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Autore: QueenOfEvil    12/08/2017    1 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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8. Taka. When sorrows come, they come not single spies. But in battalions.

Taka procedette lentamente, dietro ad una roccia, lanciando uno sguardo alla scena davanti a lui che a parer suo si era ripetuta fin troppo, non potendo trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo: erano passati mesi dall’incidente con le iene, mesi da quando aveva deciso di fare loro visita una seconda volta e gli era sempre più chiaro quali fossero le differenze fra lui e Mufasa. Se prima i due fratelli giocavano quasi tutto il tempo insieme e i loro comportamenti si equilibravano a vicenda, la scaltrezza di uno con il coraggio dell’altro, adesso era raro che trascorressero più di qualche ora in compagnia: ciò era causato non solo dai crescenti impegni che sembravano coinvolgere il primogenito e da cui l’altro, con suo grande fastidio, era costantemente escluso, ma anche dallo sviluppo dei loro caratteri, i cui tratti fondamentali si stavano piano piano amplificando. Per questo, il leone dal manto scuro, non più cucciolo, distorse la bocca quando vide Mufasa lottare scherzosamente con Sarabi prima di strofinare il suo muso contro quello della giovane: erano una coppia ormai, e questo al fratello non dispiaceva più di tanto, ma era un’altra la questione che proprio non riusciva a sopportare. La corporatura dell’altro, come tutti si aspettavano, somigliava in ogni particolare a quella del padre, forse perfino più grande e forte, e questo sembrava dare il permesso e il dovere al primogenito di risolvere qualsiasi tipo di conflitto, anche il più banale, con l’uso della forza bruta: aveva partecipato, di malavoglia, a qualcuno di quei combattimenti giocosi in cui l’altro amava tanto cimentarsi, ma aveva presto perso ogni interesse per la vicenda. 

Se da piccoli riuscivano ad equilibrarsi in quella attività, ora la sproporzione era davvero troppo grande e quella che avrebbe dovuto essere una competizione si era trasformata in una costante umiliazione: non aveva alcuna intenzione di finire nuovamente nella situazione di un mese abbondante prima quando, atterrato in maniera particolarmente dolorosa, era stato costretto ad ascoltare cinque minuti buoni di complimenti rivolti al caro fratello da parte delle leonesse che da un po’ di tempo a questa parte gli giravano costantemente intorno prima di riuscire a ricordare alla massa sopra di lui che avrebbe gradito alzarsi. Né avrebbe sopportato un’altra volta gli sguardi di pena mista compassione che gli venivano costantemente rivolti in quelle occasioni. Ma la cosa peggiore era che nulla di quello che il fratello faceva aveva intenti cattivi nei suoi confronti: sarebbe stato più sopportabile sapere che la volontà di Mufasa era quella di farlo sentire inferiore, invece che la consapevolezza che il primogenito non si rendeva assolutamente conto di quanto fosse pesante averlo intorno. Certo, nessuno gli aveva mai fatto notare altrimenti, come avrebbe potuto?

Scosse la testa con rassegnazione, facendosi finire sugli occhi i ciuffi neri che avevano iniziato a crescergli: era l’unica caratteristica che aveva preso da Ahadi e ne andava particolarmente fiero, anche se era l’ennesimo attributo che lo differenziava dal primogenito, possessore di una criniera rossiccia e già molto folta.

Voltò le spalle alla scena e, perso nei suoi pensieri, si diresse in automatico verso il cimitero degli elefanti che in quel periodo era quasi diventato una sua seconda casa: sempre se si potesse chiamare casa un luogo sporco, desolato e squallido che Taka disprezzava con tutto il suo cuore. Aveva superato completamente la sensazione di inquietudine provata da cucciolo e ora si sentiva quasi annoiato e infastidito quando entrava lì, specialmente perché sapeva in che compagnia avrebbe trascorso il suo tempo: Shenzi, Banzai ed Ed si erano abituati alla sua presenza e lo seguivano, con la loro camminata disordinata e scoordinata, un po’ dappertutto lui volesse dirigersi. L’avevano anche presentato al resto del branco che l’aveva accolto all’inizio con riserva e mano a mano con maggiore entusiasmo più vedevano i vantaggi che averlo dalla loro parte avrebbe comportato: con il suo portamento composto, gli occhi severi e un sorriso di sufficienza quasi sempre sulle labbra, il giovane leone spiccava per la prima volta in tutta la sua vita in mezzo a quella massa di stupidi e, malgrado sentisse spesso il vano desiderio di avere una discussione edificante con qualcuno invece che assistere alle povere dimostrazioni di idiozia che vedeva ogni giorno, ricordava costantemente a se stesso per quale motivo si stava mescolando con simili creature. Conquistare la loro fiducia, dare loro un ordine e delle regole e presentarsi al padre con la soluzione ad un problema apparentemente ignorato per anni: con quale coraggio egli avrebbe potuto continuare a preferire Mufasa con una dimostrazione così lampante di superiorità? E poi le iene, con quel loro disprezzo totale per la sua famiglia e per i Re del Passato, che era sempre stato abituato a venerare come dei, erano una boccata d’aria diversa: non era soddisfatto della loro compagnia, ma se l’alternativa era vivere costantemente contornato dalle esaltazioni e complimenti rivolti al fratello allora quella era senza dubbio la soluzione migliore.

