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Autore: _ A r i a    07/08/2017    2 recensioni
{ ultima storia su questo fandom | multipair | linguaggio esplicito, contenuti forti e tematiche delicate | street life!AU }
Jude sente il cuore battergli a mille nel petto, martellargli contro la gabbia toracica con una furia inaudita, mentre l’adrenalina corre lungo le autostrade delle sue vene e i polmoni gli ardono; i polpacci tirano e pulsano a causa dello sforzo fisico, la testa inizia a dolergli e il fiato è già corto, nonostante questo però il ragazzo è felice.
Sì, felice.
Jude sorride, è così elettrizzato che se non avesse una copertura da mantenere si metterebbe ad urlare. La verità è che in quei momenti, quando è in giro con i suoi amici a combinare casini, si sente libero come in poche altre occasioni nella sua vita.
I quattro attraversano un ponte di metallo e i loro passi rimbombano assordanti nella notte.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Cambridge, Boston, 20th March
h. 10:24 a.m.


L’istituto Cambridge Rindge and Latin School è senza dubbio una delle più rinomate scuole di Boston, con la sua architettura ricercata e moderna, oltre ovviamente ai migliori insegnanti della città. Suo padre lo aveva iscritto lì controvoglia, avrebbe preferito di gran lunga che il figlio frequentasse una scuola privata, soprattutto in vista della campagna elettorale che si sarebbe apprestato a portare avanti nel giro di due anni a quella parte, tuttavia lui aveva insistito con decisione affinché si optasse per un liceo pubblico.
Ovviamente, a quel punto il signor Sharp aveva scelto il miglior liceo pubblico presente su piazza, tuttavia col senno di poi Jude non riusciva davvero a trovare motivo di lamentarsi.
Aveva cominciato a frequentare quella scuola con risentimento, presentandosi a lezione sempre imbronciato e con il costante desiderio di sprofondare in quelle sue felpe enormi e sformate. Quando aveva cominciato tuttavia a seguire i corsi del professor Dark qualcosa si era acceso in lui, come la consapevolezza che là dentro non fosse tutto perduto. Lui… possedeva uno strano magnetismo, in grado di catturare l’attenzione di ogni studente presente nella stanza. Mentre lo ascoltava parlare, Jude si sentiva sempre trasportare in un’altra dimensione.
Così, il sole era tornato a brillare, per Jude.
Ora che è appollaiato sul tetto dell’istituto, gli viene da ripensare a quel periodo. Aveva cominciato a tornare a casa col sorriso e suo padre ne era stato entusiasta, finalmente sembrava che suo figlio avesse trovato l’equilibrio che tanto disperatamente cercava. Spesso Jude gli parlava in maniera entusiasta del professor Dark, raccontandogli di come l’avesse spinto all’appassionarsi alla lettura di Kerouac o Salinger: i suoi occhi scintillavano ogni volta che il nome dell’insegnante scivolava sulla sua lingua. Colpito da quel luccichio e dalle parole lusinghiere, il signor Sharp si era convinto a recarsi ai colloqui scolastici per conoscere di persona l’insegnante che Jude nominava continuamente.
Ricorda bene ciò che, quella sera, suo padre aveva affermato, riferendosi al loro colloquio.
«È una persona interessante» era stato il suo commento, mentre infilzava un altro pezzo di arrosto dal proprio piatto «mi ha parlato a lungo di te, dice di trovarti… straordinario. Sono felice che tu abbia cominciato ad apprezzare il tuo liceo, Jude.»
In quel momento Jude aveva sentito il cuore battere fortissimo come in pochissime altre occasioni, in vita sua.
La porta di servizio si apre di soprassalto, mentre un Ray piuttosto trafelato compare sulla soglia della terrazza.
«Jude» lo saluta amorevolmente, mentre cerca ancora di riprendere fiato – evidentemente le scale da salire per arrivare fin lassù lo hanno sfinito più del previsto «sono passato in segreteria, mi hanno detto che mi cercavi… non sapevo che saresti venuto qui, oggi.»
«Non ne ero molto sicuro neanche io, all’inizio» ammette il ragazzo, alzando le spalle «però ti avevo promesso che sarei tornato… così eccomi qui.»
Sul volto di Ray compare un sorriso entusiasta, mentre gli occhi si illuminano di gioia.
«Allora torni a studiare qui» commenta, raggiante «oh, Jude, ma questa è davvero una notizia—»
«Sbagliata» lo interrompe Jude, incrociando le braccia dietro la schiena «è una notizia sbagliata.»
Ray si ferma a metà strada – aveva già cominciato a percorrere la distanza tra loro con delle grandi falcate per poterlo abbracciare – e sbatte diverse volte le palpebre, confuso.
«Come… come sarebbe a dire che è sbagliata?» domanda infatti, sempre più perplesso. «Allora perché mai sei venuto qui?»
Jude sorride mestamente, torturandosi le mani dietro la schiena. Sa già che Ray non la prenderà affatto bene, tuttavia è consapevole di non poterglielo nascondere in eterno; prima o poi lo verrà a scoprire da solo, perciò preferisce dirglielo subito e di persona. Com’è che si dice? Via il dente, via il dolore.
«Beh… perché volevo dirtelo di persona» ammette allora, lasciandosi sfuggire un profondo sospiro.
