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Autore: fdnattitude    12/08/2017    0 recensioni
Il problema è superare la fase di stallo che precede la scalata. Come si fa a trovare la forza di volontà? Come posso trovare la voglia di cercare queste forze? Reagire. Catturare gli impulsi che ogni tanto ti fanno scattare nella notte, le scosse di adrenalina, gli attacchi di panico, sfruttarli a proprio vantaggio. Farne il proprio punto di forza, ancora una volta, cominciare tutto d’accapo e accettare la mia fetta. Il processo è lento ma non c’è fretta: così come una fenice, che freme e arde, e dopo rinasce dalle sue ceneri.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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C’è sempre un po’ di difficoltà quando si vuole chiudere qualcosa. Ce n’è quando si vuole chiudere un portone di un certo spessore, ce n’è quando si vuole chiudere una discussione, ce n’è quando si vuole chiudere una sigaretta, figuriamoci se non ne troviamo quando si deve chiudere una relazione! Più o meno importante che sia, una relazione si basa su momenti, idee, passioni, pensieri, azioni condivise; in poche parole, le cose si fanno in due, in una relazione sana, ma si sa… c’è sempre la vittima, e di conseguenza c’è sempre il carnefice.
Il lavoro sporco, ovviamente, tocca al carnefice, che progetta bene e attende con ansia il momento della carneficina, in cui la vittima che ha ripiegato tutte le sue speranze in quel rapporto, sanguina dolorante, e perciò inizia a richiedere tutti i diritti che nella sua testa gli spettano. E si parla innanzitutto del diritto al dolore, dolore di cuore, dolore di occhi, dolore di testa, dolore di anima; in secundis, ma purtroppo allo stesso livello d’importanza del primo, il diritto al riconoscimento d’essere l’unica persona sulla terra a cui spetta di soffrire.
Quindi, per non passare a favore dell’ipocrisia, noi carnefici abbiamo da ammettere che la persona della coppia che ci soffre di più in queste situazioni è chiaramente il nostro, ormai ex, partner; tuttavia, non è poi una passeggiata per noi come potrebbe sembrare. Perché ci sono le domande da porsi, ci sono le circostanze, c’è sempre e comunque un sentimento che ci lega a quella persona… perciò, un momento prima della carneficina, entriamo nel panico e inizia a tremare la mano in cui stringiamo il pugnale.
In questi casi non esistono sfumature, o bianco o nero; o codardia o audacia.
Per i più codardi, il segreto è chiudere gli occhi. Basta semplicemente chiudere gli occhi e sferrare un colpo, anche a vuoto, se si è troppo codardi da guardare le situazioni in faccia.
Per i più audaci, o per coloro che si credono tali, non c’è il bisogno di chiudere gli occhi. Dopo i primi tentennamenti tutto viene da sé; sferra un colpo, poi un altro, poi un altro ancora, e infine gira e rigira lentamente la lama all’interno del corpo inerme. La lama più tagliente e dolorosa è quella che colpisce la mente e lo spirito. E una volta fatto fuori il problema ci si sente liberi; ma quali sensi di colpa? Mica ci chiamano apatici per niente!
Così la mia dimensione mentale partorisce questa discutibile quanto originale teoria per giustificare tutte le pene che ha dovuto passare il mio ex per colpa mia. Ma si sa, se una storia non ha possibilità, è meglio chiuderla prima che sia troppo tardi, e prima che ci sia il rischio che la vittima soffra il doppio.
Ma lasciando stare il passato e guardando al presente, mi presento: mi chiamo Anita, madrilena importata a Siviglia da due anni per lavoro. Da quando ho lasciato a malincuore la mia vita a Madrid, nella mia città natale, ho dato una svolta radicale a tutto il mondo che mi girava intorno, a partire dalla prima esperienza in un appartamento insieme ad altri coinquilini, per finire con il mio nuovo (o almeno, lo era) lavoro di fashon blogger per conto di una rivista locale.
Da quando conosco il genere maschile, e da quando ho iniziato ad approcciarmi con esso, il tutto è sempre stato accompagnato da qualche cambiamento: dopo la rottura col primo ragazzo a 15 anni, ho tagliato i capelli a caschetto; dopo la rottura con il mio primo ragazzo serio a 21 anni, ho lasciato la mia città e mi sono trasferita a Seviglia accettando un lavoretto che non mi piace e vivendo con gente che non mi piace; adesso, a 24 anni, ho lasciato di mia volontà il lavoro per cambiare di nuovo aria e trasferirmi a Marsiglia, in Francia. In una delle più grandi e belle metropoli francesi, ho per fortuna trovato un lavoro niente male come receptionist nella hall di un albergo in riva al mare che, grazie allo stipendio fornito, mi permetterà di affittare un piccolo appartamento tutto per me. Sono una persona con il costante bisogno di cambiare e conoscere ciò che mi circonda, perciò vedremo quanto durerà questa avventura!
 
