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Autore: Io_amo_Freezer    06/08/2017    0 recensioni
Quattro ragazzi che non si sono mai conosciuti ma con un legame forte nel petto si incontreranno al college. Tra problemi, misteri e studio riusciranno a scoprire qual è la vera ragione di quel legame?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Raph era dalle sedici che non faceva che tenere d'occhio l'orologio e la soglia del soggiorno, seduto sul divano, nemmeno Gwen riusciva a farlo distrarre con le sue parole di sfida. Sembrava che, per il rosso non esistesse nient'altro che Mikey in quel momento. Ed erano passate solo due ore; erano quasi le diciotto.
-Ehi.- riprovò ad interagire, Gwen con uno sguardo indignato per essere stata ignorata così tanto a lungo, cercando di non dare peso alle risate delle amiche che si divertivano nel vederla tentare di attirare, almeno un po', l'attenzione. -Senti, non penso tu sia innamorato di Mikey o che lui ricambi visto che al momento è già impegnato con Cat. E poi non sei nemmeno suo padre, quindi finiscila di fare il geloso e protettivo è degnami di uno sguardo che voglio la rivincita della partita!- a quel punto intervenne il genio che scattò leggermente con la testa a quelle ultime parole, seduto e con il gomito adagiato al bracciolo del divano, con la mano chiusa a pugno che reggeva la sua testa.
-Vi ho già detto di no, non pagate voi le bollette.- asserì con un lieve broncio prima che il silenzio tornò a regnare incontrastato.
Nessuno dei ragazzi voleva fare qualcosa che non fosse aspettare l'arrivo del più piccolo, non sapevano spiegarsene il motivo ma sentivano che c'era qualcosa che non andava, e forse, di queste sensazioni avrebbero dovuto parlarne. Invece rimasero in silenzio, nessuno apriva più la bocca e guardavano il vuoto accompagnato dal ticchettio delle lancette dell'orologio.
-E basta!- scattò Venus, tra l'annoiato e lo scocciato. -Possibile che dobbiate fare così? Cos'è, non vi fidate del vostro Mikey?- affermò portandosi le braccia al petto, mettendole conserte.
-Non è questo...- iniziò Leo venendo interrotto da una gomitata di Light, stanca anche lei di rimanere in una stanza senza fare nulla.
Aides, Casey e Grant che fin'ora erano rimasti in silenzio, non capendo molto della situazione, si limitarono ad annuire concordando le ragazze mentre quest'ultimo era pericolosamente vicino a Venus, e lei che provava a ripetersi mentalmente che non esistesse per auto convincersene.
-Ti piacciono gli eroi? Tipo, ti piace Capitan America?- domandò all'improvviso, tentando con l'unico film che si era portato dietro, e ghignò nel vedere gli occhi della ragazza lampeggiare, dettati da un forte brivido di piacere.
-Sì! Dove? Quando? Ora? Sì.- aveva iniziato a parlare a vanvera ad una velocità sovrumana che aveva lasciato tutti con una faccia interrogativa, soprattutto per il fatto che era scattata in ginocchio sopra il cuscino del divano ed ora aveva i lembi del colletto della camicia del povero ragazzo arpionati alle mani mentre lo scuoteva violentemente alla ricerca di una risposta, quasi staccandogli il collo.
-Ho il dvd in camera, vuoi accompagnarmi a prenderlo?- continuava a ghignare appena gli permise di parlare, lasciando la ragazza ancora più euforica, colta da un mancamento ma che si riprese solo per correre, così veloce che poteva prendere il volo, alla porta.
-Andiamo, andiamo, andiamo, andiamo...!- non si fermava più dal parlare, e visto che era ancora presto potevano anche andare piano, non c'era fretta, ma Grant preferì non farla attendere e si avviò alla porta con quel sorriso di appagamento e vittoria, felice di poterla avere tutta per sé per conoscerla, o quasi...
-Vengo con te.- si avviò Light, ma forse l'amica non l'aveva nemmeno sentita; si limitava a ripetere al limite della sopportazione solo: "Andiamo, andiamo...!"
Light lo superò e non si rese nemmeno conto dello sguardo e del respiro sconfortato di Grant che abbassò le spalle e che, a capo chino, si diresse verso la porta; Venus era talmente euforica che ignorò perfino il suo aspetto cupo. 
