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Autore: Hephily    02/08/2017    1 recensioni
Abbiamo tutti degli scheletri e degli armadi dove nasconderli. Il terrore è che un giorno qualcuno possa aprire il tuo armadio, accendere la luce e lì nell'angolo trovare il tuo scheletro. La più grande paura è di essere scoperti, ma non era il caso delle ragazze del Caffenut, non temevano nulla e nessuno. Ognuno di loro ha delle pervesioni.. il problema è il tipo di perversione e come viene usata. Riusciranno mai a essere scoperte per i loro crimini scoperti? Quando si placherà la loro sete di vendetta?
****
[TRATTO DAL PROLOGO]
Cos’è questa volta ti vogliono uccidere il pappagallino che non hai?- Chiese un’altra ragazza dall’aspetto di un nerd hacker.
-Ehi Yami cos’hai contro i pappagalli?! Comunque c’è scritto che mi bruciano la casa!con tutti i miei manga dentro, con la mia 3DS, questa è una tragedia! Non per la casa ma per i manga! Capiscimi!-
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Glherblera'
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Nella scorsa pubblicazione Hephily vi aveva informato che questa storia sarebbe stata scritta a quattro mani ed io, Nhikaoru, sono le altre due mani, ta-daan! ~
Vi auguro una buona lettura! ♥




Di compleanni e hotel di lusso
*.:。*゚ ゚̈
 

 
 
 
Il vento soffiava fresco e vivo tra le strade del quartiere, che tra poche ore avrebbe abbandonato la profonda quiete della quale si era imbevuto durante la notte per dare spazio all’energica e intraprendente personalità che lo contraddistingueva nell’orario lavorativo.
Il respiro pungente aveva invaso anche l’appartamento condiviso dalle sei ragazze che lavoravano al Caffenut, che si trovava proprio al piano sopra il locale stesso.
Kureijī si era alzata dal letto grazie all’insolita – trovandosi in piena stagione estiva – sensazione di fresco sulla pelle e poiché ormai aveva abbandonato i suoi sogni che molti avrebbero detto perversi, decise di andare a prendere un bicchiere d’acqua. Cercò di alzarsi dal letto senza fare rumore, per evitare di svegliare le altre.
Le altre, appunto: inizialmente le ragazze si dividevano due camere, ma in seguito avevano deciso di buttare giù quasi completamente la parete che le divideva, formando una grande arcata, al fine di comunicare meglio ed essere pronte in caso di emergenza; lo spazio appariva come una grande camerata. La scelta non dispiacque molto, tutt’altro, Black appena poteva approfittava per creare scompiglio e dare il via ad una baraonda; baraonda che comprendeva le più svariate attività olimpiche: lancio del cuscino, corsa ad ostacoli, salto in lungo e i dieci metri piani.
Una molla scricchiolò sotto il peso della ragazza dai capelli corvini, che imprecò mentalmente quando sentì un mugolio provenire dall’altro lato della camera. Non teneva particolarmente al fatto di disturbare le sue amiche, piuttosto il pensiero che poi avrebbe dovuto iniziare a socializzare e, quindi, anche la giornata di lavoro, la infastidiva parecchio. Stare sotto le coperte e oziare era una vera benedizione.
Dopo varie manovre si alzò, infilò i piedi nelle pantofole e sfilò tra le ragazze dormienti. Il corridoio era alla sua sinistra, lo imboccò non prima di lanciare un’occhiata interrogativa a Yukida, che sembrava stesse facendo esercizi di contorsionismo nella posizione in cui si trovava – tra l’altro, dalla sua espressione sembrava parecchio rilassata.
Un incantevole freddo profumo di mattino arrivò alle narici della ragazza, preludio alla dorata illuminazione che riempiva le pareti bianche. Istintivamente Kureijī chiuse quasi completamente la palpebra sull’occhio ambrato; l’altro era protetto dalla benda che portava sempre, anche quando andava a dormire. Spostò la visuale verso la probabile colpevole di quella luce, quindi alla finestra alla sua destra, che infatti era aperta. Non fu questo fatto a catturare la sua attenzione, piuttosto l’aver trovata, poggiata al davanzale, Akumi – anche se Kureijī non ricordava di non averla vista nel suo letto.
La ragazza era vestita con la sua solita camicia da notte, con talmente tanti fronzoli e fiocchi che avrebbe potuto andarci anche a un matrimonio (come le disse per scherzare Yukida, una volta), ed era accoccolata al davanzale con sguardo assorto, fisso su chissà quale punto materiale o pensiero. Gli occhi parevano di cristallo e se le ciglia non si fossero mosse, l’altra avrebbe giurato che fosse una statua. In quel momento Kureijī quasi non si accorse della lacrima invisibile che scendeva lungo la guancia perlacea dell’altra.
Akumi si voltò verso la corvina. Appena si spostò lievemente dalla piccola finestra, i raggi del sole le inondarono il viso e i capelli dorati, accentuando il dolce sorriso malinconico che era dipinto sul suo viso. «Non è… meravigliosa?» un’altra piccola lacrima scivolò giù.
Poiché Akumi si era spostata, Kureijī lo prese come un invito ad affacciarsi. Quel che vide la lasciò a bocca aperta: quasi non si accorse dei palazzi vicino a lei, troppo presa dall’orizzonte, delimitato da delle morbide colline che parevano sfumare tutti i toni del verde, sulle quali una splendida luce iniziava a nascere, stagliandosi con gentile risolutezza nel cielo terso, pallido e ancora non colorato del vivo azzurro. Era l’alba.
Poiché era sempre molto presa dal lavoro (e soprattutto dall’associazione) a Kureijī non capitava spesso di soffermarsi su queste piccolezze. Akumi essendo stata una pittrice, invece, le riservava una particolare attenzione. “Si sarà commossa vedendo il paesaggio”, pensò la corvina, in fondo era una persona emotiva. Probabilmente era per quello.
Akumi passò delicatamente la manica merlettata sulla guancia, togliendo la mano destra dal cuore, che Kureijī non le aveva visto muovere da quando l’aveva scoperta nella sua strana contemplazione. Akumi sorrise nuovamente, poi sembrò ricordarsi qualcosa, tutto d’un tratto. «Oh ma ti sto crucciando con le mie frivolezze! Su su, vai a riposarti un altro po’, oggi sarà una giornata impegnativa.»
“Giusto”, pensò Kureijī “Oggi è il compleanno di Yami”.

Dopo l’incontro con Akumi, Kureijī andò a rubare un sorso d’acqua frizzante dalla cucina e poi si sdraiò nuovamente sul letto. Quando tornò in camera vide che Akumi stava scarabocchiando su un block notes, probabilmente rivedendo i punti di una qualche lista di cose da fare, come al solito.
Invece lei, non avendo grane a cui pensare, optò per un altro sonnellino prima dell’ora X.
Il tempo sembrò passare in un attimo poiché suonò subito la sveglia e la stanza diventò affollatissima, un viavai di divise da lavoro, spazzolini, pettini e quant’altro.
L’apertura del locale era davvero molto caotica, i clienti erano sempre moltissimi e tutte potevano giurare che anche quel giorno ci fosse già la fila per entrare. Eppure svegliarsi prima era fuori discussione, quasi impossibile dal momento che era durante la notte che si svolgevano la maggior parte delle missioni e una maid con le occhiaie non era affatto carina.
Con incredibile velocità erano tutte pronte per aprire le porte del Caffenut.
Le ragazze scesero al piano di sotto e accesero le luci del negozio. Black si occupò di alzare le saracinesche e un grido si levò dalla fila di clienti visibile oltre la grande vetrata che abbracciava il locale.
Le ragazze erano molto famose, sia per i loro squisiti dolci, ma soprattutto per il carattere e le divise delle cameriere. Quest'ultime erano in delizioso stile lolita – come il locale, del resto –: avevano la gonna a campana e la maglia con le maniche a palloncino bianche, il grembiule con una profonda scollatura a V nero, ornato con quattro bottoni sul davanti, legato con un fiocco sul retro. Per completare si aggiungeva un fiocco sul colletto, parigine e scarpe marroni con il laccio. In più ognuna aveva modificato o aggiunto qualche particolare, prendendo esempio da Akumi che aveva quasi trasformato la sua divisa in tutt’altro capo. C’era anche chi come Rose non si curava di quei fronzoli: preferiva di gran lunga la versione originale, la trovava molto più pratica.
Black spostò la treccia di capelli argentati sulla spalla e lanciò un occhiolino a un paio di ragazzi che avevano una spilla con il suo nome sulla maglia. Erano alcuni dei suoi clienti abituali e anche tra i suoi più grandi fans. Naturalmente risposero a quel gesto con delle acclamazioni.
A lei non è che piacesse stare al centro dell’attenzione, voleva essere desiderata, ecco. Sembrava provasse gusto nel far trepidare quei ragazzi mentre temporeggiava per aprire la porta del locale.
Akumi invece arrossì e si portò una mano sulla guancia. Quegli eccessi la imbarazzavano. «Che vergogna, mi sento come una sgualdrina ad un pub.»
Black ridacchiò. Akumi lo diceva quasi tutti i giorni, solo formulando in modo sempre diverso.
D’altro canto Kureijī e Rose riuscivano ad ignorare completamente quello che accadeva, salutando solo a causa del copione. Rose nel frattempo stava contando le sue amiche. «Manca Yukida.»
Kureijī ruotò gli occhi al cielo. «Sta dormendo durante l’apertura. Di nuovo, voglio dire.»
Rose era visibilmente irritata per quell’ennesimo ritardo. L’attività al maid cafè era certo una copertura, ma dal momento che si trattava di un posto di lavoro doveva mantenere i suoi impegni ed essere puntuale. «Apriamo», disse «E dopo vado a darle il buongiorno.»
Kureijī allora richiamò l’attenzione di Balck, che stava ancora di fronte alla vetrata a salutare i clienti che rispondevano con applausi e grida di apprezzamento. Le ragazze del Caffenut erano trattate quasi come delle idol. «Black, basta pavoneggiarti, dobbiamo aprire.»
La ragazza sembrò esser stata presa alla sprovvista. «Ma!, ho ancora un paio di pose per i fotografi.»
Rose intervenne «Sì e quando entreranno magari le fotograferanno e non solo l’insegna sulla porta.»
Black lanciò un’occhiata all’uomo più vicino con la macchina fotografica in mano e solo in quel momento realizzò di aver sfilato per un fotografo immaginario. «Pff.»
Akumi emise un risolino e anche se in una situazione simile la ragazza dai capelli argentati avrebbe sicuramente ucciso o ferito gravemente l’interessato, non si poteva resistere alla sua risata. Anche alle altre spuntò un sorriso sul viso.
Le cameriere si accostarono a due a due ai lati della porta, eseguirono un mezzo inchino e dissero la frase di rito «Okaerinasaimase goshujin sama!*»

