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Autore: BabaYagaIsBack    13/08/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo Ottavo - Parte Terza

Fuga

 

You're 11 minutes away and I have missed you all day
So why aren't you here?
Why aren't you here?
Why aren't you here?

- 11 Minutes (Halsey feat. Yungblud)

 

Un piede davanti all'altro, i tre si ritrovarono ad avanzare - e a tratti arrancare - sulle tegole malferme di una città tanto gremita da farli passare inosservati. 
Grazie al cielo, gli occhi dei turisti si soffermavano sulle vetrine colorate delle botteghe, i canali su cui le gondole galleggiavano abbandonate, gli scorci più caratteristici di Venezia lasciando modo a i tre fratelli di muoversi velocemente, anche se le continue interruzioni e i cambi obbligati di direzione parevano complottare contro di loro al posto di quegli umani. Più volte infatti, si ritrovarono ad arrestare la corsa a pochi centimetri dal vuoto, arrivando ansimanti a un passo dalle tettoie arrugginite che non avrebbero retto il loro peso - ed era in quei momenti che, con il cuore in gola, Zenas si concedeva il lusso di osservare giù, in mezzo alla folla. Il suo sguardo vagava frenetico sui passanti sotto di loro, saltando da una testa a quella successiva alla disperata, ma non eccitante ricerca di qualche viso minaccioso. 

Più scrutava quegli sconosciuti però, più si rese conto che la sua mente si stava piegando al terribile gioco della paranoia; già, perché persino negli occhi dei bambini che si soffermavano a fissare il cielo e i gabbiani gli pareva di scorgere la perversione degli adepti del Cultus.

Così, di fronte all'ennesimo salto troppo lungo per essere compiuto, si ritrovò amaramente a pensare di essere infine giunti al momento di cambiare strategia - perché andare di tetto in tetto, rischiando tuffi di decine di metri o scivoloni rovinosi, non sembrava più essere la soluzione pratica che era stata all'inizio.

Aprendo le braccia in modo da bloccare le Chimere con lui, Akràv si concesse il lusso di un sospiro, poi, quando fu certo che i due alle sue spalle fossero abbastanza vicini da udirlo nonostante il fiato corto, disse: «Separiamoci.» 
Il suo commento fu un colpo di scena che, dovette notare, lasciò i fratelli più interdetti di quanto si sarebbe immaginato, visto il silenzio che ne seguì - eppure, ne era certo, non doveva essere il solo ad averci pensato.
Dopotutto, in una situazione del genere, quella era sì, la soluzione più pericolosa, ma al contempo anche la più logica. Certo, dopo tanti anni di separazione persino qualche ora avrebbe potuto spaventare, però di quel passo non avrebbero concluso nulla di buono - inoltre, gli alchimisti che avevano alle calcagna avrebbero potuto sfruttare le loro difficoltà del momento per bloccargli la fuga; e a quel punto non avrebbero avuto modo di scappare e raggiungere il Re.

Oltre a ciò, c'era da dire che dividendosi avrebbero potuto rimettere piede a terra, camuffarsi da tra i turisti e farsi strada fino a un posto nettamente più sicuro di quei tetti, mentre muovendosi a quel modo non avrebbero fatto altro che continuare a rischiare di essere visti. 
Insieme non erano altro che un bersaglio facile, ma da soli potevano diventare un'effimera visione.

Con la coda dell'occhio, Zenas vide Levi passarsi una mano tra i capelli e alzare il viso verso il cielo: «Articola il piano.»
«Muovendoci a questo modo siamo esposti a troppi rischi, quindi credo sia meglio separarci, depistare maggiormente quei fanatici e ritrovarci tra un paio d'ore.»
«Dove?» chiese il Generale, forse conscio quanto lui di non poter continuare a correre su tegole sempre meno sicure.
«E poi?» domandò invece Alexandria, che dal tono scocciato era ovvio che fosse meno propensa dei fratelli ad allontanarsi.

