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Autore: Urban BlackWolf    01/08/2017    3 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino, Mamoru Kiba e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Madness

 

 

 

Torrente Dunkelsprung

Svizzera centrale – 20/6/1915

 

Siamo arrivate da più di un'ora e di Haruka, Usagi e Makoto ancora nessuna traccia. Spero abbiano passato

una notte tranquilla. Le ragazze sono nervose e molto provate.

Si stanno tenendo occupate per cercare di non pensare al folle

gesto che Mako stava per compiere. Ho cercato di tranquillizzarle,

ma sento di stare vacillando.

Ho avuto un sonno agitato. Spero che Daniel mi lasci

libera. Non sopporterei di dovermi ancora difendere da lui.

M.K.

 

Richiudendo il suo diario Michiru sospirò avvertendo sulle ossa tutta la stanchezza dell'ennesima notte passata in terra. Non ne poteva più. Sentiva di stare per perdere il controllo su quell'insieme di continue, giornaliere, destabilizzanti tensioni.

Guardando Minako e Rei lavare alcuni indumenti immerse fino ai polpacci nell'acqua gelata, si chiese per l’ennesima volta se non fosse stato meglio rimanere a Bellinzona. Questo pensiero era spesso apparso nella sua mente, soprattutto nei momenti più critici, ma mai con quell'insistenza. Alla luce di tutte le peripezie che le avevano viste protagoniste, la sua volontà di mettersi in marcia il prima possibile per cercare di rimandare le sue ragazze a casa, stava facendo barcollare una Kaiou ormai esausta sia sul piano fisico che su quello psicologico, costringendola a pensare che forse sotto quell'atto di estrema determinazione materna, poteva covare la banalissima voglia di tornarsene a Berna dalla sua famiglia. Avrebbe forse dovuto ponderare meglio le conseguenze che quella traversata avrebbe portato? Haruka era stata chiara. Fin da subito. Un gruppo di donne, di ragazze, sarebbe stato vulnerabile in quei luoghi, in quelle vastità naturali intrise di pericoli. Ma lei non aveva voluto ascoltare quella sirena d’allarme, tirando dritta per la sua strada, vogliosa forse di ritornare ad immergersi completamente nei salotti altolocati che fino a qualche mese prima aveva frequentato, piuttosto che aspettare tempi migliori in una piccola cittadina della Svizzera meridionale. Se realmente fosse stato così non avrebbe potuto che sentirsi in colpa.

Mettendo il diario nel suo zaino guardò Giovanna avvicinarsi sorridendo agli sforzi che stava giornalmente compiendo per cercare di sbarazzarsi delle stampelle.

“Non la starai sforzando troppo?” Le chiese facendole spazio sulla roccia dove si era seduta.

“Ami ha suggerito che devo provare a camminaeci sopra. Ed è così difficile trovare terreni decentemente pianeggianti che non mi sembra vero di poterlo fare qui.” Ma sedendosi rivelò un affanno poco incoraggiante.

“Sei riuscita a riposare un po'?” Chiese e l'insegnante alzando leggermente le spalle le fece la stessa domanda.

“Io no. Continuo a chiedermi come stia Makoto. Se Haruka sia riuscita a trovare un riparo, se abbiano mangiato, dormito, bevuto o percorso un sentiero abbastanza sicuro. Non lo so Michiru... Non ti nascondo che questa situazione mi sta avvilendo.”

Ed a quella rivelazione l'altra dilatò gli occhi puntandole contro uno sguardo incredulo. Non avrebbe mai immaginato che anche Giovanna potesse avvertire tanto scoramento. In genere era sicura di se e se qualcosa non andava, Michiru aveva compreso come cercasse di tenerlo nascosto per non apparire debole. Caratterialmente molto simile alla sorella, non amava aprirsi, ne parlare dei suoi fastidi interiori, così d'apparire ai più una roccia, una fortezza, un esempio.

Sentendosi improvvisamente empatica, l'insegnante le rivelò i suoi pensieri confessandole che stava iniziando a domandarsi con troppa insistenza se quel giorno, quando si era ritrovata nell'infermeria del distaccamento di Bellinzona con pochi spiccioli nelle tasche, derubata di gran parte dei suoi averi e dell'orgoglio, in pratica disertrice dei suoi doveri d'insegnante e di fidanzata, con la necessità di accompagnare le sue ragazze a Zurigo, non avesse commesso un'enorme sciocchezza.

