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Autore: Lucius Etruscus    04/08/2017    1 recensioni
Libera reinterpretazione del mitico film "I sette samurai" (1954) di Akira Kurosawa - plagiato poi per "I magnifici sette" (1960) di John Sturges - ma con i Predator al posto dei samurai. Una storia inedita ma con personaggi che strizzano l'occhio ai Predator visti in film, fumetti e videogiochi.
Un pianeta sperduto, una colonia umana aggredita da spietati Bad Blood. L'unica speranza per gli umani: sette guerrieri senza onore...
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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«Forse ho capito male: voi... vorreste andare ad affrontare Wolf?» In quel “voi” c’era così tanto disprezzo misto a stupore che ci volle qualche secondo di silenzio per smaltire tutta quella negatività.

Scar aveva dovuto spiegare all’amico City Hunter il motivo di quel furto serale, e vista la quantità di armi che tutti avevano addosso era difficile trovare altre giustificazioni se non la pura verità. Così gli raccontò della missione e dei Bad Bloods su LV-617, mentre Achab e Berserker lentamente riprendevano conoscenza.

«E pensate che con quelle stupide armi umane possiate affrontare un nemico di quella stazza?»

«Se hai finito le domande, amico», intervenne Jungle, «potresti magari indicarci dove potremmo trovare qualche bel laser, di quelli buoni.» Alzò la mano ad indicare la spalla dell’interlocutore. «Tu ne hai uno niente male: hai un permesso speciale per portarlo?»

Lo Yautja, che nel frattempo si era tolto la maschera, strabuzzò gli occhi. «Diciamo che è un patto che ho stretto con i miei capi: con il laser posso garantire una protezione migliore, e loro fanno finta di non sapere che giro armato.»

Scar gli diede una pacca sulla spalla e poi si rivolse agli altri. «Ci serve uno così: dobbiamo portarlo con noi.»

Machiko e Jungle alzarono le mani. «Devi chiederlo ad Achab, è lui il capo.»

Tutti si voltarono a guardare Achab a terra, che si massaggiava il collo. «Si può sapere che cazzo è successo?» stava borbottando.

«Il nostro nuovo compagno di missione ti ha appena dimostrato quanto vale», disse Scar aiutando l’altro ad alzarsi. «Inoltre venendo con noi ci assicura armi di alto livello, vista l’attrezzatura che si porterà dietro.»

City Hunter grugnì. «Non ho mica detto che verrò con voi.»

Anche Achab grugnì. «Nessuno te l’ha chiesto, infatti.»

«Andiamo», tornò all’attacco Scar. «Deve venire con noi, guarda quanta roba ha addosso! E poi è allenatissimo, ti ha messo fuori combattimento con un soffio: ci serve uno così.»

«Scar, vuoi darti una calmata?» gridò Achab.

«Scar? Da quando ti chiami così?» chiese City Hunter.

Il giovane Yautja lo guardò sorridendo poi mise un braccio sulla spalla di Achab. «Mi ha battezzato lui, proprio ieri», e mostrò orgoglioso la ferita sulla testa. «Ora anch’io ho un nome da battaglia.»

L’amico fissò stupito Achab per alcuni secondi. «Perché hai fatto una cosa del genere? È un grande onore... che non so se lui merita.»

Scar incassò male la frase: il sorriso scomparve dalla sua faccia lasciando spazio ad un broncio seccato.

«Ancora non lo conoscevo», rispose Achab, sempre massaggiandosi il collo. «Ora vorrei ferirlo di nuovo, ma per motivi diversi dal battesimo...»

City Hunter sorrise. «In questa città non è facile trovare gentilezza o anche solo amicizia, specie fra di noi. L’amarezza della nostra condizione ci rende spesso astiosi gli uni con gli altri. Non parliamo poi di chi è come me...» e lentamente mostrò a tutti il proprio braccio privo di mano. «Essere senza onore e senza integrità fisica... è qualcosa che tiene lontani molti Yautja. Solo un sognatore come... come Scar, può essere così pazzo da proporre una missione pericolosa ad uno sciancato come me.»

«Ridicolo», disse sferzante Berserker, dolorante. «Ci hai atterrati entrambi prima che potessimo renderci conto di qualsiasi cosa: a me sembri in piena forma.»

«Già», disse Achab. «Per cui a questo punto rinnovo l’invito di Scar, visto che ora tiene il broncio e non può rinnovarlo lui: vuoi venire con noi? Ci serve dannatamente qualcuno in forma... e con armi Yautja.»

I due si guardarono per un lungo momento, poi City Hunter sorrise. «Cosa mi impedisce di farvi arrestare tutti per furto e andare da solo a ricoprirmi di gloria contro Wolf?»

