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Autore: Shadow writer    12/08/2017    2 recensioni
Dopo l'ultimo caso, che ha messo in discussione la sua carriera e la sua vita, il detective Harrison Graham credeva di aver finalmente trovato la pace insieme alla figlia, Emilia, e alla donna che ama, Tess. Ma un nuovo ed imprevisto caso lo trascina in un'indagine apparentemente inverosimile, in cui nulla è ciò che appare e nessuno appare per ciò che è. La ricerca lo costringe a collaborare con il suo acerrimo nemico, Gibson, ma soprattutto porta alla luce il fantasma del passato di una persona a lui molto, molto vicina, e a realizzare che forse, il detective non l'ha mai conosciuta veramente...
[AVVISO: "Smoke and Mirrors" è il seguito di "Blink of an eye", che potete trovare sul mio profilo]
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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12_ «Tessie mi sta aspettando»

 
 
Il suono dei tacchi di Sadie Hard che picchiavano il pavimento di marmo si propagò nell'atrio di viola Thompson.
La seguivano Gibson e l'agente Carson, il primo guardandosi attorno con attenzione, il secondo leggendo i documenti che teneva tra le mani.
«Signor Thompson» salutò Sadie sorridendo al padrone di casa. «Grazie per averci ricevuti con così poco preavviso.»
L'uomo era ben vestito, anche se in modo meno formale rispetto al ricevimento.
«Nessun problema» replicò lui con gentilezza. «Ecco una copia dei documenti che mi avete richiesto» aggiunse tendendo loro alcuni fogli. Gibson li prese e li consultò velocemente sotto lo sguardo attendo di Sadie e dell'agente Carson.
Il detective fece una smorfia che doveva essere un sorriso di soddisfazione, mentre mostrava uno dei fogli ai colleghi.
«Larry Beaver» disse leggendo il documento, «ancora lui.»
Incrociò lo sguardo di Sadie, consapevole di aver trovato esattamente ciò che stavano cercando. Avevano trascorso la mattinata visitando i luoghi dei furti potersi procurare i fascicoli degli oggetti trafugati. Gibson era ancora convinto dell'esistenza di un collegamento tra le opere mancanti e aveva voluto operare un maggiore controllo, tramite i documenti dei singoli quadri e del carillon, che ne specificavano le caratteristiche e ne indicavano i precedenti proprietari. Era stato proprio l'elenco di questi nomi a far suonare un campanello, c'era infatti un'unica persona ricorrente in tutti i fascicoli: Larry Beaver.
Avevano già chiesto un'indagine sull'uomo e dovevano solo consultare le informazioni ottenute. Quella di Villa Thompson non era altro che un'ulteriore conferma di ciò che già sapevano.
«Torniamo in centrale» disse Carson e i due acconsentirono.
 
Gibson sfogliò il fascicolo per l'ennesima volta da quando era arrivato in centrale. Di fronte a lui, al di là debba scrivania, stava Carson, anche lui assorto dalla lettura.
Il detective fissò l'agente per qualche istante, da sotto le sopracciglia aggrottate, poi si decise ad alzarsi in piedi, annunciando: «Torno subito.»
Uscì nel corridoio e si diresse verso la scrivania di Sadie.
La donna lo accolse con aria ironica: «Già stufo del lavoro d'ufficio?»
Lui prese posto all'angolo del tavolo.
«Beaver è morto e i suoi unici parenti non sono rintracciabili» replicò lui.
Sadie fece un cenno di assenso: «Ho letto il fascicolo. È stato trovato morto insieme al figlio minore. La moglie e i due figli maggiori sono scomparsi qualche mese più tardi.»
«Non sembravano essere persone piacevoli» commentò Gibson, «solo Beaver aveva molte segnalazioni per le minacce che faceva alle persone che lo infastidivano.»
«Ho appena parlato con un suo vecchio vicino di casa» disse Sadie, «e ha confermato che a nessuno è mai piaciuta quella famiglia.»
Gibson corrugò la fronte, sorpreso.
