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Autore: eian    13/08/2017    2 recensioni
Un virus che colpisce i telepati, mortale per i vulcaniani, si sta diffondendo sul pianeta Cetacea e rischia di propagarsi per l'intero quadrante, con effetti devastanti. L'Enterprise del capitano Kirk deve indagare sulla possibile origine sintetica del virus e il suo legame con una sperduta località su Vulcano.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo capitolo, grandi sorprese? Boh, speriamo, non ho idea di cosa ne pensiate da secoli...

"La vulcaniana si volse verso la figura ammantata nella tunica nera e argento e la osservò: era ancora un bell’uomo, era sempre stato una figura carismatica e conservava intatto il suo fascino..."

Solitudine

Spock di Vulcano era perso nel suo inferno personale.
La sofferenza, la pazzia, il flusso costante di emozioni che lo aggredivano era tremendo, ma nulla al confronto di quella singola sensazione che lo annientava.
Era solo.
Una solitudine devastante, un’agonia senza fine che aveva scelto volontariamente per proteggere il suo compagno da se stesso.
Sapeva che nella condizione in cui era, senza logica a controllarlo e sotto l’effetto del virus non solo avrebbe contagiato Jim, ma probabilmente lo avrebbe ucciso; era così che i Compagni si univano nella notte dei tempi, con feroce passione fisica e mentale e l’umano era troppo fragile da ogni punto di vista per quello che il suo istinto atavico di vulcaniano lo spingeva a fare.
Era perso in un oblio di solitudine senza fine, un inferno dove Jim non c’era e nulla aveva più un senso.
 
Qualcuno lo stava come trascinando.
Sentiva di scorrere sul terreno con un fruscio costante, la sabbia trasportata dalla tempesta gli graffiava la faccia.
Provò ad aprire gli occhi per un istante.
Tunica. Una tunica chiara gli svolazzava davanti agli occhi, ma non riuscì a vedere nient’altro. Forse era solo un’altra allucinazione.
Richiuse gli occhi, sprofondando nuovamente nell’incoscienza.
 
Quando la donna aveva sentito suonare il gong che annunciava un visitatore all’ingresso del tempio aveva immediatamente capito che sarebbe stata un’emergenza: nessuno affrontava la Forgia durante una tempesta come quella se non in casi estremi.
Si era affrettata all’ingresso, dove due monache stavano sostenendo un andoriano sbiancato dal sole e disidratato quasi a morte che mormorava qualcosa con estrema urgenza.
- Shrak – lo chiamò – Hai avuto successo? -L’andoriano aveva alzato gli occhi dalla tazza di pietra da cui stava bevendo avidamente dell’acqua e aveva fissato quella figura ossuta e anziana, ma dagli occhi imperiosi come sempre.
Le aveva allungato il tricorder e la memoria dati che aveva sottratto all’umano.
- Ecco quello che avevi richiesto. Mi dispiace per Tepam – Lei annuì, sfilando dalla tasca della tunica un oggetto che si era fermata a prendere dal suo alloggio, immaginando chi sarebbe stato il loro visitatore.
- La tua ricompensa – disse, porgendo la scatola all’andoriano.Lui la prese e la rigirò per un attimo nelle mani, prima di riporla in una tasca interna.
- Salverete gli altri nel canyon? – chiese rialzando lo sguardo sulla donna.La vulcaniana annuì.
- Stanno già andando a recuperarli –
- Grazie… Comandante – Un guizzo di qualcosa… divertimento?  Attraversò quegli occhi antichi come la pietra circostante.
- Nessuno mi chiama più così da almeno un secolo – rispose lei.Shrak fu quasi certo di vedere l’ombra di un sorriso sul quel volto imperscrutabile.
 
