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Autore: Melabanana_    07/08/2017    4 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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Stavo aspettando Hiroto fuori dalla sala riunioni quando Reina mi afferrò il braccio all’improvviso, facendomi spaventare.
Aveva un’espressione allarmata, tanto che pensai immediatamente ad un’emergenza. Avevamo avuto troppi allarmi rossi di recente.
-Cosa è successo? Un altro attacco nemico? Proprio ora?!
Reina si bloccò, sbatté le palpebre e mi guardò stralunata.
-Cosa stai dicendo? Midorikawa, dobbiamo parlare, ricordi?
L’avevo completamente dimenticato.
Lei parve leggermelo in volto e fece un sospiro puramente esasperato.
Realizzando che non si trattava di nessuna emergenza, mi strinsi nelle spalle e bofonchiai una scusa. Stavo per chiederle di cosa dovesse parlare quando mi parve di scorgere un testa rossa tra la folla; mi girai di scatto, ma niente da fare. Hiroto doveva essere stato trattenuto dalle Spy Eleven per discutere i dettagli del piano. Non tentai neanche di nascondere il disappunto sul mio viso, cosa che strappò a Reina un altro verso di frustrazione.
-Midorikawa, puoi smettere un attimo di…?- S’interruppe, serrando la mascella, poi esclamò:
-Vieni con me e basta!- ed iniziò a trascinarmi non so dove. Protestai debolmente, ma una sua occhiata bastò a farmi tacere. Mi sentivo in colpa per essermi dimenticato di cercarla come promesso, inoltre in quei giorni mi aveva tampinato con tanta insistenza che doveva trattarsi per forza di una cosa urgente.
Reina mi portò nel corridoio vicino all’infermeria, quindi si fermò e mi lasciò il braccio. Notai subito che l’area era deserta ed il fatto che ciò che dovesse dirmi richiedesse tanta segretezza iniziò a rendermi nervoso.
-Allora… Qual è il problema?- chiesi per rompere il ghiaccio.
Reina non rispose subito. Aveva un’aria cupa ed emaciata, come una malata; anche lei doveva aver passato numerose notti in bianco. Il mio senso di colpa si acuì.
-Ehi… stai bene?- aggiunsi, sinceramente preoccupato.
Mi sorprese vedere Reina chiudere gli occhi ed inspirare profondamente per un paio di volte. Era strano vederla così agitata, visto che in genere dava sempre l'impressione di avere pieno controllo di sé. Qualunque cosa dovesse dirmi, pareva certo richiedere una discreta dose di coraggio.
-Midorikawa… Non ti ho mai parlato del mio dono- esordì. La sua non era una domanda, bensì un’affermazione. Rimasi spiazzato, non capivo perché introdurre quel discorso ora, ma decisi di ascoltarla fino in fondo.
-Quando ero piccola, ho fatto un sogno sui miei genitori... Era un sogno molto inquietante, ma loro non ci diedero peso. Poco dopo, sono morti- disse Reina. -Quella è stata la prima volta... Da allora, ho continuato ad avere visioni del futuro. Continuavo a cercare di avvisare le persone intorno a me, ma nessuno mi ascoltava… Mi diedero della pazza, della bugiarda, ma le predizioni si avveravano, una dopo l'altra. Allora mi dissero che portavo sventura.
Si fermò e fece un respiro profondo. I suoi occhi mi parvero un po' lucidi. Le poggiai una mano sulla spalla.
-Va bene così, Reina- mormorai. -Non devi sforzarti di parlarne se ti fa male…
-No, no, devo, io devo…- ribatté lei. Si scrollò la mia mano di dosso con agitazione. La guardai, stranito. Non capivo perché mi stesse raccontando tutto questo adesso; mi appariva tutto troppo improvviso, troppo strano da parte di una persona tanto riservata.
-Quindi… il tuo dono consiste nel prevedere il futuro?
Reina scosse il capo con un’espressione di pura amarezza.
-No… Magari. Il mio dono… il mio dono mi permette di vedere solo la morte degli altri, e non c'è modo di controllarlo. Solo soltanto... dei sogni. Ma si avverano ogni volta- rispose. -Crescendo, ho rinunciato ad avvertire gli altri. Nessuno mi avrebbe creduto, e il futuro non è cambiato neanche quando cercato di impedirlo. Il maestro Jordaan è morto anche se avevo fatto di tutto perché tu gli stessi vicino…
Ero sempre più esterrefatto.
In effetti, Reina era stata particolarmente insistente nel persuadere Hitomiko a mandarmi da Jordaan, ma pensavo fosse solo per carpire informazioni da lui. Mai avrei immaginato che dietro ci fosse una ragione simile. Quindi aveva visto la sua morte? E quella degli altri? Come poteva una persona restare sana dopo tutto questo?