Lei gli rivolse un sorriso zuccheroso: «Qualcuno deve pur darsi da fare, Paul.»
Il detective alzò gli occhi al cielo, ma la sia attenzione fu subito attratta dalla figura trafelata dell'agente Carson in arrivò.
«Ho riesaminato i dati degli omicidi con quelli di Beaver» annunciò l'uomo brandendo alcune carte. «E combaciano, combaciano tutti. Ogni vittima aveva in qualche modo danneggiato Beaver.»
«E se stanno dando la caccia a Tess e Calvin» proseguì Gibson, «significa che loro saranno le prossime vittime.»
 
 
Il salotto della casa era illuminato dalla luce delle lampade, mentre all'esterno calavano le tenebre della notte. Harrison aveva sistemato sul tavolino da caffè qualche snack e alcune birre, mentre aveva fatto accomodare Sadie e Gibson sul divano.
«Tutto questo è molto gentile da parte tua, ma non credo che una serata intima tra colleghi sia quello che ci voglia ora» commentò Gibson, già ben stravaccato sul divano.
«È l'ultima cosa che vorrei ora, credimi» replicò Harrison mentre sorseggiava nervosamente la sua birra. «Vi ho fatti venire qui per un motivo ben preciso. Non potevo parlarne con gli agenti perché...»
«Perché non hai ancora detto loro chi è veramente la donna scomparsa?» Gibson la frase al suo posto.
«Forse» ribatté Harrison. «O forse non sono bravo con il lavoro di squadra e meno siamo, meglio è».
«Hai intenzione di dirci cosa hai trovato o continuerai a tenerci sulle spine?» si intromise Sadie, trafiggendo il padrone di casa con uno sguardo penetrante.
Lui annuì, consapevole dell'impazienza della donna. Lei e Gibson lo avevano informato delle loro scoperte della giornata, come tutti gli oggetti e gli omicidi fossero legati ad un unico nome: Larry Beaver. Harrison capiva che tutti stavano cominciando a venire a capo della faccenda ed erano smaniosi di collegare ogni informazione con chiarezza.
«Tess non sta scappando» esordì Harrison, cogliendo alla sprovvista i compagni. «E non si sta nascondendo»
«Ti dispiacerebbe essere un po' più chiaro?» domandò Gibson sollevando un sopracciglio.
L'altro prese un respiro profondo.
«So che potreste non credermi, ma ne sono certo. Ho lavorato a lungo con persone scomparse e so che se qualcuno non vuole essere trovato, sa come passare inosservato. Noi siamo riusciti a seguirli facilmente, ma siamo stati troppo stupidi a pensare che fosse merito nostro. Tess e Calvin stanno giocando volontariamente al gatto e al topo. Pensateci: prelevare da un bancomat, recarsi in luoghi pieni di persone, scatenare una rissa. E poi, oggi, il video. Tess ha guardato dritto nella telecamera, come se stesse guardando me, come se stesse parlando con me!» Harrison enfatizzò l'ultima frase, picchiandosi il palmo sul petto. 
Gibson e Sadie si scambiarono un'occhiata poco convinta.
«Forza, sapete tutti quanto sia sveglia Tess!» continuò il padrone di casa.
«Non discuterò questo punto» replicò Gibson, «ma dobbiamo considerare che era spaventata. Le persone, quando hanno paura, non ragionano, pensano solo a mettersi in salvo. Se davvero lei e Calvin sono le prossime vittime, l'unica cosa a cui pensano è salvarsi la pelle. Lasciare indizi a te, significa lasciare indizi a chiunque. Questo rompe la regola dell'auto preservazione.»
Harrison emise un verso di frustrazione.
«Se avesse voluto salvaguardare se stessa, Tess avrebbe chiesto di entrare nel programma testimoni o qualsiasi altra cosa che non preveda essere là fuori da sola con un uomo che non vede da dieci anni!» la sua voce si alzò più del previsto e risuonò nelle stanze.
Sadie fece saltare lo sguardo tra i due detective.
