Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Ricorda la storia  |      
Autore: Hypnotic Poison    10/08/2017    3 recensioni
A thousand worlds to break our hearts: World One.
Non sapeva se non si fosse accorto che erano davvero passati quasi due anni dall’ultima volta che si erano parlati parlati, o se aveva fatto talmente il callo a relegare quel pensierino nell’ultimo angolo del suo cervello che ormai era diventata una ottundente abitudine. [...]Eppure, gli affondava il cuore nel ventre a fissare e rifissare quella riga sullo schermo.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A thousand worlds to break our hearts'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prologue: The One Where We're Together                                                                                                                     World Two: The One with the Family Reunion




“So I know we haven’t talked in like, two years, and that things ended pretty badly between us but what the fuck do you mean you’re engaged to be married” AU

 

 

 

Si era buttato sul divano non appena era tornato da lavoro, estremamente esausto; era rimasto così, a sfiorare lo schermo dello smartphone con il pollice senza un vero interesse, scrollando attraverso i post del social network e cliccando ogni tanto su un like o un commento, finché non si era accorto che la stanza si era fatta più buia e il suo stomaco aveva brontolato insoddisfatto.

Con un sbuffo, si era alzato controvoglia lasciando il suo compagno di serata tra i cuscini, desiderando che rimanesse in silenzio, e aveva canticchiato in cucina mentre riscaldava nel microonde i rimasugli della cena della sera prima.

Non era di cattivo umore, ma la giornata plumbea che aveva passato aveva sicuramente inciso sulla sua solita vitalità.

Riprese il suo posto preferito sul divano, giusto all’angolo per poter stendere le gambe e avere una visuale perfetta del televisore, il piatto di zuppa ben stretto in una mano e una bottiglia di birra nell’altra – i vantaggi del vivere da solo consentivano assolutamente di potersi stravaccare in quella maniera, ignorando il tavolo, per una sera.

Riprese il cellulare in mano, desiderando l’oblio della finta attenzione alle vite altrui, e ricaricò l’homepage con un semplice gesto.

La notifica subito in altro gli fece cadere il cucchiaio nella minestra, spruzzando alcune gocce in giro e colpendolo sulla maglietta pulita, una parolaccia sibilata che gli scappò dalle labbra.

«Minto Aizawa ha cambiato il suo stato a fidanzata ufficialmente con Sadao Kimura.»

 

**

 

Continuava a rigirarsi nel letto, gli occhi secchi infastiditi dalla luce dello schermo che non voleva spegnere.

L’ultimo messaggio che si erano scambiati risaliva a circa un anno e mezzo prima, un messaggio di auguri per il suo compleanno. Corto, conciso, al punto, cordiale come lei era sempre stata per educazione. Si rese conto di non averle mai ricambiato il favore, anche se poteva ricordare con precisione dove fosse quel giorno di ottobre.

Si massaggiò la fronte, lanciando un’altra occhiata alla sveglia che scandiva le ore rimaste al suo prossimo trillo.

Non sapeva se non si fosse accorto che erano davvero passati quasi due anni dall’ultima volta che si erano parlati parlati, o se aveva fatto talmente il callo a relegare quel pensierino nell’ultimo angolo del suo cervello che ormai era diventata una ottundente abitudine.

Eppure, se si sforzava, riusciva ancora a ricordarsi il suo profumo.

Era finita talmente male, tra loro due, che si era stupito di ritrovarsi gli auguri di buon compleanno, o tra i riceventi della formalissima email con gli auguri di Natale – lei e quel suo odioso cane col maglioncino colorato. Le urla e le liti di quegli ultimi giorni gli potevano rimbombare ancora nelle orecchie, il ricordo delle porte sbattute e delle sue lacrime che comunque gli inacidiva lo stomaco.

Quante volte si era chiesto dove avessero sbagliato?

Si era meravigliato della facilità con cui avessero smesso di parlarsi, carica del rancore che sapeva lei provasse nei suoi confronti. Ma i chilometri che erano stati messi tra di loro, culmine di tutti quei non detti che non avevano mai avuto il coraggio di affrontare, avevano reso le cose più semplici. Aveva impacchettato i ricordi insieme ai soprammobili di casa, e si era lasciato tutto alle spalle.

