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Autore: Sospiri_amore    13/08/2017    0 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Doppia punizione




Mani sudate. 

Salivazione azzerata.

La divisa del Trinity mi pare troppo stretta.

Non respiro.

 

Il tavolo della cucina è l'anticamera del patibolo ed io ci sono seduta proprio davanti.

Papà mi guarda con insistenza, il suo silenzio è fastidioso. Preferirei vederlo urlare, invece se ne sta zitto. Ho l'ansia.

Victoria e Tess, gli assistenti di papà, sono appoggiati alla credenza della cucina e mi guardano atterriti. Il fatto che sia stata sgridata in classe e invitata a presentarmi dalla Preside Marquez, non è una bella cosa. Lo sanno loro, lo so io e lo sa papà.

 

«Se ho capito bene la spiegazione che mi hai appena dato, stamattina devo accompagnarti a scuola perché hai urlato in classe». Papà mi guarda come se cercasse di leggermi i pensieri.

Victor e Tess, alle sue spalle, annuiscono.

«Hmm, sì. Più o meno è andata così... Non proprio, però... Ecco...», rispondo io seguendo i gesti dei due.

Victor e Tess si danno una pacca sulla fronte. Forse dovevo stare zitta.

«In che senso più o meno è andata così?», mi chiede papà

«Nel senso che... Insomma... James mi ha provocata e quindi ho risposto a tono». Cerco di sembrare una vittima sbattendo le ciglia, ma non sembra funzionare un granché.

«James? Il coso con cui uscivi? Quello che amavi e che...».

Lo interrompo bruscamente: «Papà! Basta, capitolo chiuso. Archiviato. Ok? Non mi piace più, è finita con lui».

«Lo spero bene, per colpa di quel coso quest'estate sembravi uno zombie. Non credere che non l'abbia notato. Ho fatto finta di nulla perché ho pensato di doverti lasciare il tuo spazio», dice papà a pappagallo, come se ripetesse una lezioncina. Poi si gira e lancia un'occhiata a Tess che gli fa il segno di ok con le dita.

 

Ecco perché papà non mi ha assillata quest'estate. Tess l'ha tenuto a bada.

Devo ricordarmi di ringraziarla.

 

«Non ero uno zombie, ero, un po' triste. Ma non voglio parlarne adesso, non c'entra nulla. James mi ha provocata e gli ho risposto a tono». Incrocio le braccia al petto risoluta, del resto ho ragione al 100%.

«Cosa ti ha detto per provocarti? Se ti ha offesa devi dirlo alla preside, così prenderà provvedimenti», dice papà mentre prepara la borsa per uscire: «Non permetterei mai che qualcuno ti umiliasse o facesse del male. Certe cose vanno dette. Mai tacere su cose del genere».

 

Tess mi guarda, inclinando leggermente la testa, come per dire: cosa ti avevo detto?

So che si riferisce agli atti di bullismo di Rebecca nei miei confronti. Non ho raccontato nulla a mio padre e nemmeno alla preside. Non ho avuto il coraggio e non volevo creare troppo trambusto.

 

«James ha detto cose senza senso, solo per darmi fastidio. Piccolezze, nulla di che. Non è importante». Cerco di minimizzare, mica posso dire a papà che parlavamo dell'inesistente sesso che faccio con Jo o delle accuse di James, nei mie confronti, sulla morte di Demetra. Credo non capirebbe.

«Aspetta. Prima mi dici che la litigata è colpa di James, poi quando ti chiedo cosa ha detto cerchi di cambiare discorso?», mi dice papà alzando un sopracciglio. È chiaro come il sole che non mi crede affatto.

«Sono nei guai?». Incrocio le dita sperando che mi dica no.

«Grossissimi guai». Papà si alza, mette la borsa a tracolla ed esce dalla cucina. È furioso.

 

Mi sento così stupida, come ho fatto a cedere alle provocazioni di James? Adesso mi ritrovo in questa situazione assurda. L'idea che mi possano espellere non è certo una bella cosa, ma la cosa che mi fa arrabbiare di più è che non sarebbe giusto nei miei confronti. Non è colpa mia. Almeno non tutta.

