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Autore: SalvamiDaiMostri    11/08/2017    4 recensioni
Siamo in molti a non aver accettato l'epilogo della quarta stagione: con questa stagione cerco di aggiustare un paio di cosette del finale, chiaramente in chiave Johnlock. Cominciamo con John sul fondo del pozzo che si sta inesorabilmente riempiendo d'acuqa aspettando l'arrivo dei soccorsi, e vedremo dove andremo a finire!
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bentrovati! Come dico nella descrizione questa sarà una fanfiction finalizzata ad aggiustare quelle parti del finale della quarta stagione che non mi hanno soddisfatta. Spero vi piaccia! 

Buio pesto. E gelo che penetra nelle ossa.
John non riusciva a vedere ad un palmo dal naso, immerso nell’oscurità del pozzo in cui era prigioniero, con i piedi incatenati al suolo. Era ormai da più di venti minuti che una cascata d’acqua si stava riversando all’interno della sua prigione riempiendola velocemente.
John poteva percepire il livello dell’acqua salire, secondo dopo secondo, millimetro per millimetro.  Ormai galleggiava da qualche minuto, non potendo più toccare il fondale; si era esteso per tutta la sua lunghezza e, nonostante quello sforzo, l’acqua gli lambiva ormai le orecchie e il mento alzato quanto più possibile. Si sforzava con tutte le sue forze di mantenere la calma, il panico non sarebbe stato che controproducente: doveva mantenere la calma e la fede nel fatto che Sherlock sarebbe arrivato e lo avrebbe salvato ancora una volta. Ma l’acqua continuava inesorabilmente a salire, e ormai stava perdendo ogni speranza di essere trovato in quel pozzo nascosto chissà dove. Stringeva i denti e lottava con ogni fibra del suo corpo per far si che il suo naso restasse fuori dall’acqua ancora un altro po’.
Sarebbe morto lì, continuava a pensare, affogato come il piccolo amico del piccolo Sherlock del quale aveva appena rinvenuto i resti più di trent’anni dopo dalla sua morte: anche il suo corpo si sarebbe decomposto sul fondo di quel pozzo per i prossimi trent’anni? Qualcuno lo avrebbe mai ritrovato?
Se si distraeva e faceva un movimento brusco o improvviso, gli toccava ingoiare una boccata d’acqua paludosa o riceverne una dolorosa quantità su per il naso, facendogli bruciare le cervella per una manciata di insopportabili secondi.
E i suoi pensieri volgevano sempre a Rosie.
Da quando lei era nata, Rosie era la priorità assoluta, colei per la quale era suo dovere rimanere in vita: da quando Mary era morta, alla sua bambina non restava che lui. Che cosa avrebbe fatto senza suo padre? Davvero era stato così stupido ed irresponsabile da farsi ammazzare in un modo talmente idiota? Aveva deluso sua figlia. La piccola Rosie non avrebbe mai ricordato la voce o il volto ne di sua madre ne di suo padre. Non era nemmeno certo del fatto che Sherlock sarebbe soppravissuto: se non fosse riuscito a sconfiggere la follia di Euros, nessuno sarebbe tornato dalla sua Rosie.
Pensò a lei, che in quel momento doveva trovarsi tra le braccia della signora Hudson che la cullava per farla addormentare, nella casa che aveva comprato insieme a Mary.
Che stupido era stato. Stupido, stupido idiota.
«Se muoio non me lo perdonerò mai.»
«Sherlock, stupido idiota che non sei altro, vedi di trovarmi cazzo o ti uccido. »
«Ti prego Dio, fammi tornare dalla mia bambina. »
«Ti prego Dio, fammi vivere per lei. »
Stringeva gli occhi bagnati dagli schizzi d’acqua e pregava di sopravvivere, perchè era tutto ciò che gli restava. Pregava di poter risentire la voce di quell’idiota del suo migliore amico, venuto per salvarlo.
Era buio, buio pesto. E l’acqua era gelida.
Poteva percepire il graduale irrigidimento e la perdita di sensibilità alle proprie estremità: i piedi, le caviglie, le dita, i polsi. Si sentiva sempre più debole, sempre più rigido. Era esausto. Non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto resistere. L’acqua lo avrebbe sommerso da un momento all’altro e sarebbe stata la sua fine.
«Non può finire così. »
Aveva così tante cose da fare... Cose da dire...
«Non doveva finire così. »
 