Le maid iniziarono a far sedere i clienti ai tavoli, illustrargli i menù e intrattenerli.
Mentre Kureijī stava prendendo le comande dai suoi tavoli, Black chiacchierava con i ragazzi che aveva visto prima e Akumi aveva già iniziato a disegnare con le salse su ogni tipo di cibo che si serviva al locale, Rose si mise in azione. Poggiò il taccuino per le ordinazioni sul bancone, lanciando una veloce occhiata a Yami, che stava seduta a terra dietro quest’ultimo a mangiare indisturbata un pacchetto di caramelle. Rose passò oltre e salì le scale. Avanzava verso la camerata continuando a interrogarsi sul come facesse Yami a non ricordarsi del giorno del suo compleanno. Sì, certo, lei e le altre avevano pattuito di fare finta di niente fino a sera, quando ci sarebbe stata la festa a sorpresa, ma era impossibile che qualcuno che iniziava il conto alla rovescia cinque mesi prima, si dimenticasse di punto in bianco del giorno tanto atteso.
Arrivata al letto di Yukida passò qualche secondo a capire come avesse fatto a girarsi in quella posizione – ancora più strana di quella che aveva potuto ammirare Kureijī di prima mattina – e poi la scosse con non molta delicatezza. «Yukida svegliati, è ora di lavorare.»
Ricevendo solo uno sbuffo come risposta Rose continuò «Svegliati Yukida. Devi iniziare il servizio.»
Era risaputo che Yukida avesse una soglia di tolleranza molto bassa, allo stesso modo che era stata lei a fondare il Caffenut, quindi poteva permettersi di dormire anche un po’ più del dovuto. Yukida aveva avuto da  ridire più di una volta con Rose, a causa del suo modo di fare un po’ troppo autoritario anche nei suoi confronti, quindi a quel punto non riuscì proprio a trattenersi ed ebbe una brutta discussione con l’altra, che alla fine lasciò perdere e tornò al piano di sotto.
Yukida sedeva sul letto cercando di prendere dei profondi respiri. Delle goccioline di sudore le scendevano dalle tempie e sul collo. Con una mano si stringeva la fronte, che non smetteva di battere. Senza le pillole che le aveva prescritto il medico per calmare il suo disturbo della personalità si sentiva davvero malissimo, ancor più quando provava forti emozioni o perdeva la pazienza.
In mente continuavano a frullarle immagini e parole confuse allo stesso momento, quasi non riusciva a mettere insieme una frase. In più c’era quella fastidiosa sensazione di nausea.
Eppure tutte quante sapevano quanto fosse delicata la situazione. Non capiva – e non cercava neanche di capire – perché Rose volesse sempre fare di testa sua. Yukida si era dovuta impegnare parecchio per respingere l’idea di usare il coltello che teneva sotto il cuscino.
Il respiro sembrò calmarsi, così da concederle la tregua necessaria per andare in bagno e sciacquarsi il viso, bagnando anche il collo, non curandosi del fatto che molte gocce erano andate sul pavimento.
Si passò una mano tra i capelli e sfiorò il taglio di una vecchia cicatrice, che ancora le provocava molto dolore. Aprì l’armadietto dei medicinali e ingoiò una pasticca per il mal di testa. Dopo tornò in camera e si sdraiò sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto color crema.
«Si- meon?»
 
