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Autore: Luxanne A Blackheart    11/08/2017    2 recensioni
"Noi due siamo uguali, anche se diversi, Zafiraa. Siamo uguali perché siamo stati rinnegati. Siamo diversi perché distruttivi in modo differente: tu come la neve, io come il fuoco."
Zafiraa ha diciotto anni e due problemi. È albina e una piratessa, una delle più temute ed odiate dei sette mari. Fattori questi che rendono il sopravvivere,  in una società fortemente maschilista e  superstiziosa, molto difficile.
Zafiraa ha un rivale che cerca di catturarla, direttamente imparentato con il sultano, che la vuole morta dopo il torto subito.
Ma non appena le loro spade affilate si incontreranno, capiranno di essere due animi affini i cui destini e passati sono fortemente collegati fra di loro.
Sono neve e fuoco.
Sono rinnegati dalla stessa terra.
Sono un uomo e una donna che non hanno un posto nel mondo e che cercheranno di crearselo. Insieme, separatamente, chi può dirlo?
L'importante è che due occhi verdi da cerbiatta e capelli rossi come il fuoco non muovano le carte in tavola, girandole a proprio favore. Perché il tempo passa per tutti, ma le abitudini restano.
Segreti mai rivelati, bugie, odi repressi e amori proibiti e immorali... siete pronti a rientrare a Palazzo Topkapi e vivere una nuova avventura?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rinascimento
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-Zafiraa, giusto? - La sultana la sorprese alle spalle, facendola sussultare. Non le aveva mai rivolto la parola in tutte quelle settimane e pensava non lo avrebbe fatto per il resto della sua vita; cosa poteva mai volere da lei?
Era una bella donna, adesso che la guardava da vicino, per la sua età. Aveva qualche ruga intorno agli occhi chiari e alla bella bocca rosea, che le conferivano un'aria matura. I suoi occhi erano di ghiaccio, talmente freddi da metterle i brividi. Quando ti osservava sembrava ti stesse giudicando in malo modo. Tutto in lei trasudava potere, ricchezza e bellezza.
Se fosse stato un uomo, avrebbe sicuramente provato dell'interesse verso quella donna glaciale.
Probabilmente però erano i suoi capelli ad essere la cosa più bella che avesse mai visto. Rossi, come il fuoco; sembravano bruciare con una tale intensità, ardore, magnificenza da potersi consumare subito. Probabilmente la sua anima doveva essere così. Chissà se da giovane era stata mai impulsiva e ribelle, non così trattenuta e glaciale come appariva adesso. Doveva aver sofferto molto, per non sorridere mai.
-Sì, mia signora. In cosa vi posso essere utile? - Odiava comportarsi in questo modo, servile e ubbidiente, non era assolutamente nella sua natura. Lei non indossava vestiti femminili, non si inchinava davanti nessuno, non parlava in quel modo, lei era libera, felice, spericolata. Lei era una sirena. Non aveva bisogno di uomini, perché lei se li mangiava con la sua spada.
Non aveva bisogno di nessuno.
Lei era forte.
-Va' nelle stanze di mio figlio Mehmed Sultan e preparagli un bagno con gli aromi riportati su questo foglio. Sai leggere, vero? - Zafiraa annuì. Sapeva leggere, ma non si applicava da anni e pensava di essersene dimenticata. -Meglio così. Se non capisci qualcosa, ti do il permesso di chiedere direttamente a mio figlio. -
Zafiraa si inchinò, pensando che la conversazione fosse chiusa e cercò di andarsene. Hurrem Sultan continuava ad osservarla con un'espressione indecifrabile, che cosa voleva ora?
-Ho visto, inoltre, che mio figlio Bayezid abbia sviluppato un certe interesse nei tuoi confronti. - Hurrem arricciò le labbra, nascondendo un sorrisetto di scherno. - Ti ha anche regalato una collana, non è vero? -
-Sì, sua magnificenza. Ma Mustafà me l'ha requisita e... -
-Chiami il tuo padrone con il suo nome? Avete così tanta confidenza voi due? - Hurrem Sultan alzò un sopracciglio, squadrandola da capo a piedi. Aveva, nonostante tutti questi anni, ancora un lieve accento straniero. Sembrava russo. -Pensavo fossi una serva della nave di Drake e Fiammetta non una puttana capitata per caso... -
Zafiraa strinse i denti, assumendo la sua solita espressione dura. Aveva davanti la sultana di metà mondo, questo è vero, ma non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno.