Il Greco spostò lo sguardo su di lei, voltandosi appena. Il modo in cui teneva le braccia strette al petto e lo sguardo fisso su di lui era tanto loquace da permettergli di immaginare ogni singolo pensiero le stesse passando per la mente in quell'istante. Sua sorella era palesemente preoccupata. Sicuramente temeva di scendere in mezzo alla folla e ritrovarsi braccata, un animale in trappola. Si doveva già immaginare galvanizzata, rinchiusa, trasformata in una cavia o, addirittura, ammazzata - e come biasimarla? Anche lui provava le stesse sensazioni; anche lui sentiva il cuore bloccato in gola alla sola idea di dover abbandonare ogni speranza proprio ora che ne aveva scorte di nuove - però, nel circolo vizioso in cui si erano ritrovati incastrati, non avevano molte alternative.

 «Ci ritroviamo a Campo Nazario Sauro, vicino alla stazione. Prima di raggiungervi mi fermerò ad acquistare i biglietti per Milano, in modo da non dover restare fermi per troppo tempo in attesa del treno, poi una volta là partiremo per Vienna.»

«E' rischioso» puntualizzò lei: «potrebbero non esserci corse per l'Austria, in giornata, oppure gli alchimisti potrebbero precederci e...»
Nell'arrancare di Alex, Levi s'intromise.
«Hai altre proposte?» I loro visi si voltarono quasi all'unisono, prendendo a scrutarsi - e, per un attimo, Zenas temette che fossero sul punto di mettersi a bisticciare.

La ragazza rimase zitta per qualche istante, forse cercando di sostenere uno sguardo che, celato dietro alle lenti scure, doveva essere puntato proprio nel suo, poi, con una scrollata del capo, sembrò arrendersi. La sua ostinazione, fu facile capirlo, non era frutto della poca fiducia nel piano, ma piuttosto della paura di non ricongiungersi più.
«No, ma...»
Nakhaš le si fece vicino. Giusto un paio di passi, notò il Greco, quasi desiderasse sfiorarla ma ne temesse le conseguenze: «Dobbiamo andare da Lui, Z'év. Il più in fretta possibile e a qualunque costo. Abbiamo già perso troppo tempo» aggiunse poi, esortandola - e Akràv non poté che annuire. Levi aveva perfettamente ragione: se volevano incontrare Salomone dovevano sbrigarsi - perché esitare li avrebbe potuti condannare, vista anche la ricomparsa del Cultus nelle loro vite. 

Alexandria spostò lo sguardo su di lui, lo scrutò a tal punto che pensò stesse cercando di leggergli la mente; infine, stringendosi nelle spalle si lasciò sfuggire un sospiro.

«Okay».

 

Il tramonto arrivò presto, forse più di quanto si sarebbe aspettato. Ne scorse i raggi rossastri sulle facciate degli edifici più alti, sui tetti che fino a poco prima lo avevano aiutato a fuggire da casa propria e, con una morsa allo stomaco, Zenas decise che fosse giunto il momento di raggiungere Campo Nazario Sauro.

Stringendo le dita sui biglietti che teneva nascosti nella tasca di una giacca rubata, dove ringraziò di aver trovato anche qualche spiccio, lanciò un paio di occhiatacce intorno a sé. I turisti animavano ancora gran parte della città, muovendosi a fiumana lungo le calle principali - solo quelle più strette e tortuose venivano lasciate vuote e, seppur sapesse di star per compiere una sciocchezza, lui vi si infilò dentro.

A passo spedito, e andando a sbattere di tanto in tanto contro i muri, a tratti troppo ravvicinati per il passaggio delle sue spalle larghe, Akràv si fece strada nel dedalo di viuzze che rendevano Venezia così simile a un labirinto, riuscendo però a orientarsi a sufficienza da esitare solo un paio di volte. 
Mancava poco al loro incontro e perdersi era tutt'altro che gradito - anche perché, fare ritardo o restare bloccati per più di qualche manciata di minuti, non era un'alternativa ammissibile: in primo luogo non avevano un posto in cui rifugiarsi lì in città, secondariamente dovevano stare attenti a qualsiasi movimento sia fisico sia bancario, se non volevano farsi scoprire o rimanere senza soldi - e affittare stanze, così come acquistare altri biglietti, poteva risultare castrante per il loro scopo; anche perché, per quanto ne sapeva, Alexandria era l'unica ad avere ancora con sé il proprio portafogli e, a meno che in quegli ultimi decenni non fosse diventata ricca, dubitava potesse sostenere le spese di tre persone da lì fino a Vienna per più di qualche giorno.