 Il locale era pieno, tuttavia c’erano ancora dei clienti ostinati che stavano facendo la fila fuori, attendendo che si liberasse un tavolo. Nonostante le prenotazioni c’era sempre qualche ottimista che credeva di poter trovare una sedia libera. 
Oltretutto quel giorno le ragazze avrebbero chiuso subito dopo l’ora di pranzo, a causa della sorpresa per Yami. Alla notizia i clienti non furono molto felici.
Sarebbe stato complesso per chiunque riuscire a reperire una location – soprattutto quella che avevano in mente le ragazze – il giorno stesso della festa, ma per le Glherblera sarebbe stato un gioco da ragazzi. L’idea della missione notturna per il compleanno della loro amica emozionava tutte quante, anche se al momento risultava difficile pensarci, visto che erano davvero impegnate. 
Kureijī si stava occupando di parecchi tavoli contemporaneamente, Black si era improvvisata equilibrista mentre portava due vassoi ricolmi di dolciumi, Akumi saltellava da una parte all’altra del locale apparendo quasi buffa a causa dei tacchi. Rose dopo essere scesa si era concessa una tazza di tè – l’unica cosa che le piacesse tra tutti gli zuccherini del locale, a parte il caffè – che aveva sorseggiato velocemente prima di riprendere il servizio, dando un attimo di tregua a Kureijī, che si sedette dietro al bancone. 
Questa dopo un paio di minuti realizzò che accanto a lei c’era Yami, che stava seduta a terra sorseggiando un succo di frutta, facendo il rumore con la cannuccia; rumore che Akumi non le avrebbe affatto tollerato, in quanto di cattivo gusto. 
L’inconsapevole festeggiata faceva ruotare gli occhi verdi da destra a sinistra, mentre sembrava scrivere delle cose con l’indice per aria. Prese un altro po’ di succo e accese il televisore che si trovava in un angolo della sala, che le ragazze usavano per sottofondo insieme a delle canzoni.
Kureijī cercò di intavolare una conversazione con la ragazza, giusto per capire se non sospettasse niente per quella sera. «Allora Yami.»
La ragazza dai capelli azzurri sobbalzò «Mi hai fatto prendere un colpo!»
L’altra corrugò la fronte. Era davvero possibile che non si fosse accorta della sua presenza? «Ehm… volevo chiederti se oggi avevi da fare: qualche impegno, qualche… ricorrenza», azzardò con l’ultima opzione.
Yami alzò gli occhi al soffitto, concentrata. «No. No, non so. No... No no. Perché volevi andare al cinema? Oggi è mercoledì, si paga di meno.»
«Ah! No, era per chiedere, per sapere se eri ancora disponibile per la missione di questa sera; se avevi già iniziato a lavorarci, o cose del genere.»
«Quale missione?» Yami era visibilmente confusa «Non me l’avete detto.»
«Massì! Almeno un centinaio di volte. Lo sai, no? Ieri Akumi ha anche disegnato il piano sulla lavagna e tu le hai portato i pennarelli perché l’avevamo lasciati di sopra.»
Yami sorrise lievemente, con tono compassionevole. «Kureijī, forse ti stai sbagliando, io non c’ero.»
La sua interlocutrice aveva voglia di ridere e piangere al tempo stesso, non capiva sinceramente se la stesse prendendo in giro o no. «Senti, facciamo così, te lo illustro di nuovo, va bene?»
«Okay» Yami si alzò e andò verso la cucina.
Kureijī allungò il collo. «Dove stai andando?»
«A prendere qualcosa da mangiare. Mentre ascolto, no?»
A questo punto la corvina perse ogni motivazione nel continuare. Forse si era stancata più nel lasso di tempo in cui è stata al bancone invece di quando girava come una trottola tra i tavoli.
Per fortuna Yami non impiegò molto a tornare e con lei aveva portato un enorme budino al cioccolato che ballonzolava a destra e a sinistra, insieme ad una sacca a poche piena di panna. «Oi, mi disegni qualcosa sul budino?» fece un cenno col capo alla divisa che indossava l’altra, come per dire “è il tuo lavoro”.
Una risatina isterica volò dalle labbra di Kureijī che malediva il giorno in cui aveva deciso di essere una maid per copertura. Veramente anche Yami lavorava al locale, cioè, teoricamente, poiché nessuno ricordava avesse fatto realmente qualcosa di utile – a parte ripulire tutta la cucina da quegli inutili dolci, decisamente di troppo per la loro attività.
Ad ogni modo Kureijī cedette e disegnò una specie di coniglio che sembrava tutto tranne qualcosa di possibilmente esistente – tranne nei sogni di Black.
Anche se Yami non lo sapeva, era comunque il suo compleanno: bisogna sempre accontentare la festeggiata.
Yami sorrise comunque a quel tentativo di panna, prese una cucchiaiata e se la portò alla bocca, mentre guardava negli occhi l’altra con un effetto esorcista. Forse era il segno che poteva iniziare a parlare.
Kureijī prese un bel respiro e iniziò «Allora, hai presente il nuovo hotel di lusso che hanno costruito nel centro? Si chiama proprio Luxury Hotel – nome poco originale, tra l’altro – quello con il giardino esotico, la piscina e… beh, tutto il resto?»
Yami annuì.
«Questa sera dobbiamo fare irruzione lì dentro e provocare più dammi possibili, in modo da sabotare l’apertura di domani. Il lato sporco del governo intende finanziare l’attività levando dei fondi alle strutture pubbliche. Purtroppo il sistema è davvero serrato e sarà molto difficile entrare, perciò ci serve il tuo aiuto. Con le altre abbiamo dato un’occhiata ai progetti della sicurezza ed è pieno zeppo di telecamere, sensori di movimento e allarmi. I proprietari hanno deciso di prendere strette precauzioni anche a causa nostra: ci siamo esposte un po’ troppo e hanno paura che vorremo fargli visita. Ad essere onesta credevo fossi già all’opera. Comunque dobbiamo entrare per forza questa sera, non possiamo rimandare.»
Yami prese l’ultimo boccone del suo dolce e poi poggiò il piatto sul bancone. «Okay» disse semplicemente. Raccolse il suo portatile da terra e si rimise seduta nel suo angolino, ignorando completamente l'altra. Le sembrava comunque che Kureijī stesse aspettando qualche altro commento, quindi aggiunse «Qui posso avviare la procedura di disinstallazione delle cose piccole, dopo dovrò scendere.»
L’altra annuì. Nei sotterranei c’era la vera base delle Glherblera, con tutti i giocattoli di Yami e le armi delle altre, quelle che ovviamente non portavano con loro o tenevano in camera. Akumi ad esempio aveva un coltello assicurato alla coscia sotto alla gonna anche mentre lavorava. Lei era molto paranoica – in generale, ma soprattutto su questo aspetto –, era convinta che avrebbero potuto attaccarle in ogni momento e lei di certo non voleva essere colta impreparata. “La prudenza non è mai troppa”, era una delle sue frasi più gettonate.
Yami aveva iniziato a digitare dei codici sul portatile che Kureijī non riusciva a capire, perciò questa spostò lo sguardo per la sala. Poteva prendersi ancora un paio di minuti.
Qualche tavolo più avanti c’era Black, che stava parlando con un gruppo di ragazzi liceali. Da quella distanza si riusciva a sentire quello che diceva ed era certamente meglio che così non fosse.
«Un po’ di sangue sull’omelette?» chiese la ragazza dai capelli argentati ad un cliente, alludendo alla salsa al pomodoro. Quello la guardo con un’espressione disgustata sul volto. 
Black prima di servirgli il piatto fece l’incantesimo per renderlo più buono «Moe Moe, Kyun!**», recitò, mentre disegnava dei cuori in aria con le mani. «Buon appetito!»
«Ssì, grazie» bisbigliò il cliente. Probabilmente sarà stato faticoso mangiare quella portata.
Una delle caratteristiche di Black era proprio questa: ironizzare e rendere più macabro anche il cibo, trasformando la cosa più innocua in un bagno di sangue. Certo, non era neanche tutta sua la colpa: buona parte delle pietanze che servivano avevano un ingrediente di colore rosso, come principale (ketchup, marmellata di fragole, i drink con coloranti – i suoi preferiti), sembravano quasi pregarla di fare battute.
Ad ogni modo, non era certo un caso che i suoi ammiratori fossero tutti fans del genere splatter o horror. Lei era quasi una fonte di ispirazione per loro.
Mentre Kureijī si stava sistemando velocemente l’uniforme per riprendere il lavoro, arrivò Akumi. Sospirò. «Necessito di una breve pausa.»
«Sì, tranquilla, stavo per ricominciare» disse Kureijī, per poi tornare tra i tavoli.
Akumi si accorse di un piatto sporco sul bancone – quale negligenza –, lo prese e fece per portarlo in cucina. Prima di entrare però intravide Yami dietro il bancone che stava mangiando delle patatine. Deviò un attimo per strapparglielo dalle mani. «Mi spiace cara, ma sono dell’idea che tu ne abbia prese a sufficienza per oggi.» 
L’altra dilatò le pupille, sembrò quasi ucciderla con lo sguardo, ma Akumi continuò a sorridere come era suo solito. Emise uno strano verso e saltellò verso la cucina. Infondo sapeva di essere in buona fede.
Appena entrata salutò il cuoco, un ragazzo più o meno della loro età, ma che appariva molto più piccolo. Era estremamente intelligente e aveva un buon senso del giudizio, eppure non aveva mai sospettato nulla riguardo l’organizzazione. 
«Oh Hikaru, sono così affamata! Potresti pormi qualcosa di piccolo ma molto calorico, per cortesia?»
Il ragazzo dai capelli corvini, che sembravano quasi arruffati, sbuffò – un gesto che faceva anche quando non era irritato, quasi un tic –, mentre sfornava dei macarons. «Subito.»
Lui e Akumi andavano molto d’accordo, più che altro perché avevano gli stessi punti di vista, quindi si perdevano sempre in lunghe discussioni.
Il ragazzo le porse una fetta di torta che solo a guardarla sarebbe salito il colesterolo a mille.
Akumi prese il piatto. «Ti ringrazio.»
«Di nulla.»
«Sai, questa mattina mi sono resa conto per l’ennesima volta che forse non sono tagliata per questo lavoro. Un uomo si è comportato davvero in maniera disdicevole, offrendo avances a me e alle altre. Loro ci sono passate sopra, non so come abbiano potuto. Oh ma forse sono ancora troppo attaccata all'etichetta, io.» 
Hikaru non aveva staccato lo sguardo dal suo lavoro, se non per dare un paio d’occhiate alla sua interlocutrice. «Akumi, l’etichetta ha fatto il suo corso naturale. Un tempo trovare una persona che la seguiva non era oro colato, ma adesso... Comunque, so che non lo farai, ma non farti abbindolare dalle lusinghe. Sono tutti dei leccaculo in fondo.»
Akumi annuì con il capo, sorridendo, impilò il piatto su quelli da lavare e salutò il suo amico. «Grazie mille per la chiacchierata!»
«Figurati. Buon lavoro.» 
Nell’esatto istante in cui Akumi stava per riprendere il servizio, scese le scale Yukida, con l’aria parecchio alterata.
«Buongiorno Yukida cara!» salutò la ragazza dagli occhi verdi. 
L’altra rispose con un gesto della mano. «Ciao Haku.»
Akumi la squadrò inclinando il capo prima a destra e poi a sinistra. Cercava di seguire più che poteva la salute dell’amica, anche se non in modo dichiarato. Da qualche giorno era seriamente preoccupata: non le piaceva la reazione che aveva ottenuto Yukida dopo aver smesso di prendere le sue pasticche. Qualcosa si stava smuovendo dentro di lei e non avendo abbastanza esperienza in campo medico non sapeva se fosse una cosa buona o cattiva. L’avrebbe sicuramente tenuta d’occhio.
Yukida appena scesa iniziò a servire i piatti senza troppe cerimonie, quasi lanciandoli sui tavoli, con il suo fare un po’ schietto e alle volte indelicato che comunque ad alcuni clienti non dispiaceva.
A proposito di clienti a cui piaceva il suo atteggiamento, ecco che entrava un ragazzo alto e dai capelli biondi, uno degli ormai clienti abituali di quel posto. Veniva tutti i giorni, si metteva allo stesso tavolo, ordinava una tazza si tè, scrutava con fare apparentemente disinteressato in giro e poi se ne andava. La cameriera che lo serviva più spesso si ritrovava ad essere Yukida. Avrebbe dovuto farlo Akumi, poiché si sedeva nella sezione di tavoli di cui lei si occupava maggiormente, ma da quando aveva confidato alle altre che quel tizio non le piaceva – ed era una cosa seria, calcolando la persona – Yukida aveva deciso di occuparsi lei di quel tipo. Quella volta forse in modo risolutivo… 
Portò la quotidiana tazza di tè al ragazzo, accompagnandolo al suo personale incantesimo: “Spero che ti strozzi”. Mentre si allontanava dal tavolo iniziò a canticchiare la canzone Kaze no Uta, brutto segnale, che Rose interpretò prontamente, sostituendo la tazza con un’altra. Quando l’andò a svuotare nel lavandino fece lo stesso rumore di sfrigolio del metallo rovente intinto nell'acido. «Bisogna avere mille occhi», commentò Rose, tornando a dei tavoli ai quali si stava intraprendendo una conversazione molto interessante, che trattava uno dei dilemmi esistenziali – sebbene ormai affrontato miliardi di volte – che aveva lanciato la Marvel: Iron Man o Capitan America. Tutti i ragazzi che ne stavano parlando erano consapevoli di non potersi convincere l’altro a cambiare fazione, eppure era sempre divertente rivedere le avventure degli eroi di Stan Lee. Anche Rose sembrava insolitamente divertita, una delle poche occasioni in cui le altre l’avevano vista parlare così tanto. 
In quel momento l’attenzione delle ragazze venne catturata dal telegiornale, che trattava per l’ennesima volta un caso di furto con omicidio ad opera delle Glherblera. Il servizio riportava la missione che avevano concluso la notte precedente, quindi recuperare un diamante preziosissimo nascosto nei sotterranei di una villa abusiva, di proprietà di alcuni contrabbandieri.
L’uomo che illustrava agli spettatori l’accaduto recitava queste parole «Nelle precedenti indagini il corpo di polizia aveva fatto dei progressi nell’individuare la vera identità delle persone che si celano dietro il nome della famosa organizzazione Glherblera»
“Come no”, pensò Black. 
«Ma sulla scena del furto di questa notte abbiamo trovato dei dettagli interessanti. In primo luogo una benda bianca.»
Kureijī sbuffò. Quando doveva uccidere qualcuno le veniva come d’impulso togliersela. Quella volta aveva dimenticato di andarla a riprendere – in realtà non avevano neanche molto tempo –, comunque non sarebbe stato d’aiuto agli “investigatori”, non gli avrebbe dato alcun indizio utile, era un tutto dire che usava la televisione per fare spettacolo.
«In più le Glherblera hanno lasciato un altro messaggio per beffarsi della polizia e recita: “Mangiatevi pure il fegato, non riuscirete mai a trovarci”, ma la cosa più oscena è che è stata scritta con il sangue del proprietario della villa, che è stato squarciato e lasciato morire dissanguato accanto al messaggio.» 
Immediatamente le ragazze si guardarono l’un l’altra, per capire chi avesse scritto quella frase. Kureijī guardò Akumi, la quale con le dita le fece segno di un fucile, come per mimare che lei si prestava quasi sempre da cecchino, come anche in quella missione. Poi Akumi diede un’occhiata a Yukida, che scrollò le spalle dicendo di no. Lo sguardo di questa finì su Rose, che alzò un sopracciglio: lei uccideva in modo pulito, non avrebbe mai potuto concepire quello scempio.
Inevitabilmente ruotarono tutte gli occhi in direzione di Black che si limitò a sfoggiare un sorriso a trentadue denti.
Chi poteva essere se non lei?
Il telegiornale stava per finire. «Contro il messaggio che hanno voluto mandarci, riuscirà mai la polizia a scoprire la vera identità delle Glherblera?»
Yukida si lasciò scappare un sorrisetto compiaciuto. “Poveri idioti. Prima o poi li manderemo nella merda”.
Akumi di fronte a lei la osservava e come se avesse letto la sua mente. Corrugò il viso in un’espressione di rimprovero. “Linguaggio”, pensò. 
In tutta risposta l’altra ruotò gli occhi al cielo.
Akumi non era comunque l’unica che stava osservando Yukida, poiché il ragazzo di prima, al tavolo proprio di fronte a lei, aveva assistito alla muta conversazione delle maid e continuava a scrutarla, senza provare a celarlo neanche per cortesia.
«Beh? Cos’hai da guardare tu?» sbottò a quel punto Yukida.
Il ragazzo attese volontariamente una manciata buona di secondi per rispondere, come se provasse gusto a fare adirare la cameriera. «Nulla», sfoggiò un sorrisetto che dire avesse dello strafottente era proprio sminuirlo.
Yukida inarcò prepotentemente un sopracciglio. «Allora piantala che mi stai facendo girare le palle.»
«Me ne stavo andando», disse lui, mentre si sistemava i guanti corti neri che gli avvolgevano le mani e prese il portafoglio dalla tasca del pantalone. Piluccò un paio di banconote, molti più soldi del necessario, e li poggiò sul tavolo. «Grazie per il tè, Yukida», mentre camminava verso la porta fece un gesto con la mano a mò di saluto, senza voltarsi.
«Vaffanculo» rispose lei. Prese i soldi e li passò ad Akumi, che sicuramente sarebbe stata contenta di sistemarli nella cassa, poteva anche scommettere che ci avrebbe giocato un pochino. Non era colpa sua, le piaceva semplicemente toccare ogni cosa e i soldi erano così… maneggiabili. Ognuno aveva i suoi piccoli vizi. Almeno questo non riguardava l’uccidere persone.
Rose aveva seguito la scena e si era accorta che il ragazzo biondo dopo essere uscito si era soffermato un po’ a guardare dentro, oltre la vetrata. Lei aveva molto spirito d’osservazione e sembrò intuire qualcosa.
Quando Akumi le passò vicino le toccò un braccio, per richiamare la sua attenzione.
«Dimmi cara!» fece la ragazza dai capelli dorati.
Rose la guardò dritta negli occhi, con fare indagatore. «Per caso tu e Yukida vi conoscevate, prima dell’associazione?»
L’altra si portò un indice sul mento. «Affatto!»
Rose non sembrava molto convinta, anche se era palese che l’altra non stesse mentendo. «D’accordo.»
«Perché me lo chiedi?» fece Akumi.
«Nulla. Una paranoia», cercò di chiudere così, riprendendo il suo lavoro. Akumi corrugò le sopracciglia.
Yukida, anche se stava servendo ad altri tavoli, ripensava a quel tipo di prima. La faceva innervosire con quel maledetto sorriso strafottente.
Sembrava esserle passato ma le ricominciò il mal di testa. Forse più tardi le sarebbe toccata un’altra aspirina. L’aveva anche chiamata per nome, quel giorno. Che sensazione strana.
 