“Non affliggerti. Vuoi forse farmi credere di non sentire nostalgia di casa o della tua Berna?”

“La nostalgia non giustifica il fatto che avrei potuto, no anzi, dovuto pensare meglio prima di scegliere il da farsi anche per altre persone.”

“Perché dici questo Michiru?”

“Perché sono stanca. Perché le ragazze lo sono. Perché quello che ho avuto modo di vedere e conoscere in queste ultime settimane mi ha portato a perdere la fede nella società che ci circonda.”

“Se ti stai riferendo a Mako...”

“No Giovanna, non solo. E' tutto il contesto ad essere sbagliato. E' vero che quei due uomini erano solamente due poco di buono e come tali si sono comportati. Come ho accettato il fatto d'essere stata abbindolata e derubata dal primo sconosciuto incontrato su di un treno. - Puntando lo sguardo a terra si vergognò nel proseguire. - Mi riferisco a Daniel, al suo comportamento, alla sua aggressiva possessività, ad una cattiveria che... non avevo mai minimamente ipotizzato.”

Questo non è nulla in confronto a quello che ti farò la prima notte di nozze e in tutte quelle avvenire se non imparerai a sottometterti! Ricordò. Come poteva essersi innamorata di un uomo del genere?!

“Si è accanito contro di me braccandomi come un'animale, arrivando ad usare il ricatto pur d'incatenarmi per sempre a lui e conoscendolo, sono sicura che non si è ancora arreso e ho paura d'immaginare cosa potrebbe fare ad Haruka se soltanto se la trovasse davanti.” Un brivido le squassò la schiena.

“Michiru...”

“Vedi Giò, grazie ad una serie di circostanze avverse ho trovato la tua amicizia, lei e... la mia vera me stessa, ma non posso impedire alla coscienza di pormi delle domande.”

Mettendole una mano sulla spalla la più grande le diede un paio di energiche strette stirando le labbra. Cosa credeva quella ragazza di essere fatta di pietra? Di essere immune alle fragilità e ai dubbi che ogni essere umano porta nell'anima durante l'intero corso della vita?

“Se avessi capito prima, in tempi non sospetti, com'era Daniel veramente non mi sarei mai presa la briga di frequentarlo, ne tanto meno di presentarlo ai miei genitori. Mi sono fatta abbindolare da un bel faccino e dalla prestanza fascinosa che madre natura gli ha donato. Sono stata una sciocca ragazzina superficiale e la cosa che più mi da fastidio è che credevo di essere sufficientemente matura da essere immune a questo tipo di stupide puerilità!”

Stupide puerilità. Michiru stava rivelando all'altra un lato di quel carattere complesso ed estremamente sfaccettato che pochissimi conoscevano veramente.

“Lo sai Kaiou che non credevo avessi tanti tratti simili con la nostra Ruka?”

Sbattendo un paio di volte le palpebre l'altra la lasciò proseguire interdetta.

“Abbastanza pronte a giustificare le azioni degli altri ed incredibilmente ferali con le proprie debolezze.”

“Ma io... veramente...”

“Michiru, credo che ogni donna sarebbe caduta in un inganno simile. Il dottor Daniel Kurzh è un uomo piacente e credo non sia affatto stupido per essere riuscito ad interessare una donna cerebralmente valente come te. Perciò ti prego, non umiliarti così. Capire com'è fatta una persona non è facile, anzi, sono fermamente convinta che non ci si riesca mai realmente fino in fondo.”

Facendo leva sulle stampelle si rimise in piedi. “E poi diciamocela tutta. Hai scelto di seguire una lei invece che tornare a Berna con lui. E' uno smacco bello marcato per un uomo, non credi?” Concluse ridendo riuscendo a darle un po' di quella giovialità che solamente Giovanna era in grado di regalare.

 

 

Makoto calciò il terriccio sulle ultime braci del fuoco che era riuscito a scaldarle per tutta la notte guardando grata il verde degli occhi di Haruka. La ragazza più grande era stata impagabile, meravigliosamente impagabile. Visto la mancanza dei loro zaini con dentro gli indumenti pesanti, non aveva chiuso occhio per vegliare le fiamme del fuoco così che lei ed Usagi, non abituate a dormire fuori dal sacco da viaggio, non avessero troppo freddo.

