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Autore: queenjane    08/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Cosa fai?” rovesciai la testa, stesi un braccio per farlo avvicinare.
 “Scrivo, zarevic” indicando il quaderno, me lo presi sulle gambe, un movimento fluido e familiare, finalmente stava bene.

Suonava la tromba, il tamburo, cantava a modo suo l’inno imperiale,  era sempre in movimento. Appena poteva compiva un’irruzione nell’aula di studio delle sue sorelle e faceva chiasso, correndo intorno al tavolo e cantando finchè non lo portavano via, e si dimenava e scalciava. Era un bambino felice e chiassoso, che si godeva la vita, salute permettendo.
E molto dolce, senza essere lezioso,  amava i cani e i gatti (the cat!, ma va, il gatto era il suo animaletto preferito) ogni tanto raccoglieva fiori e pensieri.
E tanto rimaneva una peste, farlo mangiare restava una lotta e una supplica, cercare di fargli fare il riposino pomeridiano senza strepiti un miraggio.
Poteva essere arrogante e maleducato, un imperatore dei viziati, conscio del suo rango, ma si era rassegnato a far volare gli aquiloni, i bambini no. 
Se era sulle spalle di suo padre o uno dei suoi marinai, apriva le braccia, si limitava a dire “Bimbo vola”, tranne che era Olga a prenderlo per le ascelle e farlo volteggiare sopra la testa, pochi ed esperti movimenti, sicura come pochi, ogni tanto pure io.

“Cosa?”
“Un compito” il marinaio Nagorny mi fece un cenno, Aleksey si girò nel mio  grembo “E come sai che è tuo?”
“Riconosco il colore del quaderno e poi vi è sopra il mio nome, alla francese” Catherine Raulov, con vari svolazzi. “ E le iniziali, C. R”  fece una smorfia, confrontandole con quelle che aveva sul colletto A. H., Aleksey Nicolaevich, che in cirillico la N si scrive H E lui era sveglio
“I caratteri sono diversi” enunciò.
“Hai ragione.. questo è l’alfabeto europeo, Zarevic, questi sono caratteri cirillici” basita, aveva da compiere quattro anni ed era veramente sveglio, ripeto “Lettere diverse rispetto a questo” toccò una bibbia, che vai a sapere come era finita sulla mia scrivania, poi rilevai che ce la aveva lasciata Tatiana
“Sei troppo piccolo per imparare gli alfabeti, peste” lo canzonai, sistema sicuro per farlo interessare
“NO” gli catturai il palmo prima che lo sbattesse sul tavolino “Allora.. è una questione di segni e suoni.. “ gli baciai la guancia, lo sistemai meglio sulle gambe, intanto Nagorny (la tata marinaio) si accomodava con maggior agio su una sedia e ascoltava la spiegazione.

Erano le vacanze primaverili in Crimea, ricordai, possibile che, ospite perenne, perdessi sempre tempo a giocare con lo zarevic.. quaranta minuti dopo, avevo riempito una risma di fogli con i segni degli alfabeti russo e occidentale, avevo le ciocche ingarbugliate, e ALEKSEY RIDEVA  

“Buffo..” mi sfiorò il gomito sinistro, non volendo, trasalii per il dolore, ed era colpa del principe Raulov, mi aveva ben scosso per il braccio, la settimana avanti, quando avevo chiesto di poter andare con la famiglia imperiale, per favore, una stretta così forte che potevo ancora osservare la mappa di colori dei lividi, che variavano dal blu al viola e al giallo. E le sue collere scoppiavano per tutto e nulla, e tanto ancora non avevo imparato a girargli alla larga. Le sue mani erano pesanti, sempre, come per mia madre, sulle parole potevamo glissare.
“Cat.”
“Dimmi, Aleksey” tornai al presente “Ti ho fatto male al braccio?” desolato, un piccolo sussurro per non farsi sentire
“No amore, perché?” sussultando, addolorata “Ti ho toccato e hai saltato per il dolore, come quando Bimbo cade” Bimbo era lui, ogni tanto si declinava così, lo baciai, di nuovo, lui mi carezzò il gomito, così il dolore (bua) passa.. ogni tanto era davvero dolce, rilevai, cercai di scacciare la preoccupazione dai suoi occhi “Stai tranquillo, tesoro”
“Sicura? Sicura sicura?”gli carezzai la guancia
“Tu non mi hai fatto nulla” definitiva, presi la sua manina, lo aiutai a scrivere “Aleksey Nicolaevich” in russo e in inglese, spiegando da capo.