Il servizio finì velocemente, così le ragazze girarono il cartello sulla porta da “open” a “close” e abbassarono per metà le saracinesche, per avere ancora un po’ di illuminazione.
Iniziarono subito a riordinare il locale senza perdere tempo, visto che più tardi avrebbero avuto molto da fare, dovendosi preparare per la missione/festa.
«Guardate un po’ qua!», fece Akumi tutta sorridente con un lembo della tovaglia in mano. Con un gesto la sfilò da sotto le posate senza farle muovere. «Olé!»
Anche se lei andava fiera di quel trucchetto che aveva imparato, qualcuno a quell’ennesima esibizione roteò gli occhi. Insomma, lo faceva sempre. Quando vide che nessuna le stava dando retta imbronciò il viso in una delle sue migliori espressioni bambinesche, incrociò le braccia e si voltò in modo fin troppo teatrale.
Yukida aveva passato una pezza sul bancone, lucidato le sedie e in quel momento stava contando gli incassi del giorno. Li ripose in una bella busta capiente e andò a metterla in una cassaforte che tenevano incastrata nel muro che dava verso il retro del locale, dove ai clienti non era consentito l’accesso. Anche se, infondo, un furto era l’ultima delle cose che turbava le ragazze del Caffenut. Difendersi non era di certo un problema e per la questione dei soldi… beh, di quelli ne volavano  parecchi all’interno dell’associazione.
Yukida prese a passare la scopa per terra.
Kureijī e Rose si stavano occupando di raccogliere tutti i piatti e i bicchieri sparsi sui tavoli del locale. La prima andava per la sala in quella ricerca un po’ noiosa, dopo passava il suo bottino a Rose, la quale impilava il tutto, dandogli un ordine e portando in cucina le fila a turni. Poi passava il lavaggio a Black. Quel giorno si erano organizzate così.
A parte Hikaru non avevano nessun altro che lavorasse al locale. Assumere dei dipendenti sarebbe stato troppo rischioso – sia per loro che la povera persona malcapitata –, perciò si occupavano di tutto da sole: contabilità, servizio e pulizie. Era faticoso e anche stressante, alle volte, con la popolarità e l’afflusso di clienti, ma una copertura era più che necessaria, soprattutto con polizia e investigatori sempre alle calcagna.
Black vide Rose che faceva avanti e indietro dalla cucina, perciò pensò di darle una mano, afferrando, non senza cedere un po’ al peso, una grossa pila di piatti.
Yukida sgranò gli occhi. «Aspetta, ferma!», non voleva che succedesse di nuovo. Con quell’esclamazione attirò l’attenzione delle altre, che poterono assistere alla rovinosa caduta di ben venticinque piatti e tre bicchieri da cocktail.
Il rumore dei cocci che si frantumavano per terra fece coprire a Yami le orecchie, che con uno sguardo infastidito e uno sbuffo continuò a digitare i tasti sul suo computer. L’unica differenza da quando il locale aveva chiuso era che prima stava seduta a terra e in quel momento su un’alta sedia da bar, così da potersi poggiare sul bancone. Affianco alla mano sinistra aveva un pacchetto di arachidi. Quando Rose provò a sfilargliele le sembrò di sentire un ringhio, perciò le lasciò dove stavano.
Black iniziò a ridacchiare imbarazzata, seppur non apparendo tale poiché continuava a mostrare un sorriso a trentadue denti.
Yukida si diede uno schiaffo sulla fronte. «Ma per quale motivo continui a farlo? È già la terza?, quarta volta che succede?»
L’altra si limitò a borbottare. «Mi sembrava che Rose avesse bisogno di un aiuto.»
L’interessata poggiò nelle mani di Balck scopa e paletta. «No, grazie.»
Akumi si portò una mano sul petto. «Basta che nessuno si sia fatto male!»
Kureijī sorrise osservando i cocci a terra. «Solo i piatti», sussurrò con un pizzico di sarcasmo.
Black si mise a raccogliere le vittime a terra e le altre continuarono ad occuparsi delle rispettive faccende.
Rose stava lavando i piatti rimasti, Kureijī le stava dando una mano asciugando.
Yukida stava di fuori, dando una lucidata alle vetrate e una pulita all’ingresso.
«Io qui ho finito», fece Yami. «Vado ad avviare le procedure con il server al piano di sotto.»
La ragazza si diresse verso una porta marrone dipinta sulla parete, vicino ai colori pastello della vernice. Girò una gemma incastonata nella pancia della maniglia verso destra e poi abbassò la maniglia stessa, spostando la sottilissima porta dal muro. Di fronte a lei si aprì uno scuro corridoio non illuminato con delle scale che scendevano verso il basso. Yami lanciò un’occhiata verso le altre.
Akumi in tutta fretta si asciugò le mani con uno strofinaccio e si apprestò ad andarle dietro, prima che chiudesse la porta. «Io qui ho finito! Ti vengo a fare compagnia», trillò. Sapeva che all’altra non piacevano gli spazi bui, decise di accompagnarla.
Yami non ribatté alla proposta, quindi le stava bene.
Poiché lungo il tragitto per raggiungere la base non c’era illuminazione, le ragazze si tenevano con la mano alla parete per non inciampare, affidandosi a questa tra le svolte.
Una delle precauzioni che le ragazze avevano preso era quella di aver creato una sorta di piccolo labirinto sotterraneo. Era stato un suggerimento di Akumi, che ne era sempre stata una grande appassionata. In più alla villa dove aveva soggiornato pochi anni prima aveva imparato, mediante i passaggi segreti, l’algoritmo della mano destra (o della sinistra): praticamente bisognava procedere lungo una parete del labirinto senza staccare la mano dal muro, trovando infine l’uscita – o meglio, l’entrata della loro base.
Ad ogni svolta sbagliata Black aveva personalmente posizionato trappole e ordigni che le altre non potevano – o volevano – immaginare. Ogni tanto si sentiva il ciondolare di qualcosa di metallo.
Akumi stava canticchiando uno dei suoi motivetti preferiti: la Primavera di Vivaldi, giusto per distrarsi dal respiro pesante di Yami e i suoi passi frettolosi dietro di lei, che la costrinsero quasi a correre lungo i corridoi.
Akumi mancò un gradino e stava per cadere a terra, ma si tenne alla parete. Si voltò versò l’altra bloccandola con il palmo della mano.
«Che c’è..?!» sussurrò Yami, con il tono di voce di chi teme stia per arrivare un assassino o stia per succedere qualcosa di terribile.
Yami metteva ansia anche ad Akumi, che era una tra le ragazze ad avere più self control. «Yami cara, potresti non correre, per favore?»
«E tu potresti non cantare quella canzoncina inquietante?»
«Inquietante? Scusami? Chiedo delucidazioni. Innanzitutto non puoi declinare un grande componimento a “canoncina”, perlopiù-»
La ragazza venne interrotta da un suono sinistro provenire da un corridoio vicino a loro.
Yami sobbalzò, iniziando ad annaspare. «Siamo quasi arrivati», disse in tutta fretta, per poi sfrecciare via, facendo scivolare la mano così velocemente sulla parete che l’altra pensò le avesse preso fuoco.
Akumi, rimasta sola, prese a recitare alcuni dei versi degli antichi poeti. Uno dei suoi preferiti era Dante, che si adeguava ad ogni situazione. Era un’abitudine che, seppure lei stessa trovava fastidiosa, non riusciva a togliere.
«Ahi quanto a dir qual era è cosa dura, esta selva selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura.»
Il rumore dei tacchi andava ad attutirsi nell’aria all’interno degli stretti corridoi.

