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Autore: Margo_Holden    04/08/2017    0 recensioni
Con un passato travagliato alle spalle, mai del tutto superato, Hazel si trascina ogni giorno nel diner in cui lavora come cameriera, cercando di evitare tutti, perfino la vita stessa. Ma il destino è inarrestabile ed imprevedibile.
Così un giorno mentre si reca a lavoro, incontra lui.
Alex è un criminale, con una montagna di cicatrici e tatuaggi che parlano per lui, del suo passato, che come una tempesta lo ha corrotto dentro, fino a divorarlo, a distruggerlo, a cambiarlo.
Queste due anime che sembrano pianeti opposti, finiranno per convergere, nel modo più improbabile possibile.
Ma il loro non sarà amore, perché il cuore di Hazel è infestato dal veleno della vendetta, che l'acceca e la rende sorda. Nel suo personale inferno infatti, torreggia come un re, fra tutti i mostri, Alexander.
Così mentre una guerra tra gang divampa per la grande mela, e mentre Hazel sente su di sè, la costante presenza di due losche figure che sembrano reclamare il proprio sangue, i due riusciranno finalmente a lasciarsi il fantasma del passato alle spalle, per tornare a vivere?
[DA REVISIONARE]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 23


Il Devil si trovava nel Bronx. Non nel South Bronx, dove le cose erano cambiate dagli anni settanta, con belle villette familiari e tutte quelle cose che rappresentano la normalità e la tranquillità, e nemmeno nella parte centrale. Il Devil era stato costruito più fuori, in quelle periferie in cui niente era cambiato. Ma come dargli torto. Quello che avevano costruito i fratelli Dumbster non era certo un locale tranquillo.
Tra squillo sia al femminile che al maschile, droga della più variegata e ricercata per arrivare al cuore degli affari. 
D'altronde, tutti i grandi condottieri sapevano che vino e donne avevano il loro peso in una trattativa, e questo Alex lo aveva imparata molto bene, quello che si imparava nel tempo invece, era saper riconoscere un ladro da un assassino.

Il viaggio in macchina trascorse tranquillamente, anche perché si erano dovuti dividere.
Alex stava da solo con il suo SUV e altrettanto avevano fatto Sam e Don con il loro.
Nel frattempo si accese la radio, inserì un vecchio cd dei Pink Floyd, The final cut e tamburellando con le dita sul manubrio, si diresse verso il locale.
Il paesaggio notturno sfrecciò lento vicino a lui. 
Le luci, le strade, i semafori, la gente allegra, i vestiti corti, i cappotti pesanti, le facce scure e quelle divertite. Tutto quello sapeva di città, della sua città. New York era tutto per lui. L'amante, l'amara confidente, la mamma e il papà, il sangue, il cuore e i polmoni. Tra quelle vie continuamente trafficate, tra le crepe di quei bestioni di cemento e lo smog, si intravedeva nitida la sua anima, che contemplava la città in un silenzio placido.

Quella fuga di pensieri si interruppe quando fermo al semaforo, riconobbe un viso familiare.
Dall'altro lato della strada, nel marciapiede di sinistra stava attaccato al muro un ragazzo riccioluto, dallo stile eccentrico fatto di borchie e catene, con il viso allagato nel bavero del cappotto di lana, strapieno di toppe dei Clash, dei Sex Pistols, il simbolo dei Dead Kennedys fino a giungere a Joy Division o agli Operation Ivy.

Continuò a fissarlo, fin tanto che anche il giovane se ne accorse e così girò il viso dalla sua parte.
In quel momento, con gli occhi puntati addosso lui si chiedeva chi fosse il vecchio e che cosa volesse da lui. Il vecchio invece, domandava a se stesso dove avesse visto il giovane.
Poi un lampo e il cielo annebbiato nella mente di Alex, venne illuminato.
Quello era quel coglione di Clash, l'amico di Hazel. Quello per cui aveva perso il lume della tranquillità. Hazel era sua, sua e di nessun altro. Questo dovevano capirlo anche gli altri, soprattutto quelli che la osservavano da lontano producendo pensieri poco puliti sul suo corpo. Cristo, poteva toccarla solo lui. Forse doveva farlo capire anche al ragazzo.

Senza pensarci troppo, abbassò il finestrino del passeggero e si sporse verso di lui, fin tanto che il ragazzo potesse sentirlo.

─ Sei Clash, giusto?

Quello, sentendo pronunciato il proprio nome, fece un segno di assenso con il capo, staccandosi leggermente dal muro giallo sporco, pieno di graffi neri e grigi.
Ancora che si guardavano, ma questa volta la distanza era stata azzerata perché il ragazzo era venuto avanti.
─ Sali.

Una parola, detta in modo freddo e distaccato, quasi duro, ma che celava una forza di volontà e una voglia di trattenersi dal mettergli le mani intorno al collo, che il diretto interessato non poteva nemmeno immaginare.
Ma Clash sapeva chi aveva di fronte perché lo aveva riconosciuto e soprattutto per via della pistola che l'uomo aveva volutamente messo in mostra, quando aveva parlato.

Deglutì, lasciandosi divorare dall'ansia e abbagliare dalla luce verde del semaforo.
Aprì piano lo sportello fiondandosi nell'abitacolo con una delicatezza inaudita.
Alex accelerò e in un baleno fu lontano da quel marciapiede.
Clash però si girò a guardare quel pezzo di asfalto sul quale era sicuro, di aver lasciato la vita.

─ Dove stiamo andando?
Il russo, che fino a quel momento se ne era stato in silenzio, mentre rigido puntava lo sguardo fisso sulla strada, al suono della sua voce, si girò di scatto verso di lui.
─ In un posto. ─ ma osservando la faccia spaventata del ragazzo, sentì il dovere di rassicurarlo, ─ su via, nessuno ti farà del male a meno che...tu non ne faccia a noi!

E poi tornò a fissare la strada.
Nella mente di Clash quel "noi" suonò come un campanello di allarme. Tutti sapevano con chi era solito accompagnarsi Alex. Infatti, due minuti dopo, il suo cellulare cominciò a squillare.
Svogliato il russo, afferrò il cellulare e rispose con poco garbo.
─ Che c'è ora?

─ Che c'è ora?! Mi prendi per il culo?! Improvvisamente non riesci a tenere il piccolo russo a bada?!

Alex rise a quella stupida battuta. Ma la cosa non passò di certo inosservata a Sam che irritato se la prese.

─ Ma che cazzo vai dicendo?! E poi non sono affari tuoi!

A quella risposta, il biondo si infervorò ancora di più.

─ Lo sai che questa sera è la sera buona per lasciare questo schifo di mondo?! E invece tu che fai? Beh semplicemente ti metti a rimorchiare e a portare il rimorchio, nel posto più pericoloso del buco del culo. Che cazzo ti dice la testa Alex? A volte non riesco a comprenderti!

L'uomo trasse un bel respiro e poi rispose, concludendo così quello strano scambio di battute.

─ È tutto apposto amico, stai tranquillo.