“Aleksey Nicolaevic, è l’ora degli impacchi” disse Nagorny. In via preventiva, per combattere i gonfiori agli arti, doveva fare dei cicli di massaggi et alia
 “Non dite NO, zarevic.. questo è un dovere, per la Russia, vero, signor Nagorny.. “ a sentirsi appellare signore, lui marinaio semplice, da una principessa annuì mentre Alessio rimandò i suoi strepiti, curioso
“Io devo fare i compiti, voi quanto sopra. Poi ci troviamo in spiaggia.. Non vi comanda nessuno, zarevic, se non i vostri genitori, ma hanno dato un incarico, li deluderemmo se non venisse fatto quanto dobbiamo” 
“Vero..”
Tante cose non le poteva fare, giusto, però potevo pungolarlo da quel lato e inventare qualcosa per fargli passare il tempo.  Volente o nolente, gli impacchi se li sarebbe presi uguale, e si indisponeva era peggio
 “ Catherine vieni con me”
“Va bene, fatti preparare e arrivo”  andai dal Dr Botkin, mi aveva assistito quando ero caduta da cavallo, presa il morbillo e così via e sapeva la situazione in casa Raulov. Mi feci fare una fasciatura intorno al gomito, così che, ove avessi sollevato le maniche avrei potuto dire che ero caduta da qualche parte, ero sempre tanto sbadata.
Ero stata un terremoto e sapevo riconoscere un mio pari, tralasciando che molte delle bizze dello zarevic erano di frustrazione, anni dopo mi disse che avrebbe voluto essere come gli altri, perché non poteva essere come tutti.. perché.. già.
E per me era una suprema ironia avere una bibbia tra le mie cose. Come era doveroso, assistevo alle lunghe liturgie obbligatorie, mi confessavo  e prendevo la comunione, ed era solo apparenza. Dio poteva essere sorridente, lontano e remoto nelle icone, mai si era palesato nelle lunghe notti in cui pregavo che facesse terminare il tormento, il dolore,  i movimenti sofferti di mia madre Ella, che fosse l’ultima volta che prendevo uno schiaffo o una spinta o che mi trattasse male. Sobrio od ubriaco, il principe Raulov, alla fine ero diventata una iattura con piena convinzione e coscienza. Se chi deve amarti sostiene che sei una nullità o ti armi di arroganza o soccombi, io ero diventata  egocentrica come pochi. Tralasciando che, da quando era nato Sasha, stavo relativamente in pace. Avevo imparato a credere solo in me stessa, fine, e girare più al largo possibile dal principe padre.

“Allora, un castello dei cavalieri con tre cinte murarie e le torri e il fossato e quanto altro..”
“Bello .. raccogliamo le conchiglie e le alghe e ..”
“Magari sul dietro costruiamo un canale segreto, il castello è sul mare, zarevic, chi lo ha inventato?”
“I pirati..?” Annuendo, gli misi tra le mani un vecchio binocolo.. “Fermo e vediamo se avvisti qualcosa..” quindi " Dopo voglio state con te"

Sua madre urlava che doveva essere fatto tutto comme au fait, che non si doveva stancare troppo, e all’atto pratico erano le tate e i marinai ad attuare quanto necessario, oltre che Olga e Tanik. Già. Ma la zarina e sua diletta Vyribova erano la perfezione, of course, a 13 anni ero un tantino sarcastica.
 
   
 
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