-Ecco perché, quando Gazel è sopravvissuto, sono rimasta di sasso- continuò Reina, accalorandosi. -Avevo visto la sua fine, ma è sopravvissuto! E così mi sono dette che dovevo riprovarci… perché il futuro può essere cambiato…!
Si voltò completamente e mi guardò dritto negli occhi.
-Midorikawa, devo dirtelo- disse, le labbra tremule. -Ho... ho visto la tua morte. Qualche notte fa. Era uno di quei sogni e c'eri soltanto tu... e questo significa che in questa missione morirai. Da solo.
Alle sue parole seguì un silenzio gelido.
La fissai basito, mentre cercavo di digerire ciò che aveva detto.
Morire? Io? Non era impossibile, vero: era una missione pericolosa. Ma non ero solo, avevo le spalle ben coperte. Non riuscivo a immaginare che uno dei miei compagni mi avrebbe lasciato morire senza far nulla. Reina aveva espressamente detto che sarei morto da solo. Non era possibile, non potevo… No, non volevo credere alle sue parole.
L'espressione di Reina si incupì.
-Non mi credi- constatò con amara rassegnazione.
-Mi dispiace- mormorai. -Ma è una cosa difficile da accettare…
-Non è colpa tua. Nessuno vorrebbe credere ad una cosa del genere. Tutti reagiscono così- disse Reina. Incrociò le braccia sul petto, stringendosi le spalle per proteggersi, come se improvvisamente avesse freddo. Capii che quei pensieri tormentavano più lei che me.
-Reina, io… Non è che non voglia crederti, ma…
-Che tu mi creda o meno, non cambia niente. Queste predizioni si avverano!- Reina mi interruppe con veemenza, poi mi rivolse uno sguardo di supplica. -Midorikawa, promettimi che farai attenzione... e che non resterai mai solo.
Esitai. Lei mi afferrò un braccio e mi diede una scrollata.
-Midorikawa, promettimelo…!
Mi morsi il labbro. Ancora non le credevo del tutto, ma sapevo che Reina non avrebbe mai detto una cosa del genere con leggerezza. Il suo sguardo mi diceva quanto disperata fosse. Ciò che aveva detto doveva essere la verità, o almeno lei doveva esserne convinta.
Le presi la mano per tranquillizzarla.
-Va bene. Non morirò, te lo prometto.
Lei mi guardò per un momento, poi mi colse di sorpresa tirandomi a sé in un abbraccio.
-Buona fortuna- sussurrò, poi dopo un’ultima stretta si scostò e corse via.
Toccandomi la spalla, mi resi conto di avere le la maglia inumidita dalle sue lacrime.

 
xxx

 
[La sera successiva, ore 20.00, Inazuma Agency]

 
 
Controllai ancora una volta che tutto fosse in ordine. La pistola aveva la sicura ancora inserita, tutti i colpi dentro; una volta infilata nella tasca del cinturino, era pressoché invisibile. Le divise disegnate da Maki erano formate da tre pezzi, giacca, maglia e pantaloni di colori scuri, così da non dare eccessivamente nell’occhio. Niente mantelli, che sarebbero stati d’impiccio. Portavamo scarpe da ginnastica, adatte alla corsa e al salto. Inoltre, Marco e Gianluca avevano dotato le Spy Eleven di piccoli microfoni, quasi invisibili, tra bocca e orecchio, e tutti avevamo ricevuto un paio di occhiali infrarossi, con varie funzioni di regolazione.
Sospirai. Avevo passato tutta la mattina a preoccuparmi, tanto da non riuscire a godermi nemmeno i pasti, e sospettavo di non essere l’unico. Il corridoio di ingresso al piano terra era gremito di persone, tutte intente ad ultimare i preparativi; esattamente come me, avevano controllato il proprio equipaggiamento più e più volte. In meno di un’ora saremmo stati tutti fuori di lì, in viaggio verso il nostro obiettivo. Qualcuno aveva preferito tenersi leggero e portare solo una pistola, forse ritenendo il proprio dono sufficiente per qualsiasi altra emergenza; qualcuno invece aveva indosso molte armi, nascoste nella giacca ed attaccate al cinturino, semplicemente per sentirsi più sicuro.
La verità era che, qualunque cosa facessimo, ci sembrava di non essere preparati abbastanza.
