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Autore: vero511    03/08/2017    1 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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ELLIE’S POV

Zack mi ha promesso che si sarebbe fatto perdonare e sinceramente non so cosa gli stia passando per la testa proprio in questo momento. Lo sto osservando mentre facciamo colazione in religioso silenzio, a seguito di una notte passata nuovamente tutti e tre nello stesso letto. Quando mi sono svegliata, lui era già in cucina a preparare il caffè e quando anche Alex ha aperto gli occhi per salutare il nuovo giorno, abbiamo raggiunto il giovane uomo e ci siamo accomodati intorno alla penisola.
Più osservo il capo, più mi rendo conto di quale bellezza spropositata descriva la sua figura: si potrebbe pensare che la mattina, tutti abbiano bisogno di qualche minuto per riprendersi, magari darsi una pettinata, lavarsi e cose così, ma non lui. Il ciuffo scompigliato gli conferisce un’aria decisamente affascinante, la tuta che ricade morbidamente sui fianchi sembra essere stata prodotta appositamente per il suo corpo e le braccia con un live strato di muscoli non accennano ad avere freddo, nonostante la maglietta a maniche corte. I suoi occhi, ancora assonnati, hanno un che di caldo e a prescindere dal loro colore di ghiaccio, sono estremamente affettuosi.
“Ellie? Ellie?” Improvvisamente sento il peso della tazza fumante nella mia mano, che , senza accorgermene, tenevo sospesa a mezz’aria. “Ehm…si?” Beccata su tutta la line a sbavare, mio figlio e Zack mi osservano incuriositi dalla mia totale mancanza di attenzione. “Hai capito quello che ho detto?” Finge un tono di rimprovero, e per un momento mi sembra di essere alla Evans Enterprise. Un flash dell’esplosione mi balena nella mente e decido di ritornare al presente. “Ehm…no” farfuglio imbarazzata. Il mio impaccio è dovuto non tanto al fatto che non lo stessi ascoltando, quanto più al motivo per cui non lo stessi facendo; ovvero, scansionare ogni millimetro del suo corpo. “Ti ho chiesto se ti piacerebbe andare a fare una gita in montagna. Ho un piccolo cottage non troppo lontano da qui e…pensavo ci avrebbe fatto bene andare in un posto nuovo”. Siamo venuti qui proprio per cambiare aria, ma Montpelier non mi fa sentire esattamente a mio agio, per cui la sua idea è allettante. “Volentieri”.

La notizia che avesse una proprietà in montagna non mi ha stupita, essendo a capo di una grande azienda, ed essendo anche i suoi genitori detentori di un patrimonio, i soldi non sono decisamente un problema. Dal trauma sembra si stia riprendendo piuttosto bene, anche se durante la notte l’ho sentito agitarsi e borbottare qualcosa riguardante “l’incidente”. Stamattina l’ho sentito parlare al telefono con Matt, gli stava chiedendo informazioni su come procedono i lavori di ricostruzione e successivamente mi ha raccontato che pare che il suo amico sia riuscito a trovare una piccola sede provvisoria, giusto per mantenere attiva l’azienda. Inoltre, durante la loro conversazione, Zack si è scusato per essere stato così passivo negli ultimi tempi e ringraziava di cuore Matt per il suo prezioso aiuto. Per dare un tocco in più al progresso della sua riabilitazione, il capo ha messo in valigia anche il regalo di Arthur, e ciò mi fa supporre che durante il nostro viaggio, avrò modo di rivederlo in azione.