-Mia signora, capisco che voi siate la mia padrona e che abbiate le capacità e le forze di farmi e dirmi ciò che volete. Ma non intendo essere insultata da voi o da nessun altro qui dentro. Io ci tengo alla mia libertà. - Zafiraa alzò un sopracciglio, rincarando la dose di freddezza. Hurrem assunse per un momento un'espressione terrorizzata e sembrò impallidire, come se avesse visto un fantasma spuntare all'improvviso.
Pronunciò un nome e una frase in una lingue gutturale e dura e se ne andò, o meglio, scappò senza aggiungere altro.
Aveva pronunciato un nome familiare, che lei conosceva bene, poiché i suoi genitori lo avevano ricordato sempre: Ibrahim.










Zafiraa borbottò qualcosa, mentre si dirigeva verso le stanze del primogenito di Hurrem e del sultano, Mehmed Sultan. Non usciva mai dalle stanze. Alexandros le aveva detto che era molto malato, tutti pensavano fosse stato maledetto quando la sultana era incinta di lui e per quel motivo era nato malato e ogni giorno che trascorreva la morte gli si avvicinava.
Passava tutto il giorno al chiuso, tranne la sera che usciva per prendere un po' d'aria.
Era curiosa di vederlo, pensò Zafiraa, mentre trasportava l'enorme secchio d'acqua.
Quando girò l'angolo, notò Mustafà ed una delle concubine di suo padre, di cui egli non usufruiva più da vent'anni, una ricca nobildonna spagnola, rapita dalla sua patria, perciò si nascose, sperando che egli non la vedesse. Erano abbracciati e Mustafà le stava sussurrando qualcosa all'orecchio, che la faceva sorridere animatamente. L'erede al trono la teneva stretta per la vita e le accarezzava i morbidi ricci neri, mentre un sorriso affascinante, da abile predatore e seduttore, gli incorniciava il viso.
-Sapete, mia cara Emeralda, nei miei numerosi viaggi, ho incontrato tante donne di bellezza diversa, ma come la vostra mai. Anzi... - Sembrò pensarci su per qualche secondo e poi la guardò con un sorrisetto furbo. Era davvero un pessimo attore. - Mi è capitato solo una volta, ma non era una persona, era un oggetto. Un zaffiro blu come l'oceano. L'ho trovato per caso e ne ho fatto una collana per la donna che un giorno mi avrebbe rubato il cuore. -
-Brutto pezzo di merda! - Ringhiò Zafiraa, guardando tutta la scena. Il secchio dell'acqua le stava tagliando le mani per la pesantezza. In quel momento Mustafà tirò fuori la collana che le aveva regalato Bayezid, quella che aveva lo stesso colore degli occhi di suo padre e la diede alla ragazza. Lei sorrise, felice e Mustafà guardò Zafiraa, divertito. Lei abbandonò il secchio per terra, non importandogliene se si sarebbe versato e andò incontro ai due.
-E' questo ciò che fate, Mustafà? Regalate a tutte le donne di questo palazzo la stessa collana, riempendole di bugie per poi lasciarle il giorno dopo? - Zafiraa lo colpì sul braccio con uno schiaffo, che doveva sembrare innocente, ma che in realtà era molto più doloroso di quanto sembrasse. Mustafà, infatti, si morse l'interno guancia per non far vedere quanto gli avesse fatto male. -A me ne ha regalate due di queste collane! Mi ha detto che il mio nome significa 'cosa bella', proprio come me e che avrebbe fatto di tutto pur di rimanere al mio fianco per tutta la vita, perché io sono la cosa più bella che gli sia mai capitata. -
Emeralda si girò verso Mustafà, guardandolo in modo stupito e arrabbiato allo stesso tempo. Si allontanò dall'erede al trono, disgustata dal suo comportamento libertino e dopo averlo schiaffeggiato gli lanciò contro la collana, che sarebbe potuta cadere per terra e rompersi, se Zafiraa non l'avesse presa e messa nella scollatura del vestito. Lì era sicura che Mustafà non vi sarebbe mai arrivato.