E poi senza dargli il tempo di continuare a sbraitare, chiuse la chiamata.

A volte trovava l'amico troppo apprensivo, alla stregua di un fidanzato geloso.

Qualche chilometro più avanti e il suono delle quattro frecce impostate per girare a destra, fecero tornare alla realtà Clash, che aveva preferito non pensare a quella conversazione e al volto dell'emittente.
Sentiva il corpo pervaso da brividi di freddo che andavano e venivano ogni qual volta il suo cervello diventava nero come il cielo quella sera.
Poi il motore fu spento e un ammasso di cemento poteva scorgersi all'orizzonte, davanti agli occhi di quei due uomini, che se ne erano rimasti in silenzio, incastrati nei loro pensieri per tutto il tragitto.
Si poteva assaggiare il freddo già da dentro l'abitacolo. L'inverno newyorkese era davvero pungente.
Alex scrollò le spalle e poi chiuse anche l'ultimo bottone lasciato aperto sul davanti del pesante cappotto nero. 
─ Che ci faccio io qui, Alex?

Il russo scattò nella sua direzione, gli occhi saettarono limpidi in quelli del nemico e una risata bassa si alzò dal petto.
─ Visto che mi conosci, saprai anche che non mi piacciono i giochetti e i giri di parole. Allora chiarisco subito le cose. Abbiamo in comune una conoscenza, per te non significa niente per me,─ e lo trafisse assottigliando gli occhi, che divennero duri come la pietra, ─ significa molto.

Ma il moro continuava a non afferrare il senso di quelle parole. Cha cazzo andava blaterando? Eppure credeva che fosse uno a posto, perché il fuori di testa era Sam.

Non ci stava capendo più niente!

La sua confusione non passò inosservata agli occhi del killer, che massaggiandosi l'osso del naso, cercò di trovare le parole adatte. 
Ma non ebbe il tempo perché due fari gialli lo avvisarono della presenza di Sam, che come una furia spense la macchina e uscì da essa.
Macinava passi pesanti, scavando profonde buche sul terreno secco e alzando grandi polveroni di terra marrone mista ad asfalto vecchio, ridotto a pezzi.
Aggirò la macchina e aprì lo sportello dalla parte del passeggero, facendo scattare dalla paura Clash che spiaccicò la schiena contro il sedile in pelle.
─ Dimmi che non è vero! Dimmi che non l'hai fatto veramente! Dimmelo Alex! Oddio che cazzo hai nel cervello, segatura?! ─ e accompagnò le ultime parole con uno scatto della mano che fece chiudere violentemente il portellone del SUV.
A questo punto Alex si rivolse al ragazzo.

─ Aspettami qui e non muoverti per nessun motivo al mondo.

Quello di tutta risposta mosse la testa su e giù, cercando di tornare in se.

Mentre stava per uscire però, frugò nelle tasche del giaccone dello spacciatore, alla disperata ricerca del cellulare, il mezzo che avrebbe potuto usare contro di lui. Poiché aveva già molti problemi, quasi sempre risolti nel peggiore dei casi, non voleva averne altri. 
Definitivamente chiuse la macchina con quel poveraccio dentro, che si stringeva la testa nervosamente, lasciandosi andare ad un respiro frustrato.

Si avvió verso la direzione di Sam, che se ne stava da solo a qualche metro di distanza dalla macchina, sui cui invece, stava appoggiato con il sedere attaccato allo sportello chiuso, un Donovan silenzioso, con le mani nelle tasche del giubbotto blu.
─ Lascialo stare, gli passerà. Fare una scenata adesso non porta a niente di buono.

Quel ragazzo a volte lo stupiva. Se ne stava per l'ottanta percento delle volte in silenzio, a meditare o a guardarsi in torno. Ma quando apriva bocca, quelle poche volte che lo faceva, ti lasciava sorpreso, spesso con l'amaro in bocca. Era come la coscienza, pronta a dirti cosa era meglio fare in quei casi in cui ti sentivi veramente trafitto dal dubbio.
Alex ancora non riusciva a comprendere chi fosse veramente. Sapeva solo che aveva origini scozzesi, che i genitori erano morti e che l'unica sorella, si era sposata con un inglese e ora vivevano felici con due figli, a Manchester. Per il resto niente. C'erano solo quei suoi grandi occhi d'ambra, espressivi e lucenti.

Fece un cenno di assenso e si accinse a superare l'amico, che nel frattempo si era acceso una canna.

─ Ehi testa di cazzo, dove vai senza giacca e ferro? A raccogliere le more in inverno?

La voce saccente e a tratti derisoria di Sam, gli ricordò improvvisamente delle cazzata che stava per commettere.
Lentamente si girò a guardarlo.
Il busto dritto, di chi ha la sicurezza in tasca ormai dalla nascita. I ricci biondi scuri che gli ricadevano cespugliosi sulla fonte, gli occhi piccoli di un nero intenso, furtivi e furbi. Il corpo magro e le braccia portate incrociate sul petto, dove si poteva notare un leggero rigonfiamento del bicipite.
Alex lo superò, dirigendosi verso il cofano della macchina.
Nell'aprire il portello, sentì immediatamente di aver attirato l'attenzione dell'inquilino mal capitato dell'abitacolo.
Senza dargli peso, afferrò la giacca indossandola, dopo aver tolto il giaccone nero di panno.

─ I ferri lasciali in macchina. ─ alzò la voce per permettere agli altri due di ascoltarlo. Infatti Sam colse al volo le sue parole, che con un sopracciglio alzato si diresse verso di lui.

─ Che diavolo vai dicendo? Ma questa sera di grazia, ti sei per caso bevuto il cervello?
Ma Alex continuò a fare quello che stava facendo - ovvero montare i caricatori alle varie mitragliatrici - senza badare alle sue parole. Poi dopo aver finito di contare i caricatori rimasti, si girò verso la direzione del biondo.

─ Donovan, tu sai perché non dovremmo portare le armi?

Il ragazzo che fino a poco prima era rimasto in disparte, si scoprì felice nel sentir ricevere su di se un po' di attenzione.
Subito gonfiò orgoglioso il petto, mentre Sam lanciava scariche di ira da tutti i pori.

─ Ci fermerebbero all'entrata e ce le sequestrerebbero. In questo modo non riusciremmo mai a entrare.
Alex allargò le braccia con un sorriso sulle labbra, di chi ancora una volta, aveva vinto.

All'esterno quel locale preannunciava il posto giusto per i peccati di letto.
Un casermone alto, con le pareti in vetro che andava dal rosso per poi schiarirsi e approdare al bianco. La porta di ingresso veniva sorvegliata a vista da un buttafuori che avrebbe impallidito anche la montagna del Trono di spade.
I tre si erano posizionati in fila, distanti di qualche metro dall'entrata e dalla messa a fuoco del bodyguard.

