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Autore: lightvmischief    05/08/2017    1 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 9

 

Le mie gambe ci impiegano qualche secondo a dare retta a ciò che dice il mio cervello, ma quei pochi secondi mi sono bastati per vedere due zombie che escono dal piccolo boschetto da cui eravamo usciti da poco.

Dio solo sa quanti ce ne potrebbero essere in giro.

Mi sento strattonare il braccio e con uno scatto fulmineo volto il viso e trovo Calum davanti a me che mi dice di muovermi, mentre corre e cerca di trascinarmi con sé.

Lo ascolto e lo seguo, più veloce che posso, cercando di raggiungere Blaine ed Elyse, ormai davanti a noi di alcuni metri.

Lancio uno sguardo dietro di me: da che erano due sono aumentati a dieci e vedo le ombre di altri avvicinarsi sempre di più.

È di nuovo una questione di metri: pochi metri che ci separano dalla morte, pochi metri che potrebbero salvarci, se siamo abbastanza veloci, o che potrebbero ucciderci.

Sento l’adrenalina che scorre nelle vene, sento quel senso di sopravvivenza che mi permette di continuare a correre, sento i tonfi dei miei piedi che battono veloci sull’asfalto ripercuotere nei muscoli delle mie gambe.

Sento i polmoni pesanti, l’aria che entra a fatica dalla mia bocca aperta.

Questi sono tutti i segni che mi permettono di dire che sono ancora viva.

Perché mai ho voluto insistere sul voler spostare quella dannata macchina! Lo sapevo che non sarebbe servito a niente, ma ho continuato imperterrita sulla mia strada.

Calum inciampa tutto d’un tratto e manca poco che gli finisca addosso.

«Avanti, forza!» gli urlo in faccia con tutto il fiato rimasto.

Lo prendo per un braccio e lo tiro su a fatica.

I mostri si avvicinano sempre di più.

La mia mano si muove d’istinto verso la pistola dietro alla mia schiena, ma lui, vedendo il mio gesto, la scansa velocemente.

«Sarebbe un suicidio.»

Mi prende per il polso e ricomincia a correre ancora più veloce di quanto stesse facendo prima.

Ci avviciniamo sempre di più a Blaine ed Elyse.

Ad un tratto, Elyse lancia un urlo e poco dopo vedo Blaine venir preso alla sprovvista da uno dei vaganti sbucato fuori dal nulla.

«Cazzo» impreca Calum e aumenta la sua velocità per raggiungere i suoi compagni, sorprendendomi.

Prende la pistola e spara in testa al vagante, liberando Blaine dalla morsa in cui lo stava tenendo.

Sento di nuovo un urlo: è stata di nuovo Elyse. È a terra, sopra di lei un altro zombie. Gli tiro un calcio e trapasso il suo cervello con il mio coltello.

Offro la mano ad Elyse per alzarsi.

«Siamo pari.»

Abbiamo solo un minuto per riprendere il fiato, ma subito ci ricordiamo cosa c’è dietro di noi.

Corriamo, fino a quando riconosco delle mura familiari che mi fanno fare un sospiro di sollievo.

***

«Potevamo morire tutti quanti, ti rendi conto della cosa o no?!»

Ho lo sguardo basso. So di avere sbagliato, so di aver messo in pericolo la vita di tutti quanti.

Una volta arrivati alla palestra Elyse mi aveva preso per la maglietta e sbattuta contro il muro, urlandomi contro con tutta la voce che avesse in corpo.

Non la biasimavo, aveva ragione.

«Non è un gioco andare là fuori!»

«Pensi che io non lo sappia?!» sputo fuori, infuriandomi con lei.

Elyse scoppiò in una risata isterica, scuotendo la testa.

«Togliti dai piedi, Elyse.»

È Travis che ci interrompe. Fa cenno ad Elyse di andarsene. Di tutta risposta lei lascia cadere con un tonfo il suo zaino e se ne va, lanciando un ultimo insulto nei miei confronti.

«Seguimi» mi ordina, con tono duro.

«Calum mi ha detto ciò che è successo.»

«Posso spiegare.»

«Non ho bisogno delle tue spiegazioni, Kayla. Ho bisogno che tu non ci faccia uccidere tutti, ho bisogno che tu ti fidi di noi.»

Mi lascio scappare una risatina.

«Cosa c’è trovi di così tanto divertente in tutto questo?»

