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Autore: queenjane    12/08/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Io non lo capisco, ti voleva e poi quando arrivi ti saluta appena e ti gira al largo, pare arrabbiato e..” eravamo a Livadia, girando sulla spiaggia sottobraccio, osservando da lontano la costruzione del nuovo palazzo imperiale, lo avrebbero chiamato White Palace e i lavori sarebbero terminati, salvo nuove nei primi mesi del 1911.
Di candida pietra, avrebbe contato 60 stanze, balconi, colonne e loggiati e logge, insomma una mirabile e articolata struttura, con molti cortili.
“E’ arrabbiato ”rilevai. Ce l’aveva con me perché non c’ero, nonostante le reiterate suppliche, e quindi.. fine, tanto valeva ignorarmi. Ed io con lui ero impacciata, quello che aveva detto Marianna sul morbo inglese e i presunti frammenti mi rendevano nervosa e rigida, avevo paura di fargli male e gli giravo al largo a mia volta, per quanto possibile, rimanendo per lo più con Olga e socie (così si definivano, tra l’altro, le imperiali sorelle)
“Ma come ragiona..”
“Ha cinque anni, Olga. E ..”
“Tu invece che rimugini? Spara, Catherine, anche tu hai qualcosa, te lo leggo in faccia, anche se fai la gnorri, sei preoccupata ..” una pausa “Resta tra te e me, come al solito”
“Io.. non vorrei .. sarebbe una mancanza di rispetto..” mi scrutò basita.
“Tu vuoi sapere qualcosa e hai paura a chiedere”decodificò rapida, a volte era sommamente irritante che mi leggesse dentro come un libro aperto, altre un conforto.
“E’ su tuo fratello. Ha l’emofilia?” sul suo orecchio, per non farmi sentire da nessuno.
Se il silenzio producesse rumore avrebbe avuto un effetto come quello che seguì, il viso di Olga diventò color cenere, nonostante l’abbronzatura.
Il suo silenzio la conferma, lei e Tatiana, essendo le più grandi, sapevano e avevano giurato il segreto sopra la Bibbia, di non rivelare nulla a nessuno, quella verità era nota a un ristretto gruppo di familiari, medici e servitù. “A volte preferirei che fossi meno sveglia o curiosa” sospirando, le labbra le tremarono leggermente. “Questo è ..”

“Una cosa riservata, da non dire.”
“Mi fido di te come di me stessa.. solo che non potevo”
“Immagino, alcune cose sono davvero un segreto” e alludevo a me e al tormento che mi aveva eroso, ovvero avere il principe Raulov come padre.
“Hai ragione, ti ha fatto bene la Spagna” cercando lo scherzo “Olga, non volevo farti piangere..”
“Macché, è la polvere di questo cantiere arriva fino a qui.. e guardati per te. Tornando al nostro imperatore dei viziati, che giustamente lo chiami così, se ha buonsenso la rabbia gli passerà, sennò peggio per lui”
Formulai un paio di battute, nascose la risata dentro il fazzoletto, ci ricomponemmo, in fondo eravamo abituate a lasciar trapelare le emozioni tra noi.


Quelle giornate rimasero a imperitura, comune memoria, che Olga il giorno dopo ebbe le mestruazioni, rimanendone sconvolta.
Era a casa mia e si lamentava dei crampi e mal di pancia, forse per  la scorpacciata di dolci, pasticcini di crema e cioccolato, finiti in mosse rapide e golose. E   decise di andare in bagno , un locale di recente rinnovato, con un a strepitosa porcellana bianca che copriva tutte le superfici, per chiudersi in cima con l’ultima fila di piastrelle decorate di iris blu. La vasca era grande, con rubinetti e tappi d’argento come quelli del lavandino, nello stanzino a parte il WC, bianco, con una tavoletta di massiccio mogano.
“Sto morendo.. “saltai dal bordo della vasca come un grillo.
“CHE HAI?”
“IO..”Un singhiozzo soffocato.
“Olga, apri la porta  o chiamo i cosacchi..”
“Chiama tua mamma, ti prego”
“Sì..”
Mi venne in mente che fosse il ciclo, non lo avevo mai avuto, ricordai quello che mi aveva detto mia madre, pochi e pratici frammenti.
“Aspetta..Non muoverti”
“Ti aspetto.. Ci conto e ci spero, Cat..”