-Anche noi.- si unirono Casey e Aides visto l'aria moscia che c'era nella stanza, e fu come riceve l'ennesima pugnalata per Grant. Non poteva essere vero, pensò al limite della sopportazione il povero ragazzo deluso e amareggiato.
Appena fu vicino a Venus e Light e ai ragazzi che erano stati più svelti di lui a camminare; la prima corse giù per le scale, forse rischiando anche di inciampare e ruzzolare; e la seconda la seguiva passo passo, ma con lentezza e compostezza, lo stesso, anche se più sciolti, i due ragazzi; Grant, poco più dietro di loro, si limitava a borbottare contro ogni divinità che lo tenesse costantemente lontano da quella ragazza. 

-Allora, cosa vogliamo fare?- iniziò a dire Gwen, sorseggiando una Coca Cola appena furono scomparsi dietro la porta, che il ragazzo richiuse con aria mogia, sconsolato di aver perso anche questa possibilità con Venus.
-Aspettiamo Mikey.- decretò il rosso, ricevendo dalla ragazza in questione uno sbuffo stanco e sconsolato, ma che resistette alla tentazione di colpirlo con un pugno.
-Manca solo un'ora, andrà tutto bene.- commentò Viola, smuovendo la spalla di Donnie per vedere segni di vita, non ricevendo niente tornò contro lo schienale con una smorfia di disappunto.
-Non lo so... E anche se fosse, cos'altro possiamo fare?- mugugnò Leo con sguardo assente, il fatto che anche Light fosse andata con loro lo aveva demoralizzato un po' di più, solo perché preferiva poterla guardare mentre aspettava.
-Come 'anche se fosse'? E' ovvio che tornerà, sono solo usciti un po'.- affermò Gwen scrollando le spalle e rabbuiandosi un po', iniziava a sentire una strana sensazione che non riusciva bene ad identificare, ma forse era solo colpa dei ragazzi, gli stavano attaccando tutta quell'ansia inutilmente.
-Ragazzi, volevo chiedervi una cosa... Sempre se me lo permettete.- borbottò Donnie, ma sembrava più pensare ad alta voce che altro, però i suoi amici annuirono lo stesso e lui cercò di prelevare più fiato possibile nei polmoni per farsi coraggio, anche se le parole di prima gli erano uscite senza controllo. -Ammetto che all'inizio ho pensato che il fatto di essere tutti e quattro orfani ci potesse legare in qualche modo, però... Ecco, ho rimesso in funzione il cervello e messo da parte la fantasia, concretizzando che non può essere. Anche se fosse plausibile legarci, l'età tra noi è troppo vicina per poter collegarci in consanguinei, e noi non eravamo nello stesso istituto, quindi è impossibile che siamo imparentati...- sospirò, già temendo la sfuriata di Raph visto che aveva toccato un tasto dolente per lui, ma non c'è la faceva più a tenerselo per sé; voleva essere rassicurato che nonostante quella notizia non si sarebbero separati e avrebbero continuato ad essere lo stesso uniti e insieme, un po' come... un po' come una famiglia.
-Tu dici?- borbottò Raph, calmo contrariamente a ciò che si aspettava, anche se negli occhi c'era un barlume di preoccupazione dovuto a Mikey e un luccichio di speranza che sfumò davanti a quella nuova verità.
-Allora, non ti dispiace più l'idea di una famiglia?- osò gettare via anche quella frase, Donnie, continuando a temere che si sarebbe arrabbiato da lì a poco e che se non la smetteva di aprire bocca ci avrebbe rimesso qualche occhio nero; in fondo bastava un niente, qualcosa che nella mente del focoso potesse turbarlo o infastidirlo e 'tac': esplodeva.
-Secondo me potrebbe essere che siete stati lasciati in diversi orfanotrofi e che i vostri genitori ogni volta si trasferivano in una nuova città per non farsi trovare.- la geniale Viola aveva fatto capolino tra loro, sorridendo con fermezza e ingenuità, sperando di rincuorarli ed essere d'aiuto con quella deduzione.
-Ehm, perché avrebbero dovuto farlo? Posso capirlo se capita una volta, forse per problemi economici o altro... Ma se non volevano averci perché continuare ad avere figli?- scattò Leo, infrangendo i sogni dei suoi due amici per l'ennesima volta, con Viola che gli rivolse uno sguardo truce insieme a Gwen. -Scusate. Ma è la verità.- ci tenne a spiegare, forse non sembrava ma anche per lui era difficile ammetterlo.