Proprio come aveva detto, il cottage non è molto lontano e circa in un paio di ore di macchina, siamo arrivati. La strada era tutta in salita infatti siamo piuttosto in alto e nonostante i numerosi alberi che bloccano la visuale, credo ci sia un ottimo panorama al di là del bosco. Ciò che più mi colpisce però, è la neve. Bianca e gelida, ricopre quasi ogni millimetro di terreno. Alex sta ancora dormendo e non vedo l’ora che si svegli: non ha mai visto così tanto nevischio in una volta.
 Aiuto Zack con i bagagli e percorriamo un breve sentiero in mezzo alla natura finché non vedo sbucare una meravigliosa casetta interamente in legno. Resto affascinata dal colore chiaro del materiale e dalla precisione con cui le assi sono incastrate tra loro a formare una superficie uniforme. “Dentro è ancora più bello” mi sussurra Zack all’orecchio. Mi sembra incredibile da credere, ma più ci avviciniamo all’ingresso, più sono emozionata.
Quando il capo apre la porta, un confortante calore mi invade e ne capisco subito il motivo: il caminetto posizionato su uno dei lati della sala è accesso. “Ho chiesto alla donna delle pulizie di dare una sistemata e gentilmente ha pensato di accenderlo” mi spiega Zack facendomi strada all’interno. Alex inizia a muoversi tra le mie braccia e subito si gratta un occhio con la mano, dopodiché si guarda intorno confuso, ma piacevolmente colpito: questo cottage è meraviglioso. È a due piani, ma entrambi gli ambienti sono molto raccolti, il salone di ingresso è caratterizzato dal camino, un divano sui toni del beige e un enorme tappetto rosso; il lato opposto al caminetto è occupato da una piccola libreria posta accanto alla scala a chioccola che conduce al piano superiore.
Lascio il bambino sul sofà e seguo Zack in cucina: al centro di essa è presente un tavolo in legno più scuro rispetto a quello dei muri e i toni del piano cottura riprendono il marrone che caratterizzava la seduta nella stanza precedente.
“Questo posto è…wow” non so in quale altro modo descriverlo. “Lascia pure qui i bagagli, ci penso io a portarli di sopra” si propone Zack; non abbiamo portato molto con noi, trascorreremo in questo cottage un weekend e le borse così grandi sono dovute alle dimensioni di giusto un paio di maglioni. “Dobbiamo uscire a comprare qualcosa da mangiare?” “No, le scorte sono sempre ben rifornite” gli faccio un cenno di assenso e raggiungo Alex sul divano. Il bambino è intento a fissare il fuoco nel camino: il gioco delle fiamme, il loro cambiamento, l’intensità della loro luce e lo sfrigolio che producono, lo affascinano particolarmente. Non vedo l’ora di portarlo all’esterno, a vedere la neve; sono sicura che gli piacerà ancora di più dal momento che potrà toccarla e giocarci. Prendo il berretto e gli rimetto la giacca che avevo precedentemente tolto. “Adesso ti porto a vedere una cosa” gli spiego. Mi dispiace non aiutare Zack, ma non sto più nella pelle: gli ultimi mesi sono stati un inferno e mentre mi preoccupavo per la Evans e per il capo, non ho pensato che anche mio figlio stesse soffrendo; naturalmente la sua percezione è totalmente diversa dalla nostra, ma ciò non toglie che possa essersi spaventato. Questo è il suo momento e non permetterò a niente e nessuno di rovinarglielo.

Ho sempre amato la neve, nonostante nemmeno io, proprio come mio figlio, ne abbia vista molta nel corso della mia vita. Quando guardavo i film e vedevo persone progettare pupazzi di neve, mi chiedevo sempre se un giorno sarei stata in grado di farne uno anche io. L’unico grande problema di questa precipitazione, è il freddo pungente che porta con sé: a dispetto dell’euforia che mi ha assalita, lasciare la casa dominata da un piacevole tepore, è una sofferenza.
Quando apriamo la porta, un’aria gelida ci investe i volti e fa immediatamente arrossare i nostri nasi. Alex sgambetta contento e si lancia letteralmente in mezzo alla distesa bianca, non preoccupandosi minimamente delle bassissime temperature e della sensazione di bagnato che sentirà quando si rialzerà.
“Nieve!” allunga le mani verso di me mostrandomi una pallina che è riuscito a creare. “Senza la i, amore. Si dice neve”.

