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Autore: _Alexis J Frost_    02/08/2017    1 recensioni
[The Case Study of Vanitas]
{ Vanitas no Carte ; Accenni alla Vanitas x Noè }
«No, Vanitas. A casa c'è Noè e tu adesso quell'idiota non lo vuoi vedere. Devi continuare a fare l'arrabbiato. Fine.»
Perché avevano litigato, quella sera. Fu una lite particolarmente violenta.
Questa era la ragion per cui non voleva vedere l'uomo dai capelli candidi, si trattava di una questione d'orgoglio e, in fondo, anche di un modo per calmarsi senza stressarlo oltre.
Mai lo avrebbe ammesso ma una parte di lui avvertiva il fastidioso peso del senso di colpa, giacché quello era stato un pessimo momento per lasciarsi andare alla rabbia.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Of Fever and Roses.
 
«Maledizione, che freddo!» Sbottò un ragazzo dagli occhi blu, lanciando un'occhiataccia al ciel notturno come se fosse la causa di quella sfavorevole temperatura. O forse no, il giovane poteva anche star indirettamente maledicendo un qualcosa di superiore, lo stesso qualcosa che -ne era ben convinto, altroché!- stava alla base di tutte le sue sfortune.
Che la buona sorte lo avesse preso in antipatia lo aveva compreso dal momento in cui la sua mente infantile fu in grado di distinguere il bene dal male, scoprendo con tristezza e disappunto che il "male" sembrava averlo preso di mira come il bulletto con il più debole.
Il piccolo bimbo chiamato Vanitas da allora accettò -fu costretto ad accettare, a dir il vero- questa sua maledizione, senza però perder l'abitudine di lamentarsi appena possibile ed ingiuriare contro colei che tanto gli voleva male. Dannazione, il sé piccino era davvero adorabile, perché prendersela a tal punto? Perché continuare anche ora che era cresciuto divenendo un uomo bello, forte, simpatico ed alto?
Siam sinceri, alto forse no, ma i restanti tre aggettivi era convinto gli calzassero a pennello e li reputava una buona scusante per far cambiare idea a quella brutta signora chiamata Sfortuna o Malasorte!
Invece nulla. A quanto pareva, non era proprio il suo tipo.
Che pessimi, pessimi gusti.
Signora, si faccia una cultura di vera bellezza maschile, ne ha bisogno!
Pensò, scoccando la lingua con far stizzito. Le mani inguantate sfregavano tra loro nel vano tentativo di racimolar calore; inutile anche alitare su di esse, il freddo era assai pungente e dalle sue labbra fuoriuscivano solo bianche nuvolette di vapore. Persino la sua spessa giacca non sembrava poi così calda quella sera, stringersi nelle proprie spalle non sarebbe servito ad alcunché.
Forse dovrei tornare a casa, si disse ancora, scuotendo poi il capo per allontanar quella fastidiosa idea al momento inattuabile. «No, Vanitas. A casa c'è Noè e tu adesso quell'idiota non lo vuoi vedere. Devi continuare a fare l'arrabbiato. Fine.»
Perché avevano litigato, quella sera. Fu una lite particolarmente violenta.
Questa era la ragion per cui non voleva vedere l'uomo dai capelli candidi, si trattava di una questione d'orgoglio e, in fondo, anche di un modo per calmarsi senza stressarlo oltre.
Mai lo avrebbe ammesso ma una parte di lui avvertiva il fastidioso peso del senso di colpa, giacché quello era stato un pessimo momento per lasciarsi andare alla rabbia. Noè stava già male di suo, nel pieno di un'influenza che la sera prima lo aveva anche portato a delirare nel sonno tanto alta era la febbre.
Si era occupato lui stesso -in assenza di Dominique - del giovane ammalato, mettendogli dei panni freschi sulla fronte, somministrandogli le giuste medicine e cercando di tranquillizzarlo durante quei deliri in cui pronunciava sempre il nome di un certo Louis.
«LOUIS!» Urlava, dimenandosi nel sonno. Vanitas dovette impegnarsi per tenerlo fermo, stringendogli le spalle quanto più poteva. Non possedeva la forza di un vampiro e per quanto indebolito, Noè era comunque ben più forte di lui.
«Va tutto bene», gli sussurrava, approfittando dei momenti di calma per rinfrescargli la fronte bollente, «va tutto bene.»