Sapevamo solo in parte cosa ci avrebbe aspettato una volta dentro l’edificio. Un uomo influente come Garshield non poteva non disporre un’unità di agenti al proprio servizio, guardie del corpo addestrate per proteggere lui ed i suoi possedimenti. Ma, per quanto specializzati, erano comunque esseri umani. La vera incognita, e fonte di pericolo, era rappresentata dai ragazzi di Garshield: a causa dei ripetuti scontri, ormai conoscevamo le capacità di alcuni di loro, ma dai nostri dati (i dati che Gazel, Burn e gli altri avevano raccolto con tanta fatica) risultavano esserci molti membri di cui non sapevamo nulla. Ricordavamo bene i loro volti, che avevamo dovuto guardare in foto tanto a lungo da memorizzarli. Sembravano ragazzi come noi, eccentrici, ma non serial killer – le apparenze, però, potevano ingannare soltanto chi non era a conoscenza della loro fedina penale. Io avevo visto alcuni di loro uccidere; il solo ricordo del sangue versato bastava a cancellare ogni briciolo di compassione in me. No, non mi sarei fermato alle apparenze; non avevo intenzione di fargliela passare liscia anche questa volta.
E, allo stesso tempo, non potevo fare a meno di pensare che forse quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto le persone intorno a me. Forse sarei morto io, forse uno di loro. Avrei dovuto tenere a freno questi pensieri; quella notte, la paura non era ammessa.
-Ehi, Reize. Come mai quella faccia cupa?
Mi girai e vidi Diam, appoggiato alla parete con un fianco, le mani in tasca. Sembrava calmo, come se stessimo semplicemente andando a fare un scampagnata; bisognava conoscerlo bene per intuire quanto in realtà non lo fosse.
-Vai con una sola pistola? Non va bene. Devi essere più previdente- disse. Per un momento trafficò con la propria cintura, poi mi porse una Smith&Wesson carica. Guardai la pistola, poi lui.
-Sei sicuro? Tu come stai messo?- chiesi.
-Ah, ne ho un’altra- rispose, aprì la giacca per farmi vedere l’arma nella tasca interna della maglia. Esitò, come se non fosse sicuro di cosa aggiungere. Per toglierlo dall’imbarazzo, annuii e mi infilai la Smith&Wesson nell’altro lato del cinturino.
-Grazie.
-Figurati, lo faccio più per te che per me. Mi fa sentire meglio saperti più sicuro.
Un sorriso evanescente gli comparve sulle labbra, ma sparì subito.
-Reize. Stai attento- disse, serio, scrutandomi. Sostenni il suo sguardo con gli stessi sentimenti.
-Anche tu- sussurrai.
Lui abbozzò di nuovo un sorriso.
-Tranquillo, ho un portafortuna- disse, alzò il braccio e si tirò su la manica: legato al polso, c’era un bracciale di fili colorati intrecciati. -Maki lo ha fatto per me- mormorò, felice, con un’espressione tenera che non gli avevo mai visto fare. Si tirò giù la manica, giusto poco prima che Desarm lo chiamasse. Diam mi diede una pacca amichevole sulla spalla, poi corse via.
Diam faceva parte della prima squadra di ricognizione.
Mi morsi le labbra e chiusi gli occhi per un momento, cercando di scacciare via i pensieri negativi.
Il fatto che Garshield avesse a disposizione il potere della copia ampliava in modo esponenziale la possibilità che anche le sue guardie del corpo avessero acquisito doti speciali. Nessun avversario poteva essere sottovalutato. Per questo era essenziale liberarsi di quel potere…
-Hiroto- mormorai, quasi inconsciamente.
Dov’era finito? Non lo avevo più visto dal suo discorso nella sala riunioni; le ultime ventiquattro ore erano state piuttosto caotiche per entrambi. Hiroto era stato impegnato a discutere dettagli della missione con Urupa e Kruger, mentre io, insieme al resto del team di Chang Soo, ricevevo direttive dal coreano stesso su come avremmo dovuto muoverci. Anche quando eravamo riusciti ad incrociarci, non avevamo potuto scambiarci più di uno sguardo, un saluto. Era giusto così, c’erano ben altre priorità al momento.
Ma dovevo assolutamente parlare con lui almeno una volta prima di andare.
Mi feci largo tra le persone guardandomi intorno con molta attenzione. Se Diam era stato chiamato, allora restava poco tempo prima che anche le altre squadre dovessero muoversi. Il team di Chang Soo sarebbe entrato subito dopo di loro, una volta che avessero dato il via libera; sapevo che sarei stato chiamato a momenti.
Qualcuno mi afferrò un braccio da dietro. Mi voltai di scatto.
-Hiroto!- esclamai, sorridendo istintivamente.
-Ti stavo cercando- aggiunsi, girandomi completamente verso di lui.
Lui ricambiò subito il mio sorriso, probabilmente provando il mio stesso sollievo.