Anche il giovane Flint aveva fatto la sua parte, ricomparendo dopo ore di latitanza e proteggendole gironzolando a qualche decina di metri da loro, espandendo il suo ululato nelle tenebre perché fosse stato ben chiaro a tutti gli animali di quella parte di foresta a chi appartenesse quel branco.

Usagi aveva reagito così; parlando, a ruota libera, senza controllo ed Haruka, sorprendendo prima se stessa e poi le altre, l'aveva lasciata fare, ascoltando, a volte interessata, altre meno, quel fiume in piena di parole, aneddoti, ricordi, sogni e speranze che erano riusciti ad avere i natali fino al crollo definitivo del sonno. In fin dei conti era stato un bene, perché nel farlo si era evitata di ricordare o parlare dell'accaduto, impedendo di farlo e farlo fare. Perciò via, con il suo Mamo e le magnificenze che quel legame avrebbe regalato loro una volta che quella infinita guerra fosse terminata ed il Belgio tornato libero, via alla convinzione che la loro amicizia sarebbe rimasta tale anche se si fossero trovate a vivere nei quattro angoli del continente e via con una gioiosità che man mano era andata posandosi anche sui cuori delle altre.

“Siamo pronte?” Chiese la guida appena ritornata da una rapida escursione che le aveva permesso di sondare il terreno ed identificare una strada abbastanza agevole tra le asperità rocciose.

“Quanto ci metteremo Haru?” Chiese Usagi speranzosa.

“Dipende da voi. Forza, senza il peso degli zaini sulle spalle faremo in un batter d'occhio. State attente a dove mettete i piedi e cercate di tenere alta la concentrazione. Soprattutto tu Usa.” Sapeva che le ragazze avevano fame e soprattutto sete. Per quanto avesse cercato non era riuscita a trovare una fonte che consentisse loro di butar giù le poche bacche che aveva raccolto.

S'incamminarono discendendo tra le pietre ed i fusti degli alberi, accompagnate dal ruggire dell'acqua del Dunkelsprung che di metro in metro si faceva sempre più forte, dal vento freddo che sverzava loro i viso e le braccia nude, incanalandosi tra le rocce ed i roveti carichi di more, passando dal sole all'ombra dell'alveo del ruscello in poco meno di un'ora.

“Usa la vuoi finire di riempirti la bocca? Guarda che se non ti sbrighi ti lasciamo indietro.” Haruka aveva iniziato a rimpiangere già da tempo le fredde giornate solitarie passate tra gli spazi rudi della sua baita, ma ora il comportamento di quella ragazzina la stava portando all'esasperazione più nera.

“Dai Haru, queste more sono squisite! Raccogliamone un po' per le ragazze.”

O Dio del cielo santissimo, perché? Perché a me..., perché? “Non farmelo ripetere. Ci terrei ad arrivare prima di notte! Schiodati da li!”

“O che musona. Guarda che Michiru gradirebbe sai?” Sorridendo leziosa la vide sbuffare, incrociare le braccia al petto e fissare un punto sul terreno.

Che fantastica scoperta! La biondina era riuscita a trovare il pertugio per scardinare il diktat di quell'orso alpino e non avrebbe fatto difficoltà ad usare il nome della sua insegnante ogni volta che sarebbe occorso.

 

 

Michiru imitò l'amica alzandosi. Il discorso appena fattole da Giovanna aveva sicuramente un senso, ma non riusciva comunque a farla sentire meno in colpa.

“A Kaiou Kaiou... Vedo di non averti convinta del tutto. Allora devo pensare che quello che hai detto ieri a Makoto fossero solamente un cumulo di blande fesserie?” Chiese Giovanna divertita.

“Quello che è fatto è fatto e non si può tornare indietro?”

“Esattamente!”

Accarezzandosi il collo arrossì un poco. Accidenti se si era esposta. “Una cosa è dirlo. Una cosa è crederci fino in fondo.”

“Ed una cosa è metterlo in pratica.” Concluse l'altra ridendo nuovamente mentre vedeva Ami alzarsi dal fuoco guardando verso l'ombra di un costone poco lontano.

“Usa! Mako!” Urlò Minako uscendo sgocciolante del ruscello camminando sui sassolini come una papera.