Eppure, gli affondava il cuore nel ventre a fissare e rifissare quella riga sullo schermo.

Chissà perché non si erano eliminati dai social network – si faceva così quando ci si lasciava, giusto? Lui non ne aveva mai avuto il coraggio, e forse lei era sempre stata troppo superiore a tutto per poterlo fare, per potergli dare quella soddisfazione di fargli sapere che l’avrebbe infastidita continuare a vederlo. Non che entrambi postassero chissà quanto, anzi, forse era la prima volta che vedeva da parte di lei un così chiaro ed esplicito simbolo dei tempi moderni.

Aveva visto che lei si stava frequentando con qualcuno, certo, aveva colto qualche segno qua e là (nemmeno con lui aveva mai voluto condividere troppo, si ricordava di quanto l’avesse punzecchiata perché insisteva a non cambiare, con lui, lo status), ma non aveva certo pensato che…

Due anni. Erano davvero abbastanza per certe decisioni?

Si girò con uno sbuffo sull’altro lato, il cellulare sempre stretto tra le mani. Poi era inutile aggrapparsi a certe minuzie da Facebook, quando i problemi veri erano altri.

Una parte di lui ringraziava di essersi trasferito in un’altra città, perché sapeva che il suo lato impulsivo, quello che ancora faticava a maneggiare, sarebbe partito in quarta e avrebbe solamente provocato casini. Con quale coraggio, poi. Era stato lui a lasciare lei, dopotutto, come poteva ora andare a recriminare che lei si stesse ricostruendo una vita?

Cliccò sul nome del fidanzato, le sopracciglia aggrottate. Aveva il profilo chiuso agli sconosciuti, ma la stessa dicitura sul profilo di lei campeggiava in bella vista, aperta a tutti.

Da quanto poteva capire, faceva parte anche lui del balletto del teatro. Una noce di disappunto gli rotolò in gola, ricordando la fonte di molti litigi, il suo essere per nulla interessato a ciò che lei faceva.

Non era mai stato vero, e lui non era mai stato capace di dimostrarglielo.

Con uno sbuffo aprì l’icona verde della chat, scorrendola veloce alla ricerca di uno di quei pochi contatti che manteneva nella vecchia città. Non era ancora tardi e, come previsto, l’ultimo accesso era di pochi minuti prima.

Mosse i pollici a pochi millimetri dallo schermo mentre pensava a cosa digitare, così dal nulla.

 

Qualche news?

 

 

Come previsto, non dovette attendere per molto la risposta, la fragola accanto al nome che illuminò lo schermo.

 

Stai davvero cercando di fare il finto tonto?

 

 

Lui sbuffò irritato – una vocina nella testa che gli ricordava non fosse cortese rispondere con una domanda ad una domanda – e scrisse velocemente.

 

Pensavo tu avresti saputo più di me di sicuro.

 

Poté quasi avvertire l’insicurezza di Ichigo, immaginarla mordersi il labbro mentre se ne stava a gambe incrociate nel letto, la testa un po’ piegata verso lo schermo, nel vedere che scriveva, e si fermava, e poi riprendeva a scrivere diverse volte.

 

Kisshu… seriamente, dopo tutto questo tempo, credo sia meglio per tutti che lasciamo perdere la cosa.

 

Digitò con furia sui tasti, improvvisamente ancora più irritato di prima, stringendo le labbra.

 

La tua migliore amica si sposa e tu lasci perdere?

 

Ichigo, questa volta, andò a colpo sicuro.

 

Quando centri tu, si parla della tua ex-ragazza che hai mollato due anni fa in maniera parecchio oscena prima di trasferirti a tre ore da qua senza dire niente a nessuno, ex-ragazza con cui attualmente non scambi parola da mai, quindi sì, direi che lasciamo perdere. Per te, per me, per lei.

 

Lui lanciò il telefono da qualche parte tra le coperte, si tirò il lenzuolo sul naso, e chiuse gli occhi.

 

**

 

Aveva trangugiato circa 6 tazze di caffè a lavoro, e giocato non sapeva quante partite a Call of Duty online – voleva mettere molta distanza tra lui e il record di Shirogane -  ma ancora il malumore non riusciva a passargli, così come non gli passava quel fastidioso ronzio nell’angolino della testa.