«Come faccio a fidarmi di voi? Non vi conosco. Tutto quello che so di voi sono i vostri nomi e che mi avete voluto tra di voi. Non so il motivo, non so perché me.»

«Potrei dire la stessa cosa di te, Kayla. Non sappiamo niente della tua vita, di cosa hai passato per arrivare fino ad oggi, okay? Però ho riposto la mia fiducia nel fatto che tu abbia salvato due dei nostri dai pericoli che ci sono là fuori, mi è bastato questo.»

Rimango in silenzio.

«Queste persone sono la mia famiglia e voglio che tu stia più attenta la prossima volta che andrai in ricognizione. Non voglio perdere più nessuno, ne sono già morti troppi» continua, il suo tono si è rilassato. Non mi sta più facendo la ramanzina.

Capisco che a queste persone tiene veramente.

«Non succederà più.»

«Ci conto. Ora vai.»

Esco, mantenendo lo sguardo basso.

Ho bisogno di riprendere senno. Vado verso il bagno e mi sciacquo la faccia con l’acqua fredda. Strizzo gli occhi più volte: ho la vista un po’ annebbiata.

Credo che la mia mente lo sia, che sia annebbiata. Poco prima che io e Wayne ci incontrassimo su quel tetto, pensavo che fosse arrivata la mia fine: ero esausta fisicamente e mentalmente, ero sempre in cerca di un ancora a cui aggrapparmi per rimanere sana di mente. Mi sembrava tutto così surreale, impossibile. Pensavo di aver perso completamente la testa quando sentii la voce di Wayne. Pensai addirittura di essere morta. Ma non lo ero, come non lo sono adesso.

Ora che ci penso, mi sembra che tutto questo sia successo mesi fa: in realtà sono passate solo due settimane.

Devo ammettere che ho pensato di uccidermi, mettere fine a tutta quella sofferenza che mi metteva alla prova ogni dannato giorno; però c’era sempre qualcosa che me lo impediva. È sempre stato più forte di me: ogni volta che mi trovavo in bilico tra la vita e la morte, sceglievo sempre la vita. Perché? Perché in me c’è ancora speranza, la speranza di ritrovare qualcuno della mia famiglia. È stata questa speranza che mi ha tenuta in vita per due anni. Dentro di me sento che c’è ancora qualcuno di vivo là fuori, ci deve essere. Non possono essersene andati tutti così.

Mi asciugai il viso, tornando alla realtà.

Qualcuno entrò.

«Ma guarda un po’, chi non muore, si rivede!» esclamò Wayne, abbracciandomi.

Rimasi con le braccia dritte lungo il mio corpo, ero rigida come metallo.

Mi era ancora estraneo il motivo per il quale questo ragazzo tenesse così tanto a me.

«Già» risposi dopo qualche minuto di silenzio.

«Vieni, è ora di pranzo.»

Giunti alla sala pranzo, mi andai a sedere vicino a Olivia, come il primo giorno che ero arrivata qui.

I sentimenti che provavo erano gli stessi: disagio, inutilità. Nonostante questo, camminavo sicura di me, con lo sguardo alto, determinato.

«Non credere di essere speciale.»

Poco prima di sedermi, Elyse prese il mio posto. Alzai le sopracciglia in modo scettico.

«Cosa? Ci sei rimasta male?» continuò, addentando un pezzo del suo panino.

Alzai la testa al cielo.

«Non l’ho mai pensato.»

«Bene, continua a farlo. È stata solo fortuna la tua.»

«Tu credi? In che cosa esattamente sarei stata fortunata?»

«Sei stata fortunata a finire in questo gruppo, sei stata fortunata che tu abbia incontrato Wayne. Fosse stato per me saresti già morta.»

La presi per la maglietta e la tirai in piedi.

«Qual è il tuo problema, eh?» sputai a pochi centimetri dal suo viso.

«Se non lo avessi ancora capito, sei tu. Mi sembravi più acuta, sai…»

«Elyse, piantala» le ordina Olivia, usando un tono autoritario.

Divertente pensare che il primo giorno ci fosse lei al posto di Elyse.

Quest’ultima rise. La sua risata era fastidiosa, ruvida, mi ricordava il verso di un corvo.

«Oh, avanti, Olivia, mi sto solo-»

La mia mano era già chiusa in pugno, era già alzata ed era già pronta a colpirla in pieno viso. Venni solo fermata da Lynton, che mi strattonò via da lei.

«Smettetela, tutte e due!» grida, rimproverandoci.