Una ventata di nervosismo calò all’improvviso, ma Achab mantenne lo sguardo. «Perché da solo, e senza una mano, andresti solo a farti ammazzare come un cane. Insieme...» scrollò le spalle. «Insieme, qualcuno potrebbe anche tornare vivo.»

City Hunter ed Achab si fissarono per qualche secondo, poi il primo allungò la mano destra a pugno alla volta dell’altro. «Sono dei vostri. E spero di essere fra quelli che torneranno vivi.»

Nessuno apprezzò la battuta. Se era una battuta...

~

«Scordatelo, due nomi sono troppi: io ti chiamo City e basta.»

«Ma non ha senso, io mi chiamo City Hunter perché da sempre il mio terreno di caccia è la città.»

«Appunto, quindi City ti si addice alla perfezione.»

«Ma non sono una città, sono un cacciatore di città...»

L’attesa si stava facendo snervante e i bisticci fra Achab e City Hunter non sembravano più così divertenti come all’inizio.

La domenica era passata velocemente, fra gli ultimi preparativi, un lungo sonno ristoratore e un pasto d’addio al pub di Achab. Nessuno lo disse apertamente, ma tutti sapevano che in qualsiasi modo fosse andata la missione... non c’era ritorno. Non lì, almeno. Non in quel mondo umano.

Per chi fosse sopravvissuto c’era il ritorno nel clan d’origine a reclamare l’onore perduto – un sogno che elettrizzava tutti – mentre per gli altri... Be’, una morte onorevole era mille volte meglio che quella vita umiliante. Alla fine ne convenne anche Jungle, anche se non lo disse: da semplice osservatore d’un tratto si considerò parte fondante della missione senza avvertire nessuno. Macellare animali lo divertiva, ma tornare a combattere e soprattutto tornare ad essere un Blooded Warrior... questo lo divertiva molto di più.

La cena fu veloce e tutti cercarono di non parlare dell’impegno che li attendeva. Solamente all’inizio Achab propose un brindisi: «Quando racconteranno la nostra impresa... che il nome di tutti noi venga scandito con orgoglio.» Era il sogno di ogni Yautja. Soprattutto di quelli senza più onore.

Avevano lasciato il locale tutti fomentati ma anche timorosi: un universo di pericoli si apriva davanti a loro, ed era difficile separare l’eccitazione dalla paura. Achab chiuse velocemente la porta dietro di sé e seguì gli altri senza voltarsi indietro. Non l’avrebbe mai ammesso, ma gli straziava il cuore abbandonare per sempre il suo locale, che aveva rappresentato la sua intera vita per così tanti anni. La consapevolezza che sarebbe stata la sua bara, imbottita di umiliazione e vergogna, non stemperava il dolore di lasciare qualcosa che si considera la propria casa. Se si fosse voltato avrebbe vacillato, perciò andrò dritto e deciso.

Dopo una vita senza onore, era tornato a capo di un manipolo di guerrieri, anche se di livello ben misero. Stavolta Achab non era più un ragazzo ardimentoso, non era più un guerriero acerbo. Stavolta era senza energia, senza speranza e senza onore: la morte non aveva più alcun potere su di lui...

~

Una lunga attesa era davvero l’ultima cosa che tutti si sarebbero aspettati, come primo atto della missione.

Raggiunsero il porto camminando per le strade più isolate e buie, perché nessuno si accorgesse di loro e li segnalasse alle autorità prima del tempo. Aggirarsi per la città con borse piene a tracolla non era solo faticoso: era umiliante. «Anche ai vostri tempi i guerrieri si portavano la borsa?» chiese Berserker, sghignazzando.

«Abbiamo capito», sibilò Jungle. «Tu sei giovane e noi siamo vecchi: possiamo considerare chiusa la questione?»

Girare per la città con armi in vista non era affatto una buona idea, così optarono per borse nere che si nascondessero nel buio: ci sarebbe stato tempo su LV-617 per “truccarsi” da guerrieri.

Arrivare al porto fu più faticoso del previsto, semplicemente perché rivelò a tutti il proprio grado di allenamento. Berserker e City Hunter erano quelli in forma migliore, oltre Machiko che però aveva un carico più leggero. Jungle, Achab e Scar avevano il fiato corto. Il che era davvero un brutto segno. «E abbiamo camminato su comode strade asfaltate», sottolineò Jungle fra un respiro pesante e l’altro.

«Forza, chiama il tuo amico», tagliò corto Achab.

Scar indicò in alto. «Credo ci abbia già visti.»