-Non ascoltate le parole di questa stupida serva, mia cara, mente. - Mustafà cercò, invano, di giustificarsi, ma la nobildonna non gli credeva.
-Avevo sentito delle voci su di voi e sulla ragazza dai capelli bianchi, ma non credevo fossero vere! Non mi rivolgete mai più la parola, Mustafà Sultan. Io non sono quel genere di donna! - E senza aggiungere altro se ne andò, tutta capelli neri e fruscii colorati di gonna.
Zafiraa scoppiò a ridere, notando la faccia di Mustafà, un concentrato di rabbia, stupore e incomprensione.
-Tu oggi verrai punita! Razza di idiota, hai appena oltrepassato il limite. Sei la mia serva e non puoi di certo trattarmi così davanti a tutti! - Mustafà l'afferrò per un braccio, tirandola in un angolo buio, aumentando la presa man mano che la risata di Zafiraa si faceva più acuta e divertita. - E che cosa sono queste voci che si sono sparse, eh? -
-Non ne ho idea, io non bado a ciò che i servi dicono. Ma sarà sicuramente qualcosa di falso. -
-Ti uccido con le mia mani se dovesse arrivare qualcosa di strano alle mie orecchie. Sono stato chiaro?! -
-Oh cielo, aiuto! Non ho paura di voi, Mustafà, dovete mettervelo bene in quella testaccia nera e dura. Se osate sollevare un dito su di me, io farò altrettanto. Occhio per occhio, dente per dente. Ricordate? - Zafiraa lo spinse via, facendogli perdere l'equilibrio per qualche secondo. Mustafà borbottò qualcosa di incomprensibile, mentre la osservava andare a prendere il secchio e tornare da lui.
-Non hai il permesso di stare qui. Che cosa ci fai? -
-La sultana in persona me lo ha detto. Non posso disobbedire ai suoi ordini. -
-Benissimo, fa ciò che devi fare e poi vieni da me. Sarò nelle mie stanze, ho bisogno di un massaggio. -
-Non posso. -
-Come sarebbe a dire?! - Mustafà era davvero alterato e quando lo era la sua voce, di solito possente, diventata simile ad una ragazza, nonostante lui cercasse di mascherare il tutto. Era impossibile prenderlo sul serio così.
-Devo accompagnare vostro fratello Bayezid a cavallo. -
-Non se ne parla proprio, non hai il mio permesso. -
-Non siete il mio unico padrone. -
-Questo è vero. Ma io ho la priorità su di te, sei di mia proprietà. -
-E poi non voglio passare tutto il mio tempo con voi, Mustafà, non siete altrettanto bello da guardare come Bayezid. Anche voi non siete bello. -
-Se è così ci completiamo a vicenda no? - L'erede al trono sospirò, sembrava essere ritornato calmo. - Verrò anche io con voi due. Il mio povero fratellino potrebbe fare qualche domanda inopportuna ed è meglio essere lì per rispondere. -
-Non sono stupida, Mustafà, lo sapete benissimo. -
Egli non rispose e la salutò con un gesto annoiato della mano, prima di andarsene.
Perfetto, pensò, avrebbe dovuto sopportare quel maledetto assassino per tutto il pomeriggio.




Zafiraa sorrise alle due guardie che sorvegliavano la porta, prima di entrare. Sapevano chi era, Hurrem Sultan aveva lasciato detto che lei sarebbe venuta per tenere compagnia a Mehmed Sultan durante il suo bagno e la prova era anche che lei aveva un enorme secchio d'acqua da riscaldare fra le mani.
Una delle guardie aprì la porta e annunciò la sua presenza, Zafiraa non udì nessun suono.
Entrò, spalancando gli occhi e cercando di abituarsi al buio della camera. Il fuoco nel cammino era sul punto di spegnersi e la camera era gelata come il mare del nord.
Non riusciva a vedere il tanto misterioso Mehmed Sultan perché era nascosto tra quintali di coperte e veli che coprivano il letto a baldacchino e di certo l'oscurità non aiutava.
