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Autore: Corydona    08/08/2017    11 recensioni
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Ex "Un tuffo al cuore"
Dopo l'infortunio di una delle compagne di nazionale, Fiammetta Salieri ha l'occasione di realizzare il suo sogno e di partecipare alle Olimpiadi. Cosa potrà mai andare storto?
Ovviamente, nulla va come previsto.
Nel giro di pochi giorni, Fiammetta si ritrova al centro delle più disparate confidenze, scoprendo legami di ogni genere tra compagni e avversari.
Tra amicizie che nascono e che muoiono, scommesse, tradimenti segreti e persino un mazzo di fresie, ci ritroviamo a vivere gli spalti dell'impianto non solo tra la tensione delle continue gare, ma anche facendo il tifo per le Olimpiadi che ognuno di noi almeno una volta nella vita deve disputare: quelle del cuore.
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Olimpiadi Romane'
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Quando sei lì sul trampolino, sei da sola. Tu e lui. E l'acqua, ovviamente, che brilla sotto di te, per i riflettori o alla luce del sole, con quegli schizzi che servono a farti capire a che punto sei.

Sistemo con il piede la ruota che regola l'elasticità della tavola e lancio un'occhiata a Rebecca, che sembra nervosa molto più di me. Nonostante questa sia la mia seconda gara seria, non sento su di me alcuna pressione. Lei, invece, si asciuga la treccia castana e continua a pizzicarsi il costume da diversi minuti, già da prima di avvicinarci ai nostri trampolini. 

La sento buttare fuori un lungo sospiro, prima di chiedermi, come da rituale: - Pronta?

Siamo a Roma e ci sono le Olimpiadi; e noi le giochiamo in casa. È il primo giorno, il che significa che per noi dei tuffi la prima gara è il sincro da tre metri donne. Io neanche sarei dovuta esserci, ma la compagna di sincro di Rebecca ha avuto un incidente in moto qualche mese fa. Quindi lei non si è potuta allenare e io sono qui.

Tentenno un secondo prima di rispondere. Non devo pensare a niente. Il primo tuffo è facile, un semplice capofitto ritornato, ha solo mezza rotazione, in avanti per di più... l'ho fatto migliaia di volte. Inoltre io e Rebecca abbiamo una buona sincronia, anche se ci siamo allenate per questa gara solo negli ultimi mesi...

Sono pronta?

- Sì.

E allora Becky, come tutti la chiamiamo affettuosamente, conta. - Uno, due, tre.

Salto indietro, unendo velocemente il busto alle gambe tese e stringendole al petto con le braccia, conscia che Rebecca al mio fianco sta facendo lo stesso. Ben presto apro le braccia per entrare in acqua, unendo i palmi delle mani davanti a me, poco prima di immergere la testa e il resto del mio corpo. Una volta sotto il pelo dell'acqua, eseguo una piccola capriola, che dovrebbe aiutarmi a controllare l'ingresso di gambe e piedi. Sento le punte delle dita sbattere contro la superficie umida, non sono riuscita a eseguire l'entrata come avrei dovuto. E come so fare.

Rapidamente, riemergo e recupero la pelle, quel pezzo di stoffa sintetica con cui ci si asciuga prima e dopo il tuffo, senza riuscire a trattenere una mezza smorfia di disappunto. Sì, era il mio primo tuffo in una gara olimpica... ma proprio per questo volevo farlo meglio.

Mi avvicino alla figura longilinea e abbronzata di Becky che, nonostante la tensione che ho ben percepito poco fa, sembra una maschera di cera: nessuna emozione traspare dai lineamenti delicati del suo viso. Ho paura che mi guardi storto, perché so di non aver fatto un tuffo pulito, ma lei mi sorride, forse perché non ha visto quanti schizzi ho sollevato entrando in acqua o forse perché le mie gambe e le sue non hanno tremato, come entrambe temevamo. Ironico che siamo proprio noi ad iniziare la serie.

Guardo il tabellone con i voti dei giudici: 45.50. Per essere quasi il mio esordio internazionale, va bene così, anche se non è un gran punteggio. Mi butto sulla spalla la pelle umidiccia e vado da Sandro, il nostro allenatore, che già sta parlando con Becky.