Tutti alzarono di scatto lo sguardo e videro un oggetto che volava sopra di loro. «Un drone!» esclamò City Hunter. «A noi è vietato utilizzarli: sicuro che sia il tuo amico?»

Scar sorrise. «Anche portare un laser da spalla è vietato, eppure tu ieri sera ne avevi uno.» L’altro non rispose. «Quando lavori per loro, gli umani diventano d’un tratto molto elastici con le regole, se hanno un vantaggio.»

~

L’attesa era snervante. Avevano dato per scontato che in porto ci fosse almeno una nave, invece era tutto vuoto: per fortuna era previsto un arrivo, quella notte, ma c’era da aspettare. E per un gruppo di Yautja disposti a rischiare la vita in una missione impossibile... aspettare era una tortura.

«Ha un’autonomia che mi permette di sorvolare l’intero porto». Achab non sopportava più il blaterare dell’amico di Scar, il custode che da tempo infinito stava parlando del suo drone. Achab si sentiva però costretto ad ascoltare fingendosi interessato, per farsi perdonare la sua risata...

«Falconer.»

Achab non voleva credere al nome che il guardiano notturno gli aveva dato. «Puoi ripetere, scusa?» aveva chiesto.

«Mi chiamo Falconer.»

Era dannatamente serio nel pronunciare il suo nome, fu così impossibile per Achab non scoppiargli a ridere in faccia. Nel suo clan quelli che controllavano la zona con strumenti volanti erano considerati il livello sociale più basso: non c’era un briciolo d’onore nello spiare il nemico di nascosto, nella sicurezza di un apparecchio a distanza. E così sin da giovane aveva sempre deriso i tracker, proprio come facevano tutti i suoi compagni. E il vizio gli era rimasto, anche in una situazione in cui nessuno aveva più un briciolo d’onore: non c’era nulla da prendere in giro, eppure la risata sgorgò spontanea.

Falconer capì benissimo cosa stesse succedendo, non era certo la prima volta che gli capitava, ma non disse nulla. Dopo aver cercato di mascherare la risata con un colpo di tosse, fu Achab stesso a dire: «Ehm, sono molto curioso: mi spiegheresti come fai a manovrare quel drone a distanza?»

Era una misera scusa ma Falconer tacitamente accettò quelle specie di scuse e cominciò a torturare il nuovo venuto con lunghe descrizioni dei suoi apparecchi. Bisognava aspettare la nave, e non c’era altro da fare.

~

«Non hai altro da fare che fissarmi?»

Il tono di Machiko era seccato, teso, anche se non c’era cattiveria. Non ce l’aveva con Jungle, ma sentirsi i suoi occhi addosso cominciava a trovarlo insopportabile.

«Posso farti una domanda?»

Machiko non si aspettava questa richiesta, né che Jungle continuasse ancora a fissarla. «Forza, ma poi mettiti a fissare qualcun altro.»

«Che cazzo ci fai qui, con noi?»

Machiko lo fissò a lungo. «Sarebbe questa la domanda?»

«È una grande domanda.»

«Lo so, ma speravo in qualcosa di più preciso. Tipo perché ho scelto due pistole dal calibro troppo piccolo per far del male ad uno Yautja, qualcosa del genere.»

«Quello è tutto sottoposto alla domanda principale: che cazzo ci fai in una missione disperata e quasi senza speranza?»

Machiko cambiò posizione sulla sedia: ma quanto ci metteva quella nave ad arrivare?

«Sono qui perché sono stufa di ricevere domande del genere.»

Jungle rimase in silenzio per qualche secondo. «La tua risposta è vaga per vendicarti della mia domanda generica?»

Le labbra di Machiko si arricciarono in un sorriso amaro. «Se io fossi una Yautja non mi faresti questa domanda, quindi il problema è che dovunque io mi trovi... appartengo alla razza sbagliata. Sono stanca di cercare di accontentare tutti, di dimostrare che Yautja ed umani possono convivere felicemente: non possono, è impossibile. Quindi ho scelto: nel mio cuore sono una Blooded Warrior e voglio comportarmi come tale.»

«Ci sono altri modi...»

«No, non ci sono. A meno che non mi ritiri da sola su un pianeta disabitato, per cacciare con un clan devo riconquistare l’onore, e questa missione è il modo perfetto.» Fissò Jungle per qualche attimo. «Dovresti saperlo che sono già stata sola su un pianeta disabitato, quindi non ho altre alternative.»

Jungle non era convinto, lo si capiva benissimo. «Mi lusinga che tu abbia scelto la nostra specie, ma in fondo se l’alternativa è vivere come gli insetti umani... davvero non avevi altra scelta.»