Ogni tanto, in realtà, specialmente di notte, quando dormiva vicino a Mufasa e ai genitori si sentiva leggermente in colpa per quello che sicuramente sarebbe stato visto come un tradimento se gli altri l’avessero saputo, soprattutto vedendo l’espressione serena e pacifica del compagno, steso al suo fianco, ma si ripeteva che la sua era una competizione assolutamente dovuta, che non si era mai arreso in vita sua e non l’avrebbe certo fatto in quel momento e, soprattutto, che ne sarebbe valsa la pena una volta che fosse diventato sovrano. Una volta che il suo popolo avesse riconosciuto finalmente il suo valore. E gradualmente, quel senso di imbarazzo era stato sostituito da una determinazione ferrea a portare a termine il suo obiettivo, senza preoccuparsi delle conseguenze.

“Ehi, ehi, compare!” Banzai fu come al solito il primo a dargli il benvenuto, indagando con gli occhi se quel giorno avesse portato per loro qualcosa di succulento da mangiare: speranza vana.

“La vostra gioia nel vedermi arrivare è sempre toccante” rispose ironico, alzando gli occhi al cielo e non rallentando il passo, costringendo l’altro a seguirlo “Ma sfortunatamente non sono riuscito a portarvi nulla. Mi chiedo però come voi idioti sopravviveste prima di conoscermi”

“Di sicuro peggio” Shenzi lo raggiunse, trascinandosi dietro un Ed ancora più rincitrullito del solito “È stata una fortuna averti trovato quel giorno, eh?”

“Vorrei poter dire la stessa cosa” ribatté, cinico, prima salire su una roccia, guardandoli dall’alto in basso: solitamente non lo faceva, ma quel giorno aveva bisogno di sentire fra di loro un po’ di distanza, di differenza, e l’effetto gli piacque. Chissà, sarebbe potuta diventare un’abitudine.

“Oh, andiamo principino, sai anche tu che ci adori!”

“Sì, quanto una carie fra i denti” pensò, prima di dire invece ad alta voce “Vi ho detto non so quante volte di non chiamarmi in quel modo”

“Ci hai anche proibito di chiamarti con il tuo vero nome, ottima, ottima scelta a parer mio, quindi dimmi: come vuoi che ci presentiamo al tuo cospetto?” Lo canzonò Shenzi, facendogli digrignare i denti per il fastidio.

“Preferibilmente in ginocchio” pensò poi con un sorrisetto, ripensando anche, con un moto di stizza, al fatto che effettivamente ora anche il suo vero nome gli suonava assolutamente insopportabile: Ahadi gli aveva fatto un bel discorsetto mesi prima, era vero, ma assolutamente insufficiente per riparare alle occhiate che gli erano sempre state rivolte quando si presentava. Era stato insopportabilmente naïf da parte sua non accorgersene prima e non aveva intenzione che accadesse di nuovo. Il problema non si sarebbe più posto una volta che fosse salito al trono, invece: Sua Maestà, Vostra Altezza… erano tutti appellativi che gli si sarebbero adattati perfettamente.

“Trovate qualcos’altro” ribatté quindi, spostando poi l’argomento di conversazione su un punto che invece gli interessava particolarmente “Quanto a voi: avete convinto il vostro branco? Sarebbe disposto ad accettare le mie condizioni? Vi avevo detto di ripetere esattamente le mie parole, senza cambiare una virgola, mi auguro che abbiate seguito le mie direttive” Aveva elaborato un discorso efficace, che, era sicuro, avrebbe garantito che le cose andassero come voleva, ma non si fidava neanche lontanamente di quei tre incapaci: doveva essere sicuro che tutto fosse in ordine prima di fare la sua mossa.