Ammantata nella tunica tradizionale color porpora aspettava sul muro più alto del monastero il ritorno dei sei monaci che si erano inoltrati nel canyon dei cristalli qualche ora prima
Il vento continuava a soffiare ma lei vi era abituata, erano quasi trent’anni ormai che viveva nel monastero per custodire il katra di Surak che il suo capitano e sua madre vi avevano ritrovato quasi un secolo addietro ed il vento, la sabbia ed il calore erano diventati parte integrante delle sua esistenza.
Dalla coltre di sabbia vide apparire le figure dei monaci che a coppie trascinavano le slitte di stuoia con sopra dei corpi.
Discese la scala intagliata nella parete di roccia e si diresse all’ingresso, dove la  sacerdotessa era già pronta a riceverli.
Durante l’attesa aveva letto tutte le informazioni che Shrak le aveva fornito e discusso i dettagli con la Curatrice, che aveva sbuffato disgustata.
- Ecco a cosa ci porta tutta quella logica… non sappiamo più far fronte alle emozioni! Basta un’influenza e moriamo per lo shock emotivo… -Aveva alzato un sopracciglio a quella interpretazione dei fatti.
- Paragonare questo virus ad un’influenza è assolutamente riduttivo e privo…- aveva cercato di obiettare, ormai abituata ai modi dell’amica.
- Hai visto lo schema? – l’aveva interrotta la Curatrice – è assolutamente banale… nei vulcaniani quell’interferenza con le onde theta può essere bloccata con una semplice manovra di Tamir. Si mette il soggetto in uno stato precognitivo di livello due, poi con un’emissione in controfase si stabilizza la struttura katrica… ma ovviamente nessuno studia più questo tipo di cose, perchè dovrebbero? I vulcaniani non hanno emozioni...-La curatrice aveva continuato a snocciolare la procedura che avrebbe adottato, ma lei non era stata in grado di seguirla nei dettagli più tecnici.
Fortunatamente in quel monastero erano tutti esperti telepati e grazie alle indicazioni della Curatrice sarebbero stati in grado di non restare contagiati.
Furono interrotte dall’arrivo dei monaci e del loro prezioso carico di vite da salvare.
Shrak aveva detto che provenivano da una nave della federazione che l’aveva inseguito fin là da Cetacea.
L’ Enterprise.
Era stato uno shock sentire nuovamente quel nome.
Aveva immediatamente capito chi fosse il vulcaniano e l’umano, ma la donna risiana non le era familiare... finchè un monaco non l’aveva sollevata tra le braccia per trasportarla all’interno e i capelli candidi avevano lasciato intravvedere un’orecchia decisamente vulcaniana.
Aveva inarcato un sopracciglio per la sorpresa, mentre un’intuizione si faceva largo nella sua mente.
 
La curatrice si era immediatamente dedicata ai malati per lunghe ore, cominciando da Spock, che aveva intuito essere colui che aveva subito più danni di tutti.
Non appena la tempesta ionica si era placata erano stati contattati dall’Enterprise, rimasta in fervida attesa di notizie dei suoi uomini per tutto quel tempo.
Aveva ricevuto la chiamata nella sua stanza, dove si era fatta installare un video comunicatore anni prima, quando era arrivata al monastero.
Quando sullo schermo era apparsa l’immagine della plancia dell’Enterprise e il comandante Sulu si era rivolto a lei con aria reverenziale chiamandola “subcomandante T’Pol” era stato come fare un tuffo nel passato.
Per un istante aveva rivisto la plancia della sua Enterprise, i suoi compagni alle loro postazioni... Sato, Mayweather, Malcom... E Trip, ovviamente, col suo sorriso impertinente, così biondo e … vivo.
Ovviamente non c’erano il capitano Archer e lei stessa, scesi sul pianeta nello stesso punto dove si trovava lei adesso, esattamente come il capitano Kirk e il primo ufficiale Spock...
 “I vecchi sono nostalgici”  giustificò con se stessa la propria perdita di controllo.
Le costò uno sforzo enorme ritornare al presente e cominciare la lunga conversazione chiarificatrice al momento necessaria.
Una volta chiusa la comunicazione aveva dovuto chiamare altre persone, in particolare due di queste erano state particolarmente difficile da reperire.
Da un giorno all’altro il monastero si era ritrovato immerso in un traffico di gente come probabilmente non avveniva dall’epoca del ritrovamento del katra di Surak.
I monaci non erano abituati a tutto quel movimento di umani e apparivano frastornati, ma T’Pol fu certa che dal momento che studiavano le discipline tradizionali, una certa dose di emotività umana sarebbe stata educativa.
 
