Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    14/08/2017    1 recensioni
Lilllehammer, un piccolo villaggio nel centro della Norvegia, è braccato da un lupo feroce, che durante le notti di luna piena fa mattanza di bestiame e semina il panico tra gli abitanti. La caccia al lupo è aperta e Anna non vede l’ora di partecipare, per vedere con i propri occhi il mostro che insidia ogni favola. Quello che si nasconde nel folto del bosco però è un segreto più grande di lei, qualcosa che cambierà per sempre la sua vita.
Storia scritta a quattro mani con Adriana, alias Amberly_1.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Granpapà, Hans, Kristoff
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

 

Notte di Natale 1873

 

Anna sedeva tra le panche della piccola chiesa, stretta tra Elsa e sua madre, allungando il collo per cercare di scorgere Kristoff da qualche parte nelle prime file. Elsa le diede un pizzicotto sulla mano “Siedi composta”, la rimproverò.

“Sai dov’è Kristoff?”, le chiese, cercando di rimanere quanto più ferma possibile. L’amico le aveva detto che sarebbe stato lì quella sera e lei gli aveva portato un piccolo dono per festeggiare il suo compleanno. Ne avevano parlato tanto ed ora lui non c’era. Guardando bene si accorse che anche Bulda cercava il figlio tra la folla dei fedeli assiepati tra le panche. Doveva essere successo qualcosa.

Elsa scosse la testa leggermente, guardando davanti a sé.

Ultimamente era strana, più distaccata, la trattava quasi come se lei le avesse fatto uno sgarbo. Ma più ci pensava più non riusciva a trovare un motivo per quel comportamento.

Alla fine della funzione tutti gli abitanti si riversarono nella piazza, sistemandosi attorno al grande albero adornato a festa, cantando a voce alta nonostante il freddo intenso di quella notte. I fuochi delle candele e dei bracieri, collocati alle estremità dello spiazzale, facevano brillare tutto di incantevoli bagliori ambrati,  conferendo un’atmosfera surreale all’evento, complice anche una lattiginosa luna piena. Si respirava aria di festa, di tranquillità, lì in quel piccolo paese nel cuore delle montagne.

Eppure quella notte la quiete placida di Lillehammer venne interrotta.

Il lupo fece la sua prima carneficina proprio allora. Il suo ululato risuonò chiaro e terrificante nell’immobilità della foresta, raggiungendo i cittadini assopiti fin nelle loro case. Non era strano che da quelle parti del paese si aggirassero lupi solitari o branchi poco numerosi, ma quel verso così potente non apparteneva a nessun animale che i cacciatori avessero mai visto.

All’indomani, quando vennero scoperte le carcasse di decine di animali azzannati senza pietà e smembrati, in parte svuotati delle interiora, gli abitanti capirono subito di non trovarsi di fronte ad un semplice lupo di passaggio nella regione.

Il salvabile venne salvato: i cadaveri vennero sotterrati, per non attirare altri predatori, e gli animali feriti gravemente vennero macellati. Tutti rimasero sconvolti dalla brutalità di un tale attacco, bisbigliando che forse era stato il demonio in persona a commettere quell’atrocità in una delle notti più sacre dell’anno. Ma, superstizione a parte, esaminando le ferite degli animali gli allevatori non ebbero dubbi a riguardo: si trattava di un grosso lupo famelico.

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“Dove credi di andare?” Idunn fermò Anna per un braccio, prima che potesse mettere un piede fuori dalla porta.

“In chiesa, a trovare Kristoff.” La sera precedente non si era fatto vivo nemmeno al falò e cominciava davvero a preoccuparsi. L’amico non aveva mai disatteso uno dei loro appuntamenti. Appena sveglia il suo primo pensiero era stato lui. Aveva aperto i regali in fretta e furia, facendo a brandelli la carta dei pacchi senza tante cerimonie, sotto lo sguardo irritato della madre e della sorella, mentre suo padre aveva sorriso della sua caratteristica foga. Dopo era andata di corsa ad infilarsi qualcosa con l’intenzione di correre a vedere cosa gli fosse successo.

“Non voglio che tu esca dopo quello che è successo stanotte.”

“Non mi allontanerò, andrò dritta in canonica, senza deviazioni. Non devi preoccuparti, farò attenzione e se vedrò il lupo scapperò.” Ridacchiò, come se i fatti accaduti la notte precedente non l’avessero nemmeno sfiorata.