-Anch’io- ammise, infatti. -Sono felice di averti trovato. Avevo… avevo bisogno di parlarti, prima di andare…
Annuii, confortato dal fatto che avessimo pensato la stessa cosa. Nonostante sapessi non fosse il momento di lasciarsi andare a scene romantiche, non potevo fare a meno di sentirmi leggero, come se stessi fluttuando. Hiroto gettò un’occhiata intorno a sé, poi mi fece cenno di seguirlo dietro un angolo.
Era uno dei pochi posti del corridoio in cui non c’era nessuno e, nonostante il brusio di sottofondo ci ricordasse della presenza di altri a pochi metri da noi, per un momento potevamo far finta di essere soli. Hiroto mi strinse a sé appena possibile ed io ricambiai l’abbraccio con la stessa foga, affondando le mani nella sua giacca. Il suo respiro caldo contro la pelle del collo mi faceva tremare leggermente.
-Midorikawa- mormorò –ti amo.
Mi sfuggì una risatina nervosa. -Ah… che succede? Sei in ansia per la missione…?
-Mi sembra solo di non avertelo detto abbastanza- rispose, con un po’ di amarezza. Mi scostai lievemente e vidi le sue labbra curvarsi in un broncio. Le baciai d’istinto, desideroso di distenderle, come se ciò potesse cancellare la preoccupazione dalla sua mente.
Hiroto ricambiò il mio bacio per alcuni secondi che parvero un’eternità; poi si staccò, il suo naso urtò leggermente il mio, poi mi sfiorò una guancia. Le sue labbra si premettero contro la mia tempia.
-Ti amo. Una volta finito il mio compito, correrò da te, ovunque tu sia- mi bisbigliò anche se nessuno poteva sentirci. Il cuore mi batteva così forte che pareva sul punto di esplodere.
Feci un respiro profondo ed annuii.
-O sarò io a correre da te- risposi. Lo sentii ridere piano, con la bocca premuta all’attaccatura dei miei capelli.
Quando ci separammo, i suoi occhi brillavano di determinazione.


 
xxx

 
[Normal P.O.V.]
 
 
 
-L’edificio ha tre piani ed un sotterraneo. Entreremo dall’entrata sud, al piano terra- spiegò Desarm. Aveva steso a terra la cartina dell’obiettivo e stava indicando l’accesso da cui avrebbero dovuto infilarsi. Fideo e Fudou erano seduti al suo fianco, sporgendosi in avanti per guardare la mappa, mentre i membri delle loro squadre aspettavano le direttive, schierati in piedi intorno a loro, in modo da poter controllare l’area in ogni direzione.
Diam si sistemò il colletto della giacca e sollevò lo sguardo al cielo buio. L’unica luce su di loro era offerta da un lampione, che reagiva solo al movimento umano: un semplice passo fuori dalla sua piccola area circoscritta bastava a farlo spegnere. Emanava una luce azzurra e spettrale, senza dubbio adatta ad una notte del genere.
-Sia il secondo piano che il sotterraneo sono accessibili solo dal piano terra…- continuò Desarm.
-Quindi abbiamo un ruolo cruciale. Dobbiamo sgomberare al più presto il posto per permettere agli altri di accedere. 
-Che bello, amo essere l’anima della festa- disse Fudou in tono sardonico.
Desarm non batté ciglio.
-Non posso darti torto in questo caso, saremo davvero l’anima della festa- disse Fideo, sospirò e con il dito tracciò il corridoio che dall’entrata sud andava verso le scale del secondo piano. Si fermò su una rientranza e si accigliò. –Qui il corridoio sembra intersecarsi con un altro. Questo vuol dire che potrebbero arrivare da qui, o da qui.
-A cui va aggiunto questo punto… Le scale che portano ai sotterranei- disse Fudou. -Be', perfetto, no? Ognuno di noi prende un accesso, con la propria squadra, e facciamo pulizia senza pestarci i piedi a vicenda.
Desarm annuì. Fideo fece un cenno, sovrappensiero, poi sollevò lo sguardo.
-"Facciamo pulizia"? Sai che non li devi uccidere, vero?- chiese, preoccupato.
Fudou sbuffò. -Certo che lo so, mi prendi per scemo?
-No… ma ammetterai di avere qualche problema di gestione della rabbia- azzardò Fideo.
-Non ha tutti i torti- sussurrò Sakuma a Genda. Fideo sperò che Fudou non lo avesse sentito, per timore che questo lo mettesse di cattivo umore e lo aizzasse in modo sbagliato. Con sua grande sorpresa, però, Fudou non ebbe alcuna reazione, anche se era chiaro che avesse sentito.