 

«Sbrigati Elena, non ho tempo da perdere», mi urla papà dalla porta d'ingresso. Victor mi bacia sulla fronte consigliandomi di tenere la bocca chiusa dalla preside, mentre Tess mi abbraccia stretta.

Ho una paura tremenda.

Con la testa bassa esco di casa.

Vorrei sparire.

 

In macchina nessuno di noi due parla, il rombo del motore è l'unico rumore.

Il mio cuore batte sempre più forte, secondo dopo secondo. Gioco con il braccialetto che mi ha regalato Jo, passo i ciondoli argentati tra le dita. Il tintinnio mi distrae, mi porta a pensare come sarebbe la mia vita se Demetra fosse viva o se James non mi credesse colpevole della sua morte. Forse staremmo insieme, forse no. Forse mi amerebbe ancora, forse ci saremmo lasciati comunque. Ci sono così tante possibilità che per qualche minuto mi perdo ad immaginare una vita perfetta, senza guai, problemi, litigi e paure. Una vita con mia madre e con Demetra, amiche e confidenti; con Rebecca simpatica e dolce; con papà rilassato e sereno. 

E James? Che ruolo avrebbe? In una vita perfetta lui ci sarebbe?

 

Non faccio in tempo a rispondermi, la voce cupa di mio padre mi risveglia dai sogni: «Siamo arrivati, scendi».

Il grande edificio a mattoni è lì di fronte a me. Ho sperato che questa notte sparisse, esplodesse o evaporasse, ma non è successo proprio nulla. Il Trinity è immobile e solido come i giorni scorsi.

Il tragitto fino all'ingresso è una tortura. Gli sguardi degli studenti, il loro chiacchiericcio e le risatine, ci fanno compagnia per tutto il tempo. La notizia della litigata con James, durante biologia, deve aver fatto il giro del scuola in un nano secondo.

Papà mi appoggia un braccio sulle spalle, mi pare di intravedere un sorriso dietro la barba folta, ma magari sbaglio. Appoggio la testa al suo braccio cercando un po' di calore. 

Entriamo nell'edificio semi deserto, manca ancora mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni. Nel corridoio riecheggiano i nostri passi, quei pochi studenti ai loro armadietti ci guardano con curiosità.

 

Raggiungiamo l'ufficio della preside, James è appoggiato mollemente alla parete, appena ci vede scatta e allunga la mano: «Buongiorno Signor Voli. Mi dispiace rivederla in una situazione del genere».

Papà stringe la mano a James spiando ogni sua mossa. Lo squadra da capo a piedi, si avvicina e poi si allontana, come se volesse metterlo a fuoco. È un comportamento ridicolo.

 

Imbarazzo.

La mia faccia è rossa.

 

«Papà, smettila!», bisbiglio dandogli una gomitata.

«Non sto facendo nulla di male», mi risponde accigliato.

«Ma...». 

Non finisco la frase, una voce familiare mi zittisce.

«Cara ragazza, ti sembra il modo di parlare a tuo padre? I giovani d'oggi non hanno più rispetto. Spostati James, non vedo nulla», Geltrude McArthur allontana malamente il nipote facendolo barcollare.

Con la bocca spalancata osservo la vecchia donna stringere la mano a mio padre e salutarlo cordialmente.

 

Di male in peggio.

 

Guardo James con aria interrogativa.

«Mio padre è a Boston per lavoro», mi grugnisce prima di aprire la porta dell'ufficio della Preside.

La Marquez è seduta alla scrivania, sta leggendo dei documenti mentre prende degli appunti su un taccuino. Appena entriamo allunga il braccio e ci indica le quattro sedie posizionate proprio di fronte a lei. Il ticchettio dell'orologio appeso alla parete è l'unico suono che sento, a parte il battere accelerato del mio cuore.

 

«Benvenuta Signora McArthur e benvenuto Signor Voli. Il professor Tompson ha ritenuto opportuno che Elena e James venissero convocati qui, con voi, perché il loro atteggiamento in classe è stato a dir poco disdicevole». La Marquez si è alzata, ci guarda dall'alto al basso, con le mani dietro alla schiena: «Immaginate la scena. Sono sul palco a parlare perché mi hanno invitata a New York a presentare l'eccellenza del Trinity ad una platea stimata e importante. Sono lì che parlo di quanto la disciplina, l'ordine e il rispetto siano pilastri fondamentali nel nostro istituto, quando la mia segretaria mi avvisa che due miei studenti si sono messi ad urlare in classe come fossero al mercato».