Arrivato in prossimità dell'ultima traversa prima della piccola piazzetta, Zenas rallentò il passo fino a fermarsi e, acquattandosi contro una parete, provò a sbirciare in direzione della marmaglia di passaggio.
I turisti erano ovunque, e così come avrebbero schermato lui da possibili occhi indiscreti, lo avrebbero fatto anche con i suoi fratelli - un dettaglio su cui, nel momento in cui aveva proposto quel luogo, non aveva riflettuto. Già, perché se Levi poteva in qualche modo distinguersi per aspetto, la sua capacità di mimetizzazione lo rendeva comunque invisibile, giocando a suo favore in situazioni come quella, mentre di Z'év, purtroppo, non si poteva dire altrettanto. Il suo metro e sessantacinque era un problema tanto per lui quanto per lei, perché impediva a entrambi di avere una visuale sufficiente da individuarsi.
Così, imprecando, l'uomo non poté far altro che abbandonare il proprio nascondiglio e avanzare tra i presenti - il tutto scongiurando una possibile cattura.

Mani in tasca e sguardo furtivo, lasciò che le infradito scandissero i suoi passi. 
Falcata dopo falcata si mise a scrutare con sempre maggior attenzione i presenti alla ricerca di visi familiari. Eppure, più gironzolava come un cane randagio in mezzo ai visitatori, più gli sembrò impossibile scovarli - e per un attimo, uno soltanto, gli sembrò di essere ritornato a Cipro, quando per i mercati del pesce rincorreva una persona che, ormai, non c'era più da molto tempo.
Zenas aveva infatti scelto di vivere a Venezia perché, in piccola parte, gli ricordava casa, un luogo in cui volontariamente aveva deciso di non tornare mai più. Allo stesso modo però, la nostalgia e l'amarezza che aveva conservato nei secoli lo avevano spinto a trovare un posto che potesse, di tanto in tanto prima della morte, fargli riaffiorare i ricordi di quel periodo.

Suo figlio avrebbe amato quell'angolo di mondo, pensò. Peccato però che Niketas fosse svanito da secoli e lui, in quel momento, avesse ben altro a cui badare: trovare Alexandria e Levi in primis.

Arrivato all'altro capo della piazzetta si volse verso il punto da cui era partito. Non li aveva visti. Nessuno gli era apparso familiare o lo aveva riconosciuto;  era quindi possibile che non fossero ancora lì?
Sfilando un braccio dalla tasca, alzò il polso quel tanto da rivelare l'ennesimo bottino dei furti che aveva compiuto nel raggiungere la stazione. Il quadrante dell'orologio segnava già cinque minuti di ritardo e la cosa non gli piacque affatto.

Dove diamine erano finiti i suoi fratelli?

Si morse la lingua, tornando a fissare di fronte a sé. 
Soggetti di ogni tipo si muovevano scoordinatamente avanti e indietro per il rettangolo di pietra che era Campo Nazario Sauro, eppure nessuna chioma od occhiale da sole catturò la sua attenzione. Più volte confuse i capelli grigiastri di alcune signorotte con quelli di Z'èv, così come ogni bel ragazzo dal fisico slanciato e un look insolito gli fece credere si trattasse di Nakhaš - peccato che non fossero mai loro.

Che si fossero persi? Dopotutto non si potevano certo dire esperti quanto lui di quelle calle e, visto il numero di turisti presenti, confondersi poteva essere una conseguenza pressoché naturale.

Nuovamente abbassò lo sguardo sull'orologio.
Quasi dieci minuti.

Di quel passo avrebbe dovuto partire da solo - sempre se avesse scelto di farlo, visto che in fin dei conti lui non aveva nulla da perdere e poco da guadagnare con quel viaggio; era solo per loro, per i suoi fratelli che, alla fine, si era deciso a intraprendere un'ultima avventura. In assenza di quei due però, non aveva alcuna ragione per inseguire un fantasma.
Anche se si trattava del Re. Di Salomone. Dell'uomo a cui aveva giurato eterna fedeltà.

Improvvisamente qualcosa lo strappò via da quei pensieri.
Una forte pressione gli strinse il braccio, poi il calore di un corpo fece capolino da oltre i vestiti. C'era qualcuno accanto a lui e quella consapevolezza gli fece schizzare il cuore in gola.