“Anna, non scherzare.” Idunn sospirò. Non c’era modo di far desistere Anna. Se si era messa in testa di andare dal suo amico, niente l’avrebbe fermata. “Hai mezz’ora di tempo. Poi, se non sarai qui, verrò a prenderti.”

Anna non se lo fece ripetere due volte. Schioccò un bacio a sua madre e si precipitò in strada. “Non correre! Potresti scivolare sul ghiaccio.” la sentì gridarle dietro. Rallentò, cercando di mantenere un passo sostenuto e non appena fu fuori dalla strada di casa sua, cominciò a correre a perdi fiato verso la chiesa, cercando di fare presto. Dopotutto aveva i minuti contati e voleva passarne quanti più possibili in compagnia di Kristoff.

Quando bussò alla porta nessuno le venne ad aprire, almeno non subito. Saltò da un piede all’altro per scaldarsi, soffiandosi sulle mani congelate: aveva dimenticato per l’ennesima volta di infilarsi i guanti prima di uscire. Passò un buon minuto prima che Pabbie spuntasse sulla soglia, il bastone in una mano e gli occhiali inforcati sul naso tuberoso.

“Buon Natale, padre. Kristoff è in casa?” non aspettò nemmeno che il vecchio chierico la salutasse. “Vorrei dargli il suo regalo di compleanno. Ieri sera non ho potuto farlo perché lui non c’era. A proposito, sta bene?”

Il parroco sospirò, abituato all’infinita quantità di parole che fluivano dalla bocca di Anna, e alla velocità con cui riusciva ad esprimersi. “È qui, ma non è in grado di ricevere visite.”

“Cos’è successo?” il panico le strinse lo stomaco a quell’affermazione, ma cercò di rimanere calma e di non saltare subito alle conclusioni più tragiche.

“Niente di grave, figliola. Solo un malanno di stagione, vedrai che si riprenderà presto.” Le sorrise rincuorante. Ma Anna non si lasciò sfuggire il tremolio dell’occhio destro di Pabbie e lo sguardo pensieroso.

 Rimasta stranamente a corto di parole, abbassò lo sguardo, studiandosi gli stivaletti che sbucavano dall’orlo della gonna. “Oh.” Riuscì solo a dire.

“Gli dirò che sei passata. Gli farà molto piacere.”

Si riscosse, cercando di non lasciar trapelare troppo il suo disappunto. “Potrebbe dargli questo da parte mia?”, tirò fuori dalla tasca un piccolo pacchetto, avvolto in carta da pacchi e chiuso da uno spago.

Lo depose nella mano di Pabbie. “Grazie. Glielo darò quando si sveglierà. Ora torna a casa, prima di congelare.” Le batté piano una mano sulla testa quasi per rabbonirla. “Sono sicuro che tua madre starà scalpitando nell’attesa del tuo ritorno.”

La ragazzina sorrise nervosa, annuendo. “Saluti Kristoff e Bulda da parte mia.” Agitò una mano in segno di saluto e si avviò piano da dove era venuta.

Sapeva che qualcosa non andava. Non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che Kristoff si fosse ammalato. Forse pensandoci bene non era mai successo. A differenza sua e di Elsa, che si ammalavano quasi ogni inverno, lui era sano come un pesce. Mai un raffreddore, né febbre, né tantomeno la scarlattina. Lei l’aveva avuta qualche anno prima ed era stata un’esperienza assolutamente orribile! Non aveva potuto vedere Elsa per giorni interi, per evitare che anche lei venisse contagiata, e solo la mamma si era occupata di lei, cercando di abbassarle la temperatura e di alleviare il suo pressante prurito con impacchi di latte e menta. Kristoff era venuto a farle visita di nascosto un pomeriggio, portandole i biscotti di Bulda. Lei aveva cercato di scacciarlo, dicendogli che era pericoloso, ma lui non aveva voluto sentir ragioni. Alla fine lei era guarita e lui non si era ammalato.

Forse ora si era ammalato per tutte le volte che non lo era stato! E se questa grave malattia l’avesse portato alla morte?

Anna si fermò di botto e scrollò la testa per dissipare quel terrificante pensiero.

Quando tornò a casa la mamma fu sorpresa del suo così largo anticipo. Idunn infatti aveva già previsto di dover andare a trascinare via Anna dalla chiesa, ed invece la figlia era tornata appena quindici minuti dopo essere uscita, con il viso mogio e le spalle incurvate.