 

Passo dal rosso fuoco al pallido cadaverico in meno di due secondi.

È un record.

 

«Al Trinity le cose funzionano perché il corpo docente vigilia costantemente. Una piccola infrazione come la vostra potrebbe portare caos e disordine. Io non tollero caos e disordine. Chiaro?». La donna ci guarda fissa, sembra una furia.

«Sissignora», rispondiamo in coro io e James.

«Non mi importa chi ha iniziato e perché. Non mi interessa affatto. La colpa non è mai di una persona sola, quindi entrambi sarete puniti. Credo che i vostri familiari converranno con me che un po' di volontariato sia la cosa migliore. A meno che non vogliate essere allontanati da qualsiasi Club a cui vi siete iscritti?». La Marquez ci guarda con un sorrisetto maligno stampato in faccia.

«No. Il volontariato andrà benissimo», rispondo mentre James annuisce.

 

L'idea di non poter frequentare le lezioni di Nik mi fa più paura di qualsiasi altra minaccia che la preside mi possa fare. 

 

«Bene vi farò sapere al più presto dove svolgerete il vostro volontariato. Adesso andate in classe, non voglio perdiate ore preziose di studio». Senza aggiungere altro, la preside ci liquida, poi stringe la mano a papà e a Geltrude.

 

Nel corridoio della scuola non c'è un'anima. La campanella non è suonata da molto, tutti gli studenti sono in classe.

«Che ne dice Signor Voli? Crede sia giusta la punizione che hanno dato a questi due ragazzi?». La vecchia si sistema la giacca.

«Dipende da cosa devono fare. Se si tratta di lavori forzati o scavi in miniera, credo potrei ritenermi soddisfatto».

«Papà!», lo riprendo subito, «Non fare così».

A James scappa una risata.

«Caro nipote, conosco la Marquez come le mie tasche. Ho insistito io, parecchi anni fa, perché diventasse lei la preside di questa scuola. Ha le carte in regola per il Trinity, sa far rispettare le regole, ma sa anche dare giusto peso alle cose».

«Vuol dire che farai annullare la mia punizione?». James mi guarda raggiante, con una certa aria di superiorità. 

«Assolutamente no, caro ragazzo. Anzi, credo che sia il caso che tu ed Elena faceste altro per cercare di rimediare. Non si tratta della litigata in se, a tutti può capitare, ma il fatto che sia capitata a voi. Nella vita dovrete convivere con persone che amate, ma anche con gente che detestate. Se adesso, che siete due ragazzini, reagite così, cosa vi succederà da adulti? E se doveste avere responsabilità importanti come una famiglia? Collaborazione e cooperazione. Ho in mente un lavoro extra che vi permetterà di trovare equilibrio nel fastidio di stare insieme». Geltrude è irremovibile, anche volendo non potrei contraddirla.

«La cosa mi interessa. Cosa aveva in mente?». Con le braccia incrociate, un sorriso soddisfatto, papà ascolta la vecchia.

«Ho una stanza da sistemare. È piena di scatoloni e cose vecchie. Dovrete svuotarla, pulirla e catalogare tutti i pezzi», dice la Signora McArthur prendendo a braccetto mio padre e incamminandosi verso l'uscita.

«Io non ho intenzione di lavorare con James», dico d'istinto.

«Neanche io», risponde James.

«Chi ha detto che dobbiate lavorare insieme? Farete i turni. Un giorno James e un giorno Elena. Lavorerete separati», dice Geltrude.

«Ma... Ma perché?», chiedo.

«Lo capirai presto, cara ragazza», dice papà sghignazzando.

 

Non mi è ben chiaro cosa abbiano in mente quei due, sta di fatto che per aver discusso con James mi sono beccata due punizioni, una peggio dell'altra.

Speriamo solo che non capiti qualcos'altro, non ne posso più di colpi di scena e imprevisti.

   
 
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