─ Questo Damon non l'aveva previsto! ─ se ne uscì Sam, dopo un periodo di impettito silenzio che era caduto nel vedere la porta sorvegliata, mentre buttava con rabbia il mozzicone della canna che si era appena fumato da solo.
─ E' un locale pubblico, devono farci entrare. ─ rispose Donovan, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Gli altri due si girarono a guardarlo. Sbigottiti per la cazzata appena pronunciata. Poi tornarono al buttafuori.
─ Andiamo. Se ci dicono di andarcene, allora passiamo dal retro o ci arrampichiamo, insomma troviamo un fottutissimo modo di entrare in quel locale che già mi sta sul cazzo.
─ Oppure mio caro Alex, compriamo il buttafuori.
Detto questo, decisero di optare per la soluzione migliore che gli si presentava al momento.
Di diressero così, verso l'entrata. La fila era lunga, piena zeppa di tipi strambi, con la faccia losca.
L'aria si stava facendo sempre più rigida e ogni volta che qualcuno parlava, una nuvoletta di condensa usciva dalle labbra, librandosi in aria come fumo bianco.
I tre se ne stavano attenti, guardinghi, stretti nelle loro giacche di pelle, pesanti come il piombo per il loro significato simbolico. 
Sam saltellava su un piede e poi sull'altro, nervoso, anche se non l'avrebbe mai ammesso. 
Donovan se ne accorse prima di Alex. 
Mentre la fila scorreva, prima che Sam potesse muovere soltanto un passo, lui gli cinse con una stretta sicura il braccio. A quel punto il biondo si girò a guardarlo, con quei suoi occhi famelici in cui ci si perdeva, per quanto profondi fossero. Sam gli piaceva davvero tanto e aveva imparato a volergli bene, nonostante la mente immersa nel mare più oscuro. Forse gli piaceva proprio perché rappresentava una caratteristica del suo essere che difficilmente sarebbe venuta fuori. Dall'altro lato, guardando quegli occhi profondamente disturbanti, si sentiva in colpa. Una colpa data da i segreti che custodiva geloso e ingrato dentro di se.
Si guardarono fissi negli occhi. 
Era come se si stessero trasmettendo tutta la forza di cui avevano bisogno. 
Sam aveva imparato ad assorbire un altro tipo di sentimento, diverso dalla rabbia o dalla tristezza. Era qualcosa che lo faceva stare bene, rilassato, quasi in pace con se stesso e tutto questo senza dover torturare qualcuno. Quando si trovava vicino Donovan sentiva dirompente dentro il petto, nascere il dovere di proteggerlo, custodirlo e se capitava, anche curarlo.
C'era una cosa che lo lasciava perplesso più delle altre, il fatto che ogni qualvolta si immergesse nei suoi occhi, si sentiva a casa. Era come stare nel limbo tra gli ubriachi e i lucidi. Ecco come si sentiva, brillo. Brillo del suo profumo, della sua anima e del suo sorriso. Brillo, ubriaco di lui.

Non perse tempo con i convenevoli, gli bastò un attimo e gli afferrò la nuca, stringendo i capelli neri in un pugno e catturando in un bacio rabbioso le sue grandi labbra.
Alex li osservò senza farsi vedere e per un attimo provò invidia per loro. 
Si vedeva lontano un miglio che Sam era perdutamente innamorata di lui, anche se non l'avrebbe mai ammesso a nessuno. Avrebbe mentito a tutti e a se stesso, perfino a se stesso.
Ma la cosa che più gli faceva male nel guardarli, era che Sam aveva trovato quella persona che tutti noi cerchiamo per tutta la vita. Donovan era la sua esatta metà. Era silenzioso, in alcune situazioni timido e sensibile, un animo così differente, così puro rispetto a Sam, rispetto a quel mondo fatto di violenza e sangue. Serrò la mascella, infilando ancora più a fondo le mani nel giaccone anni ottanta di pelle. Inspirò profondamente l'aria gelida, iniettandosela fin dentro lo stomaco, se era possibile. Era stanco, stanco di quella vita, doveva ammetterlo. Perfino guardando quella ragazza dal culo scoperto per il vestito troppo corto, che senza pensieri se la rideva per qualcosa di stupido, senza la pressante e onnisciente preoccupazione di guardarsi intorno, di controllare i gestiti, perché una parola in più avrebbe significato morte certa, pericolo. 
─ Piccioncini mi dispiace disturbarvi ma dobbiamo andare, tocca a noi. 
Solo allora, sentendo la voce atona di Alex, i due si staccarono lentamente, lanciandosi un ultimo sguardo, mentre Donovan gli ribadiva ancora una volta che avrebbe ricevuto sempre il suo appoggio, il braccio su cui sorreggersi.

Entrare non fu semplice, ma questo criminali d'eccezione come loro, lo avevano già previsto.
Quando il buttafuori poggiò una mano con fare severo sulla spalla di Alex, la recita cominciò.
Innanzitutto il buttafuori e Alex si portavano qualche centimetro di differenza e questo rappresentava, a primo avviso, un punto a loro favore. Ma tutto finiva lì.
─ Documenti, prego.
Nel momento in cui gli fecero vedere i documenti, qualcosa mutò.
L'aria si fece spinosa, quasi soffocante, nonostante il vento freddo.
Un altro uomo uscì dalla porta principale, che tutti riconobbero come uno stretto collaboratore di Patrick, dato il fazzoletto rosso usato come bandana, simbolo del clan. Era di media statura, ma aveva tutta l'aria di essere un vero e proprio rozzo di campagna. Indossava degli stivale a punta, da cowboy pitonati, vistosi e alquanto rumorosi. La giacca nera di pelle targata anni novanta, che gli arrivava fino a sfiorare i polpacci. Le mani callose erano tempestate di anelli di ottone, d'argento e quello che aveva stampato il simbolo del clan, un serpente assonagli, era invece d'oro. Faceva paura, ribrezzo. 
Damon gli aveva parlato di lui. 
Si chiamava Raul, era di origine messicane ed era divenuto il nuovo beta di Patrick, dopo che Sam e Alex avevano sbaragliato la concorrenza. 
Il biondo sorrise sornione, riconoscendo l'ampiezza della loro fama.
─ Ho il piacere di parlare con...?─ e lasciò la frase a metà, aspettando che l'altro continuasse, il tutto condito con un forte accento ispanico.
Alex si schiarì la voce e si presentò, cercando di rimanere il più freddo possibile.
─ Alexander Nikolaij e tu devi essere Raul.
Lo stava sfidando, era da pazzi lo sapeva benissimo, ma doveva marcare il territorio, fargli capire che era lui a tenere le redini del cavallo e non viceversa.
Raul sembrò recepire molto bene quel messaggio. La mascella folta, coperta dalla barba nera, fu serrata mentre negli occhi, una scintilla di odio si accese prepotente.
Da dietro Sam, con le braccia incrociate, se la rideva pensando a come sarebbe stata elettrica quella serata.