Ray si acciglia, impensierito. Ha un brutto presentimento, spera tanto di sbagliarsi…
«C-cosa devi dirmi?» chiede mentre si avvicina, sospettoso, scrutando il suo ragazzo con occhi pieni di apprensione.
«Mi dispiace» Jude agita lievemente le braccia intorno a sé, come a voler mostrare tutto il proprio disappunto. «Non potevo più andare avanti così. Ogni giorno i ragazzi continuano a farmi un mare di pressioni e alla fine mi è toccato accontentarli. D’altronde, per come stavano andando le cose, non sarà un cambiamento poi così radicale, tanto di fatto avevo già smesso di frequentare le lezioni.»
In quell’istante Ray sente crollare tutte le sue certezze. Per ogni mese di lontananza di Jude, non aveva mai perso la speranza di vederlo ritornare a studiare, prima o poi. Si diceva che il tempo lo avrebbe aiutato a capire quale fosse la scelta giusta, inoltre – forse egoisticamente – si augurava che il ragazzo decidesse di tornare almeno per stare un po’ più vicini. Jude è fatto per lo studio, Ray non riesce davvero ad immaginarlo in un posto che non sia tra i banchi di scuola. Invece avevano vinto loro: i suoi amici incoscienti, che per tutto quel tempo non avevano fatto altro che allontanare sempre di più Jude dalla sua famiglia e dagli studi.
Glielo avevano portato via.
«È uno scherzo, vero?» il professor Dark stringe con rabbia i pugni. «Tu non puoi fare questo, Jude. Me l’avevi promesso… che cosa dovrei pensare, allora, che per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentirmi?»
Si sente un fallimento: come insegnante, come confidente, come amante. Avrebbe dovuto indirizzare il suo ragazzo verso la strada giusta, invece aveva permesso in maniera alquanto passiva che dei delinquenti – perché questo erano i suoi amici, in fondo, gente che se ne andava in giro per la città a turbare l’ordine pubblico – lo conducessero sulla cattiva strada, allontanandolo forse per sempre da lui.
«Ray, no» Jude scatta in avanti, cercando di ricacciare indietro le lacrime che sente ora formarsi agli angoli dei suoi occhi «come puoi anche solo lontanamente pensare una cosa del genere? Io ti amo, perché mai avrei dovuto mentirti?»
«Perché è esattamente quello che hai fatto!» l’uomo copre con un solo passo la distanza che lo separa da Jude e afferra il ragazzo per il colletto della felpa. «Mi avevi promesso che saresti tornato qui come alunno, non per ritirarti dagli studi!»
«Beh, non è andata così» sbotta Jude, esasperato «ragiona, era l’unica cosa che potessi fare! Finché non avessi lasciato il liceo non si sarebbero mai fidati di me, così da farmi rischiare di diventare ogni volta il nuovo bersaglio dei loro pestaggi.»
«E ti sembra normale andare in giro con della gente che non vede l’ora di metterti le mani addosso?» Ray avvicina il viso a quello di Jude, ormai sono separati da una distanza di appena qualche millimetro. Sente il sangue ribollirgli nelle vene, è così infuriato, adesso…
«R-Ray… lasciami, per favore… mi stai spaventando…» mormora il ragazzo, gli occhi ora sono davvero pieni di lacrime.
Subito Dark lo lascia andare e Jude sente di nuovo i piedi toccare il suolo. Non si era nemmeno accorto che Ray lo avesse sollevato.
«Scusami» sussurra il professore, abbassando il capo con aria colpevole.
«Comunque sono miei amici, non è vero che non aspettano altro che picchiarmi» rettifica Jude, rassettandosi la felpa «sai che questa non è una cosa da cui posso tirarmi indietro, altrimenti avrei finito per andare incontro alle stesse conseguenze che rischiavo continuando a frequentare questa scuola.»
«Avresti potuto chiedermi aiuto» gli fa notare Ray, sentendo di nuovo salire l’irritazione dentro di sé «nessuno sa della nostra relazione, ti saresti potuto nascondere a casa mia! Sai che te l’avrei permesso, per me ospitarti sarebbe stato un immenso piacere—»
«Ma non ci arrivi?» Jude vorrebbe mantenere la calma, davvero, solo che sente il sangue ribollirgli nel cervello nel momento in cui Dark gli rivolge quelle parole. «Se non ti ho chiesto aiuto è stato perché non voglio metterti in pericolo! Qualora mi ritirassi dalla banda e qualcuno dovesse venire a scoprire che mi nascondo a casa tua, pensi davvero che si farebbero dei problemi a prendersela anche con te, pur di arrivare a me? Francamente mi sorprende il fatto che tu non riesca a capirlo, Ray.»
Uno stormo di uccelli si libra in aria, sfrecciando rapidi come aeroplani sopra le loro teste – probabilmente sono stati messi in allarme dai toni concitati della loro discussione. Con l’arrivo della primavera diverse specie di volatili sono tornate in città, spinti in direzione di Boston dalle correnti oceaniche, così adesso non è raro, camminando nel centro cittadino, assistere a dei veri e propri spettacoli, le ali che li sostengono mentre si esibiscono in delle danze a mezz’aria.
