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Autore: fervens_gelu_    09/08/2017    1 recensioni
Aveva sempre avuto grandi sogni, ma tutto gli era sembrato irrealizzabile fino a quel momento; ogni giorno qualcosa premeva sul suo petto, forse l’angoscia, il dolore per una civiltà che lo disprezzava, un pungolo nella carne. Ma con Lui aveva sempre superato questa sua incredibile voglia di farla finita ed era con Lui che avrebbe potuto mettere sottosopra il mondo. Ma ora era da solo, senza nessuno che potesse sussurrargli amorevoli parole, senza che nessuno potesse consolarlo. Era da solo, aveva fatto a pugni con se stesso per gran parte della vita, e ora rantolava nel buio del deserto, tra le stelle del cielo che guidavano i suoi pensieri ed illuminavano la sua anima pura, magicamente protesa tra presente e passato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                      FINE CORSA


 

Correva sempre più veloce, era riuscito a fuggire, sarebbe voluto rimanere con lui per andare incontro alla sua stessa sorte, la sabbia pizzicava i suoi occhi azzurrissimi, il sole alto nel cielo bruciava la pelle, i pensieri lo avvolgevano. Non lo avrebbe più visto, sarebbe rimasto solo il ricordo, forse, non voleva che quelle ultime scene potessero turbare la sua mente e i dolci momenti passati in sua compagnia. Era tutto successo così in fretta, sapeva che prima o poi sarebbe potuto accadere, questo lo sapeva bene, ma l’amore spesso gli faceva chiudere gli occhi, cullandolo in una dimensione alternativa e proteggendolo dal mondo esterno. L’amore quello sbagliato, quello che in Mauritania era punibile con la pena di morte.

Era successo tutto così in fretta, non riusciva a capacitarsene, ma sapeva che il sogno, cui anelavano entrambi, era ormai irrimediabilmente sfumato, terribilmente risucchiato dalla disumana crudeltà. E quindi correva, senza fermarsi, forse sapeva dove andare, forse no, il mondo gli era sempre stato ostile, fin da bambino. Era costretto a migrare da una terra che gli aveva sputato in faccia, fino a toglierli il bene più prezioso che avesse mai potuto ricevere. Correva, scappava da un mondo che non gli apparteneva più, stava correndo, ma per chi? Per cosa? Correva a perdifiato senza una meta, uno scopo, era una corsa vana, al di là di quella montagna polverosa avrebbe forse trovato una terra accogliente. Aveva sempre avuto grandi sogni, ma tutto gli era sembrato irrealizzabile fino a quel momento; ogni giorno qualcosa premeva sul suo petto, forse l’angoscia, il dolore per una civiltà che lo disprezzava, un pungolo nella carne. Ma con Lui aveva sempre superato questa sua incredibile voglia di farla finita ed era con Lui che avrebbe potuto mettere sottosopra il mondo. Ma ora era da solo, senza nessuno che potesse sussurrargli amorevoli parole, senza che nessuno potesse consolarlo. Era da solo, aveva fatto a pugni con se stesso per gran parte della vita, e ora rantolava nel buio del deserto, tra le stelle del cielo che guidavano i suoi pensieri ed illuminavano la sua anima pura, magicamente protesa tra presente e passato. Era stato un codardo, lo sapeva bene, ma Lui oramai non c’era più, i suoi biondi capelli erano mescolati con la sabbia del deserto mentre i suoi occhi color nocciola erano in quei piccoli ramoscelli che incontrava nel suo cammino, nei suoi passi che si facevano sempre più mesti, più stanchi, più sconsolati. Ma, nonostante la stanchezza e la nausea, continuava a correre, correre e correre per fuggire, per sempre, da tutto e tutti. Gli spari ancora rombavano nelle sue orecchie, facendo contorcere di dolore il suo volto.

Era notte, le stelle illuminavano il cielo scuro, quasi nero di pece.