Si tolse le cuffie con rabbia, la testa ormai che gli pulsava. Non aveva pensato a lei così tanto da… mesi, forse?

La pensava, ovviamente, ogni tanto, sempre meno ultimamente, ma gli era impossibile non farlo mai. Era lei, dopotutto, nonostante fossero così sbagliati. E comprendeva il suo egoismo nel realizzare che non aveva mai pensato alla possibilità che lei potesse mai appartenere a qualcun altro.

Non che avesse mai creduto sarebbero potuti tornare insieme, visto i magri tentativi da parte di entrambi, ma comunque…

Si decise ad agire come avrebbe sempre fatto, ripescando il cellulare dalle pieghe del divano e aprendo la chat, scorrendola veloce. Aveva cancellato tutte le conversazioni abbandonate più vecchie di sei mesi, ma non quelle con lei. Non le apriva, era ovvio, c’erano alcune ferite che ancora non potevano rimarginarsi, però traeva un certo conforto nel sapere che comunque erano lì.

Esitò prima di toccare il campo di digitazione, non volendo dare nessun indizio – come se poi le avrebbe mai tenuto i messaggi con lui, ma nemmeno per sogno.

Poi fece un respiro profondo, pigiò i tasti con cautela, spinse invio, e girò il telefono prima di poter vedere anche solo le doppie spunte.

 

Ma dovrei farti le congratulazioni con questa storia dei fidanzati?

 

Non guardare più il cellulare era una cosa troppo da teenager, dall’alto dei suoi trent’anni. Continuava a battere i talloni sul tappeto (quello che aveva scelto lei perché lui aveva il gusto di uno struzzo), muovendo le gambe nervoso. Una parte di lui non si aspettava la risposta, ben conscio che non se la meritasse.

Passarono dei minuti lunghissimi, col telefono girato e la televisione accesa su un canale di brutti reality show, che gli piacevano per staccare il cervello ogni tanto.

Solo quando tornò dalla pausa obbligata in bagno si decise a controllare.

 

Farò finta di pensare che siano sincere, e ti ringrazio cordialmente.

 

Gli venne da ridere. Cos’avrebbe mai dovuto fare per scomporre Minto Aizawa?

(Una vocina nella testa gli ricordò che in realtà lo sapeva molto bene.)

 

Perché mai non dovrebbero essere sincere?

 

Lasciò aperta la conversazione questa volta, guardando quella foto in tutù che lei non aveva mai cambiato in tutto quel tempo, il cuore che batteva rumoroso contro il petto ad ogni secondo di quello sta scrivendo…

 

Perché ti conosco.

 

Già.

Aspettò qualche istante, prendendo una decisione a cui non aveva ancora pensato prima d’ora e per cui sapeva si sarebbe pentito presto.

 

Torno a casa a trovare i miei, questo fine settimana. Ti va se ci salutiamo con un caffè?

 

Già si immaginava dover spiegare un sacco di cose a sua madre. E a Pai.

Attese impaziente, le dita sudate nonostante la sua casa fosse un po’ troppo fredda per i suoi gusti.

 

Ti dovrei dire di no.

Ma non ti meriti nemmeno di essere ignorato da me.

Domenica mattina, al parco. Offri tu il caffè.

 

Lui rise ancora, un moto di soddisfazione e il vago sentore di essere sperduto che lo colsero allo stesso momento. Mandò un ultimo smiley come risposta affermativa, e bloccò lo schermo, stendendosi all’indietro sul divano.

Ora doveva chiamare sua madre.

 

**

 

Era più freddo, nella sua città natale, di quanto si ricordasse. Oppure era l’effetto della lentissima digestione che stava ancora subendo dopo che sua madre, per due giorni, l’aveva rimpinzato a forza di quello che lei chiamava “cibo vero”.

Si strinse di più la sciarpa di lana attorno al collo, il fumo della sigaretta che si mescolava al vapore del suo fiato, lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso. Era arrivato con estremo anticipo, alcune farfalle d’ansia nello stomaco, ma lei sicuramente non sarebbe stata in ritardo.

