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Autore: marea_lunare    11/08/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(17) Didn’t you expect me to do that?
 
Moran venne portato via dai poliziotti, guardando in cagnesco Rachel, Sherlock e John, il quale lo minacciò con gli occhi.

Rientrarono in casa e fecero sedere la ragazzina sul divano, mentre due uomini del pronto soccorso salivano le scale, chiamati da Lestrade per controllare le condizioni di lei.

Fortunatamente il risveglio così brusco dal coma e lo sforzo fisico non avevano portato a nessun tipo di complicazione, ma era molto pallida e soprattutto molto debole.  

“Grazie, ce ne occuperemo noi” disse John sedendosi vicino alla figlia.

“Vuoi mangiare qualcosa?” chiese la signora Hudson.

“Se non le crea disturbo, vorrei un brodo di pollo caldo” sorrise Rachel.

“Certo tesoro, te lo porto subito”

“Volete rimanere a cena con noi?” chiese Sherlock all’ispettore e a Molly, lasciando tutti con un palmo di naso.

“Sherlock… Tu ci hai appena invitato a cena?” chiese Lestrade con un sorriso stupito.

“Beh… Avete aiutato Rachel a tornare a casa” rispose lui semplicemente.

“Ecco, noi…” iniziò Molly.

“Per noi non è un problema” mormorò Rachel, parlando per lei e John “Io avrò tempo di riposarmi”

John assentì con un cenno della testa.

“Allora… direi che dobbiamo approfittare di quest’occasione più unica che rara” rise il DI, togliendosi il cappotto.

“Bene, vado ad avvertire la signora Hudson, le chiedo se vuole unirsi a noi e poi vado a prendere Rosie da Mike” disse John alzandosi

“Per te va bene, Sherlock?”

“Certo”
 
 
 
Circa mezz’ora dopo, John tornò di sopra con un vassoio ricolmo di roastbeef, patate arrosto e verdure.

“Sherlock, potresti andare a prendere il tavolino pieghevole in soffitta?” gridò la signora Hudson che stava salendo le scale con in mano il brodo per Rachel.

“Perché? Non usiamo il tavolo della cucina?” chiese John.

“La signora Hudson non vuole che Rachel si alzi dal divano. Ha girà fatto troppa fatica e vuole che stia il più comoda possibile” gli rispose Sherlock superandolo e avviandosi verso la soffitta.

Prese il tavolino di plastica bianca e lo aprì di fronte al divano, prendendo poi una sedia per sé, John e la signora Hudson.

“Prima di mangiare vorrei cambiarmi” disse Rachel.

“Vieni, ti accompagno io” le rispose Molly aiutandola ad alzarsi.

Fortunatamente i medici si erano sempre presi cura di lei in quei mesi, perciò non ebbe nemmeno bisogno di lavarsi.

Aiutata da Molly si tolse la giacca di Sherlock che aveva indossato fino a quel momento, appendendola nell’armadio del detective, e infilò un pigiama pulito.

Quando tornarono in salotto il tavolo era già apparecchiato e la signora Hudson stava riempiendo i piatti di ognuno.

Molly e Lestrade erano sul divano insieme a Rachel, al cui fianco era seduto Sherlock, poi John e la padrona di casa.

“Sherlock, ti ho appeso la giacca nell’armadio. All’ospedale le hanno fatto fare un giro di lavatrice” sorrise la ragazza sedendosi e prendendo in mano il cucchiaio.

“Grazie” le rispose il consulente mangiando un pezzo di roastbeef.
 
 
 
Rachel immerse il cucchiaio nel brodo e se lo portò con lentezza alla bocca, ma la mano tremò violentemente e metà ne ricadde nel piatto.

Quando il consulente mangiò un altro boccone, la mano di Rachel sussultò ancora una volta.

“Aspetta, ti aiuto” le disse Sherlock pulendosi la bocca con il tovagliolo e prendendole con delicatezza la posata dalla mano.

Raccolse un po' di brodo e lo avvicinò alle labbra di lei che mangiò con gusto, ma un “Ah!” le sfuggì dalla bocca a causa della temperatura incandescente della pietanza.

“Scusa, è troppo caldo?” le chiese l’uomo.

“Prova a soffiarci sopra” gli sussurrò John in un orecchio.

“Oh giusto”

Quando anche la signora Hudson, Lestrade e Molly si resero conto di quello che Sherlock stava facendo smisero di mangiare, guardandolo a bocca aperta.