Non appena la dottoressa Chapel aveva saputo che sul pianeta erano in grado di fermare il virus aveva sedato, impacchettato e teletrasportato il dottor McCoy sul pianeta.
Dopodichè aveva visionato le informazioni che le aveva spedito T’Pol ed aveva avuto una lunga conversazione con la guaritrice, assimilando quali procedure si dovessero seguire per bloccare l’effetto del prione.
Ovviamente, non si poteva immaginare di ripetere il procedimento applicato dalla guaritrice all’intero pianeta di Cetacea – un miscuglio di erbe, preghiere e complicate manovre mentali all’interno di una fusione mentale profonda – ma si poteva replicare utilizzando procedure più scientifiche.
Nel giro di pochi giorni, grazie alla incredibile competenza della dottoressa Almira Phlox, avevano messo a punto una procedura sperimentale: il paziente veniva messo in coma farmacologico del per fermare il propagarsi del prione attraverso ulteriori stimoli emotivi, che purtroppo erano presenti anche durante il sonno, ragione per cui la drastica soluzione del coma; una volta reso “dormiente” il prione, il paziente veniva bombardato con radiazioni a bassa intensità appositamente calibrate per annullare il microcampo magnetico del prione stesso.
La cura stava risultando efficace sul pianeta Cetacea, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti quanti.
 
Il dottor McCoy era stato curato da quella che chiamava “lo stregone del villaggio”.
Come un vero stregone, la vulcaniana aveva iniziato bruciando delle erbe nella cella dove si trovavano, procurando un fumo denso e irritante, poi lo aveva costretto con quello sguardo davvero temibile a bere da una tazza di pietra un intruglio scuro e amarissimo, che gli aveva fatto sentire la testa leggera e stampato un imbarazzante sorriso ebete sulla faccia.
Una volta reso più remissivo – domato, era la parola che aveva usato l’anziana sbuffando – lo stregone aveva effettuato qualcosa alla sua mente, che ovviamente lui non aveva capito affatto ma che lo aveva fatto sentire esausto come avesse corso per giorni senza sosta.
Non riusciva ancora a credere di averglielo lasciato fare… e ancor più che avesse funzionato perfettamente.
Si era risvegliato due giorni più tardi, con una leggera emicrania ma finalmente lucido pronto a preoccuparsi per i suoi amici.

Il visitatore entrò nella cappella scavata nella roccia dove T’Pol stava sistemando alcune antiche lampade.
La vulcaniana si volse verso la figura ammantata nella tunica nera e argento e la osservò: era ancora un bell’uomo, era sempre stato una figura carismatica e conservava intatto il suo fascino.
- Lunga vita e prosperità T’Pol – salutò lui con le dita allargate.
- Lunga vita e prosperità, ambasciatore Sarek. Sei arrivato… finalmente –Il tono era apparentemente neutro ma lui colse il rimprovero nella voce.
- Ero impegnato in un difficile trattato di vitale importanza – rispose, leggermente sulla difensiva.Quella donna era ancora capace di intimidirlo. Illogico, si disse.
- Vitale importanza… capisco –T’Pol si volse nuovamente verso la lampada a olio, sistemandone lo stoppino con precisione.