─ E sentiamo...Alexander Nikolaij del club dei lupi verdi...che cazzo vorresti da me?
Come prevedibile, l'uomo stava già perdendo le staffe.
Raul infatti, con un sorriso sornione sul muso non riusciva lo stesso a mascherare il tono di fastidio nella voce.
─ Io e i miei amici laggiù, ─ e si girò per indicare Sam e Don, mentre il primo cominciò a salutare in palese gesto di derisione verso i messicani, per poi riprendere il discorso, ─ siamo venuti qui per una bevuta colossale e una, forse anche due, sane scopate. E' forse un problema per voi, Raul della Rivera?
Il messicano sembrava un torero pronto alla corsa.
Inspirava e espirava dal naso rumorosamente, cercando di trovare quella calma che non gli apparteneva, essendo lui un tipo impulsivo. 
Tutti si aspettavano di vedere la sua prossima mossa.
Tutti pensavano se sarebbe stato all'altezza del suo predecessore, di Valentine.

Ma quando stava per barcollare verso l'ira, improvvisamente parve riprendersi, montando su, un sorriso di vittoria.
─ Allora non avrete problemi se il mio uomo vi perquisisce, signor Alexander? ─ gli fece il verso lui, cercando di irritare il russo senza alcun risultato. Alex rimaneva fermo al suo posto, dentro felice perché stava andando tutto secondo i piani.

Dio che pezzo di imbecille che sei Raul!

Come annunciato, il buttafuori prese a toccargli ogni parte di corpo, facendogli allargare le gambe e le braccia. Sentiva il forte odore di mentolo di quella montagna di uomo e quello di borotalco dei vestiti puliti, soffiargli sulle narici del naso.
Quando aveva finito e non aveva trovato niente, nemmeno un coltellino svizzero, nemmeno la sua amata picca, Raul fu costretto a farlo entrare, a farli entrare tutti e tre. Quando Sam gli passò davanti, con un sorriso strafottente stampato sul viso, Raul non pote fare altro che aspettare il momento giusto per fargliela pagare. Rincuorato da questo pensiero, si diresse di nuovo dal posto in cui era uscito, con una carica in più, che nemmeno il sesso sembrava dargli.

Intanto i tre - seguita la cameriera dalle gambe lunghe scoperte e il sedere sodo, messo in risalto da uno short striminzito in denim - si sedettero ad uno dei tavoli vicino la pista, mentre al centro alcune ragazze si divincolavano su un cubo, altre invece aiutandosi da un palo, cercando di sembrare desiderabili e facendo scoppiare una passione erotica nei pantaloni di quegli uomini affamati. 
La cameriera prese le ordinazioni - piña colata per Sam, Sex on the beach per Don e vodka per Alex - se ne andò, muovendo sinuosamente i fianchi mentre catalizzava su di sé l'attenzione di molti occhi maschili. 
─ Forse se fossi stato etero, le sarei corso dietro sbavando. Ma per fortuna sono gay. ─ proruppe Sam con quel suo tono da saccente. Alex scosse divertito la testa, spostando l'attenzione sulla cameriera che si faceva largo tra i tavoli. Si, certo aveva un gran bel sedere ma il fatto che lo ostentasse solo per attirare attenzione, lo disgustò e non poco.
Il suo cervello corse alle due donne che abbagliavano il suo presente.
Da un lato c'era Maria, che non aveva bisogno di ostentare la sua bellezza, le sue forme. Apparivano al primo sguardo, così come i suoi setosi capelli lunghi.
Dall'altro lato, c'era Hazel. Lei era tutta un'altra storia. Lei era soffocante, per lui. Certo era una di quelle ragazze che per causa propria passava inosservata, ma se si faceva notare, restavi semplicemente basito e interdetto. Per fortuna che in un mondo come quello, lei sarebbe passata inosservata. Una sorta di ombra, dietro tutte quelle luci.
Quando perse il contato visivo con il corpo della cameriera, i suoi occhi si incrociarono con un uomo. Aveva qualcosa di familiare. Certo alla penombra non riusciva a vederlo bene, ma si accorse della scintilla di malizia nei suoi occhi scuri. Per un attimo si sentì a disagio, però questo non lo destò dallo smettere di guardarlo.
Sam disse qualcosa, ma lui non pote sentirlo, troppo preso a combattere quella battaglia silenziosa fatta di sguardi languidi, veri dell'uomo, falsi da parte del killer. 
─ Come? 
Sam prima guardò distrattamente il tavolo basso del locale, poi si rivolse a lui.
─ Dico che il fratello di Raul, non ti stacca gli occhi di dosso da quando quella troietta ci ha portato al tavolo.
Però non riuscì a comprendere appieno la sfumatura celata dietro quelle parole. Che era interessato a lui, questo il russo lo aveva capito benissimo, quei sguardi non si lanciano di certo ad un amico, ma che ci fosse dell'altro, questo sembrava saperlo solo Sam, che intanto con la coda dell'occhio guardava da lontano il piccolo messicano.
Poi qualcosa si fece più nitido. Alex arrivò alla conclusione che non erano lì soltanto per spiare il nemico, ma per avere da lui qualcosa di concreto.
─ Che ti ha detto Damon a proposito di questa pacifica visitina?
Sam si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo, che era a metà di un sorriso sardonico.
─ Oh russkiyora capisco perché il lord ti ammira così tanto. Sei intelligente, sveglio, hai degli occhi bellissimi e sarai portato anche e letto! 
─ Sam...ti ringrazio, ma la domanda era un'altra. ─ rispose fermandolo, seccato. 
Il biondo sapeva benissimo di averlo infastidito con quei suoi complementi, così facendo schioccare la lingua sul palato, si accomodò sul divano schiacciandovisi contro, quasi scomparendo sotto la morbida spugna. 
─ Dobbiamo far cadere Patrick, colpendo Raul. Dobbiamo far vedere chi comanda chi.
Al suono di quel nome Alex serrò la mascella. Allora avevano ipotizzato bene, quella sera sarebbero usciti dentro un sacco nero.
In un gesto meccanico, aprì il primo bottone della camicia nera, sentendo la pesantezza arrivargli come una valanga sulle spalle.
Per la prima volta nella sua vita, guardando quel ragazzo che tentava invano di flirtare con lui, si sentì in colpa. Sentiva che stava per fare qualcosa di sbagliato. Uccidere così un innocente.
Mentre formulava queste idee nella mente, la tasca del giaccone prese a vibrare.
Mise la mano dentro di essa, accorgendosi subito dopo, che quello era il cellulare di Clash perché il suo stava nella tasca dei jeans neri.
Non doveva farlo, sapeva bene che quello era violazione della privacy, ma se si metteva a guardare a tutte le volte che aveva trasgredito la legge...

Da Hazel:
Ehi, dove cazzo stai? Mi servono le pasticche! Dieci minuti a casa mia. Sono sola.

Leggere quei messaggi fu come ricevere uno straziante K.O. ed essere semi-coscienti sul ring, mentre tutti acclamano il vincitore che purtroppo non sei tu.
Si accorse che ce n'erano diversi di messaggi e anche alcune chiamate perse, ma lui per la troppa confusione, non aveva udito nessuna nota di notifica. 
Strinse i pugni sotto il tavolo, mentre non si lasciava sfuggire nemmeno una sfumatura di emozione sul viso.
Decise di stare al gioco. Di far finta che fosse Clash e vedere fino a che punto si fosse spinta lei.