Akumi raggiunse l’entrata della base. Vide Yami che era già seduta alla sua postazione: tra tre mega schermi, un piccolo monitor, i video della sorveglianza del locale e un microfono. Indossava un paio di cuffie e stava digitando dei codici.
L’aria non era affatto cupa pur essendo un sotterraneo, anzi, sembrava essere molto lussuoso con quei gadget e armi di ultima generazione.
La base era strutturata sulla forma di un rettangolo, nel quale era tagliata una rientranza proprio a sinistra dell’entrata, che era la postazione di Yami. Quell’angolo sembrava molto più un pezzo di una sala giochi, piena di luci al neon e piccole schermate touch screen che svolazzavano intorno a lei, mantenendosi grazie ad un campo elettromagnetico. In più c’erano dei grossi cuscini rotondi colorati per sedersi.
A destra c’era uno spazio ampio, con degli armadietti, uno per ognuna delle ragazze, al cui interno tenevano dei vestiti per le missioni. Di fianco c’era il bagno, con una grossa vasca idromassaggio, ma anche delle docce. Tornate dalle missioni non volevano usare il bagno del loro appartamento per togliersi le macchie di sangue.
Più avanti vi erano dei divanetti e una lavagna, intorno ad un tavolino sopra cui erano poggiate delle mappe aperte, i catastali del loro quartiere. In quella zona discutevano dei nuovi progetti.
Avevano anche un armadietto con prodotti medici e un frigo bar molto fornito. Quest’ultimo era la tappa preferita di Yami.
Sul lato lungo del rettangolo, ai lati, erano sistemate numerose armi con le rispettive munizioni.
Dopo questi scaffali c’era l’attrazione che occupava più spazio: un poligono di tiro per armi da fuoco con una serie di bersagli e diverse difficoltà, alcune davvero estreme. Lì si allenavano le ragazze che utilizzavano armi a lunga distanza, ma a volte lanciavano anche dei coltelli.
Akumi si sedette vicino a Yami, prese il taccuino per le ordinazioni e si mise a scarabocchiare con un carboncino che teneva nel grembiule. Ogni tanto lanciava qualche occhiata all’amica.
«Che cosa stai facendo?» chiese Yami, spostando un pannello bluastro vicino al suo volto, così che l’altra non la potesse guardare. Il tutto senza staccare gli occhi dagli schermi.
«Come se non sapessi come è fatta la tua faccia, Yami» fece Akumi, continuando a scarabocchiare. Girò una pagina e buttò giù qualche altra linea. «Fatto.»
Yami distolse svogliatamente lo sguardo dai suoi affari. «Vediamo un po’ il grande ritratto.»
La sua intonazione di voce era carica di sarcasmo ma l’altra non ci fece caso. Presentò il primo disegno. Raffigurava Yami in uno stile fumettistico, solo il viso, con le sopracciglia piatte, gli occhi a palla neri e la bocca dritta. Alcuni capelli scivolavano lungo la pagina. «Questo è come ti vedono gli altri.»
Yami stessa non poté far a meno di trattenere un sorrisetto. Quella era veramente la sua faccia.
Akumi girò pagina «Questo è come ti vedi tu.»
L’altro disegno raffigurava Yami con un’espressione malvagia sul viso e un coltello in mano. A stemperare quell’immagine vi erano due corna sulla testa della ragazza e la coda a punta.
Yami corrugò la fronte. Per aver preso sul serio quel disegno, Akumi doveva aver fatto centro. Sapeva ben riconoscere quando qualcuno era turbato e lei quel giorno era particolarmente schiva. Non avrebbe saputo dirlo a parole, ma sulla carta riusciva ad esprimersi molto meglio.
«Cosa succede? Oggi sei più irritabile del solito.»
Yami continuava a scrutare quel disegno tra le sue mani, mentre sulle schermate lampeggiavano delle scritte, in attesa che lei continuasse a digitare i codici. 
«Io ho fatto delle cose orribili», sussurrò Yami con tono grave. I suoi occhi erano impassibili ma l’altra ebbe l’impressione che stesse vedendo delle immagini che aveva provato a cancellare dalla sua memoria.
Akumi era l’unica che a mozziconi sapeva del passato di Yami e Yami l’unica che sapeva tutta la verità su di lei.
La ragazza dai capelli turchesi le aveva detto di essere stata un’assassina, per anni. Uccideva senza discrezione, non riusciva a controllarsi. Non riusciva a non farsi piacere il vedere il sangue che sgorgava dalla carne e i corpi lacerati. Nascondersi nei vicoli bui della notte, seguire la vittima e prenderla di sorpresa era un impulso che a quel tempo trovava davvero eccitante, eppure che lei stessa non riusciva a capire. Le sue vittime erano persone che non aveva mai visto in vita sua. Se c’era qualcuno che camminava per le strade di notte, diventava la sua preda.
Quando Yami tornava a casa con le mani insanguinate stentava a credere a cosa avesse fatto, ma la notte successiva cadeva nello stesso tranello. Le lame dei coltelli, così luminose, affilate, suggerivano idee troppo attraenti per potergli resistere.
«Tutti ne hanno commesse, di cose orribili» Akumi le prese dalle mani il disegno e lo accartocciò, buttandolo nel cestino con un lancio.
«Ho ucciso la persona alla quale tenevo più al mondo» si rigirò una ciocca di capelli tra le dita impercettibilmente tremanti e parlava con sguardo assorto. «Stava venendo a casa per farmi una sorpresa per il mio compleanno. Non c’è niente di bello da ricordare o festeggiare in questo giorno.»
«Ah ma allora lo sai che è oggi il tuo compleanno! Non ci credevamo più!» trillò Akumi, con enfasi. L’altra le lanciò uno sguardo un po’ scocciato. «Hmm.»
«Augurii..!» bisbigliò Akumi, sorridendo. Le porse un sacchetto di marshmallow che teneva in alcune delle tasche del suo vestito.
Yami non poteva rifiutare quei dolcetti, erano così colorati e invitanti. Ne prese uno e gli diede un morso.
«Il conto alla rovescia sul calendario non è di certo per la festa, è per ricordarmi di quello che ho fatto, per chiedere delle scuse.»
Yami non era mai riuscita a darsi pace per ciò che era successo nel suo passato. Conviveva con questo peso ogni giorno, quando la vita che faceva adesso, con l’organizzazione e a contatto con il lato sporco della società, le ricordava quando uccidere è stato il cardine sul quale ha ruotato la sua vita e che l’ha portata in quel luogo.
Akumi inclinò il capo. C’era bisogno di alleggerire un po’ la tensione, doveva punzecchiarla. «E le scuse per il calendario? Sai che è terribile il modo in cui segni i giorni?»
Yami buttò giù un sonoro sospiro, ruotando gli occhi al cielo e tornando ai suoi compiti. Sul suo volto sembrò essersi dipinto un sottilissimo sorriso.
La ragazza dai capelli dorati era contenta del suo operato. Almeno Yami aveva parlato un po’, era un grande traguardo.
Akumi si diresse saltellando verso gli armadietti. Si accorse che quello di Black e Yukida erano aperti. Erano davvero incorreggibili, quelle due, disordinate fino al midollo.
Dallo sportello di Black sbucava una lunga catena dorata. Akumi raccolse l’estremità che stava fuori e aprì maggiormente l’anta per riporla. Sopra una tuta nera che la ragazza usava per le missioni c’erano vari gioielli. Probabilmente rubati durante il colpo alla gioielleria non più di una settimana fa, ipotizzò Akumi. Rubati. «Etica», commentò la ragazza con disappunto per quella mancanza. Cercò di sistemare come poteva e passò a quello di Yukida. Una goccia di sangue secco scivolava lungo l’anta e dentro c’erano una stoffa ritagliata e sopra uno dei tanti coltelli che Yukida possedeva. Akumi prese con la punta delle dita la stoffa e quando si spiegò, si accorse che era tagliata con la forma di tanti omini felici che si davano la mano. Sarebbe stato anche carino se non fossero stati coperti di sangue. La cosa che dispiaceva di più alla ragazza era però che Yukida avesse sacrificato uno dei capi più comodi che aveva, fatto con un tessuto particolare. «Spreco.»
Akumi prese la sua divisa per la missione dall’armadietto e si diresse nel bagno per farsi una doccia e cambiarsi. Si lavò, infilò i pantaloni neri, una camicia con le maniche larghe dello stesso colore, ascot bianco, stivali fino al ginocchio neri con tacco, un paio di guanti e un fiocco per raccogliere i capelli.
Afferrò un fucile da quelli che aveva sistemato nel suo spazio lungo la parete e iniziò a mirare ai bersagli al poligono. Ad Akumi piaceva sparare e centrare il bersaglio, sapeva anche di essere molto brava, eppure la consapevolezza che avrebbe potuto usare quella capacità durante uno scontro per togliere la vita a qualcuno, le faceva sentire uno strano peso sul petto.
Stava provando di centrare i bersagli ad occhi chiusi, sentendo il rumore da dove scattavano i meccanismi di ferro. Colpito, colpito, colpito, mancato..? Un altro colpo. Mancato di nuovo. Akumi aprì gli occhi con disappunto, si sfilò una granata di poca potenza dalla cintura e la lanciò sulla sagoma, che scoppiò in mille pezzi, facendo un gran rumore.
Yami si coprì le orecchie con le mani e lanciò ad Akumi uno sguardo di rimprovero.
La stanza era completamente insonorizzata ma Yami aveva sempre delle paranoie: potevano sentirle.
«Cosa c’è?» fece Akumi «Penseranno che è la metropolitana.»
 
Intanto le ragazze avevano finito da un bel pezzo di occuparsi del locale, si erano cambiate mettendo qualcosa di comodo ed erano andate tutte e quattro nella camerata. Yukida stava ascoltando la musica con il cellulare, sdraiata sul letto, mentre faceva roteare un coltello con una mano.
«Potrebbe finirti in un occhio se non stai attenta» fece Rose poco distante da lei, parlando attraverso una mascherina bianca che le copriva bocca e naso.
«Potrebbe finirti in un occhio se non stai attenta» rispose Yukida senza neanche pensarci più di tanto, troppo ipnotizzata dalla lama luccicante che continuava a ruotare sopra il suo viso.
Kureijī  e Rose stavano sedute sul pavimento ad armeggiare con delle piccole ampolle piene di liquidi e polverine, che mescolavano e dosavano con accortezza.
Entrambe le ragazze utilizzavano molto i veleni nelle loro armi e quindi, avendo scoperto di avere in comune questa macabra passione, avevano deciso di prepararli insieme.
Rose li abbinava anche a delle microarmi. Kureijī invece trovava comodi degli aghi velenosi che, insieme alla falce, erano un punto centrale del suo armamentario.
Le ragazze non potevano preparare i loro veleni nel sotterraneo perché sebbene fossero munite di un impianto di ventilazione – non avendo le finestre, ovviamente – avrebbero rischiato di intossicarsi per i gas velenosi che si levavano dai liquidi. Prepararli nella camerata era altrettanto pericoloso, ma avendo tre grandi portefinestre che arieggiavano il locale potevano essere più sicure. D’altronde lo facevano quasi ogni giorno ed erano ancora vive.
«Fai attenzione…» sussurrò Kureijī mentre Rose stava versando delle gocce color petrolio nella fialetta che lei teneva tra le dita. Appena le due sostanze si toccarono, in una frazione di secondo, il nuovo veleno aveva preso il colore dei due precedenti liquidi.
«Pronto» sentenziò Rose con uno strano sorrisetto sul viso, come se stesse già pregustando il momento in cui avrebbe ucciso qualcuno con esso.
«Woow!», esclamò Black che stava accanto a loro ad osservarle.
Kureijī inarcò un sopracciglio e sospirò. Avere qualcuno che controllava ogni sua singola mossa in qualche modo la infastidiva.
Balck si protese maggiormente in avanti per guardare e sentì che qualcosa le stava premendo sulla coscia. Diede un’occhiata e quindi raccolse un libro. Riconobbe la foderina di carta un po’ usurata ai bordi: era di Rose, lo stava leggendo prima. «Di che parla?»
La proprietaria del libro sgranò le pupille, ma nessuno se ne accorse poiché non la stavano guardando in viso. «È un saggio di fisica» lo prese quasi un po’ troppo bruscamente dalle mani dell’altra. Il vero contenuto di quel volume era nascosto dietro la foderina. «Sai, è dell’università» aggiunse, dal momento che l’altra appariva un po’ turbata da quella reazione. 
Subito dopo Black si strofinò i palmi sulla maglia.
«Neanche avesse la peste» fece Kureijī, mentre si sistemava un guanto di lattice.
L’altra ridacchiò. «Mi è venuto spontaneo, ahah.»
Kureijī sembrò ricordarsi di qualcosa. «Ah, ragazze, voi cosa avete fatto per regalo a Yami?»
«Gioielli!» rispose immediatamente Black. «Cioè, in realtà una serie di gioielli, oggetti preziosi, ma alcuni li devo ancora completare.»
Nessuno volle chiedersi cosa intendeva con quell’ultima affermazione.
«Io le ho preso i volumi che le mancavano dalle collezioni dei suoi manga. Sono secoli che le deve finire» disse Rose.
Kureijī sorrise. «Io ho investito un po’ sul guardaroba, visto che ci fa poca attenzione.»
Anche se non era molto convinta che a Yami sarebbero piaciute le cose che aveva scelto, dal momento che le aveva prese in base al suo gusto personale, che si orientava verso il vittoriano/gotico. Akumi d’altro canto ne sarebbe stata entusiasta. Le due condividevano un gusto simile per il vestiario, anche se Kureijī si sentiva un po’ a disagio ad uscire con degli abiti così stravaganti. Akumi c’era abituata.
«E tu Yukida?» chiese Black.
«Io?» fece l’interessata. «Ho commissionato una scultura di ghiaccio. La spediscono direttamente all’hotel.»
«Perfetto!» disse Black. «Oh, Akumi invece?»
Kureijī rispose prontamente. «Ha detto che ha dipinto un quadro.»
Yukida e Black fecero un verso di disgusto. Non riuscivano proprio a farsela piacere, l’arte.
Rose scosse il capo con disapprovazione.
Black allungò la mano verso gli oggetti che stavano maneggiando Kureijī e Rose, però si punse con un ago. «Ahia!» esclamò, poi sussultò. «Dite che ci ha sentito?» Si riferiva ad Akumi.
Yukida s’intromise con un sorrisetto diabolico sul viso. «Più che altro… quell’ago era già avvelenato?»
Black iniziò ad andare in iperventilazione e sfrecciò verso il bagno, dove tenevano anche i disinfettanti.
Yukida lanciò un’occhiata a Kureijī, come per chiederle: “Era avvelenato sul serio?”
La ragazza dai capelli corvini scosse il capo trattenendo una risata.
In quel momento il telefono di Rose squillò. «Sì? …d’accordo.»
Yami aveva appena chiamato per far scendere le ragazze.
«Andiamo.»
 
