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Autore: Feni_rel    04/08/2017    3 recensioni
[Gundam Iron-Blooded Orphans]
La vista del Flauros impegnato in una battaglia contro lo shiden bianco pilotato da Eugene fu come una zannata dritta sul cuore. Il suo cuore, che era già stato lacerato dalla morte di Shino e che ora Arianrhod si stava divertendo a ridurre a brandelli.
“Se proprio dovevate usarlo…” nemmeno lui si riconosceva in quel tono basso e grave “almeno dovevate cambiargli il colore!”
What if della serie Gundam Iron blooded Orphans
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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... rieccoci, non eravamo scomparse! Scusate se andiamo un po' a rilento, ma gli impegni della vita quotidiana incombono. Nonostante
tutto ci portiamo avanti con la storia, grazie di avere la pazienza di seguirci ^___^



Un posto in cui tornare
IV Capitolo



Il risveglio su Marte o sulla Isaribi negli ultimi anni era sempre stato frenetico. Quando lavorava per la CGS non aveva avuto molta scelta: se non si fosse alzato e messo a lavoro immediatamente, avrebbe rischiato di venir punito o malmenato. Quando poi si era unito a Tekkadan, soprattutto i primi tempi, la paura di venire schiacciati da Gjallarhorn li aveva sempre tenuti in allerta e quindi non aveva potuto far altro che svegliarsi di tutta fretta per uscire a combattere o ad allenarsi insieme ad Akihiro o alle Turbines. Tuttavia, anche nei momenti in cui non c’erano urgenze, aveva sempre trovato qualcosa da fare, qualcuno con cui chiacchierare. In fondo, solo il poter parlare liberamente con i suoi compagni, senza avere nemici alle costole o a fare da cane da guardia, era per lui un buon motivo per svegliarsi.

In quel momento, invece, non aveva nemmeno la forza di muovere un solo muscolo. Aprì gli occhi a fatica e tutto ciò che vide fu un colore bianco quasi fastidioso, causato dalla luce elettrica che lo costrinse a socchiudere gli occhi abituati da troppo tempo all’oscurità. Era stordito, sentiva come un macigno al posto del cervello e faticava anche solo a ricordare il proprio nome. Riuscì a muovere la testa, inclinandola su un lato e così, pian piano, quell’ambiente ovattato e tiepido cominciò a prendere le forme di un soffitto, delle pareti e di un tavolino accostato al muro. Nel mettere a fuoco quei dettagli, primi frammenti di ricordi presero ad affacciarsi alla memoria: la Hotarubi sotto i piedi del suo mobile suit, lui che prendeva la mira, il Super Galaxy Cannon che veniva spazzato via, il salto nel vuoto, i mobile suit nemici che gli sparavano contro e poi le fiamme, il dolore su tutto il corpo, l’aria che gli mancava… la paura di…

… quel suono, basso e cadenzato, che avvertiva però chiaramente, lo riscosse: era il suo cuore che batteva ancora una volta. Trattenne a stento le lacrime che sentì salirgli agli occhi. Ora gli era tutto chiaro, prima la trasparenza non gli aveva fatto notare il vetro che lo circondava: si trovava all’interno di una nanomacchina medica. I suoi compagni lo avevano recuperato. In qualche modo ce l’avevano fatta. D’un tratto, vide una figura avvicinarsi e quella testolina bionda dissipò ogni dubbio. Soltanto lui sarebbe stato così folle da aspettare il suo risveglio. “Ya.ma.gi.” Pronunciò e la voce gli uscì con un sibilo.

“Guarda si è svegliato! Ha appena detto qualcosa…”

Spalancò del tutto gli occhi, rendendosi conto che quella era una voce femminile e che la persona che aveva di fronte non era Yamagi Gilmerton, bensì una donna con indosso la divisa di Gjallarhorn.

“Finalmente!” Esclamò qualcun altro, premendo il pulsante per aprire la nanomacchina.

“Dove sono? Chi siete?” Si agitò il ragazzo, provando, senza successo, a sollevarsi. Era ancora molto debole.
“Calmati…” Gl’intimò la figura che si era avvicinata poco prima. Era un giovane uomo dai capelli viola e lui era sicuro di non averlo mai visto prima. “Io sono Gaelio Bauduin e tu ti trovi sulla nave di Arianrhod.

Quel nome l’aveva già sentito e qualcosa lo ricondusse alle sette stelle di Gjallarhorn. Il suo presentimento divenne brutalmente reale. “Non è possibile…” Balbettò.
“Ti ho recuperato io, altrimenti a quest’ora saresti già un detrito dello spazio. La distruzione del portello del cockpit è stata la tua salvezza, la mancanza di ossigeno ha spento le fiamme.” Gli disse quel Gaelio, accennando un sorriso quasi gentile.

Già. Cominciava a ricordare l’esplosione, visualizzò chiaramente la cabina di comando squarciata e un brivido gelido lo scosse. Aveva mancato l'unico colpo che avrebbe potuto sconfiggere Gjallarhorn, spazzarne via la flotta e determinare la vittoria di Tekkadan. Preso dalla rabbia per aver fallito, si era lanciato contro di loro, ma era riuscito soltanto a farsi abbattere.
Il cuore prese a battergli velocissimo, preso all’improvviso dal dubbio che il suo attacco non fosse stato sufficiente a difendere la Isaribi e gli altri mobile suit.