Un sociopatico iperattivo, un uomo freddo e distaccato che si emozionava per gli omicidi stava imboccando Rachel come fosse veramente suo padre. Questo era un comportamento più da John e nessuno, a parte l’ex soldato, si sarebbe mai aspettato una cosa del genere da lui.

Quando si accorse del silenzio tombale che era calato sulla stanza, si girò verso gli altri e li guardò stralunato.

“Cosa c’è? Mi sono sporcato la camicia?” chiese guardandosi il petto in cerca della macchia incriminata “Oh… E’ perché sto imboccando Rachel e da me non ve lo sareste mi aspettato? Capisco di non essere il più emotivo in questa stanza, ma solo un’idiota come Anderson sarebbe rimasto a guardarla mentre non riusciva nemmeno a mangiare, suvvia”

“Effettivamente…” assentì Lestrade, Molly si lasciò sfuggire una risata.

“Ne vuoi ancora?” chiese Sherlock alla ragazza.

“No, grazie. Sono piena” gli sorrise lei.

“Va bene. Allora, Grunt, hai qualche nuovo caso per me?” domandò l’uomo ricominciando a mangiare dal suo piatto.

“Oh ma andiamo, Sherlock! Grunt?” protestò il DI.

“Che c’è? Che ho detto?”

“Sherlock, il suo nome è Greg. Quanti anni ancora ti ci vorranno per ricordartelo?” rise John.

“Non posso pretendere chissà cosa, a malapena sa qualcosa del sistema solare, non potrà mai ricordarsi un nome difficile come Gregory!” lo stuzzicò l’ispettore, beccandosi un’occhiataccia dal consulente.

“Non conoscerò nulla riguardo al sistema solare, ma posso elencarti in questo preciso momento tutti i 239 modi in cui posso ucciderti usando un qualche tipo di acido corrosivo” rispose Sherlock con supponenza, continuando a mangiare.

Rachel rise di cuore, felice come non mai.

“Comunque non ho nulla di nuovo, le solite cose. Furti…” cominciò Lestrade.

“Noioso”

“…arresti per contrabbando…”

“Noioso”

“…e un omicidio a porte chiuse”

“Uh, finalmente qualcosa che mi interessa. Dimmi di più”

“La vittima si chiama Richard Anderson”

“Peccato non si chiami Philipp” affermò l’altro alzando gli occhi al cielo.

“Sherlock” lo rimbeccò John.

“Va bene va bene… Come è morto?”
 
 
 
Continuarono così ancora a lungo.

La signora Hudson e Molly scesero di sotto e prendere un tè, Lestrade volle un caffè, mentre John e Sherlock continuavano a discutere
con lui riguardo al caso, facendo ogni possibile congettura e riuscendo, infine, a trovare la soluzione.

Rachel coccolò la piccola Rosie e la fece giocare con il suo pupazzetto preferito, quello di Sherlock, ascoltando incuriosita il discorso dei tre uomini.

Concluso quel frangente di conversazione, John non riuscì a trattenersi dal farle una domanda.

“Come facevi a sapere che eravamo in pericolo?”

Il sorriso si spense sul volto della ragazza.

Si girò verso Lestrade che la guardò dubbioso, ma alla fine le sorrise per incoraggiarla.

“Rachel…” chiese Sherlock “cos’è successo in ospedale?”

Sapeva che tutto era basato su quello. Doveva essere successo qualcosa mentre era lì, perché altrimenti non sarebbe mai riuscita a
sapere che le loro vite erano a rischio, riuscendo persino a pianificare una strategia insieme a Molly e Lestrade lungo la strada.

La ragazza sospirò e guardò John negli occhi: “Ho incontrato Mary dall’altra parte”

Il dottore spalancò gli occhi, Lestrade fece scorrere lo sguardo su Sherlock, il quale non aveva avuto alcun tipo di reazione.

“Che significa l’hai incontrata?” domandò John al limite dell’incredulità.