«Mi sembra di aver capito che, in ogni caso, sia necessario trovarli il prima possibile» commentò pratica la donna.
«E come? L'ultima pista che abbiamo è quel video, non è che verranno a bussarci alla porta...» la voce di Gibson fu interrotta dal suono squillante del campanello.
Nessuno fiatò e rimasero tutti immobili.
«Aspettavi qualcuno?» bisbigliò Sadie.
Harrison scosse il capo, ma posò la birra sul tavolino e raccolse la pistola di servizio dal mobile su cui l'aveva lasciata. Nascondendo l'arma dietro la schiena, si diresse silenziosamente verso l'ingresso.
Si chinò per guardare attraverso lo spioncino. Scorse sul vialetto due figure scure, ma la scarsa luce gli impedì di vedere i loro volti. Si maledì mentalmente per non aver ancora sostituito la lampadina esterna.
Strinse con più decisione la pistola mentre con l'altra mano apriva la porta. Sentendo il rumore delle chiavi che giravano nella toppa, le figure al di là dello spioncino si raddrizzarono.
Harrison aprì la porta quanto bastava per distinguere i volti dei due uomini.
Imprecò in mezzo ai denti quando riconobbe gli agenti Donovan e Carson. Si infilò la pistola nella cintura sulla schiena e aprì completamente la porta.
«Agenti» li salutò rigidamente. «Cosa ci fate a casa mia?»
Donovan sorrise leggermente, un sorriso di chi sta per svelare ad un ignorante la verità.
«In realtà ci hanno detto che questa era la residenza di Tess Graves, la donna scomparsa.»
Harrison accusò il colpo impassibile.
«Questa è casa mia» ribatté, senza mentire. «Con chi avete parlato?»
Donovan sbuffò: «Risparmiaci la farsa, Graham, sappiamo che la signorina Graves viveva qui. Insieme a te e alla tua adorabile figlia. Emilia, giusto?»
Harrison strinse i denti.
«Sto solo facendo il mio lavoro» replicò, senza cambiare espressione.
«Nascondendo informazioni fondamentali all'FBI?» Carson rise di lui, parlando per la prima volta.
«Sei stato stupido a pensare che non l'avremmo scoperto» rincarò la dose Donovan.
«Cosa volete fare? Arrestarmi?» sbottò l'uomo. Stava cercando di mantenersi calmo, ma sapeva perfettamente che non avrebbe funzionato. Sentiva il battito cardiaco rimbombare nelle sue orecchie e tutto il suo corpo teso, come pronto a scattare.
«No» rispose con semplicità Donovan, «ma verrai sollevato dall'incarico. La tua posizione è tale da compromettere il caso.»
«Permettetemi di dissentire» replicò prontamente Harrison. «La mia posizione è tale che nessuno si occuperebbe del caso meglio di come farei io. Voglio ritrovare Tess a tutti i costi.»
Donovan sbuffò una risata di scherno: «E quando l'avrai ritrovata, cosa farai? La porterai davanti al tribunale per fare in modo che ottenga la pena che si meriti? O l'aiuterai a fuggire?»
L'uomo scosse il capo e si voltò verso il collega: «Ma questi detective provinciali li scelgono privi di senso logico e rispetto?»
«Sarò anche personalmente coinvolto nella faccenda, ma non sono un idiota» sputò Harrison, «e sollevarmi dall'incarico non mi renderà meno desideroso di scoprire la verità. Se Tess è colpevole, è giusto che sconti le sue pene, come ogni altra persona. Ma se è innocente...»
«"Innocente" e "colpevole" sono separati da una linea sottile. La verità, detective Graham, è che il giudizio sta negli occhi di chi guarda. Chi è innocente per i tuoi occhi, è colpevole per i miei.»
Harrison strinse i pugni fino a farli tremare. Avrebbe voluto colpire quel viso insignificante da impiegato del mese di Donovan, ma sapeva perfettamente che non sarebbe servito a nulla.