Rimase seduto sulla panchina, tracciando con le dita le incisioni del tempo e di qualche innamorato vecchio stile che aveva preferito un coltellino al solito pennarello. Il parco era semideserto vista la giornataccia, le pesanti nuvole grigie cariche d’acqua e di minacce che coprivano il cielo e precludevano qualsiasi raggio dal riscaldare un po’ l’aria.

Il rumore dei passi leggeri sul ghiaino lo fece voltare, il gelo che stringeva sempre di più la pancia dall’interno, e si alzò in piedi con un mezzo sorriso.

Minto non era più bella di come se la ricordava; era semplicemente lei, avvolta da un cappotto blu dall’aria calda e costosa, una bella sciarpa rossa attorno al collo e le mani infilate a fondo nelle tasche. Non che a lui mancasse vedere cosa potesse esserci sulle dita.

«Ciao… passerotto,» aveva esitato sull’ultima parola, incerto se potesse davvero pronunciare il suo nome, «Ti trovo bene.»

Minto si fermò a qualche cauto passo da lui, guardandolo con aria truce: «Ciao, Kisshu. Vedo che le vecchie abitudini non ti hanno abbandonato.»

Lui rise piano, dando un ultimo tiro alla sigaretta e lanciandola per terra prima di schiacciarla col piede: «Il lupo perde il pelo…»

Raccolse il mozzicone al suo sguardo inviperito, allontanandosi per gettarlo in uno dei cestini appositi.

«Pensi di venirmi a salutare per bene?»

Lei rimase ferma immobile, la schiena dritta e l’aria seria: «Non mi piace quando fumi.»

«Potrebbe non piacermi la tua novità.»

«Mi hai lasciata tu, se ben ricordo.»

«Non che tu abbia fatto niente per evitarlo.»

Minto si strinse nel cappotto, spostò il peso da un piede all’altro: «Non sono qui per recriminare il passato. È successo e basta, e ci sono state tante cose di mezzo.»

«D’accordo, d’accordo, tregua,» Kisshu si riavvicinò a lei, ma mantenne lo stesso una distanza di sicurezza «Vogliamo andare a prenderci quel caffè?»

Lei si guardò i piedi: «No, è… è meglio di no. Preferisco stare qua.»

Kisshu la fissò incuriosito: «Qua si gela, passerotto.»

«Ho un nome che ora più che mai dovresti imparare ad usare.»

Lui esalò già esausto, aveva perso l’abitudine alla sua testardaggine che una volta aveva trovato adorabile: «Possiamo almeno farci una passeggiata? Tra un po’ mi coleranno dei ghiaccioli dal naso.»

Minto annuì e si incamminò davanti a lui, le mani sempre infilate nelle tasche e l’aria concentrata. Il ragazzo le si affiancò da lontano, ben attento a non sfiorarla, e camminarono insieme in silenzio, incerti su cosa dirsi dopo tutto quel tempo, consci di com’erano andate le cose tra di loro.

«Volevo ringraziarti di aver accettato di rivedermi,» iniziò poi lui dopo svariati minuti con il solo rumore dei loro passi sul sentiero, «So che non è esattamente la tua cosa preferita.»

«È ora di lasciarsi molte cose alle spalle,» rispose lei sottovoce, «Non ci siamo mai salutati, dopotutto.»

«Come stanno tutti?»

«Bene,» Minto si fece scappare un sorriso, «Seiji è diventato direttore responsabile, ora mamma e papà passano molto più tempo a casa e posso vederli di più. Sto anche per diventare zia, sai?»

Kisshu sorrise: «Natsumi è incinta?»

«Quasi otto mesi. Sarà un bambino di Natale.»

«Falle le mie congratulazioni allora… se vuoi.»

«E credo saprai tutto delle altre,» Minto sembrò ignorare quell’ultimo commento, «Soprattutto con Pai e Taruto…»

«Posso vantarmi di essere stato il secondo a ricevere la foto del primogenito Shirogane appena nato,» lui rise, poi esitò: «E come sta -?»

«No,» Minto rispose velocissima e secca, «Lascia perdere.»

«Quando lo posti con tutte le fanfare su Facebook, è un po’ difficile lasciar perdere.»