-Non ucciderò nessuno. Sono pur sempre persone normali, anche se hanno sbagliato lavoro- disse in tono neutro, poi si mise le mani in tasca e distolse lo sguardo. Fideo era stupito dal suo atteggiamento: sembrava essersi notevolmente calmato da quando si erano visti l’ultima volta. In effetti, a parte i soliti commenti beffardi o arroganti, Fudou si stava comportando abbastanza bene. Non aveva avuto scoppi d’ira ed era persino ragionevole.
Be', tutti reagiscono male quando a essere minacciato è qualcosa di speciale, pensò l’italiano. In quelle circostanze, con la propria famiglia coinvolta, neanche lui poteva dire di aver mantenuto il sangue freddo. E Fudou sembrava tenere molto a Fuyuka Kudou. Fideo meditò per un momento di chiedergli come stava la ragazza, ma lui e Fudou non erano mai stati amici, e quello non pareva proprio il momento adatto.
A quel punto Fudou si accorse che Fideo lo stava osservando.
-Che hai da guardare?- sbottò. -Non mi credi? Ti ho detto che non farò fuori nessuno, il resto non sono affari tuoi. Faccio come mi pare, capito?
-Ti credo. Non ho intenzione di mettermi a discutere adesso- Fideo si affrettò a chiudere la conversazione e si rivolse a Marco e Gianluca. -Ragazzi, noi prendiamo l’accesso al sotterraneo.
I due annuirono. Marco si stiracchiò le braccia, mentre Gianluca si legava i capelli in una più pratica coda di cavallo.
Fudou si girò verso Desarm. -Io prendo le scale al secondo piano- disse subito.
-Non ho obiezioni. La mia squadra vi coprirà le spalle- replicò l’altro, e solo allora alzò lo sguardo sui tre ragazzi che lo accompagnavano.
Onestamente, Diam cominciava a sentirsi un po’ messo da parte.
Sapeva che i tre comandanti dovevano discutere tra loro le direttive, mentre il compito degli agenti era solo di obbedire; tuttavia, non gli sarebbe dispiaciuto se qualcuno avesse chiesto loro un parere. Era sempre così: non era mai stato tagliato davvero per seguire gli ordini. Desarm aveva cercato a più riprese di correggere quel vizio, persino portandolo con sé in missioni quando a nessuno degli altri ragazzi era ancora permesso. Sperava forse che, messo in situazioni di difficoltà, Diam avrebbe messo la testa a posto. Ma non era successo.
Se avessi avuto la possibilità di crescere e diventare adulto come tutti, avrei lavorato da solo, nel modo più indipendente possibile, questo pensava Diam. Ne era fermamente convinto. La sua indole ribelle rifiutava con tutta se stessa le restrizioni, e dentro di lui c’era sempre una vocina che diceva: Ehi, anch’io qui sono in prima linea, a combattere o morire per la giustizia, a nessuno interessa la mia opinione?
Ma si era probabilmente giocato l’opportunità di dire la propria quando era scappato per affrontare Big D da solo, qualche tempo prima. Nonostante la missione fosse stata relativamente un successo, Desarm lo aveva messo in punizione subito dopo la partenza di Midorikawa e non faceva che rinfacciarglielo. Desarm era un uomo fin troppo rigido e serioso: Diam non riusciva ad immaginare che potesse aver infranto le regole e aver fatto di testa propria nemmeno una volta nella sua vita. Al contrario di Midorikawa, o Maki…
Diam sorrise istintivamente. Quei due erano spiriti liberi, insofferenti agli ordini, proprio come lui. E per questo era attratto da loro, anche se in maniera differente. Non poteva negare di essersi invaghito di Midorikawa fin dal primo istante; inizialmente era solo curioso del suo dono, ma era bastato poco tempo per imparare ad amarlo davvero. Di Midorikawa amava la sincerità, il coraggio, l’altruismo. Quando lo aveva rivisto, però, la passione per lui si era spenta vedendo quanto era felice con Kiyama.
Tirò su la manica e si mise a guardare il bracciale colorato, cosa che aveva fatto molte volte da quando gli era stato regalato. Maki aveva insistito per farlo personalmente, e il ricordo della sua espressione concentrata e delle sue dita (le mani, le sue belle mani con cui era in grado di guarire le persone) che gli sfiorano il polso, tremanti, bastava a fargli bruciare il viso dall’imbarazzo. Non aveva mai provato nulla di così puro per una persona. Non aveva mai provato quella sensazione di vuoto quando entri in una stanza e quella persona non c’è. Maki gli aveva regalato tanti nuovi sentimenti.
Qualcuno gli toccò la spalla, dandogli una leggera scrollata.
Era Heat.