Appena scese alla base, le ragazze si apprestarono a indossare delle tute (per la maggior parte nere) comode per la missione.
Yukida si era cambiata in un attimo. Non le piaceva perdere tempo. Raggiunse Akumi che stava ancora giocando al poligono di tiro.
«Ciao Yukida cara!»
«Haku» salutò così di rimando l’altra, mentre prendeva una delle due pistole dalla cintura alla quale l’aveva assicurate e sparò ad un paio di sagome. Poi rinfoderò l’arma. «Mi sono stancata» disse, andando a fare altro. Ormai Akumi non si faceva più domande.
Rose stava seduta su uno divanetti davanti al tavolo con le mappe. Aveva spiegato quella dell’hotel – che Yami aveva reperito dalla rete – e le stava dando l’ennesima occhiata di precauzione, per ripassarla in caso di emergenza e per essere più preparata durante l’azione. Rose ripassò con dei pennarelli di diversi colori i vari elementi. Kureijī la raggiunse presto e si sedette vicino a lei. Insieme rividero le posizioni in cui si sarebbero trovate le guardie, sempre secondo le informazioni di Yami, e i sistemi di sicurezza più complessi. Anche se la struttura non aveva ancora aperto avevano già iniziato a sorvegliarla, sia per il mobilio stesso che vantava pezzi molto costosi (come lampadari, quadri) ma anche a causa delle Glherblera che si erano esposte troppo negli ultimi tempi.
«Ultimi preparativi», fece Yami finendo le procedure per prendere il completo controllo del sistema di sicurezza dell’hotel.
Le ragazze presero le ultime armi, i loro zainetti con medicazioni e altro materiale, e assicurarono ognuna un microfono all’orecchio.
Yami cliccò “Invio”. «In azione.» 
Le ragazze salirono lungo il labirinto di corridoi e giunsero sul retro del locale. Di fianco c’era un garage e Yukida ne aprì la porta di ferro con le chiavi. All’interno c’erano un paio di macchine, che usavano solo le maggiorenni.
Le ragazze però non se ne curarono, andarono più infondo, dove c’era un’altra porta che sicuramente nessuno tranne il proprietario dell’abitacolo avrebbe notato. Yukida aprì e ad aspettare le ragazze c’erano cinque moto nere. Non potevano certo fare la strada a piedi.
Montarono in sella, diedero gas e sfrecciarono verso il Luxury Hotel. Questo si trovava su una delle strade principali e più ricche del quartiere, quindi che dava verso il centro, perciò anche a quell’ora c’erano un bel po’ di persone e le insegne dei negozi erano accese. Era quasi l’una.
Le ragazze si fermarono un paio di incroci prima dell’hotel, che era completamente illuminato, anche all’interno, quasi come se fosse aperto. Questo era circondato da una vetrata che lasciava vedere dentro, in cui spiccava un lampadario di dimensioni enormi pieno di brillanti. Per entrare bisognava salire un paio di gradini marmorei che davano direttamente sulla porta a vetro, di fronte alla quale vi erano due uomini robusti che attendevano in posizione statuaria.
Intorno all’edificio c’era un grande giardino con molte piante, la maggior parte di tipo esotico.
Anche se lì non c’era molto movimento, le ragazze erano sicure che dentro le stavano aspettando.
Comunque loro non erano di certo arrivate impreparate.
Per il momento Yami era entrata nel sistema e agiva silenziosamente, senza che gli addetti alle telecamere e agli allarmi se ne accorgessero. Così facendo era sicura di poter manovrare il tutto più facilmente appena ce ne fosse stato il bisogno. Aveva appena finito di disattivare l’allarme situato nella parte retrostante dell’edificio, in modo da dare alle ragazze una via d’accesso.
«Entrate dal retro», disse «Fate in modo di riunire gli agenti all’entrata. Sarà più facile contrastarli. Akumi, tu devi raggiungere il lato nord del tetto, da li avrai la migliore visuale.»
«D’accordo» rispose Akumi al microfono.
Le ragazze si avvicinarono furtive al luogo indicato da Yami, mentre questa inviò ai filmati della sicurezza delle registrazioni fatte poco prima, in cui la situazione si presentava tranquilla.
Rose entrò per prima. Essendo la più discreta non avrebbe catturato troppo l’attenzione. Sfilò un tessen da una tasca nella sua tuta e ne usò il bordo affilato per tagliare la gola alle tre guardie a sicurezza della porta sul retro, che caddero a terra nel completo silenzio.
Il corridoio che si apriva alla vista delle ragazze era veramente splendido, con fiori, dorature, quadri… era un peccato che avrebbero dovuto distruggere tutto. Rose comunque lo riconobbe e avendo la cartina fotografata nella mente sapeva già come orientarsi.
Anche se nel avessero avuto bisogno poteva sempre guidarle Yami. L’orientamento era più che altro una maggiore sicurezza che lei si voleva dare. 
Nel frattempo Akumi aveva preso a salire una scala antincendio per raggiungere il tetto. Non era particolarmente alto, perciò riuscì con poca difficoltà. Individuò il punto che le aveva suggerito Yami e concordò con la sua scelta: da quella postazione riusciva ad avere l’esterno sottocontrollo, sia il parco che le strade laterali.
Si sfilò il fucile dalla spalla e lo impugnò, scrutando e rimanendo in attesa. «Ci sono.»
«Bene», rispose Yami dall’auricolare.
A quel punto Rose fece segno alle altre di entrare. Con Akumi come cecchino potevano essere certe di avere un controllo maggiore sulla situazione.
Le quattro ragazze iniziarono ad avanzare lungo il corridoio. Sembrava strano che non ci fossero altre guardie in giro. Era tutto troppo tranquillo, perciò Yami decise che era il momento di dare un po’ di colorito alla situazione. «Facciamoli spaventare…»
Cliccò un paio di tasti «sorpresa» sussurrò con fare davvero diabolico. L’hotel andò in black out.
I sistemi di sicurezza avrebbero dovuto funzionare con il centralino d’emergenza, ma l’hacker li aveva bloccati e resi inutilizzabili. Era tutto fuori uso.
Mentre gli agenti si organizzavano per riprendere il controllo almeno dei sistemi di allarme, le Glherblera raggiunsero, dopo un paio di svolte, quello principale, disseminato da altre guardie.
«Le Glherblera!» disse uno degli uomini, impugnando la sua pistola, che probabilmente aveva sentito il rumore dei passi delle ragazze. Girava su se stesso, rimanendo in ascolto di altri segnali.
Gli altri fecero lo stesso, seguendo il protocollo dell’addestramento.
Kureijī lasciò andare avanti le altre, che grazie alla loro agilità riuscirono a oltrepassare gli uomini armati, procedendo.
«Dove sono? Non le vedo.»
«Forse si sono divise.»
«Non lo so, saranno andate avanti.»
Gli uomini non si erano accorti di Kureijī o, almeno, non stavano puntando nel verso giusto.
La ragazza si tolse la benda bianca, liberando l’occhio color ghiaccio. Dopo aver visto nel telegiornale di quella mattina che quell’oggetto aveva generato tanto scalpore, decise di prendersi gioco degli investigatori, quasi sfidandoli, con il gesto che stava per compiere: lasciò cadere la benda a terra in un soffice tonfo.
Se fino a quel momento Kureijī era stata una ragazza posata, una risata sguaiata volò dalle sue labbra, che si aprirono in un grande e spaventoso sorriso. Impugnò la sua falce e ne abbatté la lama sui corpi delle guardie di fronte a lei.
Le altre ragazze, distanti, sentirono delle grida di dolore e capirono che Kureijī stava compiendo il suo lavoro.
La sicurezza riprese il controllo dell’elettricità e con essa tornò l’illuminazione, rivelando, proprio in quel momento, una decina di uomini che correvano verso le ragazze e queste che a loro volta puntavano nella loro direzione.
Le Glherblera si guardarono per qualche istante e poi si fecero un cenno col capo.
Yukida impugnò il coltello e puntò la gola della guardia più vicina a lei, che stramazzò al suolo. Alla seconda infilzò lo stomaco e tirò su la lama fino al collo. 
Un uomo accorse in aiuto dei suoi colleghi: impugnò la pistola e sparò tutti i colpi che aveva a disposizione verso le tre.
In un momento di distrazione, una pallottola prese il polpaccio di Yukida. Sul momento l’unico pensiero era quello di ricambiare il favore: prese una pistola dalla cintura e rispose al fuoco, uccidendo l’uomo con un colpo, poi cadde a terra, stringendosi la parte del corpo ferita. Sanguinava. «Merda», ringhiò.
Black giunse in suo soccorso. Si interpose tra lei e le altre guardie che stavano arrivando, sfilò un wakizashi dalla sua fodera e lo usò per lanciare un colpo diagonale alla guardia più vicina.
Kureijī le raggiunse e il suo aiuto fu necessario in quel frangente. Rose era molto occupata e Black non avrebbe potuto combattere e aiutare Yukida allo stesso momento.
In un attimo di tregua Black prese un nastro che aveva legato alla vita e lo usò per fasciare la gamba a Yukida, che stava imprecando poggiata alla parete. «Merda, fa male. Li voglio sgozzare tutti.»
Stavano arrivando troppe guardie, le ragazze erano in difficoltà. Allora Yami mandò un messaggio all’auricolare. «Vi do una mano, allontanatevi di mezzo metro.»
Proprio quando le ragazze si spostarono, una grata metallica sbarrò la strada agli uomini. I più esposti continuarono a fare fuoco.
Yukida, in preda alla collera, sparò a sua volta, per vendicarsi del colpo subito.
Rose si occupò di quelli che erano rimasti dal loro lato di corridoio.
Le ragazze colsero l’occasione e sfruttarono il tempo che gli aveva dato Yami. Corsero più veloce che potevano. Yukida non le rallentava di molto, stringeva i denti e procedeva. Non era estranea a ferite di quel tipo. Faceva quel lavoro in fondo da parecchi anni.
Finalmente raggiunsero l’atrio dell’hotel. Sembrava totalmente diverso da come appariva dall’esterno. Era immenso. Aveva una forma circolare, intorno alla quale sorgevano dei grandi pilastri che mantenevano il soffitto. Le scale si snodavano tra essi, portando ai piani superiori.
Yami indirizzò la sorveglianza verso il luogo in cui si trovavano le ragazze, facendo scattare gli allarmi acustici lungo il percorso che eseguivano.
In breve furono circondate dagli uomini armati. Il piano aveva funzionato fin troppo bene.
Le ragazze impugnarono saldamente le loro armi.
Non rimaneva altro che combattere.