Nel vedere la sorella e le ragazze Giovanna tirò un sospiro di sollievo mentre Michiru illuminava il viso stringendo le mani l'una contro l'altra al petto come a voler ringraziare un qual si voglia nume tutelare.

Sgattaiolando dagli abbracci delle altre, Haruka si diresse verso le due chiedendo loro dell'acqua e mentre la sorella andava a prenderle una borraccia la bionda cinse la vita dell'insegnante rubandole veloce un tenerissimo bacio. L'era mancata terribilmente.

“Com'è andata la nottata mia Ruka?” Chiese Michiru accarezzandole la guancia sentendo dissiparsi tutti i dubbi e le incertezze, le critiche e gli affanni che fino a poco prima l'avevano corrosa.

“Fredda e sporca, ma tranquilla. E voi?”

“Bene. Makoto?”

“Be puoi vederlo da te. Certo bene non sta, ma almeno sembra aver ripreso un minimo di equilibrio.” Rispose ed entrambe la guardarono mentre si abbracciava con le altre lasciando che un timido sorriso le invadesse il viso ancora parecchio teso.

Haruka si era ritrovata a parlarle, raccontandole un po’ di se e questo aveva fatto capire all'altra l'importanza dell'accettazione di ogni lato di se. Non avrebbe voluto esporsi tanto, ma in quel frangente le era sembrata la cosa più umana da fare. Sentendo la stretta di Michiru sciogliersi per andare ad accogliere le altre scambiò con Giovanna un'occhiata d'intesa. Avrebbe sicuramente azzannato il braccio di qualcuna se non avesse messo immediatamente qualcosa sotto i denti.

Così mangiarono le ultime scorte nella ritrovata unione di gruppo. Avendo ormai la stanchezza che le bussava sulle palpebre, Haruka decise di andare a cacciare non prima di aver finalmente chiuso gli occhi per almeno una mezz'ora, Usagi ne approfittò per portare Makoto a pesca, Giovanna e Michiru, si dedicarono a sistemare i sacchi da viaggio e la confusione che ormai vi regnava all'interno, mentre Minako e Rei, seguite da Ami, ripresero a lavare gli indumenti cercando di fare meno baccano possibile. Tutto come sempre dunque.

Ora si che ti riconosco Kaiou. Ridacchiò la più grande tra se e se. Come non potersi commuovere all'ardore fiammeggiante riemerso improvviso da quei cobalti profondissimi. E la cosa che le appariva più dolce di tutte era che Michiru cercava in ogni modo di nascondere la profonda gioia che stava provando nello stare nuovamente al fianco della sorella. Ogni tanto si fermava per guardare quell'angelo addormentato a braccia conserte poggiato su una roccia assolata e non poteva impedire alle sue labbra di piegarsi all'insù.

 

 

“Eccola... La vedi?” La voce di Haruka uscì dalle labbra leggerissima mentre Michiru bloccò ogni movimento rimanendo accovacciata al suo fianco.

Una lepre, anche piuttosto grossa, stava masticando guardinga dell'erba ad una quarantina di metri da loro. Nascoste tra un cespuglio ed un grosso pino, fecero capolino all'unisono.

“Riuscirai a colpirla da qui?”

La bionda stirò un sorrisetto sghembo imbracciando il fucile. Che domande. Avvolte quella donna era proprio indisponente.

“Aspetta e vedrai Kaiou.” Disse tirando leggermente fuori la punta della lingua. Il cane in tensione, un profondo respiro. la chiusura di un occhio e la mira. Uno sparo ed una cilecca colossale.

“Porco diavolo!” Ringhiò scattando in piedi seguita dall'altra mentre la lepre spariva alla velocità del suono.

“Haruka! Non imprecare!”

“E impreco si Michi. Quella era la nostra cena! Porco...”

“Ruka!”

Serrando le labbra la bionda rimase inchiodata al terreno stringendo convulsamente l'arma fra le mani. Oltre ad aver fatto una figuraccia non poteva neanche sfogarsi adesso. Donne!

“Voglio proprio vedere cosa daremo da mangiare a quel gruppo di idrovore.” Mormorò grattandosi la zazzera tra lo stizzito ed il mortificato.

“Bacche e funghi.”

“Mmmm... Certo come contorno ad una grossa, grassa, succulenta lepre, ma senza portata principale... sai che tristezza infinita.” Disse mentre Michiru se l'abbracciava ridendole sulla spalla.