Da Clash:
Non posso adesso. Tra un'ora sei ancora a casa?

In quel momento si sentiva come una bomba a mano.
Era stata staccata la sicura e aspettava soltanto di essere lanciata, mentre veniva stretta con audacia nella mano dell'onnisciente destino. Il cellulare vibrò di nuovo e prendendo un grande respiro, si accinse a leggere la risposta.

Da Hazel:
Non puoi proprio? Non ce l'ha faccio più, ho la testa che mi scoppia!

Certo, poverina aveva la testa che gli scoppiava. Gliel'avrebbe fatta passare lui il mal di testa. Stava per esplodere, lo sentiva, soprattutto le viscere che avevano preso a bruciare.
Fu strattonato da quei pensieri grazie all'arrivo di quella camaleontica ragazza. Finalmente la cameriera si era ricordata di loro e gli aveva portato le ordinazioni.
La seguì con lo sguardo, mentre fletteva i muscoli delle braccia, spostando i bicchieri dal vassoio in alluminio argentato, fino al tavolo. Per poi cadere sulla scollatura del top bianco, che lasciava intravedere, oltre al solco dei seni, anche una leggere porzione del reggiseno in pizzo nero.
Lei se ne accorse, ma non fece niente se non sorridere come a complimentarsi di se e poi quando si era saziato, sollevò lo sguardo sugli occhi verdi.
─ Potrebbe portarne un altro?
Lei prontamente, dopo aver recuperato il vassoio, gli rispose.
─ L'altro lo paghi però, lo sai vero?
Alex gli sorrise, sfoggiando uno dei suoi indomabili sorrisi maliziosi.
Semplicemente stava al suo gioco. Lei lo stava stuzzicando e lui rispondeva senza esserne da meno. Chi sa perché, ma pensò bene di prendersi una piccola vendetta nei confronti della biondina, che invece, a quanto pare, sapeva fare meglio di lui.
─ Ma certo...─ poi scansò i capelli castani che gli erano ricaduti sul seno, nel chiaro intento di sentire il nome della ragazza, lasciando quindi a metà la frase.
─ Scarlett. ─ disse lei, questa volta girandosi di spalle e incamminandosi, ancheggiando con quelle sue gambe toniche e abbronzate, di chi faceva palestra tutti i giorni.
─ Meglio la biondina, anche se questa ha il suo perché! 
Un'altra fantastica caratteristica del riccio, era questa sua magica caoacità di rovinare i momenti più belli. 
─ E sta zitto per una buona volta!─ gli rispose Donovan, lanciandogli la carta delle sigarette.
Lui invece alzò le spalle e cominciò a sorseggiare il cocktail.
─ Basta cazzeggiare, dobbiamo trovare un possibile modo per rapire Raul.
A questo punto l'atmosfera cambiò. Tutto si fece più grave, austero.
─ Come arrivarci è semplice. Juan de la Rivera è la risposta. ─ detto questo, finì il drink e guardò fisso Alex, con quel suo solito sorriso strafottente sulle labbra.
Dal canto suo, il russo era contrariato. I gay erano apposto, si vivevano la loro vita e per lui potevano fare qualsiasi cosa, pure adottare un intero orfanotrofio. Ma quando quel pianeta, finiva per convergere vicino al suo, beh tutto cambiava.
Si disse che avrebbe dovuto farlo, solo ed esclusivamente per il clan e soprattutto per non rimetterci lui, la vita.
Tutto a un tratto quei sensi di colpa che aveva provato solo pochi minuti prima, sparirono come sabbia al vento.
Si scolò in sorso solo il bicchiere di vodka, come se fosse stata acqua. 
─ Che rimanga tra noi. Una parola e devi cambiare sesso. ─ e nel pronunciare queste parole solenni, puntò il dito contro Sam, che alzò le braccia in un un finto gesto innocente.
Ispirò profondamente dal naso e poi cominciò a percorrere lo spazio della pista che lo divideva da Juan.
Quando gli fu finalmente vicino, fece finta di niente, come se fosse venuto lì solo per un altro bicchiere. Si mise ad osservare distrattamente quello che aveva intorno, nell'attesa che il messicano spiccicasse una parola. Diciamo che aveva deciso che a fare la prima mossa fosse stato compito del ragazzo e non il suo. Aveva paura di sbagliare tutto, dato che non si era mai approcciato ad un uomo, ma solo con donne. Quella era per lui la prima volta e sperava anche, che fosse stata l'ultima.

─ Bella serata, vero?
Ecco qui che quell'allocco era abboccato. A quanto pare, uomini e donne, etero o gay, sotto quel punto di vista eravamo tutti uguali.
Alex si girò finalmente con lo sguardo verso di lui, sfoggiando quel sorriso da marpione che metteva su quando flirtava.
─ Sì, anche se preferirei di gran lunga un bel concerto dal vivo. Sai, chitarre, bassi, ─ poi gli fece l'occhiolino e riprese quel monologo, che alla sue orecchie suonava così singolare, ─ pantaloni di pelle.
Aveva attirato la sua attenzione. Si era mostrato il cattivo ragazzo della situazione, dagli occhi chiari e dai tatuaggi, fingendo anche di provare piacere nell'attività sessuale più estrema.
In un attimo ricordò i discorsi di Sam, sulla frequentazione assidua di quei posti che Alex trovava "la realtà, dietro la finzione". I circoli BDSM, con tecniche al quanto singolari, talmente erotiche da oscurare le menti di chi le praticava. Si chiamava "La tana del lupo". Ironico, però. 
Così presero a parlare di loro stessi. Il russo stava lì, ad ascoltarlo, ogni tanto lanciava occhiate alla cameriera o alle ballerine, valutando che le gonnelline erano davvero troppo corte, mentre gli rifilava una montagna di cazzate.
Poi stanco, disse che doveva andare un attimo in bagno. Così, scansando tutti quegli uomini sudaticci e quelle donne vogliose, trovò il bagno. Vi entrò notando che c'erano diverse porte scure. Di nuovo si guardò intorno, questa volta notando che Juan gli era corso dietro. Deglutí, sapendo già cosa stava per accadere. Quando sentì la serratura della prima porta scattare, rientrò in se, notando in oltre con piacere, che il bagno era stato occupato da Don.
Quando lo vide, cominciò a lampeggiare un aiuto con gli occhi e sperò vivamente che lui avesse capito. E fortunatamente fu così, perché Donovan mosse su e giù la testa, in un gesto impercettibile, anche per lui che gli stava davanti.