“Mamma  potresti andare da Bulda domani? Kristoff è malato, ma non so cos’abbia. Forse potresti aiutarla.”

“Andrò appena possibile, tranquilla.” Guardò la figlia allontanarsi pensierosa.

Quella era una novità e non una di quelle positive. Sperò solo che non fosse una cosa grave.

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Bulda sedeva accanto al letto del figlio, immobile ed in silenzio. Interrompeva la sua staticità solo per bagnare uno strofinaccio in un catino e poggiarlo sulla fronte febbricitante di Kristoff. La febbre non si era abbassata e il ragazzo tremava e delirava, rigirandosi tra le coperte. Quella mattina l’avevano ritrovato nel cimitero, riverso tra le tombe, con i vestiti laceri, privo di conoscenza e sporco di sangue. Lei e Pabbie avevano faticato non poco a portarlo dentro, senza che nessuno li vedesse. Non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto. 

All’inizio aveva temuto che qualche balordo lo avesse ferito a chissà quale scopo, ma ripulendolo dal sangue si era accorta che non era suo; a parte qualche graffio superficiale non aveva alcuna ferita che potesse spiegare tutto quel sangue. Poi era arrivata la notizia della strage di bestiame e la sua mente era esplosa. Come era possibile?

Era sconvolta, atterrita, disperata. Più cercava una spiegazione meno riusciva a rimanere lucida. Pabbie non aveva detto molto, si era solo limitato ad aiutarla a cambiare Kristoff e a metterlo a letto, poi si era rintanato nel suo studio, tra i suoi libri e le sue scartoffie.

Verso metà mattina aveva sentito bussare alla porta della canonica. Il cuore le era balzato in gola per la paura che qualcuno fosse venuto a prendere il figlio,  poi aveva sentito la voce squillante di Anna e si era rilassata, per quanto possibile in una situazione del genere. Pabbie era rientrato poco dopo, posando un pacchetto sul comodino accanto al letto, le aveva stretto una spalla e poi era uscito di nuovo.

Si sentiva abbandonata. Non sapeva cosa fare. La sua prima preoccupazione era quella di prendersi cura del figlio e poi? Voleva delle risposte e l’unico che avrebbe potuto dargliele giaceva sofferente sotto i suoi occhi.

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Era sicuro di star bruciando tra le fiamme dell’inferno. Ogni parte del suo corpo, dalla punta dei piedi alla cima dei capelli, doleva come mai prima d’allora. Fiamme fameliche gli lambivano il petto e il collo, lasciandolo senza fiato. Era un’agonia insopportabile, avrebbe voluto urlare, chiedere aiuto, ma la voce era bloccata sul fondo della gola.

Ogni appendice del suo corpo fremeva, scossa da violenti brividi, ed aveva come l’impressione, nel suo stato di delirio, che il suo stesso corpo stesse cercando di farsi a pezzi dall’interno. Riusciva quasi a sentire la pelle lacerarsi e gli schiocchi secchi delle ossa che si spezzavano e si riallineavano in nuove posizioni.

Non credeva potesse esistere un tale tormento. Non pensava che un corpo fatto di sangue e carne potesse sopportare tanto dolore.

Pregò che la morte lo raggiungesse presto.

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La sera del 25, come promesso alla figlia, Idunn si recò da Bulda per accertarsi delle condizioni di Kristoff. Non lo faceva solo perché Anna glielo aveva chiesto, ma anche perché da quando era arrivato in fasce a Lillehammer, non aveva potuto non affezionarsi a lui. Lo aveva visto crescere con le sue due bambine, diventare loro amico, proteggere Anna dai bambini più grandi, sfidare Elsa nelle gare più improponibili, diventare un giovane rispettabile ed infine farsi uomo.

Quella sua improvvisa malattia la destabilizzava. C’erano poche costanti nella sua vita da medico e una di quelle era che, in diciotto anni di vita, Kristoff Bjorgman non aveva mai avuto bisogno delle sue cure.

Quando Bulda le venne ad aprire, le sembrò esitare, come se non volesse lasciarla entrare. Poi però il senso materno della perpetua prevalse sulla sua paura.