Machiko d’un tratto non riuscì più a mantenere lo sguardo serio e iniziò a sorridere, trascinando anche lo Yautja. «Ora, per favore, smetti di fissarmi?» chiese sorridendo.

L’altro scosse la testa. «Guarda che non stavo fissando te, ma la spada che porti sulle spalle, a tracolla. Sei più simile ad una Blooded Warrior di quanto pensi...»

Machiko era colpita del pensiero, e pensò che non valesse la pena ricordare all’amico che probabilmente aveva partecipato a più missioni lei di lui, che si era ricoperta di grande onore, prima di cadere. Incassò il complimento in silenzio e si limitò a sorridere.

«Ti ringrazio. La mia lama ha proprio bisogno di incontrare di nuovo il sangue...»

~

«Eccola!» gridò Falconer indicando uno schermo. Premette qualcosa e d’un tratto lo schermo si riempì dell’immagine di un’astronave che faceva manovra in porto.

Il silenzio cadde improvviso. Era arrivato il momento. Era giunta l’ora. Non era più la pazza idea di un weekend agitato: ora era una missione vera. Una missione pericolosissima e forse senza ritorno. Era il momento di dimostrarsi coraggiosi. Di dimostrarsi guerrieri.

«A nome dei miei padroni, ho l’onore di dirvi: grazie per l’aiuto.»

Tutti si voltarono di scatto a guardare Bishop 3: nessuno lo considerava, quindi si erano quasi dimenticati della sua presenza. Achab si alzò e pose un braccio sulla spalla del sintetico. «Siamo noi che ringraziamo te e i tuoi padroni. Ci avete dato quello che nessuno, di nessuna razza, ci ha mai offerto: la possibilità di riscattarci.»

Il sintetico annuì, con un sorriso sincero quanto può esserlo un software robotico.

«Forza, prepariamoci», incitò Achab e tutti iniziarono a raccogliere i bagagli che avevano posato in giro durante la lunga attesa.

«Calma ragazzi», intervenne Falconer, «dobbiamo aspettare che attracchino e che tutto l’equipaggio abbandoni la nave. Non ci vorrà molto ma non sarà neanche rapido: tornate pure a mettervi comodi.»

La delusione fu tangibile, e tutti tornarono ai propri posti: aspettare ancora era una tortura ignobile.

Solo allora Achab si rese conto che non avevano parlato del ruolo di Falconer: perché stava facendo tutto quello? Per semplice amicizia con Scar? Quando l’indomani avrebbero scoperto che mancava una nave, se la sarebbe vista brutta. Sarebbe stato interrogato, torchiato... ed era sicuro che avrebbe raccontato tutto alla Compagnia. Questo riduceva drasticamente il tempo a disposizione per la missione, quindi c’era un’unica cosa da fare.

«Tu lo sai che fai parte della missione, vero?» disse di getto Achab alla volta di Falconer.

Lo Yautja si voltò e presentò un sorriso radioso. «Sarà un onore far parte del vostro gruppo.» Lo dava per scontato, ma sentirselo specificare gli faceva decisamente piacere. «I miei droni vi permetteranno di studiare il nemico senza essere visti: vedrete che vi sarò utilissimo.» Ci furono alcuni cenni di assenso. «Avete già un pilota o posso esservi utile anche in quello?»

Achab si voltò di scatto verso gli altri. «Avevamo pensato ad un pilota?» chiese con voce tremante.

Machiko alzò la mano. «Davo per scontato che avrei guidato io, quando lavoravo per la Compagnia ho imparato a guidare molti veicoli diversi.»

«E quando è stato?» chiese City Hunter.

La donna era stupita della domanda. «Qualche... cioè, diversi anni fa.»

«Quindi non sai se puoi guidare questa nave.»

«Tranquilli, tranquilli», intervenne Falconer. «La so guidare io, non c’è problema. Qui al porto c’è sempre bisogno di qualcuno che sappia manovrare e da tempo me l’hanno insegnato.»

Achab cercò di riprendere il controllo: era una parvenza di problema e già stava lasciandosi prendere dal panico. Cosa sarebbe successo una volta arrivati i problemi veri?

«Sarà una missione gloriosa», continuò Falconer, sempre più entusiasta. «La nostra storia sarà raccontata per tutto l’universo: la storia dei magnifici sei Yautja che sconfissero Wolf!»

Nessuno si sentì così spavaldo da condividere quell’entusiasmo, ma dopo un colpo di tosse Machiko alzò una mano. «Veramente... ci sarei anch’io.»

Falconer si voltò verso la donna. «Oh», disse vistosamente deluso. «Va bene, sarà la storia dei magnifici sette... però così non è più un titolo ad effetto.»

   
 
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