“Sei impossibile mia Ruka.”

Sorridendo di rimando la bionda le alzò il mento fissandola. “Come sei bella.” Ed iniziò a saziarsi con quelle labbra morbide del quale non riusciva più a fare a meno.

Come le reincarnazioni degli amanti della tela “il bacio”del grande Hayez, si concessero di bloccare il tempo e lo spazio per qualche secondo, lasciando che i loro battiti galoppassero liberi come cavalli bradi tra le alture, non immaginando di essere al centro delle lenti di un binocolo militare posto a meno di mezzo chilometro da loro.

Lo sparo riecheggiato tutto intorno aveva catturato l'attenzione di un manipolo di militi che stava avanzando a cavallo più a valle, ed ora il loro comandante, un giovane Dragone dell'Impero austroungarico, le stava fissando.

“Sarà meglio fare ritorno. Vorrà dire che proveremo a barattare il pesce che ancora ci resta una volta scese al lago.” Disse Haruka avvertendo un fremito di piacere al tocco insistente alla vita.

“Già... Sarà meglio.” Confermò Michiru togliendo con sforzo le dita da quei muscoli tesi.

capovolgendo il fucile ed appendendo la cinghia alla spalla la bionda respirò a pieni polmoni quando vedendo il mezzo lupo fermo poco distante, orecchie dritte e sguardo vigile, iniziò a guardarsi in torno corrugando la fronte.

“Cosa c'è?”

“Non lo so, ma Flint ha visto qualcosa.”

Prendendo il cannocchiale iniziò a scandagliare la zona che si estendeva dalla piccola diga del lago FullerGraft al declivio che accoglieva il fiume sottostante. I colori ocra dei vari campi coltivati, l'erba ed i fiori del greto, l'azzurro delle acque scintillante al sole, infine la strada sterrata dai sassi bianchi chiazzati di verde e li, fermi in disposizione casuale, un gruppo a cavallo. Haruka cercò di mettere a fuoco e quando lo vide immobile sulla sua cavalcatura, anch'esso con le lenti tra le mani, sentì in cuore restringersi e per un istante le sembrò di non riuscire più a respirare.

“Dio Santissimo... Michi andiamocene.”

“Cosa?”
“Via, via!” Afferrandole un polso la costrinse a correre per sparire tra i primi alberi della foresta.

Molto bene. Snidate, si disse il Sottotenente digrignando i denti tanto violentemente da provare come un dolce dolore. Anche per lui era diventato improvvisamente difficile compiere un respiro completo, ma non per lo stupore o il panico, no, ma per la rabbia, cieca, incontrollata. Vederle baciarsi era stato come sventolare un panno rosso di fronte ad un toro. Non credeva si potesse provare un tale sentimento di folle collera. Riponendo lentamente le lenti nella bisaccia puntò lo sguardo alla diga che si ergeva proprio sopra di loro. Non era molto grande, ma oltre a creare il lago artificiale serviva come unica strada per poter passare da una parte all'altra delle sue sponde.

Voltando il cavallo decise di togliersi dal greto del fiume per puntare deciso alle sponda destra del FullerGraft. In un modo o in un altro le avrebbe fermate quella sera stessa.

 

 

“No! Non farò mai una cosa del genere e se vorrà continuare con questa pazzia mi vedrò costretto a denunciarvi all'Alto Comando, signore.”

A quelle parole Daniel Kurzh si voltò lentamente fissando il soldato come se avesse appena sentito una bestemmia. In effetti per lui lo era, anzi, forse era anche peggio, perché Astorri si era appena rifiutato di eseguire un ordine e per un militare era peggio che andare contro il Padre Eterno.

“Non credo di aver capito bene soldato.”

“Avete capito benissimo invece.”

La compagnia aveva ricevuto l'ordine di fermarsi stabilmente accanto al lago, sulla sponda meridionale ed aveva atteso che il Sottotenente tornasse da un'escursione a cavallo fatta in solitaria. Avevano montato le tende, badato ai cavalli e preparato il bivacco, non domandandosi neanche il perché di una sosta in un posto come quello.