Akumi nel frattempo stava accedendo al sistema delle telecamere dell’hotel, per disattivarle al tempo opportuno. Aveva imparato questo trucchetto da Yami e spiegato da lei che era estremamente brava risultava essere semplicissimo.
Anche se l’hacker della squadra si era già impossessata dei comandi, era importante che Akumi avviasse la procedura, sarebbe servita più tardi per la festa a sorpresa.
La ragazza aveva un palmare su cui stava digitando velocemente. Distolse lo sguardo da questo quando sentì le sirene della polizia. “Ce ne hanno messo di tempo, per arrivare”, commentò.
A causa della momentanea assenza di corrente era stato complicato chiedere i rinforzi. Yami aveva annullato anche la rete dei telefoni cellulari, mandando la sicurezza in crisi. Adesso che avevano ripreso il controllo si erano presto organizzati.
Akumi vide i poliziotti correre verso l’entrata. Sfilò una granata dalla cintura e la fece cadere proprio sotto di lei. Questa esplose riducendo in pezzi la grande vetrata sottostante. Era incredibilmente spessa, Akumi pensò che fosse a prova di proiettile.
Le ragazze all’interno si coprirono le orecchie e anche le guardie fecero lo stesso, tutti presi alla sprovvista. In più Rose si chiese quanto dovesse essere potente quella granata per aver distrutto un apparato così massiccio.
«Avete visite» disse Akumi al microfono.
«Okay ma potevi anche dircelo, invece di farci prendere un colpo!» rispose Balck tra un respiro e l’altro.
L’altra si limitò a rispondere con un verso che somigliava a una risata.
«E dov’è Yami? Non doveva dirci lei della polizia?» chiese Rose.
«Eccomi eccomi» fece l’hacker, tornando al suo morbido cuscino rosa. Dall’auricolare si sentì il rumore di una cannuccia. Yami si alzava sempre nei momenti meno opportuni.
Le Glherblera avevano finito di combattere contro la maggior parte delle guardie di sicurezza, i corpi dei caduti giacevano bagnati di sangue a terra, e entrò la polizia.
«Ma non finiscono mai?!» gridò Kureijī con il volto deformato da un’espressione omicida. Nonostante la domanda non ne sembrava scontenta. Prese degli aghi velenosi tra le dita e li lanciò sui nuovi arrivati. Molti dei tiri andarono a segno.
Yukida stava facendo fatica a tenere il ritmo a causa della gamba. Voleva avere un attimo di tregua per fare una fasciatura più stretta. Le altre cercavano comunque di coprila, per farle fare meno sforzo possibile. Quella che si prodigò maggiormente fu Rose che, con un pizzico di ironia, pensava che Yukida riusciva a intaccare le attività non solo del negozio, ma anche delle missioni.
Black si era accanita con un poliziotto in particolare, che non voleva mollare il duello con la ragazza. I due finirono fuori dalla struttura, in una delle vie vicino all’hotel, piuttosto buia. Akumi  li notò, sentendo il poliziotto gridare “Smetti di nasconderti, vigliacca!”.
Uno dei giochi preferiti di Black era quello di spaventare la vittima trascinandola in luoghi bui, per poi ucciderla. Ridacchiava, prendendosi in giro dell’uomo. Lanciò anche degli shuriken, eppure il poliziotto sembrava avere nervi d’acciaio, era irremovibile.
Ad Akumi davano estremamente fastidio quei modi di fare, era contraria a quello scherzare sull’uccidere le persone. Ma d'altronde, se lei si era unita all’associazione per trovare delle informazioni, le altre erano vere e proprie fanatiche dell’omicidio, si divertivano.
Black, non vedendo la reazione che sperava nel poliziotto decise che il gioco poteva anche dirsi concluso. Sfilò una piccola lama dal fianco e la lanciò verso il petto del suo avversario.
In quel momento, come d’impulso, senza averci realmente pensato, Akumi sparò sulla lama, che cadde a terra in un tintinnio, non riuscendo a sfiorare neanche la divisa dell’uomo.
Ma il rumore del fucile e il fruscio della pallottola così vicino a lui, lo portarono istintivamente a sparare verso l’origine del colpo. Ad Akumi cadde di mano il fucile, che schiantò sull’asfalto. La pallottola le aveva sfiorato la guancia. Un vero miracolo.
Il poliziotto abbassò la canna dell’arma fumante, guardò per qualche secondo la figura sul tetto e poi il fucile davanti ai suoi piedi.
La radio trasmittente che teneva assicurata sulla divisa gracchiò delle direttive, così andò via.
Black era visibilmente infastidita per quell’interruzione. «Ma cosa cavolo ti salta in mente?!» gridò alla ragazza sul tetto.
Akumi stava scendendo una scala situata proprio a mezo metro da dove si trovava. Si rivolse all’altra con il più candido dei sorrisi in risposta, ma d’un tono spaventoso, che venne accentuato dal sangue che le aveva sporcato il viso. «Basta con queste frivolezze» sentenziò, poi raccolse il suo fucile e si diresse verso l’atrio, dove si trovavano le altre.
L’altra avrebbe voluto ribattere, ma non se la sentì dopo quell’occhiata.

Le Glherblera si riunirono nell’atrio dell’hotel. Erano un paio di missioni che si erano accorte che dopo un combattimento con le guardie della sicurezza o altri agenti, nessuno inviava più uomini per contrastarle. Risultava essere un po’ strano. L’hotel era completamente a loro disposizione, isolato.
La prima parte della missione, l’occupazione della struttura, era finita. Adesso dovevano dare il via alla seconda – e quella più importante –, vale a dire la festa, che comprendeva anche il sabotaggio dell’apertura del giorno seguente.
Le ragazze si spostarono comunque nella sala attaccata all’atrio, poiché questo era troppo esposto. Certo, erano tutte quante vestite di nero e ben coperte, ma essere prudenti non era mai male.
La sala nella quale entrarono sveva tre lampadari in fila al centro del soffitto ricolmi di brillanti, c’erano dei tavoli di legno e i lati rano coronati da varie scalinate che portavano ai piani più alti. Era davvero grandioso e sì, lussuoso, davvero lussuoso. Una splendida location per una festa.
«Su, sbrighiamoci» fece Rose.
Le ragazze si erano già occupate di mandare fuori uso i loro auricolari durante i combattimenti e Akumi aveva avviato la copertura per le telecamere, così Yami non riuscì a vedere nulla, poi tagliarono i fili.
L’unico microfono ancora utilizzabile era quello di Kureijī, dal quale si sentiva la voce metallizzata di Yami che chiedeva se andava tutto bene e perché non riusciva a vedere nulla dalle telecamere.
Dovevano far arrivare Yami all’hotel, in qualche modo.
Le ragazze si guardavano pensierose, in cerca di qualche idea. A quel punto Yukida strappò dalle mani della corvina l’apparecchio e vi strillò dentro una cosa del tipo “Aiutaci Yami! Sono troppi, non riusciamo a batterli!”, poi gettò a terra l’oggetto e lo schiacciò con un piede, assicurandosi di averlo rotto.
Le altre si guardarono un attimo con gli occhi sgranati. Una richiesta di aiuto di quel tipo avrebbe fatto cadere nel panico chiunque. D’altronde, tutte sapevano che Yami aveva un brutto rapporto con le armi. Chiamarla in quel modo…
«Sei impazzita?!» gridò Rose.

Yami lasciò cadere il pacco di biscotti che aveva in mano, fissando il nero che invadeva la schermata del suo computer. C’era un blocco. Ci avrebbe impiegato troppo per sbloccare il sistema della sicurezza.
Le altre erano in pericolo. Doveva salvarle. Infondo, c’erano così tante armi vicino a lei. Doveva prenderne una e raggiungerle.
Si alzò dal cuscino in uno stato quasi di trans, di completa confusione e panico. Le tremarono le mani mentre sfiorava per la prima volta da tanto tempo la lama di un coltello.
Quella lama era così ben affilata, così pericolosa. Sembrava chiamarlo, il sangue. Quell’acciaio così pulito chiedeva un colore che lo facesse sentire completo, che gli desse quell’odore ferroso del quale tempo fa le piaceva imbevere i polmoni.
Era lo stesso giorno in cui un anno fa aveva ucciso una persona importante per lei. Ricordava il sangue sull’asfalto, il respiro flebile, il sorriso triste di lui, deluso, mentre le mani prive di forza lasciavano cadere un tulipano bianco, il fiore che le aveva colto la prima volta che la vide, per attirare la sua attenzione.
Il sorriso deluso, quando l’aveva vista negli occhi.
Yami poteva salvare le altre, ma le poteva anche uccidere. Poteva ripetere quello che aveva fatto.
Mai più un’arma, si era promessa. Tutte quelle vite. Mai più un’arma.
Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere se avesse preso in mano quell’oggetto.
Avrebbe vinto lei o l’assassina che si celava sotto la sua pelle, di nuovo?
Eppure sapeva già la risposta.
Impugnò il coltello.