Sono fottuto, si disse, ma subito dopo una voce si fece strada verso di lui, rassicurandolo.

 «Amore, scusa il ritardo! Trovare un bagno è impresa impossibile» sbuffò Alexandria abbastanza forte da farsi riconoscere. 

Grazie al cielo.

Zenas volse il capo nella sua direzione e, trovandola sorridente accanto a sé, non poté impedirsi di ricambiare: «Sì, immaginavo, anche se a un certo punto ho pensato ti avessero rapita» confessò volontariamente in quel fittizio scambio di battute.
Apparire umani, normali: questa era stata la prima regola che Salomone gli aveva chiesto di seguire - e loro lo avevano fatto, tanto da diventare un gesto istintivo anche quando non vi era necessità.

Z'év si protese un poco col busto, cercando all'altro fianco del fratello qualcosa, o meglio qualcuno, che per lui non fu difficile immaginare. Ma Nakhaš non era lì e la preoccupazione sul viso di lei fu più chiara di molte parole, esattamente come la forza con cui aumentò la stretta su di lui, quasi a cercare sostegno.
Chinandosi, quasi a volerle dare un bacio sulla fronte, sussurrò un: «Arriverà» di cui però non fu certo nemmeno lui, poi poggiò le labbra tra i capelli di lei e si rimise dritto. Alexandria ad ogni modo non gli diede nemmeno il tempo di rimettersi a osservare la folla, alzò lo sguardo e il rosso cupo delle sue iridi sembrò diventare ancora più scuro, denso come il sangue rappreso: «Non puoi dirlo. E io non posso accettare una bugia, nemmeno se sei tu a pronunciarla.»

 «Mi fido di lui, akhòt, è diverso.»
 «Ma non ha alcun controllo sul Fato, è questo il problema.»
Fu lieve, ma in quelle parole Zenas udì l'incrinatura della sua voce, quel tremolio fastidioso che stava cercando di nascondere - e non la biasimò. Così la tirò un po' più vicino, finendo con l'intrecciare le dita alle sue.

Dove diamine era finito?

L'uomo si morse il labbro:  «Possiamo aspettarlo» sussurrò, ma sapeva bene che il tempo a disposizione stava diminuendo e, arrivati a un certo punto, se ne sarebbero dovuti andare con o senza Levi: «Abbiamo ancora un po' di margine.»
Z'év gli si aggrappò alla giacca senza proferire parola. Le reazioni del suo corpo, quei gesti, facevano bene intendere quanto fosse impegnata a cercare il fratello tra i passanti, forse persino pregare quel Dio che avevano ripudiato in modo che esaudisse il suo desiderio, chissà.
Così attesero l'uno accanto all'altra in un silenzio carico di tensione. Lo fecero per uno, due, cinque, dieci minuti, ma del Generale d'Israele nemmeno l'ombra - e ormai non potevano più concedersi il lusso di restar lì.

Akràv strinse la presa sulla mano di lei, scuotendola appena. 
«Dobbiamo andare» sibilò poi con una freddezza che gli parve estranea, troppo dura per il cuore palpitante della sorella.

E la vide, seppur con la coda dell'occhio. Nell'espressione della Contessina Varàdi si andò a formare una crepa, una smorfia tutt'altro che piacevole e che lo fece sentire colpevole - perché nonostante non fosse lui la causa del ritardo di Nakhaš, era per sua decisione che lo stavano lasciando indietro.

Mosse un passo, sentendo resistenza. Alexandria era ancora attaccata alla sua mano e alla giacca che aveva indosso, ma faticava a seguirlo - lì, a una falcata di distanza, la sua esitazione era evidente.

«Non possiamo restare, Z'év. Hevé lĕ־şá̌m ẖykh, capisci?» 
Con dolcezza si portò la mano di lei al petto, sul cuore, in modo che potesse sentirlo battere tanto quanto il suo.
Vi fu ancora un altro istante di esitazione, un lunghissimo frangente in cui la vide combattere contro se stessa, poi cedere, e infine incamminarsi.



Hevé lĕ־şá̌m ẖykh: Lui ci aspetta

 

   
 
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