-E se, sì, se invece...? Mhm, forse c'è un altro motivo...- mormorò Viola non volendo demordere, prendendo la mano di Donnie con la propria.
-E quale sarebbe?- tornò alla carica il duro e feroce Raph, forse ne aveva sentite abbastanza di deduzioni per quel giorno.
-Beh, non lo so... Ma sono sicura che ci sia! Voi non ricordate niente di prima dell'abbandono? Quanti anni avevate quando vi hanno portato all'istituto?- chiese Viola, un po' in difficoltà per quell'argomento rigido e fragile, ma il secondo sguardo di minaccia da parte di Raph bastò per farla rimanere in silenzio, capendo che per oggi lui ne aveva davvero sentito abbastanza.
-D'accordo... Perdonatemi per essere tornato su questo argomento. Che ore sono?- cercò di sembrare il meno turbato possibile, Donnie, prima che Raph lo avvolgesse in quello che era, effettivamente, un abbraccio. Si sorprese, domandandosi da quanto non ne riceveva uno. Era davvero bello, così pieno di calore che irradiava completamente il corpo, e in un attimo si aggiunse anche Leo. Mancava solo Mikey; Donnie era certo che si sarebbe piombato su di loro con un balzo, quasi sotterrandoli. Gli venne da ridere al pensiero, e rimasero così per molto, davvero un tempo più lungo di quanto duravano i comuni abbracci, ma non gli dispiacque affatto, a nessuno di loro.
-Oh, siete così teneri.- sorrise Gwen, ma più per avere le attenzioni di Raph, e sospirò fiera nel sentirlo inveirle contro con i suoi sbuffi e le sue minacce, facendo ridere gli altri.
-Comunque, sono le diciotto e trenta minuti. Manca solo mezz'ora e Mikey tornerà qui, e voi potrete stare più sicuri.- sorrise Viola, con Raph che si sforzò di sorridere per quella frase.
-Maledizione! Aiuto! Aiuto! Ragazzi, ci siete? Ho bisogno di voi, venite!- 
Le urla di Cat dalle scale arrivarono vivide e lampeggianti alle loro orecchie in un secondo, o anche meno; e la loro mente ebbe l'impulso d'allarme che gli fece scattare in piedi ed andare a incontrarla senza nemmeno accorgersene, con il corpo che si muoveva da solo come un'automa. Quella ragazza sapeva rimanere impassibile nelle situazioni più impensabili, sentire la sua voce incrinata nel pianto, dolorante e disperata gli fece procurare un terribile battito lento e fermo al cuore come se si volesse fermare da un momento all'altro. Scesero le scale al seguito delle ragazze rimaste dietro e arrivarono all'entrata del portone trovandola in ginocchio sul marciapiede che si teneva il braccio destro sanguinante e aveva le guance bagnate di lacrime salate, le pupille ristrette fino all'inverosimile, le palpebre serrate come se avessero visto la scena più macabra e terribile di un film horror.
-Cosa ti è successo? E dov'è Mikey?- si affrettarono a circondarla per soccorrerla mentre la osservavano tremare, forse per l'aria fredda, forse per lo spavento, forse per la perdita di troppo sangue, o forse tutto insieme.
-St... Stavamo... andan-ndo alla-a casa abb-b-bandonata. Di so-li-ito non c'è nessuno, ma-a qu-ue-esta volta, un uomo: i-il padre di-i Mi-ikey...- cercava di essere il più chiara possibile, ma era evidente che le risultava difficile in quel momento.
A sentire le ultime parole della ragazza, Raph serrò i denti e la prese in braccio per portarla dentro, lasciandola con delicatezza distesa sul divano, e il tatto del ragazzo avrebbe potuto sorprendere tutti, ma non in quel momento, mentre il rosso era sul punto di esplodere e i ragazzi non erano da meno, anche se più controllati; invece Gwen e Viola si assicurarono di medicarla e rimuovere il proiettile con l'aiuto di Donatello che, sopprimendo l'agitazione e la rabbia con non molto successo, disse a Cat di stringere i denti prima di estrarre quel pezzo di piombo così letale dopo aver preso la valigetta di primo soccorso che tenevano in bagno.
-Dov'è? Dove sono? Lo ha preso?- scattò il focoso con i nervi a fior di pelle, cercando di resistere dalla tentazione di buttare un pugno contro il muro rischiando di disintegrarlo, o al massimo crepandolo, non aspettando nemmeno che finissero di medicarla.