Dopo aver rimproverato a dovere Yukida per la sua pessima scelta di invito alla festa, le ragazze iniziarono a sistemare regali e quant’altro.
Akumi sperava vivamente che Yami stesse bene e che alla fine, messa di fronte ad una scelta che lei sapeva ardua, riuscisse a sconfiggere il fantasma che la tormentava ormai da troppo tempo. Mentre si perdeva in questi pensieri, Rose le stava medicando la ferita sulla guancia. «Grazie mille cara.»
Yukida rifiutò di essere portata ad un pronto soccorso. Rimanere a quella festa le stava troppo a cuore. Sapeva di poter resistere ancora un po’.
«Fuori i regali!» gridò Black, svuotando il contenuto del suo zainetto – che avrebbe dovuto contenere materiale utile per la missione – su uno dei tavoli disseminati per la sala. Dalla sacca uscì tanto di quell’oro che Yami avrebbe potuto comprare una nave. Le ragazze nel malloppo videro anche un diadema e faceva bella vista la catena che Akumi aveva visto nel pomeriggio all’interno dell’armadietto della ragazza dai capelli argentati.
Kureijī e Rose avrebbero consegnato il loro regalo a Yami una volta tornate a casa. Li avevano impacchettati e lasciati li pronti. Era impossibile portarli dietro per tutta la missione, troppo scomodo.
D’altro canto si erano organizzate per prendere una torta e dei pasticcini ad una pasticceria notturna.
Akumi si era ingegnata facendo appendere il suo quadro durante l’allestimento dell’hotel, perciò in quel momento ne stava andando alla ricerca.
Yukida d’altro canto aveva ricevuto la sua scultura di ghiaccio da una delle entrate secondarie e non sapeva come sarebbe riuscita a farla arrivare nella sala che avevano scelto. In un momento di nervosismo decise si dare un po’ di colorito alla fata che era incastrata nel ghiaccio.
Kureijī e Rose raggiunsero Yukida per darle una mano. Quando videro ciò che aveva combinato sulla statua rimasero un attimo interdette, poi Rose osservò brillantemente «Non passa dalla porta. È alta più di due metri, non hai contato il piedistallo. Poi queste sculture non dovrebbero essere montate sul posto?»
«Ognuno si arrangia come si può» rispose Yukda, non molto preoccupata.
Allora le tre ragazze cercarono di spingere la scultura all’interno. Con grande sforzo questa si mosse e la testa della fata cadde, rompendo quasi un piede a Kureijī, che sospirò, guardando con aria non poco alterata Yukida.
Rose scioccò la lingua vedendo come quell’opera era stata mal ridotta: senza testa, in preda al caldo della notte (e quindi sciogliendosi) e soprattutto con il personale tocco di Yukida, vale a dire varie strisce rosse, nate quando questa vi stava pulendo sopra il suo coltello insanguinato e cercando di correggere alcune imprecisioni con la punta della lama.
In qualche modo le ragazze riuscirono a portare la statua a destinazione.
Akumi scese una delle scalinate, tenendo tra le mani una tela. «Ho trovato il qua- eew! Cosa diamine è successo a questa povera scultura?»
Rose girò gli occhi al cielo e indicò Yukida con un cenno del capo.

Yami arrivò di fronte all’hotel. Guardò l’atrio ed era vuoto. Oltre una massiccia porta di legno sentivano delle voci. Erano lì. Prese un bel respiro e spalancò le ante.
Le ragazze all’interno vennero colte di sorpresa. Di fronte a loro c’era la figura di Yami. Stringeva un coltello nella mano destra e si guardava intorno sbattendo gli occhi.
Nel suo sguardo c’era la stessa espressione di tutti i giorni. Akumi tirò un sospiro di sollievo. Aveva vinto, alla fine.
«Ma- io- che cos’è tutto questo? Cosa è successo? Dov’è la polizia?» chiese Yami, visibilmente confusa.  
Le altre gridarono all’unisono “Sorpresa!” e poi vari auguri di buon compleanno invasero l’aria.
Le ragazze andarono ad abbracciare la festeggiata. Gli occhi le diventarono lucidi di fronte alla premura delle sue amiche, che si erano inventate una cosa tale per festeggiare il suo compleanno.
Senza perdere tempo mostrarono i regali a Yami e Kureijī cedette alla tentazione di rivelarle qualcosa del suo. Rose invece mantenne il silenzio. Voleva vedere la sua reazione quando avrebbe scartato il pacco. O meglio, i pacchi.
Akumi le aveva lasciato il suo quadro sul tavolo, non glielo consegnò di persona, preferì osservarla mentre lo prendeva. Sul volto di Yami si dipinse quasi un’espressione di commozione.
Il quadro raffigurava lei in begli abiti, con il viso radioso e un grande sorriso. Sopra c’era un biglietto che recitava “Questo è come ti vediamo noi”.
Forse era davvero quello, ciò che le importava, com’era in quel momento, com’era per le persone che amava. Ognuno nasconde degli scheletri nel suo passato, ma l’importante è come si affrontano e come si riesce a diventare dopo.
Yami avrebbe continuato a pensare ai suoi errori sicuramente, ma in qualche modo credeva che anche lui l’avesse perdonata e che poteva essere chi voleva davvero, senza lasciarsi influenzare.
Ripose il quadro sul tavolo e incrociò lo sguardo di Akumi, seduta più avanti, che le sfoggiava un grande sorriso. Era molto contenta per Yami, Finalmente aveva un bel ricordo per il giorno del suo compleanno. L’aveva aiutata a perdonare se stessa, ma era il momento che anche lei facesse pace con il suo passato.
Chiamò Kureijī, che stava accanto a lei, e le disse che stava uscendo e di non aspettarla.
Yami medicò la gamba di Yukida. Era molto brava anche come medico. Rimosse la pallottola, disinfettò la gamba e fece una fasciatura.
A quel punto le ragazze avevano tre ore per divertirsi e fare quello che volevano nell’hotel.
Prima di tutto si tuffarono in piscina, per rinfrescarsi dopo tutto quel caldo. Usarono gli accappatoi delle camere, oli profumati che sparsero un po’ ovunque, le creme nell’area massaggi. Si sdraiarono sui letti delle camere, scherzarono e parlarono del più e del meno.
Si erano fatte le quattro, così decisero di passare alla parte più movimentata della festa: le ragazze si munirono delle loro armi. A dare inizio alle danze fu Kureijī, che schiantò la sua falce su un grande vaso di vetro vicino a una scala. Le altre seguirono subito il suo esempio, sparando con le pistole alle pareti e agli oggetti all’interno. Yami aveva portato anche una mitragliatrice e delle granate. Queste ultime le avrebbero lanciate all’interno dopo essere uscite.
Rose buttò giù i lampadari e Black lanciò degli shuriken sulle tende, riducendole in pezzi. Yukida camminava con la punta del coltello poggiata sul muro, così da graffiarlo lungo il suo passaggio.
Dopo essersi divertite un po’ le ragazze uscirono dall’edificio, lanciarono le granate all’interno e si coprirono le orecchie. Avrebbero portato bombe più potenti, ma avrebbero potuto danneggiare i palazzi vicini e non era la loro intenzione, quel giorno.
Quando si sentirono gli scoppi dall’interno, le finestre della struttura crollarono in pezzi e le ragazze si guardarono ghignando. Era stato parecchio divertente e liberatorio poter distruggere tutto.
«Dov’è Black?» chiese ad un tratto Rose.
La domanda sembrò darsi risposta da sola, al che dei fuochi d’artificio colorati scoppiarono nel cielo scuro. Li aveva accesi dal giardino dell’hotel.
Le Glherblera ammirarono quello spettacolo, mentre pensavano a cosa si sarebbe inventata la stampa riguardo il caso e come i proprietari avrebbero potuto giustificato la prematura chiusura dell’hotel, che sarebbe dovuto diventare la nuova perla della città.

Le ragazze tornarono al loro appartamento. Quando salirono le scale videro Akumi che stava uscendo dalla camerata. Stava canticchiando la Primavera di Vivaldi. Era una cosa che faceva spesso, ma di solito quando tornava da qualche attività di spionaggio – perché di questo si trattava – non era mai di buon umore.
Rose aggrottò le sopracciglia.
«L’ha… l’ha trovato?» chiese Kureijī senza celare la sorpresa nella sua voce.

La finestra del corridoio si aprì e la luce invase l’appartamento.
Era l’alba.
Akumi venne avvolta dai raggi del sole e da una profonda solitudine.  



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note

Salve a tutti cari lettori!
Ringrazio chiunque ce l’abbia fatta a leggere fino a questo punto, è stato un capitolo abbastanza sostanzioso. Per fortuna ho uno scusante: TANTISSIMI AUGURI DI BUON COMPLEANNO CELYOA! ♥
Questo capitolo è nato come uno speciale per festeggiare il compleanno della mia illustre collega. Poiché essendo un capitolo di passaggio (sarebbe il 2.5 perciò collocato prima de il "Museo") sono andati ben poco avanti i fatti riguardanti la trama principale - o forse no?
In compenso si svela il misterioso passato di Yami, che aveva incuriosito parecchi. Spero che non vi abbia delusi.
Certo, ammetto che è stato un po’ complicato incentrare il capitolo su Yami essendo un personaggio piuttosto schivo. Sono dell’idea di aver dato molto spazio a altri oc, magari più carismatici. Penso la stessa cosa della festa. Mi spiace. Ç^Ç
Ad ogni modo spero che quest'ultima faccia l’effetto del Sabato del Villaggio, insomma, che l’attesa ripaghi la festa in sé, che non sono riuscita ad approfondire a dovere.
Ma!, qualche riga fa avevo introdotto alla trama della storia, ecco. Prima che mi unissi al progetto e che inviassi il mio personaggio per la fiction, Hephily stava portando avanti le sue idee e quindi mi è sembrato quasi di prendere il monopolio della storia, tagliando e modificando praticamente ovunque. Per questo le chiedo scusa.
Comunque pensiamo di scrivere un capitolo a testa e io prometto di essere molto più sintetica, tranquilli.
E beh, spero vivamente che vi sia piaciuto leggere questo capitolo e particolarmente spero che sia piaciuto a Celyoa. Ancora tantissimi auguri di buon compleanno! (Spero che alla fine tu abbia colto “quella cosa che avremmo capito solo noi due” --> uvu)
Alla prossima!
Baci,

Nhikaoru
 
 
 
 
 
* Benvenuti signori!
** Tipico incantesimo che fanno le maid per rendere il cibo più buono.

 
   
 
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