-Tutto bene? Sembri sovrappensiero- disse sottovoce, con un’espressione preoccupata.
Diam si ricoprì il polso e accennò un sorriso. Da quando avevano catturato Big D, non era stato solo lui a cambiare, ma anche gli altri; prima sembravano intimoriti da lui, e questo aveva sempre creato una sorta di barriera tra di loro. Quella distanza, ora, era sparita, e Heat lo trattava come un vero amico. Diam non avrebbe mai immaginato che bastasse così poco a renderlo felice.
-Sto benissimo, non vedo l’ora di poter tornare indietro- sussurrò. -Tu? Nervi saldi?
Heat annuì e, subito dopo, Desarm diede loro l’ordine di muoversi. In un attimo Nepper fu vicino a Heat. Diam intravide, nel buio, che si stavano tenendo la mano. Anche Nepper era molto più rilassato attorno a lui, adesso.
Iniziarono a muoversi. L’entrata sud, da cui dovevano entrare, non era molto lontana da dove si erano fermati. All'apparenza non c'erano luci accese nell’edificio, ma era circondato dai lampioni, che avrebbero tradito qualunque movimento esterno.
Questo sarebbe stato un problema se non avessero avuto con loro Desarm.
Non erano in molti a saperlo, ma anche lui possedeva un dono. Senza esitare, alzò una mano, la agitò e poi la chiuse a pugno: questo semplice gesto attirò verso di lui tutte l’energia elettrica, lasciando la strada nel buio totale. A eccezione di Fideo e Fudou, tutti ne furono colpiti. Della sua squadra solo Diam aveva assistito a una cosa simile, un paio di volte in cui erano stati in missione assieme, per cui anche Heat e Nepper rimasero a bocca aperta. Ma non era finita lì.
Quando arrivarono davanti alla porta automatica, difatti, Desarm non batté ciglio. Cercò subito qualcosa che somigliasse ad un pannello elettrico e, una volta individuato, si limitò a poggiare la mano sopra: l’energia rubata e rilasciata dal suo corpo fluì nel sistema elettrico, mandandolo in cortocircuito. La porta si aprì senza fare resistenza, con una sottile vibrazione che soltanto Diam parve udire: allenando il proprio dono, infatti, aveva sviluppato una grande sensibilità ai rumori anche più fini.
Desarm si voltò verso Fideo e Fudou. I tre si scambiarono uno sguardo, poi allo stesso tempo diedero cenno ai propri agenti di indossare gli occhiali infrarossi e tenere pronte le armi.
Entrarono uno dopo l’altro, guardandosi intorno con circospezione, poi i gruppi si separarono come da piano. Mentre il gruppo di Fudou passava loro davanti, Diam notò che una delle mani di Sakuma Jirou era di metallo e luccicava ogni qualvolta un po’ di luce lunare filtrava attraverso una delle finestre del corridoio. Quel luccichio lo distraeva, per cui cercò di ignorarlo il più possibile. Si mise a studiare i dintorni: le finestrelle erano strette, avevano tutte le sbarre ed erano poste a circa tre metri da terra. Unite alle porte elettriche, rendevano certamente difficile ad un ladro di penetrare l’edificio. Ma questi sistemi avrebbero fermato solo un ladro qualunque. Era tutto troppo semplice per un uomo come Garshield...
Si fermarono al punto in cui i corridoi s’intersecavano. Fudou e i suoi lo sorpassarono, dirigendosi alle scale.
Diam non fece nemmeno in tempo a sporgersi dietro l’angolo che il suo udito colse il suono lievissimo di un fischio. Lo avrebbe riconosciuto tra mille. Si buttò a terra immediatamente, trascinando con sé Heat nella foga, e il proiettile silenzioso che gli era stato tirato si conficcò nel muro. Diam scrutò l’oscurità, cercando di capire da dove fosse arrivato il colpo. Individuò un uomo in giacca nera inginocchiato nel mezzo del secondo corridoio: anche lui portava i loro stessi occhiali e, quando si accorse che Diam poteva vederlo, si affrettò a nascondersi. Anche se non poteva esserne certo, a Diam parve che fosse proprio dietro l'angolo di una parete.
Desarm e Nepper si abbassarono al loro fianco, e tutti e quattro si nascosero usando i muri come scudi contro eventuali tiri.
-Un cecchino?- chiese Desarm accigliandosi.
-Sì, signore- rispose Diam. Levò la sicura dalla propria pistola e stava per sporgersi di nuovo, ma Desarm lo fermò alzando una mano.
-Aspetta. In questa situazione, siamo noi ad avere lo svantaggio. Proviamo invece a stanarli- affermò, poi si girò verso Heat. -Heat, mi servono un paio di sfere di fuoco nella direzione da cui è venuto lo sparo. Sei in grado di individuarlo?
