cerimonia si stava concludendo.

Ecco, da quel momento lei non era più Dyani cù Allaidh, principessa di Keyll, in quell'istante divenne Dyani an Sgairp, principessa e futura regina di Crùn.


***


«Niente pugni mancati stasera?»

Ragnar credeva di poter sopportare tutto, ma quei banchetti erano un vero e proprio tormento. Caotici, pieni di persone ubriache e falsi sorrisi. Preferiva ancora il chiasso della taverna ai convivi reali.

Soraya l'aveva affiancato, trovandolo in piedi appoggiato con la spalla alla colonna. «Niente pugni?»

«Stasera il tuo precedente pretendente ha deciso di corteggiare le dame.» Ragnar indicò Andràs, intento a fare gli occhi dolci ad una delle giovani lady accorse alla Rocca per il matrimonio. Probabilmente non aveva ancora capito di che pasta erano fatte le donne di Crùn. Difatti, proprio in quel momento, la fanciulla gli rovesciò addosso il calice di vino che teneva tra le mani.

«Per fortuna ho sposato te.» Soraya lo guardò negli occhi, ricevendo in cambio un bacio sulla tempia. «Ho scelto e sceglierò sempre te.»

«Lo so.»

«A proposito di matrimoni combinati, sai chi vuole accordare un fidanzamento tra nostro figlio, non ancora nato, e il primogenito di Ecbert?»

Ragnar fece una smorfia di disgusto, mettendosi dritto. «Re Egor» disse tra i denti.

«Già si pensa ad un matrimonio tra la nostra prima figlia femmina, quindi l'erede al trono di Logh, con il primogenito maschio di Ecbert.»

«Nostra figlia non sposerà mai un uomo di Talamh, chiunque egli sia.» Ragnar era molto chiaro a riguardo. Odiava i matrimoni combinati e, in particolare modo, le brame di potere di Egor e del suo erede.

«Non preoccuparti, nostra figlia si sposerà per amore, ne sono convinta.»

Ragnar sorrise, sfiorandole il ventre. «Oppure non si sposerà affatto.»

«Sei ancora convinto di poterla rinchiudere in una torre per sempre?»

«No...la rinchiuderò nelle sue stanze, la torre mi pare troppo drastica come soluzione.»

I due risero insieme, beandosi di quel piccolo siparietto familiare così tranquillo. Si erano ritrovati spesso a pensare al futuro di quel figlio non ancora nato. Ragnar era totalmente convinto che si trattasse di una femmina, Soraya sperava solo che fosse sano. Forse dare alla luce una femmina come primogenita l'avrebbe aiutata a guadagnarsi la fiducia ed il rispetto dei Lord e delle Lady di Logh, dandole una spinta in più, come sperava suo padre, ma cercava di non dare alla questione molta importanza, preferiva concentrarsi sulla gravidanza e sull'incoronazione ormai alle porte.

Si lasciò abbracciare da dietro, osservando Erik ridere con altri uomini. Sentì un nodo alla gola al pensiero di doverlo lasciare, di doversi separare dall'altra metà della sua anima.

«Come farete l'uno senza l'altra?» le domandò Ragnar, interpretando quello sguardo. Ormai aveva compreso il loro rapporto, quello stretto legame che li univa e li portava a quei comportamenti a volte male interpretabili.

Soraya sospirò. «Sopravvivremo, sebbene non riesca ad immaginare una vita senza lui al mio fianco.»

«Devo ingelosirmi?»

«No» rispose Soraya. «Io e lui siamo gemelli, secondo i sacerdoti siamo due metà della stessa anima mentre tu...tu sei l'altra parte del mio cuore.» Soraya poggiò la testa contro il petto del marito, sentendo il suo fiato caldo sfiorarle il viso. «Nulla potrà mai separare me ed Erik, e poi, abbiamo giurato sugli dei che moriremo insieme, l'uno tra le braccia dell'altra.»





Pronunce:


Coineanach – Coenach, la CH aspirate

an Tarbh – an taref





Angolo Autrice:

ed eccoci al matrimonio. Egor ha rivelato la sua faccia da cospiratore, abbiamo appreso che la morte di Seraphi non è stata naturale, ma intenzionale. Ma chi della famiglia di Talamh ha compiuto il gesto e, soprattutto, come?

Vedrete più avanti, già dal prossimo capitolo scopriremo un piccolo tassello del puzzle.

Al prossimo capitolo!






   
 
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