“Che cosa è successo? I miei... i miei compagni, dove sono? Cosa gli avete fatto?”
“I tuoi amici se la sono data a gambe, anche se non so se questo dovrebbe renderti felice. Con tutta probabilità stanno cercando di tornare su Marte.” La voce di Gaelio ora sembrava priva di inflessione.
Il ragazzo ferito socchiuse gli occhi, improvvisamente sollevato. Per fortuna il suo tentativo non era andato del tutto a vuoto. Un sorriso gli sfuggì, mentre mormorava “Meno male...”

“Adesso sorridi?! Tu non ti rendi conto, cosa diavolo pensavi di fare con quel cannone, eh?” Lo aggredì la donna. “Ti ho fermato giusto in tempo!”
“Julieta, smettila. Non è il momento…” Gaelio l’afferrò per il polso, ma l’altro aveva già cominciato ad agitarsi.
“Tu! Sei stata tu a colpire il mio cannone?” Gridò, riuscendo con enorme sforzo a sollevare la schiena. “Tu eri a bordo di quel mobile suit verde che combatteva contro Mikazuki!”

“Ehi, calmati!” Gaelio gli artigliò braccio destro e spalla sinistra, bloccandolo. “Cerca di stare calmo o verranno i medici a sedarti! Sei su una nave nemica, cerca di ficcartelo in testa!”
“Lasciami andare!” Gridò il ragazzo, cercando di divincolarsi. Il suo sguardo era puro odio. Fece un movimento per cercare di respingere Gaelio con il braccio libero, quando si rese conto di non avere il controllo sull’arto sinistro. Confuso, posò lo sguardo sulla parte e un lampo d’orrore gli attraversò gli occhi: il suo braccio non c’era più.

La presa di Gaelio si allentò. “Julieta… va’ via per favore.”

La ragazza tacque e seguì il suggerimento del compagno, nonostante il suo cuore fosse attanagliato dai più disparati sentimenti, perlopiù contrastanti.

“Hai perso un braccio e il tuo corpo era pieno di bruciature.” Sospirò Gaelio dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali si era seduto di fianco al ragazzo. “Ti rimarrà qualche cicatrice, ma col tempo ci farai l’abitudine. Rendono più affascinanti, non trovi?”

L’altro alzò lo sguardo, notando solo allora gli sfregi su quel volto. Era un tipo strano, quel Gaelio Bauduin. Apparteneva allo schieramento nemico, quasi sicuramente aveva partecipato alla battaglia in cui era stato catturato. Ma per qualche motivo non provava astio nei suoi confronti. Sarà stata la gentilezza che gli stava dimostrando o forse era lui ad essere ancora troppo debole e sconvolto per ciò che gli era accaduto e che gli stava accadendo. “Perché mi hai salvato?”

Gaelio sospirò. “All’inizio ho pensato che il tuo mobile suit potesse tornarci utile, nonostante fosse malconcio. Poi, però, ho visto che respiravi ancora… non aveva senso lasciarti morire.”
“Respiravo? Ma io non indossavo il casco…”
“Veramente sì… se non lo avessi indossato saresti morto di certo. È stato di sicuro il tuo istinto di sopravvivenza…”

Il ragazzo guardò Gaelio disorientato. In effetti ricordava di aver avuto difficoltà a respirare in mezzo alle fiamme e, con tutta probabilità, l’istinto era intervenuto al posto della ragione, muovendogli il braccio a chiudere casco e visiera. Era possibile. Oppure si era attivato un qualche sistema automatico.

“Hai avuto un gran coraggio a gettarti in quel modo sulla nostra flotta. O la tua era disperazione?” Domandò Gaelio e le sue parole non avevano un filo di scherno.

“Considerami pure un pazzo. Ma per salvare la propria famiglia si è disposti a tutto.”
“Siete tutti fratelli, voi di Tekkadan?” Chiese con un po’ di curiosità il pilota del Gundam Vidar.
“Non di sangue, certo. Però ci proteggiamo a vicenda, guardiamo al futuro insieme. Siamo amici, fratelli… che importanza ha? È la nostra famiglia.”

“Famiglia, amici…” Ripeté l’altro e per un istante il suo sguardo si adombrò nel rivangare il passato.

“Che ne sarà di me? Volete fucilarmi come uno dei ribelli? In quel caso avresti fatto prima a lasciarmi dov’ero.”

“Questo non spetta a me, deve deciderlo Rustal Elion.”

“E Chi sarebbe?”

Gaelio spalancò gli occhi sorpreso. “Ma… è il capo di Arhianrhod, il membro più influente di Gjallarhorn. Non conosci il nome del tuo principale nemico?”
Il ragazzo ferito, nonostante il dolore che ancora si faceva sentire, non poté fare a meno di scrollare le spalle. “No… per noi tutta Gjallarhorn è il nemico. Io sono abituato a combattere, dei nomi e delle questioni politiche sono Orga ed Eugene a occuparsene.”

“Sei un tipo curioso… a me, invece, piacerebbe conoscerlo il tuo nome, membro di Tekkadan.”

Quell’epiteto lo colpì molto e il ragazzo comprese al volo che Gaelio Bauduin non l’aveva pronunciato per caso, bensì per convincerlo a rispondergli. Decise, quindi, di dargli quella soddisfazione. Non aveva di certo paura.

“Il mio nome è Norba Shino.” Pronunciò con orgoglio.

FINE IV Capitolo



   
 
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