- Eri poco carpiata, devi stringere di più dopo negli altri, va bene? - mi dice sbrigativo. È un uomo alto, con un accenno di barba sul mento e due scuri occhi da lupo. Indossa quasi sempre un berretto da baseball di un grigio sporco tendente al nero, anche se oggi c'è una temperatura che credo sfiori, o addirittura superi, i trenta gradi.

Annuisco e, ignorando completamente il tuffo delle australiane, vado nella vasca idromassaggio. Incrocio una delle canadesi, ma nessuna delle due guarda l'altra. In gara, soprattutto in quelle importanti, sono come in trance. Non vedo niente, non vedo nessuno, se non Sandro. Qualsiasi tipo di gara sia, io vedo solo il mio allenatore e quei suoi occhi scuri, caldi, che sin da subito ispirano fiducia.

Raggiungo Becky, che si sta avvicinando alla vasca idromassaggio, ma non le parlo, non spiccico neanche una parola. E lei sembra intenzionata a fare lo stesso: si immerge interamente nella vasca, come volendo allontanare la tensione per l'esordio olimpico. Certo, per lei non è la seconda gara internazionale a livello senior, come invece è per me, ma pur sempre la prima Olimpiade a cui prende parte.

Mi siedo a bordo vasca, e strizzo il tessuto sintetico della pelle, di nuovo con un'espressione di disappunto dipinta sul mio viso; anche se stavolta è per un motivo del tutto diverso. È il colore della pelle a infastidirmi: uno sgargiante rosa shocking, motivo per cui non l'avrei mai comprata, se avessi potuto scegliere. Ma è un regalo del mio amico Jean-Marc, un tuffatore della squadra francese, che mi ha detto di usarla alle Olimpiadi come portafortuna; credo che voglia solo mettermi in imbarazzo, però l'ho portata qui e ho lasciato quella che uso di solito, azzurrina, in albergo.

Sento il rumore del pubblico che interrompe i miei pensieri: le australiane devono aver finito il tuffo. Silenzi tombali si alternano a un gran chiasso. Viene chiamata la coppia messicana. Altre grida dagli spalti. Silenzio. Sento il suono dei loro ingressi in acqua. Applausi da parte dei tifosi e degli altri atleti, o almeno così mi pare. Non ci faccio mai caso, ma ora, con la mente libera da ogni pensiero, ascolto con attenzione.

Esco dalla vasca e vado nella camera di chiamata, in cui non penso di incontrare qualcuno, perché non sono tante coppie a saltare e la gara dura poco. Saranno tutte intorno alla piscina, chi in vasca, chi dagli allenatori e chi sotto le docce per sciacquarsi dal cloro. Ho bisogno di un momento per me stessa, per isolarmi da questo silenzio a corrente alternata. Il cuore mi batte forte nel petto all'idea di dover risalire di nuovo sul trampolino, davanti a spalti gremiti di spettatori che fanno il tifo per me e Becky. Inspiro ed espiro profondamente, abbassando la maniglia della camera di chiamata.

Inaspettatamente, lì trovo Ashley Morley, una delle britanniche. Ha la mia stessa età, e molto spesso ci siamo affrontate a livello juniores, prima che lei passasse a gareggiare con i grandi. I capelli biondi sono raccolti in una treccia ordinata che le scende sulla schiena e le guance un po' rosse per il sole preso durante gli allenamenti all'aperto degli ultimi giorni. Siede immobile su una delle sedie, guardando in basso. Forse è una mia impressione, ma sembra che abbia gli occhi lucidi, quasi sul punto di scoppiare a piangere. Che diavolo le è successo?

La mia trance da gara svanisce completamente e sto per chiederle se qualcosa non va, quando alle mie spalle la porta si apre.

- C'mon, Ash, we must go.

A parlare è stata Sarah Metcalf, la compagna di sincro di Ashley. Mi volto per scambiare un'occhiata con lei, ma la britannica è già sparita dalla mia visuale.

Ashley solleva lentamente lo sguardo, forse cercando la Metcalf, ma vede soltanto me. Accenna un mezzo sorriso e si alza dalla sedia, lasciandomi sola.