-Mikey non è stato catturato.- boccheggiò prima di parlare, cercando di mantenere un tono fermo, riuscendoci abbastanza bene anche se lo sguardo era abbastanza colpito e scosso, rassicurato dalle carezze delle amiche. -Quando siamo entrati ci siamo trovati assaliti da quell'enorme tizio, mi ha sparato al braccio. Siamo corsi via e Mikey è scappato, o meglio, siamo scappati insieme. Però poi Mikey ha capito che l'obbiettivo di suo padre era solo lui, così ha preso una strada diversa dalla mia, ed io sono subito venuta qui. Posso solo dirvi che eravamo al parco quando lui è andato a destra.- cercò di spiegarsi, volendo essere più limpida dell'acqua con le parole per fargli capire dove potesse essere.
-Andiamo, voi restate qui.- disse Leo, ed era più un'ordine perentorio che altro, a cui loro obbedirono senza discutere anche se amaramente.


Maledizione, proprio ora che stava andando tutto bene! Ma non c'era da stupirsi; l'unica domanda che l'azzurro si poneva era perché ci avesse messo così tanto quel mostro. Forse credeva che insieme non avrebbe avuto speranze. Se solo lo avesse avuto tra le mani...
-Ragazzi! Mikey ha il suo telefono posso rintracciarlo!- esultò Donatello a gran voce che non aveva fatto altro che armeggiare con la sua tecnologia, indecifrabile per Leonardo e Raphael, da quando erano usciti dal proprio edificio.
-Dov'è?- parlò per tutti, Raph, attendendo una risposta da troppo come tutti.
-Lui è... Alla casa abbandonata...- realizzò a malincuore: significava che era stato catturato.
-Forza allora.- e balzarono con ancora più grinta di prima, con Donnie che gli faceva da guida seguendo la segnalazione sulla mappa nello schermo del suo telefono, sotto un cielo di stelle che sembravano più felici e allegre di loro. Mentre scattarono tutti a destra per superare il parco attraverso i rami degli alberi per poi tornare sopra i tetti degli edifici subito dopo, correndo avanti e in fretta.

-Che succede Donnie?- chiese subito quello che ormai sembrava essere il leader del gruppo, Leo; aveva sentito discretamente il respiro trattenuto del genio, che sembrò trasalire ancora di più dopo quella domanda.
-Il segnale si è perso.-


-Mikey, Mikey, Mikey...- borbottò sconsolato, scuotendo il capo in tono di rimprovero mentre camminava in cerchio dove al centro c'era il ragazzo, legato e imbavagliato per bene alla sedia che cigolava pericolosamente ad ogni suo tentativo di liberarsi, come in procinto di crollare da un momento all'altro, ma questo non accadde e lui continuò a parlare. -Non mi aspettavo da te un comportamento così maleducato verso il tuo stesso padre. Adesso torniamo a casa, e ti assicuro che non ne uscirai mai più. Almeno, non vivo.-
Ridacchiò cupo, oltrepassando i resti di quello che un tempo era il telefono del ragazzo, ormai in mille pezzi, e continuò a ridersela sguaiatamente prima di sferrare contro il biondino, dallo sguardo spaventato, un pugno capace di fargli voltare molto bruscamente il collo verso la parte opposta. Michelangelo strizzò gli occhi un paio di volte per riacquistare la vista mentre si concedette altri mugugni di dolore anche se più tenui rispetto al primo appena quel possente arto si era scontrato sulla sua guancia, tornando alla posizione iniziale osservò il padre nei suoi occhi sottili e maligni, ma ancora nascosto nei suoi vestiti per non farsi vedere, ma in tutto quel buio sarebbe stato comunque impossibile poter vedere qualcosa. Aveva paura, l'aveva sempre avuta nell'incrociare il suo sguardo, anche stargli vicino lo lasciava pietrificato come una statua. Paura, paura, tanta, tanta paura. Voleva andarsene, tornare da quei ragazzi; proprio come gli aveva promesso voleva tornare alle diciannove, per renderli fieri e per poter meritare la loro fiducia, ogni giorno, ogni minuto. Lui quella fiducia voleva meritarla sempre, perché si sentiva sempre inadeguato in mezzo a tutti; sperava almeno che Cat stesse bene, non avrebbe mai voluto metterla in un guaio simile. Ricordava ancora la sua risata, il suo sorriso mentre entravano in quel posto cupo e buio tra le sue battute che la rallegravano; e poi uno sparo, un suono così raccapricciante mentre lei iniziava a gemere e urlare, contorcendosi e inginocchiandosi, con una pozza vermiglia che si formava come un fiume sotto di lei. Il suo sguardo incredulo, non capiva cosa fosse accaduto e non pensava che fosse reale; e lo capiva quello sguardo, lo aveva avuto la prima volta che suo padre gli sparò: continuava a ripetersi che non era vero, non poteva essere, e invece... 