 
Marsiglia, 20 marzo.
 
I raggi di sole entrano impertinenti dalle tendine chiare che coprono le finestre della mia stanza da letto, mentre mi rigiro sul mio letto matrimoniale avvolta dalle copertone in cerca del buio. Come ogni domenica mattina la sveglia non suona e ciò mi riempie il cuore di gioia solo al pensiero di non dover fare di fretta per andare al lavoro! Dopo essermi stiracchiata per bene e aver scansato quella palla di pelo del mio gatto nero, resto due minuti seduta al bordo del letto con lo sguardo nel vuoto, e finalmente mi decido ad alzarmi e strisciare verso la cucina seguita da Blanco, chiamato così per l’unica macchietta bianca che ha sul petto in mezzo a tanti peli neri.
Mentre preparo il caffè e qualcosa da mangiare, penso con concentrazione ai programmi della giornata, che appaiono in mente come se fossero tabulati di un computer:
 
ORE 15: Andare a prendere all’aeroporto Alma.
 
ORE 16.30: Manicure con Alma da Sophie, l’estetista.
 
ORE 19: Aperitivo per festeggiare il ritorno di Alma con Martine, Leonòre e il suo fidanzato Hugo.

 
Per adesso, è tutto quello che ricordo. Lancio uno sguardo all’orologio appeso alla parete sui colori del blu e del bianco: sono le 12 in punto. La giornata è ancora lunga.
Ne approfitto per bere il mio caffè e mangiare la mia brioche sulla scrivania della mia stanza, con i piedi poggiati sopra, insieme a Blanco mentre scorro tra le cartelle del mio computer in cerca di qualche prenotazione da bloccare. Nel tempo libero, affitto due camere di un appartamento nel centro di Marsiglia, poco distante da casa mia, in modo da rientrare perfettamente nelle spese della quotidianità e non pesare sulle spalle dei miei genitori. Niente da fare, oggi sembra che debba stare il più lontano possibile dal lavoro, e così sarà, non temete!
La pioggia batte forte sull’asfalto fuori dalla finestra e il freddo dentro la casa e dentro le ossa si fa sentire, tanto che non ho la minima voglia di andare a prendere Alma più tardi. Ecco, a proposito! Alma è la mia migliore amica. Ci siamo conosciute qui a Marsiglia a settembre, ma anche lei è spagnola come me, di Barcellona per la precisione. Io e lei formiamo un duo incredibile e scoppiettante: ovunque andiamo, è impossibile non notarci, che ormai ci siamo abituate anche noi. Non si tratta di strane manie di protagonismo, ma è senza dubbio il nostro sangue caldo meridionale che ci dà una sicurezza e vivacità che tutti questi francesi che ci circondano non hanno.
Alma ha la mia età, lunghi capelli biondi, frequenta l’Accademia delle Belle Arti e vive in un appartamento con altre ragazze vicino la spiaggia. Una di queste ragazze è Martine, più grande di noi di due anni, che lavora in una pasticceria in centro che gestisce lei in società con Leonòre, la sua migliore amica di una vita. Tutto ciò va a costituire un quartetto eterogeneo ma sicuramente molto piccante, ché nonostante le ultime due non siano così estroverse come me e Alma, riescono comunque a trovarsi a loro agio e sono di ottima compagnia.
Da quando mi sono trasferita a Marsiglia 5 mesi fa, Alma è diventata un punto di riferimento nella mia vita, senza dubbio la persona più buona che io abbia mai conosciuto.
Abbandono la tazza sporca di caffè nel lavello e abbandono i miei ricordi e pensieri, lasciando spazio a un bel libro dimenticato da qualche turista sul mio posto di lavoro e rubato, in attesa delle tre del pomeriggio.
 