Improvvisamente un lampo di luce squarciò il buio di quel pozzo, riflettendosi sull’acqua accecandolo.
Abbagliato, si sforzó di aprire gli occhi, ma vide solo un soffitto di luce bianca. Inutile dire che il suo primo pensiero fu quello di essere definitivamente morto senza rendersene nemmeno conto e che quella fosse la famosa luce al fondo del tunnel di cui tutti parlano.
Ma poi udí una voce chiamarlo. Ed, anche se lui probabilmente ne sarebbe stato particolarmente lusingato, la voce che lo chiamava per nome non era quella dell’Onnipotente, ma quella di Sherlock. Il suo Sherlock lo aveva trovato.
«Grazie Dio. Grazie. »
“JOHN!” gridava Sherlock dall’alto.
“SONO QUI SHERLOCK!” gridava “SONO QUI!”
Non riusciva a vedere niente, ancora accecato dalla luce, ma udí lo schiocco di una fune che infrangeva la superficie dell’acqua: l’avevano calata. Disperatamente la cercó con le braccia e con le gambe per aggrapparvisi, ma non riusciva a trovarla.
“Sto arrivando, John!” La voce di Sherlock rimbombava all’interno del tunnel.
John continuava a sguazzare all’interno del pozzo per cercare un appiglio, perchè proprio ora che erano giunti i soccorsi non poteva permettersi di affogare, non ora che era così vicino a tornare da sua figlia.
Improvvisamente sentí qualcuno toccagli la testa: Sherlock si era calato nel pozzo.
John alzó entrambe le braccia e si ancoró saldo al suo corpo.
Sherlock si lasció cadere ed, essendo molto più alto di lui, toccava perfettamente il fondale restando senza problemi con tutta la testa fuori dall’acqua. Sherlock allora lo abbracció e lo tiró verso l’altro tutto il più possibile, cosí che non dovesse più sforzarsi per restare a galla. Stringendolo a sé, Sherlock sentí che il corpo gelido di John era scosso da terribili tremori. Lo guardó in viso: era pallido come un cencio, teneva gli occhi serrati e aveva le labbra cianotiche.
“Sono qui John, ce l’ho fatta. Sono qui, va tutto bene.” Continuava a ripetere.
Solo allora, John, nel calore di quell’abbraccio, trovó sollievo: era davvero giunto a salvarlo. Lo aveva trovato. Non doveva più lottare, perchè c’era Sherlock a sostenerlo.
«Grazie Dio. Grazie.»
Restarono così, abbracciati per qualche istante: dopo quella terribile avventura, si erano ritrovati: mai prima di allora avevano avuto tanta paura di perdersi l’un l’altro. Se non fosse stato per la furia dell’acqua e del gelo, sarebbero rimasti così per sempre.
Poi Sherlock tornò in sè e gli disse che si sarebbe immerso per rompere le catene che lo ancoravano al suolo con un martello che aveva portato con sè.
Mentre sott’acqua colpiva le catene che imprigionavano John, degli uomini che gridavano dall’alto gettarono due imbragature legate a delle corde.
Una volta che fu libero, Sherlock gli legó l’imbragatura ben salda, poi legó la seconda a se stesso e gli uomini di Lestrade li tirarono su fino a a far loro raggiungere la bocca del pozzo. L’aria fredda della sera li schiaffeggió sul viso e John prese una boccata d’aria limpida prima di cadere rovinosamente sulla terra umida del bosco: accolse la terra ferma in quel goffo atterraggio con estrema gratitudine.
Mentre, boccheggianti, tentavano di reggersi a carponi, qualcuno gettò loro addosso delle coperte.
Sherlock, che si era gettato ad un paio di metri di distanza, si avvicinò a John a gattoni. Gli gettò una mano sulla spalla e con l’altra gli accarezzò il viso:
“Stai... Stai bene?” domandó ansimante.
Solo allora John lo guardò in viso e potè vedere il panico nei suoi occhi sgranati che, era chiaro, quel giorno avevano visto davvero troppo. I suoi ricci corvini fradici incorniciavano incollati il suo viso pallido e sconvolto. La camicia bianca bagnata rivelava i suoi pettorali che fremevano per il freddo e l’adrenalina.  John si limitò ad annuire guardandolo fermamente negli occhi, ancora sotto shock. Sherlock lo abbracció con tutte le sue forze e lo strinse a lui sfregandogli vigorosamente i palmi sulla schiena e sulle spalle, per scaldarlo. John appoggiò il viso al suo petto e si abbandonò al calore del corpo di Sherlock, del suo abbraccio, e al tocco delle sue mani che, dopo quell’esperienza, lo rassiguravano e consolavano esattamente nel modo e misura di cui aveva bisogno.
“Mi dispiace, John. È tutta colpa mia, mi dispiace tanto. Mi dispiace.”
Continuava a ripetere, quasi cullandolo, ancora incredulo di averlo di nuovo con sè.
Entrambi  sembravano incuranti del fatto che li circondavano decine di uomini in divisa, indaffarati.
Un medico visitò dunque John, diagnosticando poco più che ipotermia e stato di shock.
“Rosie sta bene.” Disse d’un tratto Sherlock, avviluppato nella coperta termica, mentre il medico si allontanava “Lestrade ha due uomini nella cameretta insieme a lei e alla Hudson. E due fuori dalla porta d’ingresso della casa. Euros non le ha trovate, se ha provato a cercarle.”
John, che non aveva ancora proferito parola, tiró un sincero sospiro di sollievo.
Giunse Lestrade che parlò con Sherlock di Mycroft, ma John ignorò la conversazione, pensando soltando al fatto che la sua bambina era sana e salva: null’altro importava davvero. Solo quando l’ispettore si fu allontanato, John domandò a sua volta a Sherlock:
“Tu... Stai bene?”
E Sherlock sapeva che si riferiva ad Euros, si riferiva anche a Victor Trevor, e  al fatto che in un solo giorno aveva puntato una pistola verso suo fratello e verso se stesso ed era stato costretto a farsi dire “ti amo” dalla povera Molly e avevano assistito al suicidio di un uomo e alla morte di altre quattro persone. Si riferiva al fatto che il 221b era saltato in aria, al fatto che aveva ritrovato la sua vecchia casa e il luogo dove era morto il suo migliore amico. Ed era davvero troppo perchè lui potesse rispondere in modo semplice. Perció non rispose affatto alla domanda, ma disse:
“Torniamo da Rosie.”


Eccoci alla fine di questo primo capitolo! Per ora non mi sono discostata troppo dalla serie originale, ma se siete stati attenti è impossibile che Sherlock si sia calato nel pozzo in quanto dopo aveva i vestiti completamente aciutti ed è senza dubbio una cosa che non accetterò mai per nessuna ragione. Vi prometto che dal prossimo capitolo in poi le cose prenderanno un'altra piega.
Io vi ringrazio infinitamente per essere arrivati a leggere fino a qui, spero che vi sia piaciuto l'inizio di questa storia e vi invito a lasciarmi un commento qui sotto. Con affetto, un saluto. _SalvamiDaiMostri
   
 
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