Passiamo circa un’ora a rotolarci e a farci scherzi in questo candore, finché Zack non esce dal cottage e ci osserva con una falsa aria di rimprovero. Ha le braccia incrociate all’altezza del petto e batte un piede sul terreno. “Voi due, vi sembra il caso di…” è un attore talmente bravo, che per un attimo mi sorge il dubbio che non stia scherzando e subito mi sento in colpa per non averlo aiutato a fare nulla. “Vi sembra il caso di iniziare a giocare senza di me?” Cosa? Lo guardo sbalordita e lui a sua volta mi osserva con fare di sfida, fino a quando una semplice palla di neve non lo colpisce in pieno petto, facendolo indietreggiare dalla sorpresa. Quest’ultima è ancora maggiore quando ci rendiamo conto che a sferrare l’attacco è stato proprio il bambino che, accanto a me, sta ridendo come un pazzo. “Questa me la paghi, piccola peste!” I due iniziano una lotta accanita, nella quale vengo tirata in mezzo e in meno di dieci minuti, mi ritrovo ricoperta di polvere bianca.

Quando siamo ormai stanchi, decidiamo di dilettarci nella realizzazione di un pupazzo per cui ci occorrono almeno tre tentativi per renderlo stabile, dato che nessuno di noi tre ha mai veramente avuto occasione di farne uno a regola d’arte. “Questo posto apparteneva ai miei nonni, io gli ho solo dato una sistemata per renderlo più moderno e accessibile dato che il tempo l’aveva rovinato” mi spiega Zack. “E i tuoi genitori non vengono mai qui?” So che i suoi hanno divorziato quando lui era un ragazzino, ma niente di più. “No, preferisco luoghi più altolocati” risponde sbrigativamente. Non indago oltre, siamo venuti qui per rilassarci e divertirci e questo argomento lo mette chiaramente a disagio. “È prevista una bufera per stasera, quindi godiamoci la neve finché possiamo perché poi saremo bloccati in casa” l’idea di restare chiusi in quel meraviglioso cottage, senza contatti con il mondo esterno, anziché terrorizzarmi, mi affascina.

Il pranzo consiste in una minestra calda e gustosa, che persino Alex non disdegna. Nel pomeriggio andiamo a controllare il nostro pupazzo che banalmente abbiamo chiamato “Signor Carota” per via del suo “naso” creato grazie all’ortaggio di straordinarie dimensioni, del tutto fuori dal comune. Alex vuole salutarlo, perché prima gli ho spiegato che sarebbe arrivata una tormenta e avrebbe portato via il Signor Carota; inizialmente i suoi occhioni azzurri si sono riempiti di lacrime, poi gli ho promesso che non appena il tempo si calmerà, ne faremo un altro ancora più bello e allora mi ha sorriso.

Il sole viene improvvisamente coperto da una nube e il cielo inizia a diventare minaccioso, i primi fiocchi cadono rapidamente in un tripudio di vento e sbuffi. Aiuto Zack a serrare tutte le imposte e a cercare delle torce, in caso ci fosse un blackout.
È la prima volta che affronto una situazione del genere e mi sento un po’ in agitazione, anche se la presenza e prontezza di Evans, mi tranquillizzano enormemente.
Tengo in braccio Alex perché piange impaurito e stringerlo mi infonde un certo coraggio.
“Non preoccupatevi, domattina il sole splenderà alto nel cielo” Zack si siede sul divano accanto a me, portandomi una tazza fumante di tè. “Sei abituato a questo genere di cose?” “Abituato non esattamente, però ci sono già passato e non c’è nulla di cui aver paura. Questa non è neanche una zona a rischio valanghe e quando ho fatto ristrutturare la casa, è stata completamente rinforzata.”
Le sue parole hanno posto definitivamente fine alla mia ansia, ora non resta che tenere occupato Alex per non fargli udire la bufera che imperversa all’esterno.
  
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