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Autore: Vago    13/08/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Il bastone calò con violenza sulla schiena del trentenne, impattando e rimbalzando su una placca nera che sembrava essere fuoriuscita dal corpo stesso dell’uomo.
Il sacerdote che aveva vibrato il colpo rimase interdetto, paralizzato dalla comparsa improvvisa di quell’armatura che ben poco sapeva di naturale.
La superficie della placca nera parve divenire liquida per un momento, vibrante, per poi deformarsi verso l’esterno come la punta di una lancia, trapassando il cranio dell’uomo devoto ad Aria e schizzando il suo sangue, scintillante alla luce delle candele, contro le pareti in legno, per poi ritirarsi verso il punto d’origine e cercare come riparo all’interno delle membra del trentenne.
Noir si voltò, pulendosi con un dito il sangue scuro che gli aveva sporcato il naso. Alle sue spalle, la porta chiusa del tempio gli impediva la fuga, davanti a lui, i rimanenti otto sopravvissuti stavano aggirando il cadavere ancora tiepido per raggiungerlo.
- Ascoltate, se mi date le chiavi di questa porta e mi lasciate uscire giuro che non ci saranno altri morti. –
- Non avrai pietà da noi, malosangue. – fu la risposta secca, meccanica, dell’uomo dalla lunga barba resa ardente dalle fiammelle che illuminavano l’ambiente.
- Io non credo che dovreste attaccarmi… potremmo ancora risolvere la situazione senza altri spargimenti di sangue. –
Noir alzò di riflesso le braccia a protezione del viso, non appena i suoi occhi colsero i due bastoni che gli si stavano avvicinando.
Dalla pelle degli avambracci, un frammento di secondo prima che questi venissero urtati dal duro legno delle verghe, parve venir trasudato un liquido denso, scuro come una notte senza né stelle né luna, grumoso, che si indurì attorno agli arti per formare i bracciali su cui i bastoni sarebbero andati ad impattare.
Il trentenne alzò le mani al soffitto, gli avambracci ancora avvolti da quella protezione parvero assorbire tutta la luce che li circondava.
- Davvero, non ho intenzione di uccidere nessuno! – tentò ancora l’uomo dai capelli neri.
I bracciali, lentamente, vennero riassorbiti dalla pelle e dalla carne sottostante, scomparendo così come erano apparsi.
Un’altra vergata venne direzionata sulla traiettoria per intercettare la tempia sinistra del giovane.
Dal palmo sinistro alzato di Noir comparve una sferetta della stessa consistenza dei bracciali, saldamente legata alla sua pelle, che con uno scatto repentino si allungò, divenendo una sottile lama appuntita che trapassò prima il bastone, bloccando la sua corsa, poi il cranio del sacerdote che lo brandiva.
Dalla mano opposta, come proporzionalmente, comparve una lama identica alla prima, che scattò per impalare due sacerdoti che avevano osato avvicinarsi troppo con la stessa velocità con cui la precedente si ritirava verso il suo punto di partenza.
Il corpo dell’anziano alla destra di Noir cadde, privato del sostegno della lama nera, così come fecero i corpi dei suoi confratelli, non appena la seconda arma si fu ritirata.
- La tua anima si sta appesantendo, malosangue! Quanto peso potrai sopportare ancora? – salmodiò l’anziano in tunica azzurra, facendo un passo avanti, mentre le sue dita ossute e callose si stringevano sulla sua verga.
Fu un attimo, poi sei degli otto bastoni stretti ancora nelle tiepide mani dei sacerdoti calarono su Noir con violenza inaudita.
Gli occhi del trentenne si fecero neri come la pece, non uno dei vasi sanguigni che incorniciavano le sue iridi verde scuro ricevette pietà dall’impietoso ribollire del suo sangue.
La melassa nera trasudò dalla tempia destra, dalla scapola sinistra, dal fianco sinistro, dal polso destro e dal ventre.
Noir cadde a terra rantolante quando il duro legno di uno dei bastoni gli falciò il polpaccio destro, aprendogli un taglio poco sotto il ginocchio.
Il trentenne si cercò di accovacciare, esponendo unicamente la schiena ai colpi che continuavano ad infierire su di lui, tutti, però, trovarono unicamente la piastra nera che si era creata per proteggere il suo dorso.
- Vi prego, non intendo uccidervi. – la voce dell’uomo dai capelli neri si spanse nell’aria ovattata, attutita dalla posizione in cui era costretto il suo proprietario.
- Taci! – tuonò il sacerdote più anziano.
I colpi si fecero sempre più rapidi, il legno dei bastoni sempre più desideroso di profanare la pelle e i muscoli dell’uomo che cercava di colpire.
Il busto di Noir si inarcò verso il soffitto. Il trentenne proruppe in un urlo disperato di dolore e dalle sue labbra caddero decine di gocce di saliva, che si persero alcune sulle pareti, alcune sul pavimento.
La placca nera che riusciva a stento a coprire la schiena dell’uomo a terra parve vibrare, perdere in parte la sua solidità tornando ad essere quasi liquido.
Un bastone venne ancora calato su quella protezione.
I muri di legno vennero irrorati da decine di schizzi di rosso sangue, che brillava cremisi alla luce della fiamma tremolante delle candele.
Noir restava immobile, i suoi abiti erano strappati in più punti, là dove lance nere erano nate per impalare gli otto sacerdoti che vessavano il suo corpo.
La melassa scura ritornò a farsi malleabile, ritraendosi nel corpo del trentenne.
L’uomo si rialzò lentamente, puntellandosi sulle mani per sorreggersi. La sua schiena, là dove era i vestiti non la coprivano, mostrava profondi tagli e brandelli di pelle cadenti.
Noir si mosse verso i cadaveri, curvo, cercando tra i loro abiti la chiave che gli avrebbe permesso di lasciare quel luogo.
Si sarebbe dovuto medicare, prima di partire, si disse mentre le sue dita si stringevano su un freddo oggetto di metallo.