-Mehmed Sultan, sono Zafiraa e vostra madre mi ha ordinato di venire da voi per prepararvi il bagno. -
-Oh, salve, Zafiraa. - Il secondo erede al trono per linea diretta si mosse tra le innumerevoli coperte, ma Zafiraa non riusciva ancora a vederlo. - Potresti cortesemente ravvivare il fuoco? Io non posso. -
-Sì, certamente. Come preferite l'acqua? - La ragazza andò all'enorme caminetto dipinto di vari ghirigori e vi mise altra legna, smuovendolo con l'attizzatoio e soffiandovi per far ravvivare la fiamma; in pochi secondi infatti essa riprese e si sentì lo scoppiettio della legna arsa dal fuoco.
-Fredda. Va bene fredda. Mi aiutereste ora ad uscire da questo inferno gentilmente? - Zafiraa aggrottò le sopracciglia. Era così pigro da voler essere aiutato persino per scendere dal letto? Cos'altro, doveva venire imboccato?
Ma ella non disse nulla, poiché sapeva che con Mustafà poteva competere ma con gli altri membri, soprattutto con i figli di Hurrem Sultan, non poteva aprire bocca. Era impensabile farlo, considerato il modo soffocante, alle volte, in cui ella si occupava dei propri figli. Soprattutto per Mehmed, la sultana dimostrava un'apprensione maggiore, un'attenzione quasi esagerata, probabilmente perché nel caso di una dipartita di Mustafà, egli sarebbe stato il prossimo erede diretto al trono ottomano o forse perché egli era molto malato.
Si avvicinò al letto, scostando le enormi coperte di lana e il velo che circondava il letto a baldacchino. Poco alla volta la camera cominciò ad illuminarsi e lei poté osservarlo meglio.
Rimase stupita e per poco non urlò, quando vide che il figlio del sultano, quello che doveva rappresentare la massima prestanza fisica, la perfezione del sublime stato ottomano, era malato. Malato come lei!
Aveva la pelle bianchissima, così come i suoi capelli, ricci e corti, ai quali però si intrecciavano ciocche sul biondo chiaro. Gli occhi, di colori differenti, uno verde con qualche sfumatura castana e l'altro grigio- azzurro, erano circondati da ciglia folte ma chiare e da sopracciglia altrettanto chiare.
Non poteva crederci! Tra tutti i paesi che aveva visitato, tra tutti i posti in cui era andata per cercare spiegazioni, proprio in quel maledetto castello doveva trovare qualcuno come lei, anche se con qualche piccola differenza!
-Dovresti prendere la sedia, quella in legno, posta vicino la finestra e portarla qui. - Considerato che Zafiraa lo guardava senza muoversi, Mehmed le sorrise, ma il suo sorriso si spense quando notò una ciocca di capelli completamente bianchi nella serva. - Ma tu... i miei occhi mi ingannano? -
-No, se i miei non mi ingannano. - Si osservarono attentamente, reprimendo l'impulso di toccarsi. Zafiraa aveva sentito una strana sensazione di ansia, man mano che si avvicinava alle sue camere, ma non vi aveva badato. Pensava fosse dovuta alla stanchezza, poiché quel giorno avevano praticamente fatto di tutto. Si avvicinava il compleanno di Hurrem Sultan e il sultano desiderava che tutto fosse in ordine per i vari ospiti speciali che sarebbero giunti da molto lontano a rendere quel giorno sempre più speciale per la sua unica amata.
-Ma tu, sei quella nuova, non è vero? Quella che mio fratello Mustafà ha portato da molto lontano? -
-Sì, mio signore. Sono la sua serva. - Pronunciò l'ultima parola a denti stretti, facendo ridacchiare il ragazzo. Aveva una bella risata e una voce gentile.
-So che mio fratello alle volte può essere duro, a tratti cattivo, ma è una brava persona. Col tempo lo scoprirai anche tu. E' diventato così per ciò che ha passato, ha avuto un passato molto duro e mia madre è stata anche una delle cause, per sua sfortuna. - Zafiraa annuì, ma niente le avrebbe fatto cambiare idea. Aveva ucciso i suoi genitori, niente contava più per lei. Era suo nemico.
-Ha ucciso delle persone a cui tenevo, mio signore. Non penso proverò mai pietà per quell'essere. - Non sapeva perché, ma parlare con Mehmed era come parlare con se stessa. Era una sua versione, maschile, e si stupì di questo.
