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Autore: Nadine_Rose    04/08/2017    0 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 28

 

Il frutto della verità

 

- Seconda parte -

 


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Immagine dal film “Padre e figlio”

 

Lago di Schlachtensee, 1 settembre 1962

 

L’acqua del lago brillava al sole, ancora alto e caldo nel cielo limpido di un pomeriggio di inizio settembre. Le ore che preferiva. Il silenzioso fruscio degli alberi, il flebile cinguettio degli uccelli, il melodioso e ritmico sussurro delle onde che accarezzavano le sponde facevano da cornice ai suoi pensieri. Nadine si sentiva sola e ricercava la solitudine nella quiete del suo rifugio. Era uscita di casa senza lasciare neanche un biglietto ma Werner sapeva bene dove avrebbe potuto trovarla. Davanti ai suoi occhi socchiusi dal vento leggero era fissa l’immagine di una valigia aperta sul letto e nel suo cuore si annidava la rassegnazione per l’imminente e definitiva separazione. Il giorno seguente, Andrej sarebbe partito alla volta di Cracovia per conoscere il suo padre biologico, un ebreo polacco sopravvissuto al campo di concentramento di Mauthausen, lì dove invece sua madre si era spenta alcuni giorni dopo averlo dato alla luce e affidato al generoso coraggio di un’infermiera. Werner lo avrebbe accompagnato in questo viaggio. Tra lui e Nadine si era innalzato un muro di silenzio per la mancata comprensione e condivisione del dolore che li attanagliava. Per Nadine erano incomprensibili, quasi irritanti la calma, la pazienza, la forza, la determinazione di suo marito nella ricerca dei genitori naturali di Andrej, confondendo questo atteggiamento con un sentimento di distacco mentre Werner non riusciva a capire la passività di sua moglie, scambiandola per una forma di egoismo verso il loro figlio. Al dolore aggiungevano altro dolore. Il vento soffiava un po’ più forte sul lago e tra i suoi capelli mentre il tempo scorreva, avvicinando inesorabilmente il momento del distacco. Diciassette anni prima per amore aveva accolto Andrej nella sua vita, ricercando inizialmente la propria felicità nella realizzazione di sé come madre e adesso per amore avrebbe dovuto lasciarlo andare via, desiderando soltanto il suo bene e la sua felicità. “Nadine!” Una voce familiare la raggiunse come un sussurro lontano. Non si volse e si limitò ad ascoltare il suono dei passi che si avvicinavano schiacciando rami secchi, ciottoli e foglie cadute. “Werner!” Quando fu troppo vicino dovette alzare lo sguardo e abbozzare un lieve sorriso. “Sapevo che ti avrei trovato qui.” Seppur pacata, dalla voce di Werner si percepiva un tono di rimprovero. Nadine rispose con un debole sospiro mentre suo marito le sedette accanto. “Non ti sei presentata a lavoro e sei sparita senza lasciare neanche un biglietto. Anche Kurt era in pensiero per te.” Il rimprovero si palesò nella voce più decisa. Nadine sbuffò, alzando gli occhi al cielo e provocando la reazione di Werner. “Credi di essere l’unica a soffrire per questa situazione?” disse spazientito, costringendo i loro sguardi ad incrociarsi. Da troppo tempo la donna non rifletteva il volto di suo marito: la luce del sole rivelava tanti altri fili d’argento fra i suoi capelli biondi; nuove, piccole rughe sottolineavano gli angoli dei suoi occhi verdi, tristi e stanchi di lacrime più amare. Lo guardò con uno sguardo diverso, quello di un tempo, capace di entrare nei suoi sentimenti e provarli sulla propria pelle e capì che forse proprio lui avrebbe avuto la parte peggiore in quella situazione. Gli aprì di nuovo il cuore e si spogliò di quell’inconfessato egoismo. Nadine non era più sulla difensiva e, sotto il velo di lacrime che le copriva gli occhi, Werner riuscì a scorgere la sua paura e il suo smarrimento. Lasciò che la tenerezza gli accarezzasse il cuore e, con uno slancio improvviso, strinse fortemente a sé la donna amata, persa e ritrovata. Entrambi scoppiarono in un pianto più eloquente di mille parole e in quell’abbraccio, così forte quasi da togliere il respiro, svanì ogni ombra di rancore. Tra le braccia l’uno dell’altra ritrovarono la cura al loro dolore e, tra le note dei loro cuori che di nuovo vicini battevano all’unisono, la forza per affrontarlo. Il muro era stato abbattuto.