Stefano era preoccupato. Il Dragone aveva iniziato a comportarsi stranamente da quando si erano fermati all'ombra della diga catturati dall'eco di uno sparo, dando l'impressione di essersi trasfigurato in un pezzo di ghiaccio covante qualcosa di terribile al suo interno. Con uno sguardo fisso e determinato aveva ordinato di precederlo staccandosi per sparire subito dopo e far ritorno solo all'ora del pranzo, con una borsa penzolante dalla sella contenente tutto l'occorrente per innescare un'esplosione. Poi aveva chiamato alcuni di loro, i fedelissimi, come aveva preso a soprannominarli il fante, con lui stranamente a rimorchio e portandoli di fronte alla struttura di cemento, proprio accanto ad uno dei torrenti che alimentavano lo specchio d'acqua, aveva puntato l'indice in direzione della strada di transito annunciando che avrebbero dovuto far saltare parte della ghiera della struttura di sbarramento entro la fine della giornata.

Naturalmente tutti, lui per primo, erano rimasti scioccati da un tale ordine, ma se per gli altri il comando di un diretto superiore era comunque e sempre legge, scritta o meno, per Stefano non lo era affatto, soprattutto se dato da un uomo che stava dimostrando una certa instabilità mentale.

Ed ora erano arrivati alla resa dei conti. Era dalla partenza che Stefano remava contro le direttive imposte dall'ufficiale, in maniera sistematica e costante, scavandogli i nervi, come una goccia su di una pietra, senza esporsi mai apertamente, intelligentemente, stando sempre attento a non oltrepassare la sottile linea di un'insubordinazione che gli sarebbe costato l'arresto ed il deferimento alla Corte Marziale. Ma questa volta no! In tutta coscienza non si poteva avvallare un comando del genere, soprattutto perché privo di senso.

“Astorri vi invito a riflettere su quanto avete appena detto! Voi piazzerete quelle cariche o sarete messo immediatamente agli arresti!”

“No signore, siete voi che verrete condotto agli arresti, perché solo un pazzo darebbe l'ordine di far saltare l'unica strada di comunicazione tra due sponde di un lago senza neanche una motivazione decente!” Disse alzando la voce come se non ricordasse più che davanti aveva un Sottotenente.

“Benissimo soldato. Vedremo se i giudici ascolteranno il discorso delirante di un semplice fante o le ragioni di un medico graduato che vuole portare a termine un compito assegnatogli.” E ad uno schioccar di dita due commilitoni gli si avvicinarono togliendogli l'arma d'ordinanza.

“Come avete detto? Un compito? State forse parlando...”

“Si soldato! Mi sto riferendo proprio alla staffetta di confine Giovanna Tenou. In più devo forse sottolinearvi come sia un mio preciso dovere provare a liberare la signorina Kaiou e altre cinque ragazze straniere, dalla coercizione di quella Haruka Tenou, servendomi di ogni mezzo per ricondurle finalmente alle loro famiglie?!”

“Ma cosa state blaterando?! Come coercizione?!”

“Adesso basta! Portatelo via! Che venga sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro. Gli altri si preparino a partire a cavallo.”

“Non potete farlo...” Ma venne arpionato per le braccia e trascinato via quasi di peso.

“Nessuno crederà mai alla storia di un rapimento. Voi siete impazzito!” Urlò divincolandosi mentre sul viso di pietra del Dragone andava dipingendosi un ghigno luciferino.

 

 

Era tardo pomeriggio ed era stato lasciato seduto legato ad un palo e trattato alla stessa stregua di un cane a catena. Vegliato solamente da uno dei fedelissimi di Kurzh non aveva potuto che assistere impotente all’avvio del piano. Ormai le cariche erano state piazzate e non sarebbe passata altra notte prima che il ciglio di diga con la sua strada fosse saltato in aria.

La pazzia del Sottotenente consisteva nel posizionare due cariche sulla ghiera per poi farle saltare all’arrivo del gruppo di ragazze. Impossibilitate nel proseguire si sarebbero così trovate i soldati alle spalle venendo prese in trappola. Non un piano di eccelsa strategia militare, ma lineare, pulito, che avrebbe sicuramente funzionato. L'unico pericolo di un'azione tanto forzata poteva essere nella mal calibrata dose di dinamite da utilizzare per distruggere la strada. Il rischio che i detriti scaturiti dall'esplosione potessero scagliarsi nelle acque del lago generando un'onda la quale altezza avrebbe potuto scavallare l'ormai semi distrutto apice, era comunque una possibilità da prendere in considerazione. Con una prova di forza tanto azzardata l'incolumità della popolazione di valle non era affatto garantita.