Ho giusto il tempo per pensare che se la coppia Morley-Metcalf sta per tuffarsi, la rotazione è quasi finita e tra poco tocca di nuovo a me e Becky. Esco dalla saletta, che rimane deserta. Oltrepasso le russe, le tedesche e le sudcoreane, prima di trovare Rebecca dalle parti del trampolino, che mi squadra come per chiedermi dove fossi finita.

Il nostro prossimo tuffo è un ordinario rovesciato. Si salta in avanti, ma si gira all'indietro. Abbiamo deciso di inserirlo tra gli obbligatori perché è il tallone d'Achille di Becky e neanche io amo molto i rovesciati: così abbiamo solo mezza rotazione indietro invece di due, come richiederebbe un tuffo a coefficiente libero in un programma competitivo.

Saltano le cinesi, saltano le britanniche e per ultime le statunitensi. Fine della rotazione.

Io e Becky saliamo sul trampolino. Mi asciugo qualche goccia d'acqua con la pelle, la annodo come faccio sempre e la butto giù. Regolo il trampolino, visto che l'americana che ha saltato prima è molto più potente di me sulle gambe, mentre io ho bisogno che sia più elastico.

Sospiro, senza guardare la mia compagna di sincro, ignorando davanti a me gli spalti che ora posso vedere. Non sento neanche un suono, è come se fossi in una bolla di sapone o circondata da ovatta. Non vedo niente, non sento niente. A malapena sento il fischio del giudice arbitro che ci costringe a tuffarci. Non ho nessuna ansia.

- Pronta?

- Sì.

- Uno, due, tre.

I passi avanti del presalto, mi stacco dal trampolino, giro indietro, buio.

 

***

 

Riapro gli occhi e vedo il soffitto bianco della camera di chiamata, dove prima ho visto Ashley Morley.

- Si è svegliata!

Sento distintamente la voce di mia madre. Sembra preoccupata, ma sono troppo intontita per capire perché.

- Fiamma...

Sandro.

Sbatto le palpebre per inquadrare bene la stanza, tirandomi su per mettermi seduta. Mia madre è inginocchiata sul pavimento alla mia destra e non mi dà neanche il tempo di fare un respiro in più, prima di stringermi a sé.

- Tesoro, stai bene... mi hai fatto preoccupare tanto!

Sospiro, confusa. Che diamine ho fatto?

- Fiamma, stai bene? - mi chiede il mio allenatore, premuroso. Da quando in qua Sandro è premuroso? Devo averla combinata grossa...

- Sì, io... credo di sì - rispondo, portandomi una mano alla nuca, che sento gelata. Mi volto e sul pavimento c'è del ghiaccio secco.

Ho sbattuto la testa al trampolino? Come ho fatto a essere tanto demente?

- Cosa è successo? - chiedo a mia volta, guardando le mie gambe distese sul pavimento freddo della stanza. Ma... dove accidenti è finita la mia pelle? L'avranno recuperata?

- La carpiatura andava bene questa volta, ma la distanza dal trampolino no - mi spiega Sandro, abbozzando un sorriso. Sembra decisamente sollevato nel vedere che ho ripreso i sensi. - Sei riuscita a fare l'apertura, ma forse è stato un gesto meccanico.

- Il tuffo era nullo?

Lui scuote la testa. - No, ma l'hanno valutato come pericoloso... I voti sono tutti due.

- E le World Series? - esclamo. - Ce la facciamo ancora a qualificarci?

La qualificazione alla competizione a tappe delle World Series passa dalle Olimpiadi... e se io e Becky non ce la facessimo a qualificarci, sarebbe solo colpa mia!

- Adesso ti preoccupi delle World Series? - grida mia madre, quasi isterica. Mi scannerizza con i suoi occhi grigi, come non riuscendo a credere che io voglia tornare subito in gara. - Ma sei svenuta in acqua, ti hanno dovuta recuperare, mi sono presa un colpo...

La sua voce esce strozzata e... mi turba. Io non mi sento provata in alcun modo, ma lei... ci credo se si è presa un colpo. La abbraccio, istintivamente, e lei mi stringe ancora più forte di prima.

- Mamma, sto bene - sussurro al suo orecchio.

Scambio un'occhiata con Sandro, in piedi vicino a un signore anziano con degli occhiali tondi che gli occupano buona parte del viso. Lo riconosco come il dottor Chiavacci, il medico degli sport acquatici... non mi ispira molta simpatia, ma purtroppo sono nelle sue mani.