Appena il moro ebbe girato l'angolo, si chiuse velocemente in bagno. Non doveva fare niente, voleva solo restare solo per un po'. Sí, ma con quello dietro la porta era difficile, se non impossibile. 
Si passò una mano nei capelli, in un gesto tipico di chi è nervoso, scuotendoli per bene, per poi abbassarle lungo il corpo, come pezzi di carne inanimati. Ed infine abbandonò la nuca sopra la porta liscia della porta nera.
Stesse in quella posizione per svariati minuti, poi si decise ad uscire da quel rifugio di pace che emanava uno sgradevole puzzo di piscio stantio. Per un attimo in quel bagno si era perso ad ascoltare le voci nella sua testa, che gli dicevano che tutti hanno dei segreti, che tutti mentono per un motivo che può essere buono o cattivo, e che se Hazel lo aveva tenuto all'oscuro di quella sua dipendenza da droghe, aveva le sue ragioni. C'era da dire che anche lui aveva le sue rispettabilissime ragioni. Non sarebbero mai giunti ad una conclusione. Tirò lo sciacquone e l'acqua prese a diventare un mulinello, che divenne dello stesso colore bianco sporco della ceramica del water. Fece scattare il chiavistello della porta ed uscì.

Juan era lì che lo aspettava trepidante e quando lo vide uscire, con lo sguardo basso e l'andatura altalenante, di chi ha passato un intera giornata a lavoro, piegato su una macchina, ma nonostante questo ostentava quella sua durezza di spirito, quell'eleganza che lo elargiva a uomo perfetto ai suoi occhi, gli si mosse qualcosa nella viscere. Lo voleva. Voleva che le sue mani si adagiassero feroci su tutta la sua pelle. Voleva sentire il dolore, il piacere. Lo colse di sorpresa, lo mise all'angolo, facendolo sbattere contro il legno duro della porta. 
Alex rimase interdetto e sorpreso. Pregò con tutto il cuore che quello stronzo di Sam arrivasse. Però così non fu. 
Intanto Juan prese a baciarlo sulle labbra, in un bacio voglioso, scendendo poi sul collo. Sentì il dito di lui percorrere in lungo il petto, in una carezza languida, con gli occhi che erano divenuti due pietruzze marroni, offuscate dalla lussuria. Quel dito birichino si fermò poi sulla cintola, insinuandosi tra il bottone coperto dalla cinta di cuoio nero e l'elastico dei boxer.
A quel punto Alex si sentì sotto pressione, con le spalle al muro, nel senso letterale del termine.
Si ritrovò a deglutire e a cercare con gli occhi la figura amica di Donovan e quella di Sam, varcare quella maledetta porta, che divideva il bagno dalla sala. Niente, anzi era stata pure chiusa a chiave. 
Una goccia di sudore cominciò a scendere dalla tempia, fredda come le sue mani e congelata come il suo corpo in quel momento. Ogni muscolo infatti, era in tensione, contratto, tutto un fascio di nervi vestito di nero.
Poi un leggero brusio e la porta che prese a fare rumore. Qualcuno stava bussando.
Si accorse che aveva smesso di respirare, fino a quando Juan si allontanò da lui, visibilmente infastidito dall'estraneo che lo aveva interrotto nel bel mezzo del lavoretto che stava per fare.
Alex fu veloce a riagganciare la cinta e la patta, per poi scansarlo e avvicinarsi verso la porta.
Juan era passato dall'incazzato al perplesso. Non riusciva a capire che cosa avesse sbagliato nei confronti di quell'uomo.

─ È occupato! 
Alex si girò nella direzione di Juan, sotterrandolo con un solo cocente e tombale sguardo.
Il messicano però, essendo abituato a riceverle sempre e solo vinte, ottenendo sempre tutto quello che desiderava, lo guardò con gli occhi dell'uomo più sicuro di se, atteggiandosi a duro.
Era più stupido di quanto Alex pensasse. 
─ Scusate ma il mio amico si sta sentendo male. Non vorrei che vomitasse per tutta la sala.
Sam.
Lo avrebbe riconosciuto anche a distanza di chilometri.
Nella sua mente suoni di campane in festa cominciarono a echeggiare.
Era fatta, ora doveva solo aprire quella cazzo di porta, portare il moro fuori da quel locale e fargli fare una bella nuotata nell' Hudson. 
Senza dargli tempo di rispondere, fece scattare la chiave nella toppa e lasciando che i due fidati collaboratori entrassero.
La cosa che vide per primo Juan fu un ragazzotto dai capelli biondi con occhi spiritati e un sorriso sinistro a deformargli il viso. Poi un altro ragazzo, che sembrava seguirlo come un cagnolino, dagli occhi stanchi e compassionevoli. Deglutì, perdendo un po' del suo orgoglio, messo in mostra pochi secondi prima con il tipo che aveva abbordato.
─ Juan, giusto? 
Fece si con la testa, completamente assorto nei suoi pensieri. Qualcosa gli diceva che non sarebbe andata a finire bene quella storia, perché se il biondo, di cui lui, a differenza sua, non sapeva nemmeno il nome, conosceva il proprio di nome, allora il vento che proveniva freddo dalla porta appena aperta del bagno, sapeva di morte certa. 
Come a volere un segno di approvazione, guardò il viso per niente spaventato e quasi rilassato di Alex. 
Era finita.
─ Mio caro, se non vuoi farti male, ti conviene seguirci, in silenzio. 
E così fece.
Li seguì, lungo quella sala che per la prima volta nella sua vita la sentì troppo affollata, rumorosa, asfissiante. Cercò con lo sguardo suo fratello, ma non lo vide. Rassegnato al suo destino, chinò il capo, cercando di non piangere e di non farsi vedere debole. Poi uscì, solo con il maglioncino a coprirlo dal freddo, che sentiva amplificato sulle ossa.

Sam camminava davanti, ogni tanto si girava a vederlo, poi tornava alla strada. Non era mancato però, prima di uscire dal locale, di lanciare un occhiata divertita a quei buzzurri dei messicani, fidati servi di Raul.
Dentro di se, sperò che avessero capito a cosa alludesse. Quella sera era in vena di festa e divertimenti. 
Alex invece faceva da chiudi fila, non lasciando mai gli occhi dalle spalle di Juan.
Quando arrivarono in prossimità della macchina, il giovane messicano si bloccò, come se i piedi fossero stati cementati lì sul posto.
Allora il russo gli diede una spinta, nel tentativo di farlo proseguire, poggiando il palmo aperto dietro la schiena.
Juan aveva gli occhi lucidi, questa volta non per la lussuria. 
Si incamminarono fino ad arrivare alle loro auto parcheggiate lontano dalla visuale del locale.
Poi improvvisamente Sam si incamminò verso il messicano, fermandosi di fronte e passando le mani sul suo corpo palestrato alla ricerca del telefonino. Quando lo prese dalla tasca posteriore dei jeans Armani, lo buttò per terra e cominciò a calpestarlo. Sul vetro dello schermo cominciò a disegnarsi una crepa a tela di ragno, e più veniva calpestato e più il cellulare si andava via, via, facendo in mille grandi pezzi.