Ma Cat non ci credeva perché non gli era mai accaduta una cosa del genere e non sapeva come reagire. Allora l'aveva presa in braccio, in un attimo era corso via sapendo esattamente chi ci fosse dietro il cappuccio di quella figura vicina alla porta che li fissava con la pistola che fumava, in mano. Poi però, mentre era fuori nella strada vuota, suo padre, quanto odiava chiamarlo in quel modo, aveva sparato anche a lui. Era caduto, ma aveva rassicurato Cat dicendole che non era stato preso; lei era ancora sconvolta e ci aveva creduto, fidandosi; così si era alzato e l'aveva fatta alzare, per poi imporle di correre più veloce che poteva mentre lui era rimasto a guardare suo padre che si avvicinava lentamente e con un macabro ghigno sul volto per qualche secondo prima di tornare a fuggire dalla parte opposta alla ragazza, cercando di attirare la sua attenzione su di lui invece che su Cat, cosa che fu molto facile visto che era Mikey stesso il suo obbiettivo, lo era sempre stato.
Ed ora era lì, non era riuscito a correre abbastanza veloce per colpa della gamba ferita e si era lasciato prendere; e guardava quell'uomo, quel mostro che continuava a ridere rigirandosi tra le mani la pistola, come a giocarci, indeciso se sparare o meno al bersaglio per vincere un premio; un premio che consisteva nel sentire le sue urla e vedere il suo volto contratto nel dolore.
Si chiese che ore fossero, e, nel vedere il suo povero telefono si chiese anche se qualcuno lo avesse chiamato, provato a rintracciarlo, cercato per sapere come stava; forse erano in pensiero, forse si erano affezionati a lui a tal punto da venirlo a salvare anche se significava rischiare la vita, chissà. Non ne era così sicuro. Ed era così incredibile come i suoi dubbi e la depressione tornassero quanto meno se lo aspettava. Quei ragazzi... Erano davvero amici suoi? Il fatto che gli fossero rimasti vicini, assicurandosi che stesse sempre bene, proteggendolo, facendolo ridere e permettendogli di capire cosa fosse davvero una famiglia lo aveva distratto da una domanda, che però continuava ad insistere in un pezzo buio del suo cuore, nascosto nell'ombra a sussurrargli: "Ti fidi davvero di loro? Non vali niente, è meglio lasciarli andare, non meritano i tuoi casini.". E più provava a cacciare via quelle parole, più rifletteva che avevano un po' ragione, e poi toglieva quel 'un po''. Le parole dure e ferme di suo padre però, che arrivarono all'improvviso come un lampo da farlo sussultare, lo portarono bruscamente alla realtà.
-Ti do una possibilità: vieni, torna a casa; questo non è un posto adatto ad un moccioso come te.-
Asserì con una smorfia, disgustato di quello che aveva generato e che si trovava davanti a lui con qualche livido sulle braccia, del sangue su un polpaccio che scorreva lento fino alla pozza formatasi sul pavimento, e del gonfiore alla guancia sinistra che poco fa aveva colpito. Però la sua non era una proposta: lo avrebbe riportato a casa comunque. 
-E' inutile che ti fai false speranze. La macchina comunque è qui fuori. Ho bisogno che mi procuri dei soldi appena torniamo a casa, ho dei debiti da smaltire, e in fretta, proprio nello stesso modo in cui tu ti procurerai i soldi: in modo rapido e preciso.- era praticamente un'ordine, e dal tono sembrava non volere fallimenti, di nessun tipo.