«Ci avvereremo ancora dell'aiuto del detective Gibson e della vostra segretaria, ma solo per le informazioni di cui sono in possesso. Per il resto, sarete tutti e tre allontanati dall'indagine» spiegò Donovan, con il tono di un professore che istruisce gli allievi disubbidienti.
Per la prima volta, Harrison si trovò senza nulla da dire. Ormai non avrebbe più potuto far cambiare idea agli agenti e sentiva la rabbia che gli montava nel petto sempre più feroce.
Optò per sbottare un: «Figlio di puttana» e gli sbatté la porta in faccia.
 
«Chi era?» domandò Sadie, quando l'uomo tornò nel salotto.
«Donovan e Carson» replicò lui secco, «siamo tutti sollevati dall'incarico.»
Gibson sgranò gli occhi e strinse i pugni: «Che diavolo significa? Cos'hai fatto Graham?»
Harrison sollevò le mani: «Io non ho fatto nulla, anzi non ho detto nulla. Hanno scoperto di me e Tess e credono che io non possa lavorare lucidamente. E voi mi avete coperto.» Lanciò uno sguardo al collega: «Quindi hai ragione, è colpa mia.»
«Ormai è troppo tardi per rimpiangere qualsiasi cosa» tagliò corto Sadie, poi piantò i suoi occhi in quelli del padrone di casa: «Dicci quello che possiamo fare.»
«Perché lo stai chiedendo a me?»
Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo: «Non fare il modesto, Harri. Tu sai sempre cosa fare.»
L'uomo sospirò, pensando a come dirle che si sbagliava, che in quel momento, anche lui era completamente perduto. Poi incrociò lo sguardo impassibile di Gibson. Il detective non sembrava felice di dover aspettare la decisione del giovane collega, ma non fiatava e attendeva che fosse l'altro a parlare e a decidere.
«Va bene, ecco cosa faremo.»
 
 
 
Il rumore delle nocche che picchiavano contro il finestrino della sua auto, risvegliò Harrison. Il detective spalancò gli occhi, ma fu accecato dalla luce di una torcia.
«Esca dall'auto» intimò una voce maschile, all'esterno del veicolo.
Lui si riparò gli occhi con una mano, mentre cercava di ricordarsi dove si trovava e cosa stava facendo. Il collo gli doleva terribilmente, segno che si era addormentato in auto in una posizione scomoda. All'esterno, tutto era ancora buio, come se fosse piena notte.
«Signore, non lo ripeterò un'altra volta. Scenda dall'auto.»
La voce maschile non sembrava scherzare, così Harrison fece come gli era stato detto. Aprì la portiera e si alzò in piedi. 
L'uomo all'esterno non era altro che un vigilante notturno, a giudicare dall'uniforme. Dimostrava una cinquantina d'anni, portava dei folti baffi ingrigiti e i suoi occhi erano di un colore chiaro.
«Lo sai che non si può dormire in questa zona, vero?» gli disse, guardandolo in pieno volto
«Sì, scusi, mi sono addormentato involontariamente» replicò Harrison e si passò una mano sul volto stanco, come per sottolineare ciò che aveva appena detto.
Il sorvegliante guardò lui, poi l'auto, puntando la torcia all'interno, e infine fece un cenno di assenso: «Nessun problema, figliolo. Ma non puoi rimanere in questo parcheggio. Perché non vai a casa?»
Harrison annuì, lo ringraziò e salì in auto. 
Per evitare di essere ripreso ancora, mise in moto e s'infilò nella strada poco trafficata.
Non aveva mentito al sorvegliante, il suo pisolino non era previsto. Dopo che i due agenti federali avevano allontanato lui e i suoi colleghi dal caso, aveva deciso insieme a loro di trascorrere la notte controllando i luoghi in cui Tess e Calvin avrebbero potuto trovarsi, basandosi sull'apparente logica del loro percorso. Le possibilità erano innumerevoli, così si erano divisi la ricerca: Harrison da solo e Gibson in compagnia di Sadie. Dopo ore trascorse a controllare vecchi palazzi disabitati e periferie fatiscenti, ogni tentativi era stato invano. Harrison aveva deciso di fermarsi per schiarirsi le idee e trovare un metodo più efficace per trovare Tess in fretta. Il risultato era stato solo quello di addormentarsi in auto e di essere poi svegliato da un sorvegliante notturno.