- Ho saputo di Amanda. Ti rinnovo personalmente le mie condoglianze -La moglie di Sarek era deceduta circa un anno addietro.
- Grazie. Ho ricevuto la tua premurosa lettera –
- Una persona speciale. Una dolorosa perdita – continuò lei, continuando a dedicarsi alla lampada.
- Non posso che concordare – rispose lui quietamente.
- Una Umana… una scelta difficile la tua, Sarek… Gli umani sono fragili – Lui annuì in silenzio, perplesso.
- Fragili e illogici – continuò T’Pol, spostandosi verso un’altra lanterna –eppure hanno qualcosa che affascina noi vulcaniani… ci affascina e ci irrita al contempo. Invidia da parte nostra, immagino… invidia che logicamente non dovremmo provare – la lanterna sfrigolò – immagino che la Famiglia ti abbia sorretto quando il Legame si è spezzato -
- Si sono uniti in una fusione per aiutarmi a superare la perdita – convenne l’ambasciatore, cominciando a capire dove T’Pol lo stava conducendo con quel discorso.
- Nonostante fosse un’ Umana… – mormorò lei pensierosa.Si voltò versò di lui, gli occhi penetranti che scrutavano direttamente la sua anima. Indossava un antico IDIC, notò. Non era una caso, dedusse.
Infinite Diversità in Infinite Combinazioni.
- Tuo figlio Spock. Ha perso il suo Compagno. Un compagno umano, come sua madre. Il Legame è spezzato –
- Ha scelto lui di farlo – rispose con una certa durezza sfuggita al controllo.
- Per proteggerlo – precisò lei.
- Per proteggerlo dalle sue emozioni – per essere un vulcaniano, stava quasi urlando.Lei lo fissò in silenzio, lasciandolo letteralmente a cuocere nel senso di colpa che solo lei riusciva ancora ad instillargli dentro. Come al suo primo incarico presso l’ambasciata vulcaniana sulla Terra, dove lei era stata per anni il suo mentore.
 - Emozioni su cui non poteva avere alcun controllo. Io direi nonostante le emozioni che lo divoravano, è riuscito a salvare la vita dei suoi amici, pagando un prezzo altissimo, una sofferenza che tu ora conosci. Il suo senso di abnegazione è stato esemplare. Come sempre –La voce era tagliente come la lama di un rasoio rituale.
Sarek resistette all’impulso di spostare il peso da un piede all’altro ma non potè impedire alle sue orecchie di tingersi di verde.
Erano almeno quarant’anni che non gli succedeva.
Lei continuava a trapassarlo con quel suo sguardo impietoso e alla fine lui dovette abbassare gli occhi.
- Tuo figlio è un eroe, Sarek, e te lo ha dimostrato persino salvandoti la vita in passato. La tua vergogna per la tua inadeguatezza come padre è rivolta verso la persona sbagliata –Lui pensava di essere abituato all’implacabile senso di giustizia di quella donna, ma a quanto pareva non era così.
L’insulto gli tolse il fiato, non tanto per la sorpresa ma perché era assolutamente vero.
Chiuse gli occhi per un istante, cercando di dominare la vergogna che lo pervadeva.
Quando li riaprì, T’Pol si era voltata nuovamente verso le sue lampade.
- Ora va da lui e compi il tuo dovere di padre. Tuo figlio ha bisogno di te –
Sarek si voltò e uscì senza una parola.
 