In pratica se sarebbe tornato a casa sarebbe uscito solo per derubare, di nuovo. Proprio come in passato. Ricordava come gli era risultato difficile andare a trovare Karai giornalmente, e quando veniva scoperto da quel mostro di suo padre le torture erano sempre le peggiori, però lui tornava sempre dalla sua amica, voleva tenerle compagnia. Non l'avrebbe lasciata sola a lottare con quella malattia. Lo fece sempre, ogni giorno di ogni settimana, almeno un'ora o poco più prima di tornare sgattaiolando a casa, sapendo che suo padre lo stesse aspettando comunque per torturarlo, per aver disobbedito per l'ennesima volta. E poi lo fece ancora, era un giorno come un altro proprio come sempre; quella mattina pioveva e faceva freddo, però questo non lo avrebbe fermato, infatti arrivò, però rimase immobile davanti alla porta spalancata della stanza, il respiro ed il petto che cercavano di riprendersi dalla corsa e dal gelo che gli faceva tremare il corpo e che divenne più intenso quando collegò i fili: collegando il significato di quel letto vuoto coperto da un lenzuolo nero. La prima cosa che fece; nonostante avesse sentito un pesante macigno crollargli addosso e sul cuore come a volerlo uccidere e sotterrare nello stesso istante; la prima cosa che riuscì davvero a fare, come se Karai gli avesse lasciato un ultimo consiglio con quel gesto fu scappare: scappare dal mostro con cui viveva proprio come lei gli supplicava ogni giorno, ogni volta che lo vedeva con un livido o una cicatrice in più; e poi pianse mentre era sul marciapiede in strada, diretto verso una meta che non sapeva, ignorando le persone che sobbalzarono spaventate appena iniziò ad urlare con voce rotta e la gola arrossata che pulsava, gridando che non era giusto, non era giusto! E poi iniziò a distruggersi, lentamente perché non c'era nessuna fretta nel soffrire; e avrebbe potuto giurare di aver sentito come un sasso sbattere contro un pezzo di vetro enorme ma lacerato già da molto tempo, un sasso che servì per farlo finire a pezzi facendolo anche sanguinare dentro: il suo cuore aveva fatto quel suono, era stremato e lo sentiva chiaramente che si era distrutto come un pezzo di vetro. E subito dopo che le orecchie compresero cosa fosse accaduto all'interno del suo corpo smise di respirare, smise di battere, smise di vivere... Correva e basta quel giorno, correva, correva, cercando la sua amica che gli avrebbe indicato ancora la strada giusta da seguire, con lei che ghignava e lo sfotteva perché stava piangendo come un marmocchio, con lei che lo abbracciava e gli dava un'ultima carezza con un ultimo consiglio: "Vivi."; con lei che sorrideva e con lei che era felice, lo si capiva dagli occhi che brillavano intensi: finalmente era libera; e poi cercava la sua amica che in un attimo allungava un braccio per indicargli una via sicura e gli sussurrava con fare apprensivo "Vai di là, di là!"
... Correva...
Era scappato da casa sua per un tempo lunghissimo, più lungo di quanto avesse mai immaginato anche se in realtà si trattava solo di qualche mese. Si era rialzato, aveva lottato, provato a realizzare il sogno della sua amica; ma continuava a trovare ostacoli, sempre di più: prima quei bulli, poi i ragazzi che lo avevano trovato a rubare, i ragazzi che scoprivano il suo segreto, il ritorno di suo padre... 
E così si ripeté, la mente di Michelangelo si concentrò solo sulle cose cattive, sulle brutte esperienze, sul dolore e sul piacere di tagliarsi. Realizzando che gli mancava davvero tanto, voleva la sua forbice, la voleva adesso. E nel guardarsi intorno si fermò in un punto preciso, lasciando che suo padre si preparasse, e pensò che sarebbe stata così bene sulla sua pelle, quella lama in mezzo alle macerie del soffitto crollato in un angolo chissà da quanto tempo, quell'angolo dove, forse c'era una cucina un tempo. Era certo che quel coltello, quell'enorme lama gli sarebbe stata benissimo, lo avrebbe fatto respirare, e la voleva tanto in quel momento, ma era così lontana.
Scuoté il capo con un mugugno e strizzò gli occhi mentre teneva il capo chino in avanti con le ciocche a coprire i suoi occhi.  Era scappato da troppo tempo, era stanco ora. Era arrivato fino a lì, era già qualcosa, no?
Era abbastanza, aveva fatto abbastanza. Era giunto il momento... 
Doveva tornare a casa. 
Era tempo di arrendersi.
  
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