Quel giorno la temperatura è piuttosto mite; in cielo risplende un sole pallido, mentre da lontano Jude può quasi vedere i vapori neri alzarsi dalle ciminiere delle navi ferme al porto. Tutto ispirerebbe tranquillità, se non fosse per quella loro discussione.
«Spiegami come diavolo potrebbero trovarti, lì» ribatte Ray, avvicinandosi minaccioso «d’altronde tu non hai detto a nessuno della nostra relazione, no? Ah, già, dimenticavo che te ne vergogni…»
Per un momento a Jude sembra di non vederci più dalla rabbia. Il ragazzo pesta i piedi a terra, forse infantilmente, pur di trattenere la stizza.
«Io mi vergogno? Ma fai sul serio?» replica infatti, agitando le braccia attorno a sé. «Credevo che fossi tu il primo a concordare con me sul fatto che fosse meglio tenere nascosto il nostro rapporto ancora per un po’, perlomeno finché continuerai ad insegnare qui. Non dicevi che, se si fosse scoperto, avresti rischiato di perdere il posto da insegnante?»
Ray si lascia sfuggire un sogghigno al tempo stesso triste ed inquietante, mentre fissa Jude in maniera penetrante.
«Tanto a te cosa importa, ormai?» commenta poco dopo, con tono cinico. «Ormai non tornerai mai più a studiare qui.»
«Credi che l’abbia fatto apposta?» Jude sferza un pugno nel vuoto; inutile, non ci riesce: mantenere la calma in una situazione del genere è impossibile.
«Non so più cosa credere, Jude» sbotta Ray, stancamente. «Pensavo che mi amassi e invece non fai altro che scappare da me. Ero convinto che ti piacesse venire a scuola e che detestassi la vita in cui ti ritrovi adesso, e invece…»
Jude si sente mortificato da tutta quella situazione. Anche lui credeva tante cose: che Ray lo supportasse nel percorso che aveva deciso di intraprendere, che lo capisse… a quanto pare, tuttavia, si era sbagliato di grosso.
È immensamente deluso, gli viene da piangere. Ricaccia a stento indietro le lacrime, sa che non potrà trattenerle ancora per molto, il che significa che deve darsi una mossa e andarsene via da lì. Non vuole che Ray lo veda così fragile, l’ultima cosa che desidera è farsi scoprire mentre piange come una ragazzina, perché altrimenti vorrebbe dire che tutti quei discorsi sono stati vani. Ha bisogno di stare un po’ da solo e sfogarsi, adesso, tutto qui.
«A questo punto immagino che non abbiamo più niente da dirci» conclude allora il ragazzo. Sente la voce infrangersi mentre parla, tuttavia si costringe a non crollare, non ancora, non adesso.
Jude si avvia verso l’ingresso sulle scale, rivolgendo le spalle all’uomo; certo che non lo possa vedere, si strofina il dorso della mano sugli occhi lucidi, cercando di cancellare le tracce di quelle lacrime, ancora sul punto di scivolare giù dai suoi occhi.
È ormai arrivato davanti alla porta antincendio, tuttavia non fa in tempo a poggiare il palmo sulla grossa maniglia che Ray lo ha già afferrato per il polso, costringendolo a voltarsi.                  
Si fissano, per un momento che pare durare in eterno, il rosso che affoga nel nero e viceversa. D’improvviso lo sguardo di Jude sembra quasi essere diventato soffocante, per Ray: è come se quegli occhi tanto amati non lo riconoscessero più, ora che sono così spaventati e pieni di lacrime. Entrambi vorrebbero dirsi un sacco di cose, peccato che in quel momento le loro labbra siano incapaci di parlare.
«N-non toccarmi, Ray» lo ammonisce Jude, seppure la sua voce continui ad essere spaventata, persa, confusa.
Il professore lo lascia subito andare. Non si riconosce in quel gesto così impulsivo, si domanda cosa gli sia preso.
E forse la risposta è che, in fin dei conti, ha solo paura di perderlo per sempre. È vero, i ragazzi della banda l’avevano allontanato da lui, tuttavia hanno sempre trovato un modo per restare insieme, nonostante tutto. Ora, invece, a Ray quel momento suona tanto come un addio, più che come un arrivederci e no, non vuole che una definitiva parete di cristallo cali a separarli. Lui ama quel ragazzo – e il pensiero di non vederlo mai più lo logora.
Jude sa di essere nella stessa situazione dell’uomo, tuttavia percepisce di aver bisogno di una pausa, soprattutto dopo quello che è appena successo. Stare per un po’ da solo con se stesso lo aiuterà, ne è certo.
«Ti prego, non cercarmi per un po’» mormora, anche se sente il cuore spezzarsi a quelle parole «ho bisogno di rimettere in ordine i pensieri e facendo così non mi aiuti, affatto.»
Ray apre la bocca. Vorrebbe poter dire qualcosa, tuttavia le parole di Jude l’hanno ferito a tal punto che elaborare una risposta adeguata gli pare impossibile.
Cogliendo al volo il silenzio dell’insegnante, Jude si volta, per poi sparire mentre scende giù per le scale. Ray invece rimane immobile, gli occhi che continuano imperterriti ad osservare il punto in cui il ragazzo è sparito, poco prima. Sa che non tornerà su, dicendogli che si è sbagliato e che tutto ciò che desidera è passare insieme il resto della loro vita. D’altronde, il tutto sarebbe fin troppo simile ad un sogno – e Ray ha ormai smesso di credere ai sogni.