“Significa che l’ho vista, John. L’ho vista e le ho parlato. Mi ha aiutata a ricordare cosa fosse successo in quella stanza ed è grazie a lei se il mio cervello si è risvegliato” iniziò la ragazza “Ho ripensato agli ultimi momenti passati con voi. Quando ho aperto gli occhi nel vedere Mary, ho visto anche una poltrona nera e una rossa. Poi ha iniziato a domandarmi cosa fosse accaduto, facendomi capire che io in realtà ero solamente svenuta dal dolore, che non tutto era perduto, che potevo ricominciare a vivere. Così mi sono svegliata all’improvviso e mi hanno detto che mi chiamavo Rosamund Norbury…”

“Sì. Norbury è il cognome dell’assassina, Rosamund il primo nome di Mary” le confermò Sherlock.

“Esattamente. E Mary, prima che mi riprendessi, mi ha detto che le vostre vite erano in pericolo, anche se non so come facesse a saperlo. È stato tutto molto confuso e a ripensarci adesso, ho meno risposte di prima”

“Io non…” iniziò John.

Lui voleva delle risposte tanto quanto Rachel, ma sapeva non essere il momento adatto. Non poteva obbligarla a parlare, a ricordare fatti disordinati ed ovattati dal coma. Era un momento oltremodo delicato e se nemmeno Sherlock le aveva fatto qualche domanda, significava che la situazione pendeva sul filo di un rasoio. Rachel era sempre stata una ragazza molto emotiva ma allo stesso tempo forte di carattere, eppure nemmeno lei sarebbe riuscita a riprendersi così in fretta da una debolezza fisica incredibilmente alta e sei mesi di coma.

Ancora non riusciva a spiegarsi come fosse riuscita anche solo a compiere un passo, ma sapeva che ci sarebbe stato tempo anche per quello. Per le spiegazioni, per i chiarimenti e per le ipotesi che a Sherlock piacevano tanto. In quel momento l’unica cosa di cui gli importava era che Sherlock, Rachel e lui stesso riuscissero a riacquistare i propri ritmi quotidiani, riportando la normalità, se così si poteva definire, e la serenità in Baker Street.

 “Niente” s’interruppe dopo aver formulato questi pensieri “Ora non ti sforzare, sei ancora troppo debilitata. Vuoi che ti accompagno in camera tua, così puoi dormire?” le chiese il dottore con fare paterno.

“Se non ti dispiace, vorrei mettermi sulla tua poltrona davanti al camino”

“Va bene”

John si alzò e spostò la sua poltrona vicino al camino, così che la ragazza potesse scaldarsi e le prese un libro da leggere pensando che avesse un gran bisogno di distrarsi.

Passarono due ore tranquille e quando Gregory si alzò per salutare dato che si era fatto tardi, Sherlock disse loro di parlare piano, perché la ragazza si era addormentata con il libro in grembo.

Scesero tutti di sotto e, quando finalmente rimasero soli, Sherlock e John diedero la buonanotte alla signora Hudson, salendo finalmente nella tranquillità della loro casa.

La loro.

Di John, Sherlock e le due figlie, nessun’altro.

“Rachel…” bisbigliò John.

“Mh?” la ragazza aprì lentamente gli occhi “Altri cinque minuti, John, ho sonno”

“Lo so Rachel, ma voglio solo portarti a letto, poi potrai dormire quanto vuoi” le disse facendola alzare.

Lei si appoggiò al suo braccio e, come toccò il materasso, crollò in un profondo sonno ristoratore.

Mentre John era nell’altra stanza, Sherlock spostò la poltrona al solito posto e si accomodò sulla sua, aspettando che il compagno tornasse per suonare un po'.

 
 
“Finalmente” sospirò John lasciandosi andare di peso sulla seduta morbida.

“Giornata intensa, direi” osservò Holmes mentre accordava lo strumento.

“Concordo pienamente” rispose l’altro massaggiandosi le tempie con entrambe le mani.

“Un ritorno in grande stile, più che altro” aggiunse dopo qualche secondo di silenzio.

“Già. L’ultima cosa che mi sarei aspettato era una tale coincidenza”

“Sherlock, tu non hai sempre detto di non credere nelle coincidenze?”

“Sì e non ci credo nemmeno ora, ma non ho un’altra spiegazione logica a tutto questo. Ed è molto fastidioso” ribatté l’altro infastidito.

“Quando la smetterai di voler trovare una spiegazione logica a qualsiasi cosa accada su questo dannatissimo mondo?”

“Mai, John. Perché io non credo nelle coincidenze, nella magia, nel destino. Credo solo nella scienza e nella logica”

“E nei sentimenti?” chiese all’improvviso il dottore. 
   
 
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