─ Allora, mio caro mangia fagioli, ora io e te, ci faremo un bel viaggetto in macchina.
Il sorriso che mise sul viso fu uno dei più inquietanti e radioso, nello stesso tempo. Quel sorriso che Sam metteva su, quando immaginava cosa avrebbe fatto alla sua vittima.
Juan invece, aveva gli occhi spalancati, su cui vi era tatuata la paura, mentre le labbra chiuse, gli tremavano appena. Stava cercando con tutta la forza di cui era dotato, di non scoppiare a piangergli in faccia. Si sentiva un pesce rosso, in un mare navigato da squali.
A quel punto soddisfatto di se, Sam aprì lo sportello nero del SUV e con il gesto della mano, lo invitò ad entrarvici. 
Si nutriva della sua paura, quel sadico pazzo, e il ragazzo più cercava di nasconderla e più quello sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, quasi mandandole a fuoco.
Mentre il ragazzo entrava in macchina, Donovan lesto, prendeva le pistole "d'ordinanza" passando poi la Glock a Sam, che con un'occhiolino lo ringraziò prendendola.
Stava per fare il giro dell'abitacolo e un colpo lo colpì di striscio sull'orecchio destro, facendo fuoriuscire una goccia di sangue vermiglio.
Si toccò distrattamente con l'indice l'orecchio, costatando che si era macchiato di rosso, cominciando a sentire la rabbia alzarsi dai piedi e arrivare su, fino all'ultimo capello.
Mise la mano con impugnata la pistola davanti il petto e cominciò a far piovere piombo.

Nel frattempo Alex, sentendo i primi spari, cominciò a correre nella direzione del suo abitacolo, proteggendosi la testa, come meglio poteva, con la schiena leggermente abbassata.
Quando arrivò nella sua direzione, si attaccò ansimante sul portellone del cofano, aspettando che le acque si calmassero un po'. 
L'odore della terra e della notte, venne impregnato dall'aspro profumo della polvere da sparo. 
Le orecchie di tutti i presenti, in quel quadro di devastazione, furono percorse da un fischio regolare, tranne a quei uomini a cui avevano donato la propria vita alle armi.
Regolarizzando il respiro, Alex cominciò, sempre stando attaccato alla carrozzeria nera del SUV, a muoversi per arrivare al posto di guida e mentre lo faceva, mise una mano nella tasca della giacca, alla disperata ricerca delle chiavi. Quando le trovò, con altrettanta scaltrezza, premette il pulsante di apertura, rilasciando un amichevole bip, seguito dalle sfavillanti quattro frecce.
Sentì come ovattati gli spari risuonargli intorno, mentre un colpo vigliacco, sfiorò il polpaccio destro. Rapido aprì lo sportello del guidatore e vi si ficcò dentro. Un grido di dolore, compresso nei polmoni, uscì dalle labbra, quando si sentì al sicuro.
Guardò Clash, che nel frattempo si era rannicchiato sotto il sedile che lo osservava terrorizzato e spaventato. 
Prese poi dal porta oggetti la glock nera, che lo aveva accompagnato per tutti quegli anni ed infine la sua amata picca, che andò a sistemare nella tasca posteriore dei pantaloni.
Fece scattare la sicura della pistola, diede un ultimo sguardo al ragazzo e poi uscì, in quell'inferno di proiettili volanti.

Dall'altra parte invece, la coppietta aveva sgusciato verso la parte posteriore del veicolo per andare a prendere l'artiglieria pesante, non curandosi nemmeno dei colpi.
Quando il portello del cofano venne poi abbassato, Sam senza nemmeno provare a coprirsi, uscì allo scoperto, andando incontro ai messicani, che reclamavano il piccolo Juan.
Il sorriso gli era tornato sul viso, ma questa volta era anche più tetro del precedente.
Sentiva i peli sulle braccia e sulle gambe - che nonostante fossero coperti - alzarsi e il sangue diventare adrenalina pura, come se avesse ingerito della droga pesante.
Quella sensazione gli piaceva parecchio, perché solo in quei momenti capiva cosa volesse dire essere Dio. Nelle sue mani, veniva scritto il destino infernale di quei corpi massicci di quegli uomini, che stavano mano a mano cadendo e questo grazie anche all'aiuto del russo.
In un incrocio di occhi, i due diedero il via alla danze.
Così mentre Sam suonava un valzer lento, Alex se ne andava a scegliere la compagna perfetta per quel momento, impugnando una mitragliatrice tutt'altro che leggera. Donovan infine, teneva sotto stretto controllo quel poveraccio di Juan, che frignando, lo pregava affinché non lo uccidesse.
Quando anche il moro affiancò l'amico in quella sinistra crociata, gli ultimi residui dei conquistatori caddero come mosche stecchite, inzuppando la terra di lurido sangue zampillante. Tutti tranne uno, che finite le munizioni alla pistola, abbassò l'arma, in un chiaro segno di resa.
Ognuno di quegli uomini dal sangue messicano, aveva segnato sul corpo almeno tre buchi. Quasi tutti confluivano al polpaccio e all'addome. Le facce scure invece, erano contratte da smorfie di dolore lampante, che era durato giusto il tempo di farglielo assaporare.
A quel punto, un'altro intenso odore andò ad aggiungersi al campo di battaglia. 
Ormai il dolce odore della terra secca, aveva abbandonato la notte, su quei splendeva una lucente luce bianca.

─ Che c'è Raul, ora non ridi più?
Detto questo, il biondino scoppiò in una sadica risata da mostro per poi placarsi subito dopo.
Raul nel frattempo, per niente intimorito dal biondino, si girò a guardare Alex, sudaticcio e con una faccia come uno sporco lenzuolo bianco.
La ferita gli pulsava e gli lanciava fitte di dolore a intermittenza.
Quando l'adrenalina se ne era ormai andata, quel dolore era riemerso più vorace di prima.
Stava sanguinando, lo sapeva perché sentiva indebolirsi ogni secondo che passava stando in piedi, senza fare niente per fermare la fuoriuscita del liquido. Aveva imparato che prima veniva sempre il dovere e poi tutto il resto, come in una scala gerarchica. In quel momento, strinse i denti e decise di far fare tutto a quel cazzone di Sam, che nel frattempo sembrava entusiasta dell'idea.

─ Puoi fare tutto quello che vuoi su di me, anche torturarmi...ma lascia stare mio fratello. Juan non sa niente di tutto questo.
Nella voce di Raul trasparì una leggera agitazione, resa alterata dal suono cadenzato dell'accento ispanico. Si vedeva che teneva veramente molto a suo fratello. Il modo in cui lo guardava, il modo in cui cercava anche se imponente di proteggerlo. Ma quella tenerezza umana, era pane per i denti marci di Sam. 
Con poche ma grandi falcate, arrivò a Donovan che teneva in custodia il ragazzo. Quest'ultimo nel ritrovarselo di fronte, prese a singhiozzare energicamente, fino a pisciarsi addosso dalla paura.
Sam sentì quel tanfo di piscio e scoppiò a ridere, mentre sulla faccia di Don, si disegnò una smorfia di disgusto e fastidio.
─ Non sono venuto quei per te, mio caro Raul. ─ completò la frase, girandosi di nuovo nella sua direzione. 
Il messicano deglutì, mentre quella troppa vicinanza con il prezioso hermano, non fece altro che aumentare il suo terrore. 
─ E per chi sei venuto, allora?