La curatrice lo introdusse presso la stanza di suo figlio.
Spock giaceva sul pagliericcio, gli occhi chiusi, le mani intrecciate sul ventre, così immobile da sembrare morto.
Per 0.5 secondi la paura lo bloccò, poi riprese il controllo.
Non abbastanza in fretta perchè la curatrice non se ne accorgesse.
- No, non è morto. Abbiamo curato il virus e richiamato la mente logica, spegnendo lo stato ancestrale a cui aveva dovuto ricorrere.Resta un mistero come sia sopravvissuto a tutto quello che ha passato, nelle sue condizioni. Ma la sua coscienza si è ritirata in profondità e non riusciamo a raggiungerla. Non vuole essere raggiunta. La perdita del Legame ha indotto uno stato di shock profondo. Non era un legame comune... era molto più simile ad una Fusione della Mente e delle Anime dell’epoca pre-Surak. Come potesse l’ umano reggere una pressione mentale del genere… Era anche reduce da una recente rottura della Struttura. Lo erano entrambi –
Sarek trattenne il fiato, prendendo piena consapevolezza dei rischi e dei danni a cui andava incontro suo figlio.
Regolarmente, a quanto pareva.
Fissò quel volto immobile e scavato.
- Grazie per le sue cure – disse all’anziana.Lei annuì, ritirandosi e lasciandolo solo.
Con un sospiro, Sarek chiuse gli occhi e posò le mani sui punti di contatto mentale, per la prima volta da quando Spock era un adulto, si rese conto con uno shock.
Dalla mia mente alla tua mente, i tuoi pensieri nei miei pensieri...
Si ritrovò in un’immensità vuota ed echeggiante, nel buio più totale; solo un vento gelido soffiava gemendo.
- Spock – provò a chiamare, invano.Si inoltrò in una direzione qualunque, emanando la sua presenza attorno come un richiamo per qualunque entità potesse essersi perduta in quel nulla.
“Non riuscirò mai a trovarlo in questo modo” pensò dopo qualche tempo di inutili vagabondaggi “mi serve una guida, qualcosa che io e lui condividiamo”.
Ma non aveva molto in comune con quest’ adulto che era diventato suo figlio, si accorse con dolore e vergogna.
Provò a rievocare ricordi di Spock da bambino, quando giocava con il suo cucciolo di le-matya nella corte interna della loro casa.
“E’ uno spreco di tempo, dovresti applicarti maggiormente agli studi se vuoi accedere all’accademia delle Scienze” lo riprendeva spesso.
“sì padre” rispondeva sempre lui, abbandonando il suo cucciolo e –si accorse con dolore – anche il suo momento di gioia.
Sarek realizzò che l’infanzia di Spock spiccava per la sua assenza di padre, sempre impegnato in qualche trattativa diplomatica, o per la sua intransigenza le poche volte che era presente.
Non avevano nulla in comune. Eccetto...
Amanda.
Per quanta sofferenza ancora gli costasse ripensare a lei, Sarek rievocò il suo sorriso, il suo odore, e lo emanò attorno a se come un’ esca per suo figlio, perduto in un dolore troppo grande per essere affrontato da solo.
In lontananza un lucore riverberò per un attimo in risposta e lui si diresse in quella direzione.
Era l’aura di suo figlio, ma la luce era troppo pallida per capire in che stato fosse.
- Figlio, sono qua – chiamò quando fu più vicino.
- Padre? – chiese una voce stupita.
- Sì sono io –
La luce aumentò, sufficiente a vedere più chiaramente la struttura… e Sarek di Vulcano restò senza fiato.
Era un brillante, sfaccettato e purissimo.
Alma Adamantis.
Suo figlio aveva un’aura del massimo pregio, e lui nemmeno lo aveva saputo.
Sentimenti misti di orgoglio per Spock e vergogna per se stesso lo scossero, difficili da controllare.
Non riuscendo a resistere, si allungò a sfiorare la struttura, aspettandosela fredda.
Invece era calda, piacevolmente calda al tatto.
Come lo era stata quella di Amanda. Lo stesso calore disdicevolmente confortante che aveva emanato la sua amata compagna.
Non riuscì a controllare la rinnovata pena per la morte della moglie, un dolore che si era attenuato ma che mai sarebbe davvero scomparso.
- Padre… sei davvero tu –
- Sì figlio mio –
- Io… ti ringrazio per essere venuto –
- Era mio dovere… e un onore. Spock, ti chiedo scusa per il mio comportamento indegno nei tuoi confronti – chiese formalmente.
- Non c’è nulla di cui scusarsi –
- Non posso concordare su questo. La tua alma adamantis… è perfetta –
- Non è fredda – rispose Spock, tristemente.
- No, è meravigliosamente tiepida… Come lo era quella di tua madre – L’essenza di Spock si illuminò maggiormente.
- Spock, il capitano Kirk non è morto –
- Lo so. Ma qui, per me lo è. Non esiste più – disse la presenza ritraendosi, con una pena assoluta.
- Mi rendo conto che in questa dimensione per te lui è come morto, ma non è così. Lascia che ti aiuti –
- Nessuno mi può aiutare. Io… sono solo – L’infinita tristezza di quella parola echeggiò nello spazio vuoto, riverberandosi a creare il vento che spazzava quella landa desolata.
Sarek, puro figlio di Vulcano, si accorse che stava piangendo per la prima volta nella sua vita da adulto.
- No, figlio mio. Non sei solo. Io sono con te. Io ti vedo – disse secondo l’antica formula - Lascia che ti aiuti – ripetè.
L’essenza di Spock non rispose ma nemmeno si ritrasse.
Così Sarek espanse la propria aura, allargandola fino ad avvolgere quella di suo figlio, proteggendola da quella solitudine infinita e trascinandola con sé, lontano da quel luogo di dolore e morte.



NdA:
Lei mi piace troppo e non poteva mancare. D'altronde, la storia e mia e ci metto quello che voglio! Privilegi dello scrittore.
Scherzi a parte, spero vi sia piacendo ancora. Lo so, la tiro per le lunghe...
Cosa pensate del dialogo fra T'Pol e Sarek? E' stato un po' come descrivere uno scontro tra titani e mi è piaciuto moltissimo scriverlo ma anche preoccupato.
credo che prima o poi mi cimenterò in una storia con T'Pol ai tempi di Enterprise, vi porebbe interessare?
A presto
 
  
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