Socchiudendo gli occhi al dolore che la corda stava provocando alla pelle dei suoi polsi, Stefano sbuffò guardandosi la punta degli stivali. Come poteva quell'uomo arrivare a tanto solo per non ammettere di aver perso l'amore di una donna? Il suo ego era dunque tanto smisurato da rischiare la vita dei suoi uomini, della popolazione, forse anche delle ragazze stesse pur di riagguantare Michiru? E comunque non sarebbe bastato. Nulla avrebbe aquietato quella foga omicida, nulla se non la morte stessa della causa di tutto; Haruka.

A quel pensiero ebbe un brivido. Doveva avvertirle. Doveva liberarsi e cercarle, bloccarne il passo e deviarne la strada, solo così sarebbe stato certo che almeno le loro vite non sarebbero state messe in pericolo. Poi avrebbe pensato a come disinnescare le cariche. Arrivati a quel punto non poteva che giocarsi il tutto per tutto.

Guardando la sentinella ferma a qualche metro la chiamò con la scusa di avere sete. Almeno ricevere un po' d'acqua rimaneva nei suoi diritti, no?

“Cosa vuoi Astorri? Non darmi noie.” Rispose alla richiesta del collo di una borraccia.

“E dai. Ho sete.”

“Sete dici? E' meglio che ti ci abitui, perché la galera non è un posto adatto alle fanciulle.” Disse ridendo.

“E su... cosa ti costa. Sono ore che sono impalato qui!”

Sbuffando l'altro si alzò ed afferrato il metallo di una fiasca gliela porse. Stefano se la guardò stirando un sorrisetto ingenuo.

“Amico se non me l'avvicini alle labbra sarà un po' difficile che possa dissetarmi.”

Guardingo l'altro si inginocchiò sempre più scocciato. “Non sono un tuo amico e bada a non fare scher...”

Ratto Stefano gli mollò una ginocchiata al lato destro della tempia lasciando che gli si accasciasse contro. “A giusto... agli amici non riservo colpi simili.” Concluse cercando di scrollarselo di dosso prima che potesse riprendersi e fargliela pagare.

Sentendo la corda mordergli la pelle si divincolò per cercare di raggiungere con la bocca la tasca posteriore dei calzoni del compagno dove sapeva che avrebbe trovato il temperino multiuso che gli era stato confiscato alla cattura. Nel cercare di raggiungerlo allungò talmente tanto le braccia da sentire le prime gocce di sangue scivolargli lungo i palmi delle mani.

Porca puttana dove l'hai messo pensò imbestialito dal dolore. D’un tratto eccolo! Strappando il bottone che bloccava l'asola della tasca e senza non poca fatica, riuscì a far scivolare fuori l'oggetto schiacciandolo poi fra i denti ed estraendolo definitivamente mentre quell'altro iniziava a riaversi. Girando il busto lasciò cadere il manico dietro al palo, vicino alle dita ed afferratolo estratta la lama iniziò a tagliare la corda.

“Mmmm... Astorri... bastardo...” Gemette il commilitone mentre si portava una mano alla tempia ancora frastornato.

Qualche altro secondo e Stefano sentì liberarsi i polsi. “Buona notte amico mio.” Ed un pugno bene assestato alla fronte lo abbatté definitivamente.

Si alzò togliendoselo di dosso sentendosi tutto intorpidito. Barcollò appoggiando un palmo al palo cercando di mettere a fuoco. I cavalli! Si disse vedendoli legati dietro una tenda. Il suo e quello dell’altro uomo, entrambi sellati e pronti. Perfetto!

Con le gambe invase da una miriade d'aghi acuminati si issò sulla sella afferrando le briglie del secondo animale e via, al galoppo seguendo il greto del lago per poi dirigersi verso l'inizio della foresta. In realtà non sapeva dove cercarle, ma sapeva che avrebbe fatto di tutto per trovarle ed avvertirle per tempo della trappola nella quale stavano per cadere.

 

 

Alzando nuvoli di polvere e piccoli sassi i cavalli schizzarono a poco meno di tre metri dalla roccia dove si erano nascoste. Li avevano sentiti arrivare riuscendo a trovare fortuitamente un riparo al volo ed ora premute le schiene alla roccia, l'una accanto all'altra, stavano contando mentalmente le bestie lanciate al galoppo.