 

Cracovia, 2 settembre 1962

 

Il viaggio durò una vita intera. Guidava Werner, tenendo gli occhi fissi sulla strada e il cuore rivolto ai momenti trascorsi con suo figlio Andrej: i giochi, le passeggiate in bicicletta, le feste comandate, i pomeriggi al lago nel buffo tentativo di pescare, le risate, le sgridate, i primi conflitti, i silenzi, le giornate da raccontarsi a tavola … la quotidianità di una famiglia come tante. Negli ultimi mesi si era fatto in quattro, sacrificando tempo e denaro, per strappare alla propria vita il bene più grande. Diventare padre lo aveva fatto crescere come uomo. Il pensiero di dover essere forte e superare le ferite del passato per un altro, più fragile e bisognoso di cure, lo aveva realmente rafforzato e guarito. Lo aveva cambiato. Nadine ne era stato il motivo mentre Andrej il fine. Con l’animo in preda a sentimenti contrastanti, Werner non sapeva se augurargli un incontro deludente o un riavvicinamento positivo con tanto di lacrime e abbracci. Non voleva perderlo ma nemmeno vederlo soffrire e un po’ temeva per ciò che avrebbe potuto trovare dietro quella porta dal momento che, in diciassette anni, quell’uomo non aveva neanche provato a cercarlo. Anche se teso, Andrej sembrava ottimista. “Ecco, siamo arrivati.” fece Werner con voce strozzata, parcheggiando l’automobile davanti a un palazzo di nuova costruzione. Lo guardò di sottecchi: Andrej indugiava ad uscire, tormentandosi le mani a testa bassa. Dopo qualche secondo, ricambiò lo sguardo e ruppe un silenzio lungo due mesi. “Grazie per tutto quello che hai fatto per me in questi mesi. So che non è stato facile. E per tutto ciò che mi hai dato in questi anni. Dopotutto sei stato un buon padre.” disse, con un’aria quasi di sufficienza. Ma Werner non si aspettava così tanto e ne fu commosso. Riuscì a biascicare solo un “grazie”, trattenendo con un sorriso le lacrime, mentre Andrej apriva lo sportello e lo guardò sparire velocemente nella penombra del portone.

 

Al primo gradino Andrej si fermò: si era reso conto di non aver preparato nessun discorso. Sentì il cuore battere un po’ più forte e la sicurezza sulla sua capacità di improvvisare al momento venir meno. Fermò ancora il suo incedere lento e volse lo sguardo all’ultima rampa di scale. I gradini sembravano altissimi e non avere mai fine, grosse gocce di sudore gli grondavano dalla fronte aggrottata per la tensione e diede il nome di paura a quel brivido freddo che gli percorreva la schiena. Era la paura di un rifiuto, di una porta chiusa in faccia e al tempo stesso di un ricongiungimento, di un cambiamento improvviso nella sua vita. Ma si fece forza e, trascinando i piedi pesanti, continuò a salire. Il desiderio di conoscere il suo vero padre e il bisogno di riconoscere in lui la propria identità erano troppo forti. Esitando per qualche secondo, bussò alla porta con mano come addormentata e la persona che cercava gli fu subito davanti. Era lui, era suo padre quell’uomo sulla quarantina dalla corporatura esile e l’altezza regolare, con gli occhi azzurri e i capelli castani e l’espressione stravolta di chi ha visto un fantasma. Sembrava averlo riconosciuto. “Hai sbagliato a venire fin qui.” disse con voce autorevole ma Andrej non capì. “Sai chi sono? Mi hai riconosciuto?” domandò confuso, portando le mani al petto. “È meglio che vai via.” ribatté l’altro più ostile, tentando di chiudere la porta che il giovane prontamente bloccò. “Perché non ritorni dalla tua bella famiglia nazista?” infierì l’uomo con sarcasmo mentre Andrej picchiò i palmi delle mani contro la porta. “No! Adesso ho bisogno di spiegazioni! Perché mi hai cercato?! Perché non mi hai ripreso con te se non volevi che crescessi con loro?!” “Non farti illusioni. Ti ho cercato soltanto per assicurarmi che il sacrificio della mia povera moglie non fosse stato vano e poi tu non fai più parte della mia vita.” rispose con tono più rabbonito e intanto dall’interno della casa si udì una voce di donna. “Caro, chi era alla porta?! Dovresti venire a darmi una mano a fare il bagnetto ad Andrej!” Quei secondi di silenzio sembrarono eterni. “E allora perché l’hai chiamato come me?” esordì il giovane atterrito e negli occhi dell’uomo si accese un luccichio di commozione che subito scomparve. “Vai via o chiamo la polizia.” concluse ed Andrej gli permise di sbattergli la porta in faccia.

 

Avrai avrai avrai

il tuo tempo per andar lontano,

camminerai dimenticando, ti fermerai sognando.

Avrai avrai avrai

la stessa mia triste speranza

e sentirai di non avere amato mai abbastanza.

Se amore amore amore avrai.

 

Claudio Baglioni, Avrai

   
 
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