L’unica parola che riesce a pronunciare, in un momento del genere, è il nome del ragazzo, che affiora sulle sue labbra con un mormorio leggero come petali di rosa.
«Jude…»         
 

Back Bay, Boston, 24th March
h. 03:15 p.m.


Un tatuatore. Jude si sarebbe immaginato che Caleb potesse portarlo in qualsiasi posto, fuorché lì.
In quei giorni, Jude non riesce a fare a meno di sentirsi incredibilmente confuso, l’unica cosa che desidererebbe davvero sarebbe riuscire a trovare quelle risposte che sta così disperatamente cercando.
Continua a pensare alla discussione con Ray. Si odia da morire, non riesce a credere di essere riuscito a perdere anche l’ultima persona che ancora credeva in lui. Dopo la sua fuga in lacrime dal liceo Ray aveva provato a chiamarlo diverse volte, probabilmente spaventato al pensiero che il ragazzo, ridotto in quelle condizioni, potesse farsi male o combinare qualche stupidaggine. Jude, tuttavia, si era costretto a non rispondere, spegnendo il cellulare quando le telefonate si erano fatte più intense. Se gli aveva chiesto di dargli un po’ di tempo per riflettere aveva i suoi buoni motivi.
Si era rifugiato in una zona abbandonata della città, dalle parti di Southwest Corridor. Girando per quel quartiere in skate, assieme ai ragazzi, aveva notato la presenza di uno scavo abbandonato, non molto distante dai binari della vecchia ferrovia inutilizzata dove spesso andavano ad affinare le loro abilità. Probabilmente in quel luogo un tempo dovevano aver deciso di costruire una nuova rete di impianti fognari, perché dei grossi cilindri di cemento armato spuntano fuori dal terreno. Qualcosa deve essere andato storto, forse i fondi per i lavori non sono stati abbastanza o ci si è resi conto che quell’impianto non poteva essere installato lì, fatto sta che ad un certo punto gli operai hanno smesso di scavare e di quel luogo non è rimasto altro che una landa arida e desolata. Quando piove, il terreno sabbioso si ricopre di fango e pozzanghere, diventando impraticabile. Eppure, nonostante tutto, Jude continua a trovarlo un posto perfetto in cui nascondersi a riflettere, in una giornata uggiosa. Così, ogni volta in cui ne sente il bisogno, corre a perdifiato fin lì, salta giù in quella fossa e scivola nei vecchi cilindri, tra ristagni di acqua non troppo salubre e ratti che zampettano da una parte e dall’altra. Può sembrare uno scenario non esattamente idilliaco, tuttavia a volte Jude si ritrova a pensare che non ci sia poi così tanta differenza tra lui e quello scavo abbandonato.
Jude avverte un’onda infrangersi sulla spiaggia, non molto distante e solo in quel momento sembra riemergere dai suoi pensieri, ricordandosi di colpo del luogo in cui si trova.
Back Bay. Negozio di tatuaggi. Certo.
L’interno del locale in cui si trovano è azzurro come il mare e a Jude sembra che lo aiuti a riflettere. D’improvviso vorrebbe poter correre via da lì e scappare – nemmeno troppo lontano, a dir la verità: gli basterebbe raggiungere l’oceano, a pochi passi da lì. Poco importa che sia marzo e faccia sorprendentemente freddo, se solo potesse si getterebbe in mare con ancora indosso i suoi vestiti logori, giusto per sentire l’acqua gelida impregnare il tessuto e baciargli la pelle con quelle labbra di ghiaccio. È certo che, immerso nel silenzio, sott’acqua, tutti i suoi pensieri diventerebbero subito più lievi. Nessuno più ad assillarlo, potrebbe anche lasciarsi annegare in quel mare così accogliente.
Peccato che, in tutto questo, debba accontentarsi delle pareti di quel locale; inoltre, come se tutto ciò non fosse sufficiente – anche se, a detta di Jude, lo sarebbe eccome – gli tocca anche dare retta a Caleb.
«Questo qui?» Come a voler confermare quel suo ultimo pensiero, il ragazzo interpella il suo parere, indicando un disegno sull’album che il proprietario del locale ha fornito loro. È un tribale, raffigurante una tigre.
«Beh, non è male» commenta Jude, con un sospiro.
Caleb lo osserva attentamente, accigliato.
«Non sembri molto convinto» gli fa notare infatti, poco dopo.
«Sì, scusa» Jude strizza gli occhi e scuote la testa, disorientato. Trova una giustificazione, trova una giustificazione, trova una giustificazione… «solo che… cosa te ne fai di una tigre? Non è molto nel tuo stile.»
Caleb smette di osservarlo, con quel suo sguardo indagatore, tornando a rivolgere tutta la sua attenzione al catalogo dei tatuaggi. Alle sue spalle, Jude tira un silenzioso sospiro di sollievo, sperando che Caleb non si accorga anche di quello.
«In effetti non hai tutti i torti» ammette il ragazzo, riprendendo a sfogliare le pagine plastificate «anche se mi chiedo cosa ne sappia tu, del mio stile.»
«Mah, forse a forza di stare con te avrò imparato a conoscerti un po’ meglio, no?» azzarda Jude, mordicchiandosi il labbro inferiore.