Dove andranno con tanta furia? Pensò Haruka bloccando il respiro come se potesse in qualche modo tradire il suo nascondiglio. Neanche una manciata di secondi e passarono sparendo subito dopo verso il crinale. Inalando ossigeno la bionda si sporse riconoscendo l'uniforme bianca di Kurzh. Dio Benedetto quell'uomo era più asfissiante di un mastino e a lei non era mai piaciuto il ruolo di preda.

“Perché stanno andando verso il crinale?” Chiese Minako togliendosi la polvere dai pantaloni.

“Più che altro perché così di fretta? Non mi piace. Andiamocene ragazze. Il lago è qua sotto. Una volta passata la diga e scesa la notte riusciremo a distanziarli un po'. Giovanna ...”

Guardano la sorella continuare a fissare la direzione nella quale si erano diretti i soldati le diede un colpetto sulla spalla richiamandola.

“Ruka non mi sembra di aver visto Stefano.”

“Non pensare al tuo bello che è grande abbastanza per cavarsela da solo. Dai cammina.”

Poco convinta la maggiore iniziò a seguire la fila stando bene attenta a non incespicare sulle asperità del terreno. Passarono svariati minuti e tenendosi sempre nascoste all'ombra del sottobosco percorsero gran parte della strada che le avrebbe portate alla diga fermandosi solo nell'avvertire il rumore di altri zoccoli lanciati al galoppo. Nascondendosi nuovamente videro avvicinarsi un singolo cavaliere salvo poi riconoscerne le fattezze. “Stefano!” Urlò Giovanna agitando la mano mentre lui tirava le briglie impuntando l'animale.

“Dio trino protettore! Meno male Giò!” Rimanendo in sella cercando di camere i movimenti di groppa spiegò loro la situazione il più rapidamente possibile.

“Ragazze per bloccarvi Kurzh ha dato l'ordine di far saltare la strada della diga. Tornate immediatamente nella foresta!”

“Ma è impazzito?!” Intervene incredula Michiru guardando il lago.

“Ha fatto piazzare due cariche di dinamite ed appena i soldati a presidio della ghiera vi vedranno le faranno detonare. Avvertito l'esplosione Kurzh si dirigerà verso di voi catturandovi. Adesso sta girando qui in torno tenendosi pronto a far scattare la trappola.”

“Ma non ha pensato che così facendo potrebbe causare un disastro allucinante? C'è un paese più a valle!”
“Haruka mettiti bene in testa che a quell'uomo interessa solamente la vendetta.”

“Lo fermerò io. Andrò da lui e cercherò di farlo ragionare.” Si offrì Michiru totalmente sconvolta.

“Signorina Kaiou è molto nobile da parte vostra, ma ormai non credo serva più a qualcosa immolarsi così.“ Confessò guardando negli occhi Haruka che comprese perfettamente cosa l'amico intendesse. Era diventata lei l'oggetto delle “attenzioni” del Sottotenente. La pietra dello scandalo. La causa di tutti i mali.

“D'accordo, allora non ci resta che disinnescare le cariche.”

“Ed io vi aiuterò.”

“Tu sei un militare Stefano.” Intervenne Giovanna e lui alzando le spalle dichiarò con un velato orgoglio di essere diventato un disertore.

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Per la serie “mai nà gioia” ecco a voi quello che penso sarà il penultimo capitolo. Mai un momento di pace. Se paragonata alle vite di queste povere ragazze, la mia sembra quella di un bradipo, neanche troppo sveglio. Comunque. Siamo quasi alla fine dell'arco di questa storia, che vi annuncio fin da ora, avrà comunque un seguito, con molta probabilità meno lungo e ricco di avvenimenti, ma completamente incentrato su Michiru ed Haruka, perché ormai dovreste aver capito che il belloccio è un tipino abbastanza fastidioso, che compie casini a pioggia e che continuerà a gettar scompiglio nelle vite delle nostre protagoniste anche quando finalmente si toglierà dalle scatole.

PS “Il bacio” - Francesco Hayez, 1859.... nulla da aggiungere ;)

Grazie come sempre

A prestissimo. Ciauuu

 

 

 
   
 
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