Mentre guidava, si rese conto che non era più piena notte, come aveva creduto poco prima, ma i colori dell'alba stavano già schiarendo il cielo, preparando la salita del sole. Forse aveva dormito più di quanto si aspettasse.
Trovò un messaggio di Sadie sulla segreteria telefonica, che gli indicava un luogo in cui trovarsi per fare colazione e decidere come procedere dopo quegli insuccessi. 
Raggiunse il locale dopo circa mezz'ora, un diner poco appariscente già occupato dai primi avventori della giornata. Harrison parcheggiò l'auto ed entrò nella sala.
Gibson e Sadie avevano già preso posto ad un tavolo vicino alla vetrata che si affacciava sulla strada, ma lo avevano aspettato per ordinare.
Entrambi apparivano stanchi, a giudicare dalle palpebre calanti e dallo sguardo poco vivace.
«Guardatevi, sembrate una coppia di sposi che non è riuscita a chiudere occhi perché il figlio sta piangendo per i dentini nuovi» li prese in giro Harrison, sedendosi al loro tavolo.
«È ironico come invece l'unico che abbia mai provato una cosa del genere, sia stato tu» replicò Gibson, in tono più scorbutico di quanto volesse sembrare. Se i due non si piacevano normalmente, forse dopo una notte insonne era anche peggio.
«Non posso sopportare voi due senza una tazza di caffè» protestò Sadie e alzò un braccio per attirare l'attenzione della cameriera.
Dopo aver ordinato, si decisero a parlare.
«È stato totalmente inutile» disse Harrison, «non ho trovato neanche la minima traccia del loro passaggio.»
«Lo stesso per noi» replicò Gibson.
Per un istante la conversazione cadde. Mangiarono con poco appetito la colazione e bevvero con ben maggiore avidità il caffè. 
Harrison aprì la bocca per parlare, ma il suono di un cellulare che squillava lo interruppe.
«Scusate è il mio» disse Sadie. Prese il cellulare, guardò lo schermo con leggera sorpresa, poi rispose.
«Pronto?...Sì...Cosa?...Sei sicuro?...Va bene...Sì, andiamo subito....Grazie.»
La donna chiuse la chiamata e, quando sollevò lo sguardo, i suoi occhi brillarono.
«Era Napoleon» spiegò.
«Intendi l'uomo che Gibson invidia più al mondo?» commentò Harrison rivolgendo un'occhiata ammiccante al collega.
Quello grugnì: «Fottiti, Graham. Non sai di cosa stai parlando.»
Sadie alzò gli occhi al cielo, ma per la prima volta, la donna parve imbarazzata. Il sorrisetto sghembo di Harrison dimostrò che la cosa non gli era sfuggita.
«Quando la smetterete di litigare, vi interesserà sapere cosa mi ha detto» replicò la donna. «Perché forse li abbiamo trovati.»
Harrison e Gibson smisero di guardarsi in cagnesco e si voltarono stupiti verso di lei.
«Cosa vuoi dire?»
«Napoleon ha distribuito i volantini che gli ho dato e qualcuno ha detto di averli riconosciuti. È il custode di un capannone abbandonato, loro non lo hanno visto, ma lui sì. È abbastanza sicuro.»
«Quanto dista?» domandò Gibson.
«Me ne frego della distanza» ribatté Harrison alzandosi in piedi. «Io vado, fate come volete.» 
Detto questo, si avviò verso l'uscita del diner.
Sadie guardò Gibson e sbuffò: «Quanto ci impiegherà per capire che non gli ho ancora dato l'indirizzo?»
L'uomo rise: «È ancora un ragazzino impulsivo.»
I due si alzarono in piedi e seguirono Harrison, che li aspettava fuori dall'uscita, con aria impaziente.
«Forza, Tessie mi sta aspettando.»
   
 
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