“Sai benissimo della reputazione che godi qui: non è stato difficile convincerli che tu ci avresti aiutato molto se ti avessimo seguito! Perché sarà così, giusto amico? Grandi benefici, è quello che ci porterai, no?”

“Assolutamente” Sorrise fra sé nuovamente, riflettendo che quei grandi benefici in realtà consistevano solamente in una dignitosa quantità di cibo al giorno ed era più che sicuro che, se quegli animali si fossero organizzati per conto loro, avrebbero benissimo potuto impadronirsi delle Pride Lands anche da soli, non mancando di forza ed essendo in numero superiori al nemico. Peccato che avessero un’enorme lacuna: non avevano assolutamente cervello. Invece, sotto la sua guida, avrebbero potuto ambientarsi nella savana nel migliore dei modi e assicurare una pacifica convivenza con i leoni. Sì, suo padre e sua madre sarebbero stati orgogliosi di lui per il modo in cui avrebbe posto fine a questa sorta di conflitto mai scoppiato e anche Mufasa avrebbe finalmente capito che anche lui poteva valere qualcosa: sarebbe stato perfetto, gli equilibri sarebbero stati ripristinati e il suo popolo lo avrebbe finalmente riconosciuto come qualcosa di più che un semplice principe cadetto.

“Ehi! Sognatore? Ci sei? Ti abbiamo appena detto che siamo pronti!” Ritornò alla realtà di colpo a causa della petulante insistenza delle iene e le squadrò con rassegnazione, prima di scuotere il capo affermativamente.

“Ho inteso perfettamente e questo è un grande passo: vedrete che la nostra collaborazione porterà grandissimi vantaggi per entrambe le parti” Detto questo, saltò giù dalla roccia in mezzo a loro e si diresse verso l’uscita “Se oggi tutto andrà come deve andare, vi assicuro che questa sarà l’alba di una nuova era!”

Le salutò in tal modo, pregustando già il successo sulla punta della lingua: il grande momento era arrivato, dunque. Non poteva non ammettere di sentirsi alquanto nervoso al pensiero di confrontarsi con Ahadi: aveva un grande rispetto per il padre e le sue capacità di decisione ed era sicuro che, se gli avesse dato un buon motivo per ricredersi, avrebbe certamente scelto lui invece di Mufasa. Oppure, ed era un’alternativa che ogni tanto attraversava la mente di Taka e non gli dispiaceva neppure poi così tanto, avrebbe potuto scegliere di lasciare governare ad entrambi il regno, mettendoli sullo stesso piano: non era necessario che il fratello venisse surclassato, rifletteva, bastava che venisse stabilito una volta per tutte che erano entrambi pari.

                                                              *****************

Giunse alla Rupe dei Re in tempo perché il fratello lo vedesse e gli corresse incontro, atterrandolo come al solito nelle sue dimostrazioni di affetto: la sua energia lo sorprendeva sempre, non era più un cucciolo, ma l’entusiasmo non accennava minimamente a diminuire.

“Taka! Dove sei stato tutto il giorno? Sparisci sempre più spesso, non abbiamo praticamente più occasione di stare insieme!”

“Oh, sai, gli impegni: certo, non possono competere con i tuoi, ma in quanto pretendente al trono ho anche io la mia… come posso dire… agenda che devo rispettare” lo disse con un tono annoiato che ormai adottava costantemente quando parlava con il primogenito e quest’ultimo, abituato al comportamento piuttosto antisociale del fratello gli sfregò una zampa sulla spalla, quasi buttandolo a terra.

“Tu non me la conti giusta: sono sicuro che mi stai nascondendo qualcosa” Possibile che avesse dei sospetti? Che non fosse così ingenuo come sembrava? Il giovane leone pensò freneticamente se avesse per caso commesso un qualche sbaglio o un’imprudenza e come avrebbe potuto giustificarsi, prima di essere interrotto dall’altro “Avanti, dimmi il suo nome”

… E no. Non aveva proprio capito nulla. “Che cosa diamine vai blaterando, fratello?” replicò, non senza sentirsi davvero molto divertito dalla conclusione a cui Mufasa sembrava essere giunto.

“Oh, andiamo: è evidente cosa ti stia succedendo. Sei sempre pensieroso, sparisci per ore e sembri avere costantemente la testa fra le nuvole: devi esserti per forza innamorato! Avanti, chi è? La conosco?” Questa volta Taka non poté trattenersi dallo scoppiare a ridere in faccia al primogenito, che lo squadrò piuttosto confuso e anche lievemente offeso.