Quando lo vide riverso nel suo letto, sudato e delirante, non riuscì a credere ai suoi occhi. Doveva trattarsi di qualcosa di brutto, un morbo insidioso che aveva covato a lungo o un’infezione fulminea che lo stava lentamente portando all’oblio.

La madre aveva fatto tutto il possibile per accelerare il decorso della malattia, ma senza risultati. Idunn lo visitò, facendosi aiutare da Bulda e Pabbie per voltarlo di schiena. Il ragazzo era massiccio e alto per la sua età, inamovibile come una montagna secondo Anna, non avrebbe potuto spostarlo da sola nemmeno volendo. All’apparenza sembrava andare tutto bene: auscultando non le parve di sentire alcun rumore degno di nota e ad un esame attento della gola e del torace non individuò nulla che potesse spiegare quella febbre così alta.  Solo alcuni tagli superficiali le diedero da pensare: forse aveva contratto il tifo? Ma i sintomi non corrispondevano.

Quella situazione la turbava.

Dopo aver consigliato a Bulda il trattamento da seguire per la guarigione, fece rientro a casa.

Non appena varcò la soglia, Anna si precipitò da lei, piena di speranza. “Allora?”

“Non preoccuparti, si rimetterà presto.”, riuscì solo a dirle, ma in realtà non era tanto sicura che Kristoff avrebbe visto il nuovo anno.

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Anna aspettò con pazienza che Kristoff rispondesse al suo biglietto d’auguri, rassicurandola sulla sua salute e rivolgendole i suoi apprezzamenti per il regalo. Ma la sua attesa fu vana. Nonostante la mamma l’avesse rassicurata che presto sarebbe guarito, a due giorni dal nuovo anno il suo amico non si era ancora fatto vivo e lei cominciava a preoccuparsi davvero.

Chi invece aveva attestato a voce alta la propria presenza era stato il lupo che, nelle due notti successive al primo attacco, aveva battuto il bosco e le fattorie limitrofe alla cittadina, finendo ciò che aveva cominciato la notte di Natale. Gli allevatori erano sgomenti e il sindaco, suo padre, aveva fatto di tutto per placarne gli animi.

Il 31 dicembre, quando ormai rattristata aveva perso ogni speranza, la ragazza si era incamminata a passo spedito verso la chiesa. Aveva percorso quel tragitto migliaia di volte e avrebbe potuto farlo anche ad occhi chiusi, ma quel giorno le sembrò più lungo e faticoso. L’amarezza era un fardello pesante da portarsi dietro.

Bussò alla porta della canonica come sempre e le venne ad aprire Bulda. La donna aveva l’aria stanca, sembrava mantenersi a stento in piedi, e gli occhi erano arrossati come se non avesse fatto altro che piangere negli ultimi giorni. Anna quasi si spaventò: cosa aveva potuto ridurre quella donna così forte in un fantasma di se stessa?  “È  al capanno.” riuscì a dirle Bulda, cercando di sorriderle. 

A quelle parole quel persistente senso di pesantezza si acuì, schiacciandole i polmoni come un macigno.

Eppure cercò di scacciarlo, stampandosi un accenno di sorriso sulle labbra. Raggiunse il capanno e lo vide, vivo ed in apparente perfetta salute davanti ai suoi occhi, intento a scavare un’enorme buca. Nonostante il suo recente malanno se ne stava nell’aria gelida di fine dicembre con solo una giacca indosso sprezzante del freddo e della neve.

“Avresti potuto avvisarmi della tua guarigione.” Lo salutò, cercando di non suonare noiosa. “Io ero a casa a preoccuparmi per la tua vita e tu invece te ne stavi qui a scavare buche per…”

“Seppellire le  mie pecore.” Concluse lui, continuando a tenere la testa china sulla vanga tra le sue mani, concentrato sulla terra che aveva ghiacciato sotto la coltre spessa di neve.

Solo in quel momento si accorse del piccolo ammasso di lana dietro alle sue spalle: i corpi senza vita delle sue bestie. A qualcuna di loro aveva anche dato un nome, con sommo disappunto di Kristoff, che le aveva intimato di non affezionarsi, tanto il loro destino era segnato.

“Il lupo?”gli chiese, senza approfondire. Era sicura che Pabbie gliene avesse parlato.

“Già.”