L’altro scrolla le spalle e torna ad ignorarlo – o almeno, questo è quel che Jude crede e spera. È incredibile: all’inizio, quando è entrato a far parte di quella banda, Caleb lo detestava, letteralmente; ora, invece, sembra che l’unico di cui si fidi sia proprio Jude. Se ci pensa bene, dubita che sarebbe riuscito, fino a qualche mese prima, ad immaginare di poter entrare nelle sue grazie. Invece, a quanto pare, è esattamente quel che è accaduto.
Crede di essere la persona quanto di più vicina possibile ad essere un migliore amico, per Caleb – e se da una parte la cosa lo lusinga sinceramente, dall’altra si sente quasi spaventato, considerando che genere di persona sia.
Tuttavia, Jude non vuole attribuirgli colpe a prescindere, visto che sa di aver commesso buona parte dei suoi stessi errori. Come si dice, “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”.
«Non mi hai ancora detto come mai hai deciso di farti un tatuaggio» gli fa notare Jude, dopo diversi minuti di silenzio.
Caleb si volta subito a guardarlo, sorpreso. Non si aspettava una domanda del genere, evidentemente. Jude si sta già maledicendo, dannazione a lui che non riesce mai a tenere le parole a freno…
Inaspettatamente, tuttavia, i suoi pensieri vengono di colpo interrotti.
«Ho pensato che fosse una buona idea» gli risponde infatti, alzando le spalle «sai, qualcosa che mi facesse apparire come il temibile capo di una banda di teppisti. Ad ogni modo no, sono spiacente ma temo di doverti informare del fatto che tu non mi conosci ancora del tutto, affatto.»
Mentre pronuncia le parole “temibile capo di una banda di teppisti”, Caleb fa ondeggiare le braccia in avanti, mimando un espressione pericolosa. Jude scoppia a ridere e deve coprirsi le labbra con una mano per non fare troppo rumore, ricevendo comunque un’occhiataccia dal proprietario del locale, un certo Seymour Hillman.
D’improvviso Caleb picchia un pugno sull’album, facendo sobbalzare Jude. L’uomo barbuto dalla parte opposta del bancone, invece, sembra restare impassibile.
«Sono venti minuti che stiamo qui a sfogliare questo raccoglitore, senza riuscire a deciderci» sbotta il ragazzo dal ciuffo bruno, irato «non è possibile che scegliere un cazzo di tatuaggio sia così fottutamente difficile!»
I due ragazzi si guadagnano un secondo sguardo inceneritore da parte di Hillman.
«Ehi, ragazzino» l’uomo mette in guardia Caleb, continuando a fissarlo minaccioso «vedi di tenere la lingua a freno, qua dentro, altrimenti ti butto fuori.»
Caleb, tuttavia, gonfia il petto con aria arrogante, per nulla intimorito dalle parole di Hillman.
«Io parlo come caz—»
«Caleb, no!» Jude interviene appena in tempo, affrettandosi a coprire la bocca del compagno con una mano. Mentre Stonewall cerca di divincolarsi, il giovane Sharp tira fuori il suo migliore – e falsissimo – sorriso a trentadue denti, gli occhi strizzati a causa di quell’espressione mentre riprende:«La prego di scusare il mio amico, signor Hillman, purtroppo è un po’ sboccato. Crede che la cosa lo renda più interessante, chissà perché.»
«Jude, vffc—»
Prima che la situazione possa peggiorare, Jude si sbriga a rifilare un calcio negli stinchi all’amico. Per un momento a Caleb sembra quasi di non riuscire più a vedere, mentre le lacrime gli salgono agli occhi. Vorrebbe urlare o quantomeno piangere a causa del dolore, tuttavia, dovendo perennemente mantenere quel suo atteggiamento da duro, è costretto a ricacciare indietro le lacrime e a soffrire in silenzio. Jude, nel frattempo, continua a sorridere raggiante al proprietario, sperando che gli dia ascolto.
Seymour Hillman sospira silenziosamente, voltandosi ad osservare il portatile che ha lasciato acceso sulla scrivania.
«E va bene» conclude l’uomo, alzandosi dallo sgabello su cui era seduto «vado a preparare gli strumenti. Di’ al tuo amico di darsi una mossa a scegliere quel tatuaggio.»
«Certamente, signore» conclude Jude, continuando a sorridere apertamente anche mentre Hillman esce dalla stanza.
Non appena Seymour sparisce nel suo laboratorio, Caleb ne approfitta per mordere la mano di Jude.
«Ahi!» sussurra il ragazzo, stringendosi al petto la parte lesa. In questo modo, Caleb torna ad essere libero.
«Ah, e sai io che caz—»
Prima che possa aggiungere altro, Jude si avvicina l’indice alle labbra, osservando l’altro con aria truce e minacciosa. Fai silenzio.
Caleb sbuffa pesantemente, alla fine però vede di dare retta all’intimazione di Jude.
«Sei uno stronzo, comunque» riprende poco dopo, a voce decisamente più bassa «mi hai tirato un calcio sugli stinchi e per poco non rischiavi di soffocarmi. E dire che ti credevo un amico, Jude.»