Il ragazzo aveva  cercato di coprirsi il più possibile con i vestiti che indossava per ripararsi dal freddo notturno pungente nel cuore del Sahara Occidentale. Prese il diario, impolverato ed ingiallito dalla sabbia del deserto. Scrisse qualcosa, per esprimere il suo animo, pieno di sogni e di speranze mancate. Ogni riga scritta era una storia diversa che si andava ad accavallare sul suo viso, provato e solcato dal dolore, dal pianto. Di fronte a lui, il mare, azzurro, con tante piccole luci che prepotentemente scintillavano, destando pace e tranquillità. Sembrava così lontano, così distante, ma allo stesso tempo vicino, più camminava, più sentiva di allontanarsi dal dolore, correva, e l’acqua sembrava fuggire via con lui. Un turbine di sabbia risucchiò in pochi secondi le ribollenti onde che per un attimo gli avevano fatto credere di essere riuscito ad arrivare almeno a metà del suo traguardo. Preso dallo sconforto, inghiottito dalla disperazione, si gettò in mezzo a quel fiume dorato in lacrime; l’assenza di cibo e di acqua iniziarono a infliggere duri colpi al fragile corpo. I colori del mondo si erano tinti di grigio, poi di una patina marrone ed infine il nero, le tenebre, pervasero l’intero Universo. Un tonfo alzò piccole zolle di sabbia, ma subito dopo la pace del Saahara riassorbì quella piccola perturbazione. I sogni si tinsero di una strana felice tristezza. I colori del mare ancora lontano all’orizzonte sfumarono gradualmente, la luce del sole cominciò ad oscurarsi mentre l’odore salmastro della sabbia si dissolse con estrema delicatezza. Precipitò in un sonno profondo. La notte era giunta e il corpo era completamente affondato, sommerso da granelli ardenti che quasi lo fagocitavano. La pioggia appena accennata bagnava il suo corpo inerme, inumidiva la pelle. In lontananza si intravedeva una tempesta che ben presto si sarebbe abbattuta sui residui del suo corpo, strappando a brandelli ogni speranza e desiderio. Avrebbe fatto perdere ogni traccia del suo volto, della sua più intima essenza.

Sembrava fosse destinato a farcela, quasi come un profeta incaricato di trasmettere un messaggio al resto dell’Umanità tutta, del mondo ancora inconsapevole, all’oscuro di come realmente si vivesse, tra la vita e la morte, tra il sonno e la veglia, in quei paesi dilaniati dal dolore, dalla fame, ove tuttavia covava la speranza, la fervida speranza che, brulicante nel cuore, permetteva di Credere ancora. Due piccoli occhietti luccicanti, capelli lunghissimi, due labbra rosee, un esile corpicino fasciato in abiti orientali, si avvicinarono lesti alla salma ricoperta di sabbia del ragazzo. Cercava di capire cosa si nascondesse lì sotto. Le mani iniziarono a scavare, mentre gli occhi scrutavano la sagoma che cominciava a delinearsi sempre più nitidamente. Non appena riconobbe un uomo urlò spaventata e cercò di scappare il più celermente possibile. Ma Lui le afferrò rapidamente una gamba per non farla fuggire via. Ella, nonostante il timore, aveva ben compreso come l’uomo stesse soffrendo: forse in queste condizioni sarebbe stato difficile, impossibile vivere, forse non ne sarebbe nemmeno valsa la pena, ma si rendeva conto che gli erano rimasti i ricordi, la cura per il suo animo ferito. Erano la memoria, i pensieri che lo spronavano ogniqualvolta compiva un passo. Non gli era più rimasto nulla di tangibile ed era per questo che voleva ricominciare sostenuto dal passato, ma con lo sguardo rivolto in avanti. Se solo avesse provato a girarsi avrebbe solo visto morte, solitudine e in quel momento sarebbe stato risucchiato dal male, da una terra non più sua. Tanto dolore gli aveva permesso di essere ciò che ora più ardentemente che mai desiderava essere. Non più una famiglia, non più una casa, né la terra, né l’amore, era da solo, solo contro l’universo. In un attimo i momenti vissuti, che sapevano di spezie, di colori, di umida pelle sul suo corpo, si accalcarono l’uno all’altro, gli diedero, per la prima volta, la forza di andare avanti. Non li scacciò villanamente come soleva fare, ma li accolse dolcemente; li stava facendo suoi per dare un senso alla sua vita. Sentì una forza spaventosa  dentro di lui… questo era il suo destino e lo doveva affrontare per ottenere qualcosa che, solo a tratti, aveva catturato, la Felicità.

Con una carezza avvicinò il volto scuro della giovane fanciulla. In quel gesto era racchiuso l’amore e l’odio che provava per la sua terra natia con cui le avrebbe detto addio,  parola che impalpabile risuonava nella sua testa. Una carezza e la bambina fece un gesto di umana compassione porgendogli l’acqua all’interno della brocca. Ringraziò con gli occhi la giovane.


In quel momento capì il dono prezioso della vita e pensò a una terra, lontana, avrebbe potuto ritrovare la Felicità. Sapeva ormai che di fronte a lui, il mare, sarebbe stato albergo di nuove speranze, sapeva che al di là di quel vasto cielo avrebbe trovato finalmente la sua vita, quella che gli era stata proibita di vivere. Avrebbe spiccato le ali verso il cielo e in un roteare di desideri avrebbe fatto della sua debolezza, la sua vera forza.



Avrebbe inghiottito la polvere e sarebbe rinato come fenice dalle sue stesse ceneri, da una terra devastata e piena di odio ad una terra ridente e felice che lo avrebbe accolto, rendendolo per la prima volta, figlio, ragazzo, Uomo.


Ora non correva più.


Era lì, fermo, a contemplare l’orizzonte.

 

   
 
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