Erano circa le tre di notte quando riuscì a calmarlo. Eppure Noè presto aveva ricominciato, seppur flebilmente, a chiamare ancora quel nome.
«Chi è questo Louis poi me lo dovrai dire, così chiamo lui quando stai male!» Aveva ironizzato, il caro dottore, lasciandosi sfuggire un sospiro sconsolato. «E' Vanitas lo scemo che sta rimanendo sveglio per uno ancora più scemo. Ma se proprio vuoi questo Louis me lo dici, ti porto a casa sua e io mi metto a dormire. Guarda un po' cosa mi tocca sentire.»
Tuttavia, forse sarebbe stato meglio tacere. Forse, giacché non era sicuro di esser stato lui la causa di quella triste reazione.
Lente lacrime solcarono l'abbronzato volto dell'ammalato, presto seguite da alcuni singulti.
«Scusami, è stata colpa mia. P...perdonami... Ti prego...perdonami, Louis.» Balbettò Noè, con flebile voce sommessa. «Perdonami, perdonami, scusami. E' colpa mia, è tutta colpa mia.»
Vanitas era rimasto ad osservarlo silente, avvertendo una morsa attanagliare il petto nel vedere tanta sofferenza in quel ragazzo sempre così allegro e spensierato. Che fosse preoccupato per lui? Che fosse dispiaciuto per quel ragazzo?
Non lo comprendeva. A se stesso diceva sempre che di lui gli importava poco, era solo utile per i suoi scopi. Voleva convincersene. Doveva essere così nonostante i suoi comportamenti contradditori. Nonostante sapesse che quel che provava fosse preoccupazione in aggiunta al desiderio di conoscerlo ed aiutarlo.
Scosse il capo, prendendo un fazzoletto ed asciugandogli gentilmente le lacrime. Non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, per cui scelse la via a suo parere più logica per tranquillizzare Noé.
«Non hai niente di cui scusarti, dormi serenamente.» Gli sussurrò, portando la mano sulla sua fronte per scostargli dei bianchi ciuffi ribelli. Si sorprese della sua gentile voce, di quel tono premuroso. «Non devi preoccuparti di niente, Noè.»
Per fortuna aveva ottenuto i risultati sperati. Le labbra del ragazzo si erano curvate in un abbozzato sorriso rilassato mentre pronunciava le parole «Grazie, Louis. Mi sei...mancato.»
Fu come esser punto dalla spina di una rosa, Vanitas non avrebbe trovato miglior paragone.
Non aveva provato un fastidio od un dolore evidenti, però quella frase aveva stuzzicato una parte di lui, una parte ignota. Persino pensandoci non comprendeva perché avesse provato tale fastidio nel sentire un ringraziamento in cui non vi era il suo nome.
Infine aveva scelto di non pensarci e tale sconosciuta emozione non venne decifrata. Rimase lì, sopita in un angolo della sua mente in cui dimoravano le domande prive di risposta e chissà se quella sensazione non avesse ottenuto vendetta la sera seguente, quando la sentì ancora - seppur per un breve momento- durante quella lite.
Quella lite nata per puro caso, mentre ragionava da solo sul da farsi dopo tutto quel che era accaduto. Noè era tornato cosciente dalla mattina e, nonostante fosse ancora evidentemente debole e spossato, aveva insistito col tentare di dare una mano.
Da lì i suoi ricordi divengono confusi, sbiaditi; come se il suo subconscio si fosse imposto di voler rimuovere le cause dell'accaduto, lasciandogli in ricordo solo il momento in cui tutto si aggravò fino a quello in cui uscì di casa sbattendosi la porta alle spalle.
«Quante cose nascondi, Vanitas? Perché non vuoi parlarne? Siamo amici! Siamo anche compagni in tutta questa storia. Dovresti fidarti di me.»
«Prima di tutto io e te non siamo amici!» Aveva precisato, incurante degli effetti che avrebbe potuto avere quella frase su Noè. «Inoltre, non mi sembra di essere l'unico a nascondere qualcosa! O no? Vuoi dirmi che davvero quel tuo volto d'angelo non nasconde nulla, magari anche qualcosa di peggiore di quel che nascondo io?»