«E infatti se l’ho fatto è proprio perché sono tuo amico» gli fa notare Jude, risentito «o volevi essere cacciato da questo locale prima ancora di esserti chiarito le idee su quale tatuaggio vuoi? Piuttosto, tu avresti anche potuto evitare di prendermi a morsi. Che schifo, adesso ho la tua saliva addosso…»
Con questo, Jude comincia a strofinare in maniera nevrotica il punto della mano in cui Caleb l’ha morso sulla felpa, disgustato.
«Smettila di comportarti come un frocio della peggior categoria» lo ammonisce poco dopo, lo sguardo in egual misura severo e beffardo.
Jude sobbalza lievemente sul posto, stavolta non riesce proprio a ribattere. D’altronde, cosa si dovrebbe replicare, quando dall’altra parte hanno ragione?
Caleb rotea lievemente gli occhi, tornando di nuovo ad ignorare il compagno. Jude, invece, per mezzo secondo non riesce più né a muoversi, né a far nient’altro: ha gli occhi leggermente dilatati, è caduto ancora una volta nei suoi mille pensieri.
E se Caleb avesse dei sospetti sul suo vero orientamento sessuale? Impossibile… è sempre stato così attento a tenerlo nascosto, per tutto quel tempo…
Jude raddrizza la schiena, cercando di fare finta di niente. Non può certo dare a Caleb altri motivi per poter dubitare di lui, no?
«Comunque, dobbiamo davvero darci una mossa a scegliere questo tatuaggio» commenta, cercando di cambiare discorso agilmente, mentre si rimette a sfogliare gli esempi di tatuaggi che Hillman ha proposto loro «qualcosa che ti rappresenti, eh? Accidenti, Caleb, certo che potevi pure pensarci prima di venire qui…»
«Beh, scusa se non l’ho fatto» commenta il ragazzo, incrociando le braccia sul bancone, per poi affondare il volto tra di esse «adesso mi pare un po’ troppo tardi, comunque.»
«Pure tu non hai tutti i torti» Jude smette di sfogliare l’album, sospirando stancamente. In realtà nessuna di quelle idee riesce a convincere pienamente neppure lui, il che è davvero un problema.
Qualcosa che rifletti Caleb… qualcosa che lo identifichi, che faccia intuire la sua personalità e che possa riferirsi unicamente a lui…
«Potresti scegliere qualcosa che ti faccia pensare a Camelia» commenta infine, in un lieve sussurro.
Subito gli occhi di Caleb schizzano in direzione del volto dell’altro ragazzo, di colpo l’argomento della conversazione sembra essere decisamente più interessante.
«Questa è la prima cosa sensata che dici da stamattina» ammette, un sorriso appena accennato che gli compare sul volto.
Jude sorride a sua volta, soddisfatto. Sapeva che quell’idea avrebbe incontrato i gusti di Caleb e averne la conferma lo riempie ancor più di orgoglio per aver avuto quell’intuizione.
«Sì, certo» riprende Caleb, mentre ha già cominciato a valutare quella possibilità «però cosa potrei farmi fare? Le iniziali? Mica sono una ragazzina--»
«Magari qualcosa che abbia a che fare con il vostro rapporto» propone Jude, tutto esaltato «che ne so, una cosa che potrebbe rappresentare la vostra relazione, oppure un oggetto che si lega ad un’azione che fate sempre insieme…»
Caleb si ferma per un momento a riflettere, colpito. Un modo per definire la loro relazione? Che domanda curiosa… non è sicuro di sapervi rispondere. Per lui Camelia è la persona più importante della sua vita. Con lei riesce a sentirsi bene come non mai e se dovesse immaginarsi con una persona al proprio fianco, tra una decina di anni, punterebbe senza dubbio su quella ragazza dai capelli color glicine. I loro caratteri sono diametralmente opposti, infatti spesso si domanda come sia possibile che due persone così diverse riescano a stare insieme – anche perché si rifiuta di dare credito a quella smanceria mielosa degli opposti che si attraggono o robe simili – infatti capita spesso che si ritrovino a litigare. Camelia vorrebbe che lasciasse perdere questa storia della banda, perché dice che non è fatto per quel mondo; Caleb sa che ha ragione, tuttavia la sua testardaggine gli impedisce di darle retta. È anche una questione di orgoglio – e, in fin dei conti, Caleb sa bene di essere fin troppo egocentrico per permettersi di perdere la dignità in un modo del genere. Per quante volte possano discutere, anche per questioni estremamente futili, tuttavia, entrambi sanno che finiranno sempre per fare nuovamente pace, perché si amano troppo – in una maniera irrazionale e tutta loro, certo – per perdersi.
«Beh» risponde, dopo interminabili minuti di riflessione «se penso a lei – o, più in generale, alla nostra relazione – mi verrebbe da parlare di un fuoco. Una fiamma che brucia e che divampa, inarrestabile. Ci sono dei momenti in cui andare d’accordo è davvero impossibile, eppure, nonostante tutto, non potrei mai vivere senza di lei…»
Mentre racconta, Caleb sembra un fiume in piena, incapace di fermarsi. Nel frattempo, Jude afferra un foglio e una matita dalla scrivania di Hillman, iniziando a tracciare linee leggere sulla carta. È come se le mani agissero contro la sua volontà, i pensieri che invece sono ancora tutti concentrati sulle parole di Caleb.