Continuava a non guardarla. Il corpo era teso e l’espressione del viso seria. Nonostante la sua riluttanza a considerare quegli animali come qualcosa di più che semplici oggetti di sostentamento, doveva esserci rimasto male per la loro morte. Riusciva a leggerglielo nelle labbra tirate e nelle sopracciglia aggrottate.

“Stai bene?”

Riuscì ad infilare ancora una volta la vanga nel terreno ghiacciato. “Si.”

“Sicuro?”

Asportò della terra, lanciandola dietro di sé verso una piccola montagnola che cresceva di colpo in colpo. “Sicuro.”

“Va bene.”

“Va bene.”

Anna gonfiò le guance, trattenendo il respiro per non urlargli in faccia. “Sei uno stupido.” Buttò fuori d’un fiato, qualche colpo di vanga dopo.

Kristoff si voltò a guardarla, continuando a scavare.

“Che c’è? Pensavo stessimo giocando al gioco dell’eco.” Fece spallucce, per niente intimorita dalla sua espressione tetra.

“Mi perdonerai, ma non sono in vena di giochi, come puoi vedere.” Rivolse di nuovo lo sguardo al suo lavoro.

“Non sei nemmeno in vena di sincerità da quel che mi risulta.” Ribatté lei.

“Cosa vuoi, Anna?” le chiese con tono aspro, piantando con un gesto secco la vanga nel terreno. L’attrezzo rimase in equilibrio, mentre lui si ripuliva le mani sui pantaloni con gesti quasi rabbiosi.

Un verso scioccato le sfuggì dalle labbra. “Cosa…cosa voglio? Sapere come sta il mio amico. Se si è rimesso dal suo malanno e se gli è piaciuto il mio regalo per il suo compleanno. Ecco tutto.”

“Sto bene, mi vedi.” Sospirò. “Non ho ancora aperto il tuo regalo, mi dispiace. Ho avuto altro a cui pensare.” Strusciò i piedi nella neve, facendola scricchiolare sotto la suola degli stivali.

Ad Anna venne quasi da piangere: aveva impiegato così tanto tempo per quel regalo e lui non l’aveva ancora nemmeno visto. “D’accordo, non fa nulla.” La sua voce non suonò sincera nemmeno alle sue orecchie. “Quando lo aprirai mi farai sapere cosa ne pensi?”

“Certo, grazie comunque.” Kristoff tornò alla sua vanga, senza degnarla di uno sguardo, dichiarando chiusa la loro conversazione.

“Quando vorrai parlare sai dove trovarmi.” Disse fra sé, sperando che la sentisse. Mentre si allontanava,  il vento le sferzò i capelli, facendo svolazzare il mantello rosso alle sue spalle.

Sulla via di casa rimuginò su quanto appena accaduto, ripetendo tra sé il loro dialogo. Il suo amico non era mai stato un gran parlatore, né un amante dei convenevoli, ma in quell’occasione le era sembrato un eremita scorbutico sprovvisto delle basilari buone maniere. Qualcosa si era incrinato in lui ma non avrebbe saputo dire se la cosa fosse da imputare al suo stato di salute. Eppure era da un po’ che si comportava così, evitando se possibile la compagnia degli altri giovani di Lillehammer.

Cacciò un sospiro nervoso. Desiderò solo che le cose tra loro tornassero ad essere come una volta.

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Una folata di vento aveva accompagnato Anna mentre si allontanava da lui, portando al suo naso il suo caratteristico odore dolciastro. Si ritrovò ad annusare inconsciamente l’aria alla ricerca di quel delicato sentore di menta e cioccolata e di…qualcosa di delizioso che non riusciva ad identificare.

Solo dopo averlo fatto, si rese conto di essersi leccato le labbra. Sconcertato gettò la pala nella neve e si allontanò nella direzione opposta, verso il bosco.

Le cose avevano già cominciato a cambiare irreparabilmente.

 

 

 

 

NdA: era da molto tempo che non riprendevo questa ff tra le mani e, nonostante abbia cercato di mantenermi coerente con lo stile e il registro dei precedenti due capitoli, credo d’aver cambiato qualcosa per strada. Spero vi sia piaciuto e di ricevere comunque pareri e considerazioni a dispetto di tutto il tempo che è passato dall’ultimo aggiornamento. Non abbiate paura di scrivere qui sotto e di inoltrarmi le vostre opinioni/idee. A differenza del lupo, io non vi mangio mica! E dopo questa freddura me la squaglio ^3^
   
 
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