-Credo di sì, signore- rispose pronto l’agente. Ripose la pistola, chiuse gli occhi e inspirò a fondo; dai suoi palmi sollevati verso l’alto cominciarono a sollevarsi delle piccole fiamme, che Heat modellò in piccole sfere con dita esperte. Si mise seduto lateralmente, di modo da avere sott’occhio il bersaglio senza però esporsi troppo. Prima che lanciasse, Diam gli mise una mano sulla spalla e gli sussurrò: - Cerca di farle scivolare vicino alla parete a te più vicina. Immagina una specie di partita a bowling, solo che devi mandare la palla nel canale.
Heat guardò Desarm e, dopo aver ricevuto un cenno di approvazione, fece esattamente come gli aveva detto Diam. Contarono fino a venti, poi qualcuno da lontano si lasciò sfuggire un'imprecazione. Diam si sporse appena e vide che le scarpe del cecchino stavano bruciando: era nascosto proprio dietro l’angolo formato dalla parete, come da lui previsto.
-Abbiamo attirato la loro attenzione- disse Desarm. Diam non capì se fosse una semplice constatazione o se stesse parlando al microfono con le altre due Spy Eleven.
Di sicuro, però, aveva ragione. La confusione creata dall’uomo attirò l’attenzione dei suoi compagni, che balzarono imprudentemente fuori dai nascondigli per sparare agli intrusi. Loro non aspettavano altro. Desarm sparò un paio di colpi mirati alle gambe e, a giudicare dai lamenti, ci aveva preso. Allo stesso tempo, Heat lanciò altre sfere di fuoco, mandando ancora più nel panico le guardie.
Diam aspettò ancora un po’, nascosto, e si mise a contarli. Erano circa una ventina. Sentiva rumori provenire da poco distante, segno che anche le altre squadre erano state trovate (o avevano trovato) gli uomini di guardia sul piano. Era evidente dai numeri che Garshield non badava a spese, osservò Diam con disprezzo, mentre con le dita regolava lo zoom degli occhiali per osservare meglio gli avversari e carpirne dei punti deboli. Notò subito che avevano tutti delle specie di cuffie, forse per schermarsi dal rumore. Forse, quindi, erano stati avvisati che qualcuno aveva un potere come il suo. Per qualche motivo, sapere che lo temevano lo riempì di orgoglio. Era d’accordo con Fudou, era bello essere l’anima della festa.
-Nepper!- chiamò e, quando l’amico si girò, si tamburellò un dito vicino all’orecchio. Nepper lo guardò, poi si girò verso le guardie e capì subito.
-Ci penso io!- esclamò. Dopo qualche momento, le cuffie si arroventarono fino a prendere un colore rosso acceso, e Diam vide gli uomini strapparsele di dosso e scagliarle a terra. Al contempo, Desarm, Heat e Nepper indossarono rapidamente i tappi per le orecchie. Diam si alzò in piedi.
-Fudou, Ardena. Devo interrompere momentaneamente le comunicazioni. Vi consiglio fortemente di mettere i tappi che vi ho dato- disse Desarm. Quelle parole fecero sorridere Diam, che non si era nemmeno accorto che Desarm si fosse portato tappi in grande quantità. Bene, perché Diam non aveva certo intenzione di trattenersi.
Aprì la bocca e urlò con quanto fiato aveva in corpo.
I cecchini si coprirono subito le orecchie con le mani, ma era tutto inutile: dopo poco infatti cominciarono a cadere a terra, uno dopo l’altro, come sacchi di patate. Solo quando l’ultimo cadde, privo di sensi, Diam chiuse la bocca e fece tornare il silenzio. Si girò verso i compagni.
-Bell’assist!- esclamò, alzò la mano verso Nepper. L'altro gli diede subito il cinque.
-Figurati!- Nepper sogghignò.
Intanto, Desarm si era avvicinato per esaminare i nemici svenuti. Una volta sicuro che non si sarebbero rialzati, si tolse i tappi e si infilò il microfono.
-Che cazzo era quello?!- La voce di Fudou era talmente alta che rimbombò fuori dall’apparecchio come un eco, permettendo anche a Diam, Heat e Nepper di sentirlo. Diam lo prese come un complimento.
-Abbiamo liberato la nostra zona- rispose Desarm senza dilungarsi. -Com’è la situazione da voi?
-Tutto libero anche qui. Aspettiamo notizie da Ardena e poi possiamo dare il segnale…- Fudou rimase in silenzio per un po’, poi borbottò:- Ehi, Ardena, ci senti? Muovi il culo!