Quando le dita di Jude lasciano cadere la matita, a disegno ormai ultimato, Caleb sta ancora parlando. Il ragazzo ha il tempo di lanciare uno sguardo al foglio, al che un’espressione soddisfatta si dipinge subito sul suo volto.
«Credo che una cosa del genere potrebbe andare» annuncia infatti, di lì a poco, allungando il disegno al capo della banda «tu che dici? Ho pensato che, oltre a rappresentare in pieno quello che provi per Camelia, in buona parte inquadri anche la tua personalità. E poi ehi, potrebbe anche essere considerato un simbolo da “temibile teppista”, no?»
Caleb osserva attentamente il bozzetto. Quella è, a tutti gli effetti, la rappresentazione del fuoco. Il disegno ricorda l’elemento naturale, linee nere più spesse che vanno a diradarsi, diventando sempre più sottili, man mano che le lingue di fiamma vanno salendo verso l’alto. Deve ammettere che non sarebbe mai riuscito ad immaginare niente di meglio.
«Vedi perché quando vado in giro mi porto dietro te, piuttosto che Joe o David?» gli domanda poco dopo, sorridendo in maniera sardonica. «Sei tu quello con le intuizioni geniali, Jude.»
Jude sorride. È sul punto di dire qualcosa a Caleb, tuttavia proprio in quel momento Hillman fa nuovamente la sua comparsa all’interno della stanza.
«Allora, avete deciso?» domanda loro in tono rude, burbero. «Di là è tutto pronto.»
«Sì, ecco, arrivo» annuncia Caleb, alzando il foglio con il bozzetto di Jude a mezz’aria.
Vorrebbe poter ringraziare meglio il suo amico, tuttavia neanche un secondo dopo si ritrova inchiodato alla poltrona del tatuatore, mentre si costringe a trattenere le lacrime di dolore nel momento in cui l’inchiostro penetra nella sua pelle.
Jude osserva in silenzio tutta la scena da dietro una vetrata, in uno stanzino attiguo. Per l’ennesima volta, l’immortale cocciutaggine del suo migliore amico lo diverte più di quel che dovrebbe – aspetta, da quand’è che ha cominciato a considerare Caleb il suo migliore amico? Accidenti, a forza di frequentare quei ragazzi deve aver finito per farsi friggere anche l’ultimo briciolo di cervello che ancora gli restava a funzionare bene.
Forse, riflette Jude, dovrebbe farsi anche lui un tatuaggio. L’idea non l’ha mai sfiorato minimamente, tuttavia magari i ragazzi potrebbero trovarla una buona idea. In effetti, se proprio dovesse farsi qualcosa, gli piacerebbe la rappresentazione del battito cardiaco sul lato destro del collo – e non sulla spalla, come ha scelto invece Caleb. È abbastanza sicuro che gli altri boccerebbero quell’idea, etichettandola come una scelta da ragazzine, tuttavia con ogni probabilità sarebbe perché ignorano i veri motivi dietro quella decisione. La verità è che un giorno Jude vorrebbe mettersi a frugare tra i referti medici a casa di Ray, trovare un suo elettrocardiogramma e scattargli una foto col cellulare, per poi farselo imprimere sulla pelle in maniera indelebile. Hanno litigato, è vero, tuttavia non può negare a se stesso che, seppure siano appena quattro giorni che non lo vede, gli manchi terribilmente; nonostante tutto lo ama davvero, di quella sorta di amore folle e profondo che potrebbe durare perfino in eterno – all’incirca lo stesso che vede riflesso anche negli occhi di Caleb, ogni volta che lo sente parlare della sua Camelia.
Magari un giorno lo farà sul serio, chi lo sa.


Southwest Corridor, Boston, 12th April
h. 02:44 p.m.


Succede così, un giorno di metà aprile. All’improvviso, quando nessuno se lo aspetterebbe.
Jude sta attraversando una strada desolata di Southwest Corridor, con un vecchio zainetto malandato sulle spalle. Là dentro ci ha infilato la maggior parte dei suoi effetti personali – vestiti, spazzolino e dentifricio, un paio di libri perché non si sa mai, metti caso che dovesse trovarsi a combattere la noia – dopo una breve sortita a casa sua, approfittando del fatto che suo padre fosse in visita da alcuni suoi amici imprenditori, nello stato di New York. Ormai era abbastanza certo che non sarebbe più tornato a casa per un bel po’, perciò aveva valutato che sarebbe stato meglio avere tutto il necessario a portata di mano, nel momento in cui ne avesse dovuto aver bisogno.
Dà un calcio ad un sasso per terra, che rotola giù lungo il marciapiede che sta percorrendo. Vecchi fabbricati con i mattoni a vista gli fanno compagnia, mentre si affretta a raggiungere il covo della banda.
Quel giorno si sente particolarmente allegro, nemmeno lui saprebbe dire perché. Forse è per via di questo fatto che se ne sta ormai andando ufficialmente da casa di suo padre, tuttavia non ne è poi così sicuro. Ad ogni modo, gli ultimi metri che lo separano dalla tana li sta affrontando muovendosi letteralmente con un’andatura saltellante. Se i ragazzi lo vedessero, finirebbero per prenderlo in giro per delle settimane – e, per una volta tanto, non si sente infastidito neanche più di tanto da quella prospettiva.
È esattamente in quel momento che riceve la telefonata.