- Quindi adesso andiamo a fare il triplo avanti? - chiedo ancora, speranzosa.

- Non credo proprio - mi contraddice il dottore. - Hai appena preso una brutta botta, non puoi gareggiare oggi.

- Fiamma! - Becky sbuca dalla porta che conduce agli spogliatoi e mi raggiunge in un istante. Si abbassa sul pavimento e mi abbraccia. Poi scoppia a ridere.

- Pensavo che ieri sera scherzassi! - esclama, facendo ridere anche me.

- Invece le mie gambe devono aver tremato davvero - commento, ridendo, cogliendo subito la sua allusione. Ieri sera ero davvero preoccupata di non gareggiare bene... e infatti.

Vedo la porta della camera di chiamata chiusa e a una decina di passi da me. Se mi alzassi e provassi a uscire, di sicuro ricadrei per terra. Mi prende un momento di sconforto nel pensare che quel dottoraccio mi ha detto che non posso gareggiare.

- Chi si sta tuffando adesso? - chiedo a Becky, che in risposta si alza in piedi e va ad aprire la porta come per spiare.

- È inutile, non puoi andare: ci siamo ritirati - mi dice Sandro. Ed è una pugnalata al cuore. Mi volto quanto basta per vedere Rebecca: ha indossato la tuta della delegazione. È vero che non ci tufferemo ancora.

- Le malesi. Sono andate una da una parte e una dall'altra, bella sincronia! - commenta Becky.

Lentamente mi tiro su e mi metto seduta, strisciando sul pavimento fino ad avere la schiena poggiata alla parete, mentre la mia compagna di sincro chiude la porta.

- Se ce la fai a stare in piedi, io direi di uscire al cambio dei giudici per far vedere che stai bene, che dici? - propone lei. Quindi non devo aver perso i sensi tanto a lungo, se non sono ancora arrivati alla fine della terza rotazione... sarà stato solo per pochi minuti.

Becky guarda il dottore, come attendendo il suo permesso. L'uomo annuisce, prima di puntare i suoi occhietti verso di me. - Sì, puoi tornare sugli spalti. Ma tra un paio di giorni ti sottoporrò ad alcuni controlli.

Sandro e mia madre mi aiutano ad alzarmi. Piano piano faccio qualche passo, tenendo il ghiaccio sulla testa. Non deve essermi uscito del sangue, penso, altrimenti avrebbero dovuto cambiare l'acqua della piscina e la gara a questo punto sarebbe ancora interrotta. Visto che riesco a camminare senza difficoltà, vado nello spogliatoio accompagnata da Becky e, dopo essermi asciugata, mi rimetto i pantaloni. La giacca no, perché fa troppo caldo.

Poco dopo ci ritroviamo nella camera di chiamata, con Sandro, mamma e il dottore. Saluto mia madre, che così può tornare sugli spalti dal resto della famiglia.

Aspetto su una sedia che Rebecca mi dica quando posso uscire: appena lei mi annuncia che hanno dato i punteggi delle americane, torniamo insieme a bordo piscina.

La vista luminosa del cielo quasi mi acceca: avevo dimenticato che la piscina fosse all'aperto e i miei occhi non si erano preparati a ricevere il sole del primo pomeriggio, che passa attraverso alcuni spiragli tra gli spalti molto alti. Hanno costruito questi impianti di ultimissima generazione come se dovessero essere dei palazzi di dieci piani. O forse sono solo io ad essere molto in basso rispetto a tutta la gente che ora mi sta guardando. Tanto ora c'è il cambio del pannello dei giudici, non devono concentrarsi sulla finale.

Già, la mia prima finale importante. Pazienza, mi rifarò dall'anno prossimo, ne sono convinta.

Da tutt'intorno proviene un fiume di applausi, evidentemente indirizzato a me. Saluto con la mano tutto intorno, sorridendo, senza sapere di preciso dove guardare. Poi scorgo, controsole, dove sono seduti i miei parenti, poco distante da dove finiscono gli spalti dedicati agli atleti, e mando un bacio in quella direzione. Sto bene, sono ancora tutta intera.

   
 
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