Noir guardò il cavallo che lo aveva accompagnato negli ultimi otto mesi allontanarsi nella Piana Umana verso nord, saltando agilmente le due rotaie di lucido metallo che avevano raggiunto.
L’uomo mosse un paio di volte braccia e spalle, saggiandone i movimenti che le strette bende con cui si era fasciato gli permettevano.
Non era molto, ma se lo sarebbe fatto bastare.
In lontananza, verso i Monti Muraglia, la locomotiva splendente sotto il primo sole del mattino si avvicinava, seguita dalla scia di fumo denso che si lasciava alle spalle.
Locomotiva, vagone per il carbone, poi solamente vagoni per il bestiame.
Non avanzava troppo velocemente, ma, avesse sbagliato, nemmeno la sua maledizione lo avrebbe salvato completamente dalla carica di quell’animale di metallo.
La locomotiva passò accanto a Noir, facendo sobbalzare i sassi sul terreno e riempiendo l’aria dell’acre odore del suo fumo.
Il trentenne si flesse, preparandosi.
Il primo vagone proseguì lungo le rotaie, con le sponde alte ad impedire al prezioso carico di combustibile di disperdersi lungo il tragitto.
Il portellone laterale dell’ottavo vagone era socchiuso. Sarebbe stato sufficiente.
Noir saltò allungando la mano destra in direzione del treno.
Immediatamente prima dell’impatto che lo avrebbe privato della mano, la densa melassa avvolse l’arto dalla punta delle dita fino a metà dell’avambraccio, impedendo all’uomo di avvertire alcunché  dal violento contatto che ne seguì.
L’uomo si trovò appeso al montante del portellone, con le gambe a penzoloni sul terreno che correva veloce e il viso investito da un forte vento caldo.
Le sue braccia si contrassero, le bende che gli fasciavano il busto si tesero e un rigolo di sangue vermiglio gli imbrattò la schiena, ma lo sforzo fu ricompensato quando le suole delle sue scarpe si poggiarono sulla base della carrozza.
Una lama di luce, a stento, riusciva a filtrare dall’apertura, proiettando l’ombra di Noir all’interno di quell’ambiente.
Una dozzina di figure scure, avvolte dall’ombra, si mossero contro la parete opposta alla comparsa di quel nuovo arrivato.
Un muso tozzo, animalesco, adornato da due lunghe zanne, si sporse in avanti, incrociando il suo cammino con la luce solare.
Un Demo. Un discendente dei Demoni creati dal Re per combattere la Guerra degli Elementi. Schiavi.
Il naso schiacciato di quel muso annusò l’aria, per poi ritrarsi di scatto, spaventato, terrorizzato.
In pochi secondi l’agitazione si propagò ai suoi vicini, a macchia d’olio, finché tutti i Demo presenti nel vagone non si precipitarono contro l’angolo diametralmente opposto all’ingresso, accompagnati dal rumore metallico delle catene che li tenevano legati.
Noir si sedette contro la parete di coda, con lo sguardo perso oltre i Demo ammassati, la parete dietro di loro e la locomotiva ancora più in là, invisibile al suo sguardo. Non c’era più spazio per lui sulle Terre, doveva lasciarle inevitabilmente.
Il trentenne si spostò leggermente, cercando una posizione più comoda. Quel piccolo gesto fece partire dalla piccola folla al lato opposto della carrozza una cacofonia di grida, mentre i loro corpi ricoperti dal corto pellame si addossavano ancor di più alla parete, tendendo le catene al massimo della loro estensione.
L’uomo nascose il volto tra le mani, sconsolato.
Perfino gli esseri più innaturali presenti sulle Terre lo temevano.

Il treno corse sul suo metallico tracciato per altre quindici ore.
Il sole era basso sull’orizzonte e il suo riflesso rossastro illuminava il piattume indisturbato del mare.
Noir balzò fuori dalla carrozza non appena il treno ebbe rallentato a sufficienza, rotolando sull’erba secca che ricopriva il duro terreno.
L’aria, tutto intorno, era pregna dell’odore di salsedine e pesce e, in lontananza, si potevano riconoscere le voci tonanti dei pescatori di ritorno dalle battute di pesca giornaliere.
Seguendo le rotaie per pochi chilometri verso nord, si potevano riconoscere le mura protettive della città di Derout, la più antica della zona. Il suo centro storico, in buona parte, risaliva ai tempi del Cambiamento e i banchi di pesci che passavano spesso poco distante dai suoi moli garantivano l’agiatezza a chiunque avesse voluto investire nel commercio del pesce.
Noir Ispirò un’ultima volta l’odore di mare che lo circondava, così simile a quello che aleggiava nell’Oasi in cui era nato, per poi partire a piedi in direzione della città marittima.



Angolo dell'Autore

Come promesso, rieccomi qui.
Noir, così pericoloso da poter uccidere una dozzina di uomini da disarmato, così terribile da spaventare dei Demo, certo, Demo schiavi, ma non per questo meno discendenti dai demoni del Re. Il suo potere, però, è molto particolare, diverso da qualunque cosa io vi abbia già mostrato in questo nostro lungo viaggio. Ora la domanda è: qual è la fonte del suo potere?
Ci daremo una risposta, prima o poi.
Per ora, però, devo ringraziare OldKey, la ragazza imperfetta e whitesky per le loro meravigliose recensioni, per poi passare a ringraziare tutti voi. Non mi stancherò mai di dirlo, se non ci foste voi a leggermi, non avrei mai scritto tutti questi capitoli.
Alla settimana prossima!
Vago
   
 
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