Il cellulare comincia a vibrare furiosamente nella tasca dei suoi pantaloni, costringendolo a fermarsi. Jude lo estrae con un gesto rapido, lanciando uno sguardo di sfuggita al nome sullo schermo – è David, il che lo lascia piuttosto interdetto. Gli ha detto che sarebbe arrivato al covo all’incirca alle tre ed è in anticipo di ben un quarto d’ora, perciò perché mai dovrebbe chiamarlo? Jude risponde, senza troppa convinzione.
«David, che succede?» domanda infatti. È piuttosto infastidito da quella telefonata: dannazione, non è un bambino incapace di badare a se stesso. Se ha detto che arriverà per le tre, allora sarà sicuramente così, no? Incredibile, è da più di un anno che frequenta quel gruppo di scapestrati, eppure, a quanto pare, non hanno ancora imparato a conoscerlo. In tutta onestà, Jude non credeva di essere una persona tanto contorta.
«J-Jude! Menomale che hai risposto» replica David, come se non avesse minimamente sentito la domanda che gli ha rivolto. La sua voce sembra ben più concitata del solito – e Jude non riesce a fare a meno di chiedersene il perché «devi assolutamente venire qui, è successo un casino…»
Jude corruga la fronte, confuso. Se prima non capiva il motivo di quella telefonata, adesso gli sembra di non riuscire nemmeno ad afferrare le parole che David gli rivolge.
«Come? “Qui” dove?» gli chiede allora, sempre più perplesso. «Non capisco perché sei così agitato, David… comunque, se ti riferisci alla tana, sappi che sono quasi arrivato…»
«No!» l’altro ragazzo strepita, dall’altra parte dell’apparecchio. «No, no, non siamo lì, Jude.»
«E allora dove?» Jude sbuffa, spazientito. «Credevo che avessimo un appuntamento! Guarda, giuro che se scopro che è uno degli ennesimi scherzi di Joe—»
«Jude, sono serissimo» David prende diversi respiri profondi, sembra non riuscire a calmarsi «devi venire subito alla centrale di polizia, siamo tutti qui. Hanno arrestato Caleb.»



Angolo autrice

Oddio, per un soffio! *tira un sospiro di sollievo*
Sul serio, ormai temevo che non ce l'avrei fatta ad aggiornare oggi! Volevo postare come al solito intorno a mezzogiorno, diciamo però che ci sono stati un po' di inconvenienti, del tipo che ieri sera sono tornata a casa alle due di notte dopo aver passato tutta la serata al pronto soccorso e che adesso mia madre ha un braccio fratturato... visto che però dei miei problemi penso che non importi niente a nessuno, andiamo avanti.
Dunque, questo è un capitolo che attendevo da molto tempo, anche se al tempo stesso lo si potrebbe considerare un po' "transitorio". Chi mi conosce sa che ho una tendenza preoccupante all'angst, inoltre più amo un personaggio e più tendo a farlo soffrire. Okay, probabilmente questo è sadismo, ma dettagli--
Comunque, sì, mi dispiace per Kageyama e Kidou... dio, sono un mostro— la scena ambientata nel negozio di tatuaggi, invece, ha un che di molto più comico, credo...? Ormai Kidou e Fudou sono BROTP a livelli inimmaginabili, ahah.
Per quanto riguarda il finale, invece... ve l'aspettavate? Cosa pensate che potrebbe succedere, adesso?
Scusate se questo angolo autrice è un po' breve ma, davvero, mi ero preparata un sacco di cose da dire e adesso mi pare di aver fatto tabula rasa a causa dell'ansia di aggiornare... è la prima volta in vita mia che riesco a rispettare una tabella di marcia che mi autoimpongo, se non avessi postato oggi mi sarei sentita in difetto con voi, visto che ormai vi avevo allettati con la garanzia degli aggiornamenti regolari, oltre al fatto che per me sarebbe stata una grossa sconfitta sul piano personale. Probabilmente sto esagerando, sono tuttavia ormai giunta in un'età in cui prendersi delle responsabilità e rispettare la parola data hanno ben altro valore che in precedenza, soprattutto in vista del lavoro che mi piacerebbe fare da grande.
(Cosa sto dicendo, non capisco più niente--)
Ciò detto, ringrazio tutti i lettori che recensiscono (e che recensiranno, magari...?) questa storia, insieme a chi l'ha messa tra le preferite e le seguite. Scusate per lo sfogo dell'altra volta, era una giornata no in cui mi avete beccata decisamente nervosa e giù di morale. Avvilita, soprattutto, perché spesso non ricevere feedback mi fa quest'effetto, come ho detto però so di non potermi aspettare la Luna. Anzi, scusate se molto probabilmente non riuscirò a rispondere alle vostre recensioni neanche stavolta, ma con mamma in queste condizioni preferisco sinceramente concentrarmi più sulla sua salute che su EFP, spero che la mia scelta possa essere compresa ^^
Ah, una cosa: mi hanno detto che il 27 avrò un impegno che mi terrà lontana per tutta la giornata... spero di riuscire comunque a postare il capitolo, anche a costo di svegliarmi all'alba, però se non dovessi riuscirci sappiate che è per questo motivo.
Grazie a Gagiord per aver betato il capitolo, ci vediamo il 17 (spero...?) per il quinto chap, in cui... succederà di tutto!

Aria   
   
 
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