Gli aveva fatto male con quelle parole. Male davvero. Quegli occhi rossi si erano rabbuiati, distogliendosi dai suoi del color del cielo. Erano divenuti lucidi, cupi. Aveva visto le mani di Noè stringere con forza i lembi del proprio pigiama, i denti che mordevano il labbro inferiore come volendo trattenere delle lacrime, oppure delle urla.
Vanitas non credeva di avere mai provato un tale senso di colpa nella sua vita, così forte da toglierli il respiro e far nascere il desiderio di prendersi a pugni da solo. Provò persino l'istinto di abbracciarlo e di scusarsi, di rinnegare -a discapito del suo forte orgoglio- ogni parola detta, persino la prima frase.
Quella frase che ripeteva più per se stesso che per coloro che gli stavano intorno, il promemoria di una vita. Non avrebbe dovuto avere amici, non avrebbe dovuto innamorarsi di qualcuno che avrebbe potuto ricambiarlo.
Non lo meritava e anche meritandolo, semplicemente non poteva in virtù delle bugie e delle verità nascoste. Se si comportava a quel modo, era per il bene di Noè. Avrebbe voluto che lo sapesse, o che lo comprendesse da solo. Non doveva avvicinarsi a lui, non doveva affezionarsi in alcun modo. Anche se era Vanitas stesso a desiderarlo, anche se in cuor suo sperava che non si tirasse indietro.
Non doveva.
Non un'anima così pura e così dolce come quella di Noè.
«Ci vediamo domani. Chiama Dominique o chiunque altri tu voglia per star con te stanotte.»
Ora eccolo là, a girovagar senza scopo e senza meta per le gelide strade della città. Sarebbe stato il prossimo ad ammalarsi se non fosse morto assiderato prima.
Stupido lui che uscendo aveva anche dimenticato il portafogli. Stupido lui in tutto.
Non poteva neanche dormire in un ostello senza un centesimo in tasca!
«Vanitas!»
Lo chiamò una voce e lì cominciò a credere di esser ormai in procinto di risvegliarsi in un ospedale o direttamente in una bara. Quella era la voce di Noè ed era ironico che stesse cominciando ad avere allucinazioni proprio su di lui.
«VANITAS!»
«Oh, insomma, non tormentarmi anche mentre sto delirando!» Sbottò, girandosi in direzione della voce. Noè era proprio dinnanzi a lui, in carne ed ossa.
Non un'illusione, ci avrebbe giurato. Era proprio lui.
«Cosa...che diamine ci fai tu qui? Vuoi che ti salga ancora la febbre!?»
«Non si sbatte la porta in faccia alle persone!» Protestò Noè, imbronciandosi come un bambino. Tutti avrebbero concordato nel giudicare adorabile quell'infantile espressione, anche perché accentuata dalla debolezza influenzale e le guance e la punta del naso arrossate.
«Bisogna parlarne come persone mature e risolvere! Poi sei uscito senza il portafogli, vuoi morire congelato per caso?»
«Come persone mature e intanto mi stai parlando imbronciato come un bambino di cinque anni? Certo che sei coerente!»
«Non sono imbronciato!»
«Sì che sei imbronciato! E poi...ho dei soldi in tasca. Avrei trovato un posto dove dormire stanotte.»
«Fammeli vedere.»
«Che fai, non mi credi?»
«Ovvio che no!»
Vanitas sbuffò, guardandolo  torvo. «Torna a casa. Peggiorerai ancora e non ho alcuna intenzione di non dormire per farti da infermiere. Io baderò a me stesso.»
«Guarda che sto beniss...» Un colpo di tosse abbandonò le labbra di Noè. «Benissimo.»
Eccone un secondo, poi un terzo. Vanitas scosse il capo rassegnato.
«L'emblema della persona forte ed in salute, eh già. Se tutti stessero bene come te il mondo sarebbe popolato da zombie e batteri.» Si tolse la giacca, sentendosi raggelare a quell'ulteriore esposizione al freddo notturno. Ora era ben certo che il prossimo a prendersi un malanno sarebbe stato lui ma non vi badò, armandosi di spavalderia a discapito delle membra tremanti e mettendo attorno alle spalle di Noè il proprio indumento.