Lei fece dei grandi passi in avanti per allontanarsi da lui prima di fermarsi di colpo e voltarsi: «Invece sì. Non ti riguarda. Non più.»

Kisshu la fissò, e più guardava quei grandi occhi marroni più si rendeva conto del lontano e sordo dolore: «Voglio solo assicurarmi che tu… tu stia bene. E sia felice.»

«Perché?» Minto risultò buffa ad allargare le braccia senza mai togliere le dita dal cappotto «A te che te ne viene, eh? Non ti dovrebbe importare. Non dovresti nemmeno essere qui. Io non dovrei nemmeno starti ad ascoltare.»

Lui iniziò a percepire una linea di irritazione montargli in corpo: «Perché sia quello che sia, ma sei tu, Minto. E in questo momento mi importa. Mi è importato di Ichigo, mi è importato di Retasu, mi importa di te.»

«Be’, lascia perdere,» abbaiò lei, «Io sto bene. Meglio di come sono stata da un sacco di tempo a questa parte. Tutto va esattamente come dovrebbe andare.»

Un soffio di vento gelido portò a lui un alito del suo profumo: «Sei sicura?»

La vide rabbrividire, le guance rosse, gli occhi pieni di quella rabbia che aveva imparato a conoscere: «Non lo amo come ho amato te. Non sarebbe possibile. Ma ho smesso di fare i tuoi giochetti, Kisshu. Non ho più voglia di giocare.»

Lui annuì, le mani infilate in tasca che si rilassarono: «Forse l’abbiamo sempre saputo che non saremmo mai riusciti a funzionare come avremmo voluto. Forse era quello il vero problema.»

«Ti ci sono voluti due anni di silenzio per arrivare a questa romantica conclusione?»

Kisshu ghignò alla familiare cattiveria: «Ripeto, non che tu abbia fatto meglio.»

«Ero stanca di essere l’unica a doversi rimboccare le maniche.»

«Non è vero, e tu lo sai.»

Minto alzò gli occhi al cielo: «Basta, Kisshu. È ora che me ne vada.»

Lui fece un cenno di assenso con la testa: «Almeno ora avrai il tuo matrimonio di maggio, con le rose bianche e quella montagna di tulle e pizzo addosso.»

«Settembre,» la ragazza lo corresse senza quasi pensarci, lo sguardo rivolto verso il lago grigio, «Sarà a settembre, e il vestito di Vera Wang.»

«Terrai almeno i capelli sciolti?» le chiese con un sorriso sardonico che gli fece guadagnare un’occhiataccia.

«Vedremo.»

Kisshu fece qualche passo in avanti, fino ad arrivare a un braccio da lei: «Sarai una sposa magnifica. È un uomo fortunato.»

Lei lo fissò: «Lo sa.»

Lui sorrise, le tese la mano: «È stato bello rivederti.»

Minto sbatté lentamente le palpebre, accettando la sua stretta con cautela: «Anche per me.»

«Buona fortuna per tutto.»

Le lasciò appena un bacio sulla guancia, così veloce da non scalfire il freddo, e si allontanò velocemente da lei, divertito dalla sua espressione corrucciata.

«Non fare troppi casini, Ikisatashi,» la sentì esclamare alle sue spalle, e senza voltarsi indietro alzò solo una mano in segno di saluto.

Era ora di tornare a casa.

 

**

 

Si buttò a peso morto sul divano, facendo rimbalzare i cuscini senza curarsene, troppo concentrato sul pulsante del condizionatore, salvavita per il caldo inaspettato di fine settembre.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca, pronto a qualche minuto di totale, pigra, accaldata indolenza, cominciò a scorrere i vari post, fintamente interessato.

Quando la home si riaggiornò, alzò il dito dallo schermo.

«Ichigo Momomiya ha aggiunto tre nuove foto all’album Caricamenti da cellulare: Live dal matrimonio di Minto e Sadao! <3»

Sorrise appena nel vederla sorridere, impostata ed impeccabile, nell’abito di cui gli aveva sempre parlato. Aveva i capelli sciolti.

Chiuse l’app, e spense lo schermo.

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: Hypnotic Poison