Il mio sguardo era incatenato a quello di Elyse, entrambi erano pieni di astio.

«Non ero io quella che voleva tirare un pugno.»

«Non mi interessa. Kayla, vattene.»

Non ero sorpresa, ero l’ultima arrivata, la sconosciuta, non mi sarei aspettata che nessuno mi appoggiasse.

Mi libero dalla sua presa ferrea sulle mie braccia e me ne vado, infuriata.

Due settimane che sono qui dentro e già mi odiano, fantastico.

Sfogo la mia rabbia lanciando un pugno contro la parete fuori dalla sala adibita al pranzo. Il dolore si espande velocemente, partendo dalle nocche fino a sentire in fiamme tutta la mano e a non sentire più la sensibilità nelle mie dita.

Mi volto per dirigermi alle tribune e sobbalzo. Mi ritrovo davanti la bambina del primo giorno che stringe tra le sue braccia la sua bambola Rachel e che mi guarda spaventata.

«Io… scusa, non volevo spaventarti.»

«Mi chiamo Kayla» riprendo, avvicinandomi lentamente e chinandomi per arrivare alla sua altezza.

«Io sono Margaret.»

Non sapevo cosa dire. Mi guardai in giro.

«Beh, è bello rivederti, Margaret.»

«Ti sanguina la mano.»

Lanciai uno sguardo veloce alla mano e feci spallucce.

«Non è niente.»

«Non riesco più a trovare l’elastico per i capelli di Rachel» confessa, quasi colpevole.

«Tieni, prendi il mio.» Tolgo il mio dal mio polso destro e glielo metto nella piccola manina.

«Grazie, Kayla.» Mi sorride, mi abbraccia e poi se ne va, saltellando felice.

Mi lasciai scappare un sorriso.

«Margaret! Cosa fai in giro? Vai da tua madre, ti stava cercando.» Calum la prende in braccio, le dà un bacio sulla guancia e la rimette a terra.

«Guarda cosa mi ha appena regalato Kayla!» Gli mostra il mio elastico orgogliosa.

«Vai dalla tua mamma, su!» dice Calum, dopo averle regalato un sorriso.

Mi alzo dalla mia posizione e mi passo le mani sui pantaloni.

«Dove credi di scappare?»

Stavo già camminando verso le scalinate, non volevo che mi vedesse e, soprattutto, io non volevo vedere lui dopo quello che era successo.

«Non scappo da nessuno. Sto solo andando alle tribune» rispondo, continuando a camminare.

«Ti devo parlare.»

«Puoi farlo anche mentre camminiamo.»

«Ti sta sanguinando la mano» mi fece notare, proprio come Margaret.

«Lo so.»

«Ti vuoi fermare?» disse, irritato.

Mi prese per una spalla e mi fece voltare.

«Se vuoi farmi anche tu la paternale su quello che è successo questa mattina, ci hanno già pensato Travis ed Elyse.»

«Non è di questo che voglio parlarti. Voglio parlarti di Margaret.»

Lo guardo con un’espressione corrugata. Non capisco.

«Le sono molto legato, quindi, nonostante questo sia difficile da dire, apprezzo il fatto che tu la tratti bene. Sembra quasi che ci tenga a lei.» Abbassa lo sguardo. Penso sia la prima volta che lo vedo così impacciato e tranquillo. Deve tenerci davvero a lei.

«Le ho solo dato un elastico.»

«Calum, dì a tua sorella di venire da me, se la vedi.»

Calum si gira di scatto, lo vedo irrigidirsi.

«Sì, mamma» la liquida velocemente e lei se ne va.

«Vai, pensa a loro» gli dico, dopo qualche attimo di silenzio.

«E tu?»

«Io, cosa?»

«Che ne è stato della tua famiglia?»

«Non sono affari tuoi» ribatto secca.

Non capisco perché abbia deciso di chiedermelo, non capisco perché abbia cambiato atteggiamento verso di me. Per una settimana sembrava non esistessi nemmeno per lui – e ne ero felice: quando parlavamo io e lui finivamo sempre per litigare per quel poco che ne sapevo -, e ora si comportava così.

«Volevo solo cercare di conoscerti.»

«Beh, non è il momento adatto. E mai lo sarà.»

«Scusa se per una volta cerco di non urlarti contro.» Alza le braccia al cielo, si sta infastidendo.

«Lasciami stare.»

«Come vuoi» dice, andandosene, imprecando qualcosa a mezza voce.

   
 
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