 
Dopo essermi svegliata di soprassalto alle 14, senza neanche aver pranzato, metto addosso quanti più maglioni posso per coprirmi dal freddo e mi fiondo in macchina in viaggio verso l’aeroporto. Una volta salita sulla mia Mini Cooper blu, accendo i riscaldamenti e la radio e, senza perdere altro tempo, mi metto in viaggio verso la mia amica. Effettivamente, il libro che ho rubato con tanta gloria e adrenalina nella hall, non era poi così interessante, tanto che sono subito crollata. Scorro tra i canali della radio, senza trovare una canzone che mi piaccia, e inveendo contro i conduttori che stanno tutto il tempo a parlare e parlare ancora. Ho capito che oggi sarà una lunga giornata.
 
Una volta arrivata all’aeroporto, mi precipito di corso verso la sezione degli arrivi: sono giusto in anticipo di 10 minuti. La mia amica torna da Barcellona dopo una settimana di vacanza dalla sua famiglia, che per me è sembrata un secolo.
Bisogna fare in fretta: dentro l’aeroporto, proprio vicino la porta scorrevole degli arrivi, c’è un bar affollato come se fosse un mercato nei giorni pre-festivi. Scavalco senza esitare tutta la folla e ordino il mio bel caffè macchiato, spostando una ciocca di capelli castani dal viso, che intralciava la vista. Finalmente! È quasi sembrato un viaggio della speranza, e mentre prendo la tazzina bollente e la porto alle labbra, ricevo uno spintone alle spalle, e di conseguenza metà tazza di caffè cade sul mio maglione e l’altra metà sulla divisa del cameriere. Anita fai un bel respiro, non devi cedere, devi restare calma… a che cosa ti è servito il corso di yoga degli ultimi mesi?!
“Scommetto che hai intenzione di pagare sia il mio caffè ché il maglione che hai sporcato, no?” domando sarcasticamente, con tutta la rabbia che ho nel corpo, girandomi verso il ragazzo che ha causato questo casino. “Ah, e anche la divisa del cameriere”
Questo ragazzo, dapprima di spalle, si gira sorridendomi e parlandomi in un francese masticato, “Beh, posso offrirti tutti i caffè che vuoi! Magari anche oggi pomeriggio, che ne dici?”
I suoi amici dietro di lui sghignazzano, mentre io ribollisco. Faccio un bel respiro, e gli sorrido acidamente. “Meglio che ti togli dalla mia vista” infine sentenzio, e corro verso Alma che riconosco da lontano.
Questa giornata smetterà di darmi tormento?
 
“E quindi, Alma, come si chiama questa tua nuova fiamma?” chiede ammiccando Martine, tutte sedute al bistrot Granaire per l’aperitivo, sorseggiando uno spritz.
Alma sorride alquanto imbarazzata, quasi sembra una sedicenne! “Si chiama Rodrigo” inizia a raccontare, “L’ho conosciuto all’aeroporto di Barcellona, entrambi abbiamo preso lo stesso volo per arrivare qui. E niente, abbiamo iniziato a parlare, e io mi sono subito incantata… ma non credo che sia la stessa cosa per lui”
“Come fai a dirlo? Non lo puoi sapere!” la interrompo, dandole un minimo di speranza per quell’amore platonico durato 1 ora e 40 minuti.
“Beh… nemmeno mi ha chiesto il numero!” ammette infine, portandosi le mani sulla fronte e ridendo per l’imbarazzo. Tra di noi partono varie risatine e commenti.
“Magari non ci ha pensato, vedila così. E poi se è qui a Marsiglia, lo incontrerai prima o poi…” la incoraggia Hugo, il fidanzato di Leonòre.
Tra una disavventura e l’altra narrata dalla mia amica, l’ora dell’aperitivo si trasforma in mezzanotte e rientriamo tutti alle nostre case, in vista di una prossima giornata lavorativa, e non appena vedo il mio letto non posso fare altro che sospirare e crollare dopo una lunga giornata.

   
 
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