Quasi come se queste parole lo avessero evocato, Fideo apparve per unirsi alla conversazione.
-Scusate, avevo ancora i tappi… Cavoli, qui hanno tremato le pareti!- esclamò. Diam prese come un complimento anche questo.
-Qui libero! Possiamo dare il segnale- assicurò poi Fideo.
-Ricevuto. Procedo- concluse Desarm, poi si toccò l’apparecchio nell’orecchio come se stesse cambiando frequenza.
-Qui Desarm a Base. Area piano terra libera. È possibile far entrare squadre B e C. Ripeto: area piano terra libera. È possibile pertanto procedere con il piano- dichiarò, molto chiaro e coinciso.
Poi, per la prima volta, cambiò espressione: per un momento parve esitare su qualcosa, aprì la bocca, ci ripensò, infine si schiarì la gola.
-Vorrei l’autorizzazione a unirmi alla squadra B da questo momento in poi- affermò, spiazzando i suoi agenti e forse chi c’era dall’altro lato del centralino. Desarm rimase in attesa qualche momento.
-Sì, sono cosciente di ciò che la mia decisione comporta, so che è una richiesta improvvisa. Vi chiedo ugualmente di prenderla in considerazione…- Rimase di nuovo in ascolto. -Ovviamente mi fido della mia squadra, so che faranno il loro lavoro egregiamente anche in mia assenza. Grazie a tutti dell’opportunità.
La comunicazione parve interrompersi lì. Desarm sospirò, poi si girò verso i propri agenti.
-Diam, Heat, Nepper- disse con grande serietà -voi rimarrete su questo piano di guardia insieme a Fudou e Ardena.
-Sì, signore- risposero i tre all’unisono. Non era il caso di aggiungere altro, ma Diam non riuscì proprio a trattenersi.
-Non sarebbe contro le regole cambiare squadra di testa propria?- chiese, senza peli sulla lingua. Desarm non diede peso alla sua sfacciataggine, a cui era abituato, e invece di offendersi abbozzò un sorriso.
-A volte le regole possono essere cambiate con una volontà di ferro- ribatté.
Heat e Nepper lo guardarono esterrefatti, come se riuscissero a credere alle loro orecchie, mentre Diam scoppiava a ridere. Chi lo avrebbe detto? Anche il loro capo a volte non seguiva le regole.
A quel punto Desarm dovette rendersi conto di aver detto una cosa non da lui, perché subito dopo tossicchiò per coprire l'imbarazzo. -Comunque, non vuol dire che possiate farlo a vostro piacimento…- aggiunse. Guardò soprattutto Diam, che si strinse nelle spalle.
La sua mente era già altrove; dopotutto, presto le altre squadre sarebbero state lì. Avevano portato a termine la loro parte, tuttavia la sensazione di trionfo durò poco, lasciando posto a pensieri su ciò che sarebbe avvenuto dopo. Non avrebbero potuto dirsi realmente soddisfatti e sollevati finché non fosse finito tutto.
Diam si appoggiò alla parete e, incapace di scacciare del tutto i sentimenti negativi, chiuse gli occhi e si ummaginò all'agency con le persone che amava di più. Nella sua mente, augurò di nuovo a Midorikawa buona fortuna.




 

**Angolo dell'Autrice**
Dopo uno hiatus di mesi, sono finalmente riuscita ad aggiornare. Mi dispiace per la lentezza degli aggiornamenti, ma quest'anno l'università e faccende mie personali sono spesso messe in mezzo; per me è stato un anno molto pesante sotto tanti punti di vista ;A; Per fortuna molti pezzi dei capitoli successivi sono già scritti, ma sicuramente faticherò ad aggiornare con costanza, vi prego di avere pazienza e spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Personalmente, a me è piaciuto scriverlo, perché ho potuto inserire tre cose a cui pensavo da tempo: 1. Il potere di Reina; 2. La scena HiroMido del secondo pezzo; 3. Un P.O.V. di Diam, con un approfondimento su lui e Maki (amo la Diamaki). Mi piacerebbe sapere i vostri pensieri a riguardo, cosa ne pensate di Reina? Vi aspettavate questa svolta? Nei miei programmi futuri vorrei scrivere una raccolta di one-shot volte ad approfondire singoli personaggi e/o rapporti che nella main story hanno poco spazio per forza di cose; se lo facessi, Reina sarebbe sicuramente tra i personaggi in lista ♥
Ringrazio infinitamente chi ha la pazienza di seguire questa storia nonostante i tempi morti e chi la recensisce. Non sempre ho il tempo di rispondere ai commenti, ma li leggo sempre! 
Buona sera,
         Roby
   
 
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