-I tuoi genitori, scommetto. Ma tu hai ucciso sua moglie e i suoi figli. Cosa è più grave? - Zafiraa lo guardò, non sapendo cosa rispondere. Come faceva a saperlo? Doveva dirlo a Mustafà che lui sapeva? - Non preoccuparti, so tutto. Mio fratello si fida di me e io non ho un gran rapporto con nostro padre, proprio come lui, perché sono diverso, malato e storpio. Non direi niente né a lui né a mia madre. -
-E non siete arrabbiato con me, non mi odiate? Ho ucciso i vostri nipoti. Ho ferito la vostra famiglia. -
-E lui ha ferito la vostra. Chi ha ragione, chi ha torto? Siete entrambi degli assassini, ma avevate le vostre ragioni. Tu vendetta e lui doveva pensare a se stesso, alla sua famiglia e agli ordini. Eravate in guerra, e suppongo lo siate tutt'ora e si sa che in questi casi si gioca sporco per salvarsi la vita. - Mehmed tossì e un rivolo di sangue uscì dalla sua bocca sottile e saggia. Zafiraa si affrettò ad afferrare un fazzoletto di seta e pulirgli l'angolo della bocca. Lui gli sorrise, riconoscente. - A te, almeno, è rimasto tuo fratello. A lui, non è rimasto nessuno. E' solo. -
-Quindi dovrei semplicemente essere grata che mi sia rimasto Alexandros? Dovrei accontentarmi di essere viva e di vivere in una terra che mi ha portato via la maggior parte dei miei famigliari, la mia libertà, la mia nave, la mia felicità? - Zafiraa scosse la testa, facendo oscillare i lunghi capelli bianchi. Si alzò e andò a prendere quella strana sedia, che aveva quattro ruote invece di gambe normali. Provò compassione per quel ragazzo, poiché a lui era andata anche peggio di lei. Come aveva detto lui, era diverso, malato e persino storpio. Lei era semplicemente diversa.
-No, non dico questo. Ma non dovresti farti consumare dalla vendetta. Molte persone in questo palazzo lo hanno fatto e adesso sono tormentati dal passato e da scelte che avrebbero potuto fare. - Zafiraa non poté fare a meno di pensare a Hurrem che era scappata all'improvviso, come rincorsa da qualcuno. Era forse lei, una delle tante?
-Voi mi siete antipatico, lo sapete? -
-Invece ti sono simpatico. Sono la voce della verità e sia tu che mio fratello non volete sentirvi dire le cose come stanno. - Mehmed le sorrise, circondandole le spalle con le braccia, mentre lei lo sollevava per farlo sedere sulla sedia. Spingerla era abbastanza semplice, anche se cigolava molto. Zafiraa lo avvicinò al caminetto, andando ad aprire le tende pensanti. La luce del giorno entrò e i due assottigliarono gli occhi in contemporanea, come sempre, infastiditi dalla luce solare.
-Anche a voi dà fastidio, non è vero? -
Mehmed annuì, tristemente. - Vorrei poter passare più tempo all'aperto, ma il minimo contatto mi potrebbe bruciare la pelle. E suppongo capiti lo stesso anche a te. -
-Sì, ma io non vi ho mai rinunciato. Amo troppo il sole. Cerco sempre di coprirmi il più possibile e restare lì dove c'è più ombra. - Zafiraa scrollò le spalle e gli regalò un grande sorriso sincero. Il primo dopo settimane. -Sono amante del pericolo. -
-Vorrei poterlo fare anche io. Ma non sopporto le occhiate della servitù, dei miei fratelli e di mio padre. Sono una delusione per tutti, tranne che per mia madre, mio fratello Mustafà, mia zia Hatice e mio cugino Ibrahim. Sono le uniche persone che sopportano la mia vista e passano del tempo con me. -
-Dovete imparare a fregarvene. Adesso che vi ho conosciuto, e credo che vostra madre lo abbia fatto apposta a combinare il nostro incontro, poiché siamo uguali, con me tutti vi rispetteranno. -
-Te lo puoi scordare. Io non mi muovo di qui. -
-Quanto ci scommettiamo, Mehmed Sultan? -

 
   
 
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