Un urlo squarciò il silenzio placido di quella notte.
Un urlo disumano, dettato dal più atroce del dolore.
I tre erano venuti lì per mettere in mostra la loro superiorità e con quel gesto si erano fatti intendere molto bene.
Juan giaceva a terra inerme, immerso in un lago di sangue, che si era andato ormai a mischiare con la terra, creando un impasto non definito.
C'erano delle lacrime fresche sulle sue guance; intorno agli occhi invece, delle lacrime secche, vecchie.
Raul era in ginocchio, a piangere. Era come se gli dicesse "voi sapete fare i cattivi meglio di noi". Come se si fosse arreso all'evidenza.
Poi Alex alzò il braccio, puntò l'arma alla sua testa e con tutta la forza che gli rimaneva, premette il grilletto. Quella sera i corpi sarebbero stati lasciati così, sorvegliati dalla luna e dalle stelle. 
In un incertezza di passi, mise supino il corpo che era caduto di faccia di Raul e senza chiudere gli occhi spalancati, posizionò due monete, quelle con la croce celtica disegnata. La loro firma.
A quel punto il russo voleva solo andare a dormire, ma aveva ancora troppe cose in sospeso da mettere a posto. Uno su tutti: il coinquilino dell'abitacolo. 
Salutò con un cenno del capo Sam e Donovan, che nel frattempo stavano spostando il corpo vicino a quello di Raul e si incamminò verso il SUV.

Si sedette sul sedile di pelle lucidato e profumato di frutti di bosco, inserendo la chiave nella toppa del cruscotto e si rivolse poi al ragazzo, mentre abbassava il freno a mano, pronto a partire.
─ Puoi alzarti ora, punk!
Come se fosse stato un ordine che arrivava direttamente dal generale dispotico dell'esercito, si rimise seduto composto sul sedile, allacciandosi pure la cintura di sicurezza.
─ Ora vuoi dirmi che ci faccio qui e che vuoi da me?
─ Calma tesoro, andiamo in un posto e tutto ti sarà spiegato.

Poche ore dopo, Clash si ritrovò a varcare la soglia di Central Park.
Il parco era grande, da dividere uno spaccato di città a metà. E poi era l'unico polmone verde di quell'invasione di cemento e auto.
Si erano seduti su una panchina e di fronte gli alberi gli facevano da rifugio, con quei loro grandi rami lunghi avvizziti per colpa della stagione invernale, che visti al buio, sembravano la tetra tela di un racconto dell'orrore. Non nevicava da un po' e la neve residua si era ormai sciolta, sotto quel pallido calore solare. Il rumore del laghetto alle loro spalle invece, li cullava in una dolce melodia, inebriando i sensi.
─ Sarò chiaro con te, non mentirò.
─ Prima che inizi a parlare, volevo solo avvisarti che la ferita sanguina. 
Come se non lo sapesse anche lui.
Si guadò i pantaloni accorgendosi che in prossimità della ferita, una pozza più scura si era colorata sul tessuto, che nel frattempo era stato anche lacerato in una linea orizzontale.
Allora cacciò dalla tasca interna del giaccone - che nel frattempo aveva cambiato prima di arrivare lì - un fazzoletto bianco.
Lo passò intorno alla ferita, stando bene attento a non sfiorarla e strinse forte, fermando poi il fazzoletto, che si era già andato a colorare di piccoli schizzi bordeaux, in un piccolo ma sostenuto nodo.

─ Devi stare lontano da Hazel.
Eccolo finalmente era arrivato al nocciolo della questione. 
Lei, sempre e solo lei. 
Di giorno, di notte, quando ce l'aveva davanti e quando invece si trovava lontano, anche per poche ore o pochi giorni.
Questo perché erano bastati due occhi grigi-verdi che non l'avevano giudicato, a farla diventare il centro del suo tutto.

Come sei arrivato a questo punto?

─ Senti, posso capire che tu sia geloso e tutto il resto. Ma non sono sotto le tue direttive ed hai capito a cosa alludo.
Alex serrò la mascella.
Cathlyn era al comando del timone ed essendo lei il capitano della nave, era sempre lei che decideva di tutti e su tutti. Ma di lei non si preoccupava più di tanto. Quello che lui chiedeva - se rientrava nei giusti binari - solitamente, lei gli concedeva.
─ A questo non devi pensare.
Clash con le mani infossate nelle calde tasche del giaccone, guardava assorto davanti a se.
Vedendolo così preoccupato, il russo sentì il dovere di rassicurarlo. Tanto aveva vinto anche questa volta.
─ Devi solo non rispondere alle sue chiamate, ai suoi messaggi... 
A quel punto il ragazzo sembrò risvegliarsi da quel sogno che stava vivendo ad occhi aperti.
Spostò i suoi occhi verdi in quelli del killer, quasi sfidandolo. 
─ Va bene. Ora posso riavere indietro il mio telefonino e andare a casa? ─ chiese grattandosi i corti capelli neri e il tatuaggio dello scorpione che aveva ritratto dietro l'orecchio.
Sul labbro, nella parte destra inferiore, brillava un piccolo anello argento e sulle mani invece, sulle dita, spiccava la scritta "Life" in quella sinistra e "Death" in quella destra.
Solo in quel momento, si accorse del fascino di Clash.
Quella sua aria da duro e da artista confusionario perenne.
I tatuaggi che al contrario dei suoi, erano fatti semplicemente per arte e per bellezza.
Gli occhi verdi smeraldo, grandi ed espressivi.
Si accorse che forse era giusto che Hazel si interessasse a qualcuno della sua età, anche se aveva le sue colpe, però sembrava che dietro quegli occhi, si nascondesse un mondo infinito di desideri, che aspettavano di essere realizzati.
Si sentì egoista e anche un po' stupido. Ma il dado era ormai tratto e lui non sarebbe mai riuscito a tornare indietro, non era da lui.

Si lasciarono così, sapendo anche che le minacce non sarebbero servite, perché superflue.
Clash aveva visto con i suoi occhi quello che era in grado di fare Alex, quanto pericoloso egli fosse. E non voleva di certo rischiare la sua vita per una donna con cui si era divertito qualche volta, che invece rappresentava una delle tante. 
Così si erano divisi, e mentre Clash raggiungeva a piedi un pub di sua conoscenza, Alex era rientrato per l'ennesima volta in macchina.
Quando stava per accendere il motore, il cellulare prese a vibrare nella sua tasca.

Da: Bastijan
Indovina chi è venuto a farci visita?

In un gesto involontario, come di qualcuno che si trova davanti al tradimento del proprio compagno, strinse forte il cellulare nella mano destra.
Dimitri.
Dimitri era finalmente stato trovato.

   
 
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