“Sei assolutamente fuori strada, mi dispiace: capisco che tu adesso sia perdutamente innamorato di Sarabi e che per questo motivo tu tenda a vedere coppie e sdolcinatezze ovunque, ma ci sono altri motivi per cui…” La sua frase si interruppe a metà, quando vide il padre sulla Rupe dei Re che scrutava le terre: era il suo momento, non poteva assolutamente perderlo. Quasi senza salutare Mufasa, quindi, si diresse verso Ahadi, tentando di mantenere la calma, ma con brividi di eccitazione che gli attraversavano tutto il corpo: aveva progettato quel giorno da mesi, immaginato, sognato ad occhi aperti. Era sicuro che tutto si sarebbe svolto esattamente come aveva progettato.

La figura del genitore si stagliava sul tramonto e sembrava ancora più imponente, colpita dai fasci di luce che illuminavano la pelliccia color miele che solo uno dei suoi figli aveva ereditato: lo aveva sempre messo in soggezione, fin da cucciolo, ma per la prima volta, mentre si affiancava a lui e attendeva di prendere la parola, si sentì del tutto uguale, pronto per regnare come non lo era mai stato prima d’ora. Doveva solo convincerlo, ma persuadere coloro che lo circondavano con l’uso delle parole era sempre stata la sua specialità.

“È proprio uno spettacolo, non è vero?” la voce del sovrano, calda e profonda, lo riscosse dal suoi pensieri e le zampe gli si contrassero per la tensione, malgrado, rispondendogli, si sforzasse di non far trasparire l’agitazione che lo muoveva dall’inizio del giorno.

“Assolutamente, padre: il nostro regno è florido e in pace come mai prima d’ora” Prese un bel respiro prima di continuare “E proprio a questo proposito vorrei parlarvi di una…”

“È tutta una questione di equilibrio” lo interruppe il suo interlocutore, non dando segno di aver sentito la sua seconda frase “come Re delle Pride Lands è mio compito mantenere tutte le specie in accordo e sullo stesso piano fra di loro: sono sicuro che coloro che verranno dopo di me sapranno fare altrettanto”

Il fatto che non avesse pronunciato il nome del primogenito diede un’altra spinta a Taka per continuare la conversazione e anche un barlume di speranza: se davvero egli era indeciso su a chi affidare questo compito, l’annuncio che gli stava per fare sarebbe stato probabilmente determinante.

“Ne sono convinto anche io: tuttavia, mi è sopraggiunto alla mente un dilemma, una questione di cui vorrei discutere con voi” Non voleva esporsi troppo e troppo in fretta, non era nel suo stile: avrebbe lasciato che fosse almeno apparentemente Ahadi a condurre il discorso fino a che non fosse arrivato il suo momento.

“A cosa ti riferisci?”

“Si tratta… delle iene” Vide il volto dell’altro scurirsi e si preparò, ripassando mentalmente quello che aveva programmato di rivelargli per fare in modo che si convincesse: il suo cuore prese a battere ancora più forte e sperò che la sua agitazione non fosse visibile dall’esterno.

“Hanno causato altri guai? Perché se è così vanno punite immediatamente…”

“No, mi avete frainteso!” si affrettò a correggerlo “Mi domandavo solamente quale potesse essere il motivo per cui un’intera specie fosse stata tanto soggetta ad odio nelle generazioni passate…”

“Come ho già spiegato a te e tuo fratello” gli venne risposto, con espressione severa “quegli animali sono ingordi, avidi e sciocchi: non concepiscono regola alcuna e tantomeno sembrano preoccuparsi del labile ordine che gli Antenati hanno faticosamente costruito nel corso delle varie generazioni. Per questo vanno allontanate e segregate, senza alcuna eccezione”

“E questa senza dubbio è una scelta molto saggia, ma mi chiedo se davvero non sia possibile una riconciliazione: è evidente, d’altronde, che quegli animali non sono disposti a tollerare un regime stretto quanto quello a cui sono sottoposte tutt’ora. Non è più pericoloso averle emarginate e scontente, costantemente da tenere sotto controllo perché non si organizzino, piuttosto che tentare di avvicinarle in qualche modo?” Sperava che il padre avrebbe ragionato sulla faccenda, che avrebbe pensato e sarebbe giunto alla stessa conclusione a cui era giunto anche lui: che le iene erano una risorsa troppo grande per essere lasciate in disparte. Per questo venne quasi ferito dalla risposta che gli venne data:

“È una scelta che non va neanche presa in considerazione: quegli esseri hanno dimostrato da sempre di non voler ascoltare altri che i loro stomaci e ne hanno dato la prova anche in questi ultimi anni… cosa che sapresti anche tu, se fossi stato più presente in quest’ultimo periodo” Quell’ultima frase colpì il giovane come uno schiaffo sul muso: quella non era assolutamente la piega che avrebbe dovuto prendere il discorso; doveva essere il suo momento di dimostrare la sua intelligenza, non un ulteriore rimprovero! Tentò di chiarire la situazione, di spiegare che quello che stava facendo era per il bene del regno, del regno che avrebbe dovuto essere suo, ma venne interrotto ancora prima di poter aprire bocca “Credi che non l’abbia notato? Sparisci per ore e solo i Re Antenati sanno dove tu sia: tua madre dice che non è il caso di preoccuparsi, che sei responsabile e non ti metteresti mai nei guai e io vorrei crederle, ma davvero non capisco cosa ti passi per la testa in questo periodo. Siamo tutti parte di un Grande Cerchio, figlio mio, e questo vuol dire che è necessario mescolarsi con gli altri, tentare di comprenderli e aiutarli per essere veramente vivo: questo però tu non sembri capirlo, ti ostini a rimanere in disparte, a squadrare tutti quasi dall’alto in basso. Dimmi, reputi davvero ciò che ti circonda così inferiore a te da non degnarlo neanche della più piccola occhiata?”

Voleva ribattere che era a buon diritto che lo faceva, perché lui sarebbe diventato sovrano ed era giusto che un sovrano osservasse il suo regno in modo sopraelevato e imparziale, senza lasciarsi coinvolgere dalle vicende dei suoi sudditi, ma le parole che vennero pronunciate subito dopo da Ahadi gli gelarono il sangue.

“È questa la grande differenza fra te e tuo fratello: lui ha compassione, comprende le leggi che governano il nostro mondo e non è spaventato di farne parte come invece tu sembri. Perché non puoi essere più come Mufasa, Taka?”

Ed ecco, di nuovo il paragone, di nuovo il confronto: odiava sentire quei due nomi così vicini, odiava sentire la differenza con cui essi venivano pronunciati, odiava pensare ai significati opposti che essi contenevano, ma ancora di più odiava il motivo per cui apparentemente il padre sembrava tanto preferire il primogenito. Una semplice questione di emozioni! Di cuore! Di… debolezza! Sì, perché a dispetto della forza bruta di cui tanto si vantava, alla fine era quello che suo fratello era: un debole, incapace di pensare logicamente, troppo trainato dai sentimenti che provava. Lui aveva la logica, lui aveva l’intelligenza necessaria per reggere la savana, perché questo nessuno sembrava capirlo?

Strinse i denti, provando per la prima volta qualcosa che somigliava molto a odio per quell’ingiustizia, per il modo di pensare assolutamente scorretto di tutti quelli che lo circondavano, per la sua famiglia e stava per controbattere, non potendo trattenersi e pronto già a subire le conseguenze di quello che avrebbe detto, quando il consigliere di Ahadi, un uccello, stupido, arrogante ed estremamente giovane che a Taka non era mai piaciuto e che sospettava avesse un’avversione uguale nei suoi confronti, arrivò a precipizio, senza neanche posarsi per terra e con un’espressione di allarme che sembrò molto strana al giovane principe.

“Vostra Maestà… ho fatto più in fretta che ho potuto… la regina… vostra moglie… si è sentita male alla pozza d’acqua! Non riesce più ad alzarsi: dovete assolutamente soccorrerla!” Tutto quanto detto e pensato fino ad allora si cancellò immediatamente dalla mente sia del padre che del figlio che, scoccatisi un’occhiata di medesimo allarme, si precipitarono alla rincorsa del pennuto, che li guidò fino alla posizione di Uru.












Angolo dell'autrice: Dramma Time! (Non che il resto fosse felice, in effetti) E così Taka non è riuscito a dire al padre quello che voleva, in più ora Uru si è anche sentita male... previsione: non credo che le cose si metteranno bene per il nostro protagonista. Grazie a tutti quelli che leggono e, ovviamente, un grazie speciale a quelli che seguono questa storia: come al solito, vi invito a commentare per farmi sapere la vostra opinione!
Ci sentiamo fra due settimane!
L_A_B_SH

 
   
 
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