«Non devi prestarmi la tua giacca e neanche essere così ironico!» Provò ad opporsi il giovane dai bianchi capelli, nonostante la voce stanca e le articolazioni deboli abbastanza da poter cedere in un qualsiasi momento. Vanitas doveva averlo notato e subito lo aveva aiutato a sorreggersi senza che potesse opporre resistenza.
Non gli rimaneva null'altro da fare se non tacere e accettare quel gentile aiuto.
«Mi dispiace, Vanitas. Per prima e... e anche per ora.» Mormorò Noè, abbassando lo sguardo. «Non volevo urtarti, so che non sono nella posizione di parlare ma...vorrei che ci fidassimo null'altro e che tu non ti tenessi tutto dentro. Non ti sto dicendo di dirmi tutto e subito ma di non chiuderti a riccio continuamente. Pian piano, vorrei che ti aprissi. Non sei da solo.» Inspirò profondamente, in quelle condizioni anche parlare gli costava fatica. «Anche se non sono la migliore delle compagnie, ti faccio arrabbiare,  ti costringo a notti insonni e a toglierti la giacca nonostante si geli. Comunque non sei da solo.»
Vanitas si morse il labbro inferiore. Mentalmente ripeté quel promemoria e socchiuse gli occhi, alla ricerca di parole che non ferissero Noè ma che non gli dessero comunque false speranze.
Legarsi a lui era sbagliato. Volergli bene era sbagliato. Non lasciarlo solo era sbagliato.
Ma Noè non comprendeva, tutt'altro, più lui provava ad allontanarlo, più si avvicinava. Più cercava di mostrare i lati peggiori di lui, più -non comprendeva come- Noè scorgeva quelli positivi e con un dolce sorriso a curvargli le labbra e una gentile espressione ad abbellire il volto, gli tendeva la mano e lo aiutava, gli stava accanto senza mai abbandonarlo.
Perché, si chiedeva, perché una persona così buona si era legata così tanto a lui? Perché non limitarsi ad uno sfruttamento reciproco per i propri scopi? Sarebbe stato più facile. Non vi sarebbero stati problemi. E lui non avrebbe provato quell'insistente desiderio di credere a quelle invitanti parole, afferrando quella mano e lasciando che quell'uomo gli si avvicinasse come mai nessuno prima.
«Ora smettila di dire scemenze.» Rispose semplicemente, sbuffando appena. «Forse anche io ho esagerato a reagire in quel modo, per cui siamo pari. Non devi scusarti, ho capito dove volevi arrivare.»
«E...?»
«E non è il momento di discutere! Certamente non mi metto a parlare con qualcuno che mi fa innervosire e mi mette ai lavori forzati. Poi ne riparleremo al momento opportuno.»
Noè sporse di poco il volto per incrociare il suo sguardo. Era nuovamente infantile l'espressione che aveva assunto, con quegli occhi speranzosi nonostante l'evidente fatica nel tenerli aperti  e un piccolo sorriso a curvar le labbra. «Promesso?»
«Promesso.» Fu costretto a mentire Vanitas, tornando a guardare la strada davanti a sé. Era convinto di non mantenere quella promessa ma non poteva permettersi di far rattristare ancora quel povero ragazzo. Inoltre era assai bravo come bugiardo.
«Ah, Vanitas...»
«Cosa c'è ancora?»
«Grazie.» Gli sussurrò Noè. «Grazie per tutto quello che hai fatto per me.»
Quelle parole riuscirono a far curvare le labbra di Vanitas in un sorriso sincero ma Noè non riuscì mai a vederlo. Né seppe quale gradevole eppure strana sensazione avevano scaturito nell'altro. A dire il vero, Noè non sapeva davvero molte cose, cose a cui neanche Vanitas stesso riusciva a dare una spiegazione logica.
E chissà se in futuro avrebbero ottenuto una risposta.
Chissà se quella promessa verrà invece mantenuta.
Chissà se tutte le verità emergeranno e Vanitas sarà in grado di acciuffare quella mano e stringerla.
Attualmente è possibile solo dire che nulla sarà facile e che è proprio vero che la Malasorte aveva sempre gli occhi puntati sul ragazzo dagli occhi blu. Il giorno seguente la febbre non mancò di fargli visita e neanche ad averlo fatto di proposito, il lavoro voleva reclamarlo più del solito. Insomma, come si suol dire: la solita fortuna!


 
  
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