Già, aveva le sue cose. La sua inimitabile madre, che si menava vanto di essere una guida, un faro e un soccorso, la aveva istruita sulle buone maniere, il ricamo, la compostezza, il dovere ma non sui misteri esatti del corpo femminile.
Come se tacendo le sue figlie non crescessero.
Sapevamo la teoria, non certo la pratica, quando accadde fu una sorpresa.
Il mio è un rigurgito amaro, lo so pure adesso, tranne che fu mia madre a consolare, spiegare, lontano dalle mie orecchie, per non farla imbarazzare ancora di più, Olga, farle bere una tazza di tè e abbracciarla, darle un pannolino per il sangue.
La zarina si occupava delle donne in generale, non di quelle particolari in casa sua.
Quando vi era bisogno di lei non vi era mai e il giorno successivo era già troppo tardi.
(Quando successe a me, Olga fu pratica, efficiente, mi diede un bacio, una borsa di acqua calda per i crampi al ventre, insegnandomi a mettere le pezze di cotone per raccogliere il mestruo e poi i malumori. Mi  toccò il mese successivo, a proposito)
 
E fu per il temporale. A fine estate ogni tanto scoppiavano, violenti, estenuanti, con un corteo di tuoni e lampi, da annerire il cielo, toccava accendere le luci  e a me avevano sempre dato sui nervi, mi incupivano senza rimedio, come quello che principiò mentre ero fuori dalla stanza di Olga, quel giorno non era scesa in spiaggia per “emicrania” e io le avevo fatto compagnia, quindi mi aveva spedito fuori senza che azzardassi domande.
“Principessa?” una volta ero Catherine o Cat, annotai, era meno formale tanto era meglio se giravo al largo, se lo toccavo e prendeva un urto..
“Sì, zarevic..” mi girai, arretrando di un mezzo passo, sorridendo che teneva in mano un aeroplanino. Nemmeno lui era ancora sceso in spiaggia, rilevai e  a me non doveva importare
“I temporali ti danno sempre fastidio? “
“Un poco ..” mise il broncio “Parecchio, anzi”  era una scusa per avvicinarsi senza perdere la faccia, l’orgoglio, che era suscettibile come pochi.
L’ennesimo tuono.
Il rombo dei fulmini.
L’impianto elettrico saltò e rimanemmo al buio. Ero più vicina io di Deverenko, e avevo visto una miriade di giochi sparsi.. Se scivola e si fa male.. Gli vuoi meno bene dato che è malato..  No.
“Zarevic.. rimanete fermo, per favore” desta o sinistra, dove era..mi misi carponi e .. “Vieni Catherine, dai”
“Fermo per favore.. che giochi inventate con quell’aeroplano..”un tono basso, le urla lo avrebbero innervosito.
“Di tutto un poco. E…” lo raggiunsi in tre secondi, me lo accostai addosso, seppellendo il viso contro il suo collo.
Movimenti istintivi, automatici.   
“Aleksej .. tesoro”profumava di fieno e camomilla, lo dovevano avere lavato con quelle essenze, e sudore infantile, annotai  l’usuale rigonfio del pannolino sui fianchi, lo strinsi delicata
“Hai paura?” divertito.
“Sì” lui si riferiva ai tuoni, io a che si facesse male, percepii le sue braccia sul collo, lo serrai in grembo, massaggiandogli la schiena, così era più facile, bastava che lo amassi
“Io no.. fifona” mi sfiorò i capelli “Io non ho paura di nulla”
“Hai ragione..”  quanto tempo era passato da quando lo avevo tenuto stretto. Una vita. Un attimo, una lunga eternità.  “Sono una fifona..”
“Chiudi gli occhi.. Dimmi che ti tocco” mi sfiorò il naso, la fronte, le guance, e sbagliavo, dicendo una parte per un’altra, si mise a ridere.  Mi misi seduta, per terra, con sempre lui in braccio, nemmeno brontolai quando mi tirò i capelli.
“Sei sempre arrabbiata con me”
 “No .. Aleksej..” addolorata “ Pensavo che..” tacqui, che gli dovevo dire, che ero una cretina, un’idiota di prima categoria.
“Non mi lasci più..”avevo voglia di dirgli di sì, e lo avrei preso solo in giro, non era uno stupido. Poteva essere piccolo come età anagrafica ed era intelligente, svelto, difetti a parte,  più cresceva e più capiva.
“Cercherò di fare il meglio possibile..”
“Non è una grande risposta..” e di migliori non potevo offrirgliene.
 Ero  goffa, di legno, di pietra, lui mi stava aiutando a ricomporre i pezzi, sancendo poi, anni dopo, che lo tenevo al sicuro, lo facevo sentire protetto ed era vero il contrario. Poi "Me lo dai un bacio?" Scossi la testa, mise un piccolo broncio ma comprese "Allora sono due o dieci?" Gliene diedi una ventina per sicurezza, le sue risate riempirono il pomeriggio... era contento, felice e beato.br />  
   
 
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