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Autore: Corydona    14/08/2017    2 recensioni
ANTEPRIMA (Il romanzo è su Amazon!)
Ex "Un tuffo al cuore"
Dopo l'infortunio di una delle compagne di nazionale, Fiammetta Salieri ha l'occasione di realizzare il suo sogno e di partecipare alle Olimpiadi. Cosa potrà mai andare storto?
Ovviamente, nulla va come previsto.
Nel giro di pochi giorni, Fiammetta si ritrova al centro delle più disparate confidenze, scoprendo legami di ogni genere tra compagni e avversari.
Tra amicizie che nascono e che muoiono, scommesse, tradimenti segreti e persino un mazzo di fresie, ci ritroviamo a vivere gli spalti dell'impianto non solo tra la tensione delle continue gare, ma anche facendo il tifo per le Olimpiadi che ognuno di noi almeno una volta nella vita deve disputare: quelle del cuore.
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Olimpiadi Romane'
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Appena la gara termina, vedo il mio allenatore voltarsi verso di noi, e mi fa un gesto per indicarmi di stare ferma, mentre invece Becky scatta e scende giù, per complimentarsi con le vincitrici. Normalmente lo avrei fatto anche io, ma capisco che mettermi a correre da una parte all’altra non è tanto intelligente; soprattutto dopo quella botta presa. Intorno a me gli spalti si animano e tutti si alzano in piedi, chiacchierano, in un miscuglio multilingue, una Babele a cui già avevo assistito ai Giochi Giovanili; ma devo dire che qui tutto sembra nuovo, diverso, magico. Vedo passare alcuni atleti, alcuni mi domandano come sto, e io rispondo, completamente in trance, mentre loro passano con sorrisi e allegria dipinta sui volti. Siamo alle Olimpiadi e questo clima di gran festa, al primo giorno, sembra davvero appartenere a una fiaba moderna.

E io sono ferma, seduta al mio posto, piccola tra i grandi.

Mi guardo attorno, imbambolata, e incrocio lo sguardo di Chiara Irsara, la punta di diamante del team azzurro, che mi sorride complice, e quasi mi viene da pensare che lei sappia che cosa mi attraversa la testa, che anche lei, una decina di anni fa, abbia vissuto le stesse sensazioni.

- Come ti senti? - mi chiede, in piedi di fronte a me.

Stringo le spalle, senza sapere cosa risponderle. - La testa non mi fa male, se non la tocco… ma il ghiaccio si è sciolto, forse dovrei prenderne altro.

Lei annuisce, comprensiva, prima di voltarsi verso lo spazio dedicato agli allenatori. - Sandro! A Fiamma serve altro ghiaccio! - grida, per sovrastare i suoni e le voci che ci circondano.

Lui alza lo sguardo dal cellulare e la guarda confuso. - Che? - urla di rimando.

Scoppio a ridere. Agito la busta del ghiaccio secco in direzione del mio allenatore, sperando che capisca che dentro è completamente liquefatto, e in risposta ottengo un pollice altro.

Spio Sandro allontanarsi tra la folla accalcatasi dalle parti della piscina. Troppo casino perché la cerimonia di premiazione inizi presto; d’altra parte siamo in Italia, mica dobbiamo essere puntuali!

- Dai, dopo questa bella figuraccia, ora la tua carriera è tutta in discesa! - ride Chiara, sedendosi al mio fianco, cercando di farmi tornare il buon umore. Ma non mi sento abbattuta, solo un po’ rincoglionita… e credo che sia il minimo.

Sorrido per la sua battuta, eppure qualcosa colpisce la mia attenzione: il mio allenatore, in mezzo a tutte quelle persone, mi sembra un po’ ingrigito, addirittura… dimagrito, possibile? Non ci avevo fatto neanche caso… Bah, sarà una mia impressione, forse è per la capocciata al trampolino.

- In realtà la mia carriera è tutta in salita, Chià - puntualizzo. - Dopo oggi, sono obbligata a fare meglio. Anche se non sarà troppo difficile.

Lei sorride, e mi stringe a sé, come prendendomi sotto la sua ala protettiva, senza dire nulla. Non mi stupisco, perché Chiara non è mai di molte parole: ma quelle poche che dice non sono mai a caso.

- Non ti sembra dimagrito? - le chiedo, alludendo a Sandro che si sta avvicinando agli spalti.

- Un po’ sì - risponde lei. - Ma credo che sia perché ultimamente sta mangiando poco. Forse sente la pressione per l’Olimpiade. Insomma… noi gareggiamo in casa, e tu, Becky e Tommaso siete quasi all’esordio…

- Ma non prendo la tua capocciata come un fallimento personale - la interrompe il mio allenatore, porgendomi altro ghiaccio secco. Ci ha appena raggiunte, risalendo da una delle scale più lontane: per questo l’ho perso di vista.

Afferro la bustina bianca e lascio cadere il discorso iniziale tra me e la piattaformista di Bolzano, perché non mi sembra il caso di parlarne davanti a lui.

- Ho tutta una carriera per rimediare - dico, facendogli l’occhiolino. Poi cambio completamente argomento. - Posso andare dai miei per rassicurarli?

Certo, mia madre era nella camera di chiamata, quando ho ripreso i sensi, ma mio padre no; e fargli vedere che sono tutta intera sarebbe il minimo.

Sandro annuisce, così io percorro il breve spazio che mi separa dagli spalti in cui sono i miei parenti, a ridosso della barriera rimovibile che li separa dagli atleti. Incontro un paio di persone che mi chiedono come stia… capisco che si preoccupano, ma così divento un fenomeno da baraccone!

Sto bene, diavolo, bernoccolo a parte non mi sono fatta nulla!

- Papà! - chiamo, vedendolo chiacchierare con una delle zie.

- Fiamma! - strilletta Maria, la mia cuginetta più piccola, e quasi si slancia verso di me. Le mando un bacio attraverso il divisorio, e la bimba mi sorride, felice. Sì, tesoro, sono tutta intera!

Mio padre, un uomo brizzolato con spalle larghe sui quarantacinque, mi raggiunge. Mi assesta un buffetto sulla spalla, che non è così lieve come nelle sue intenzioni: spesso non sa moderare la sua forza; mi ritrovo a pensare con un sorriso che per lui non sono tanto diversa dai bagagli che carica e scarica tutti i giorni, da questo punto di vista. Ma so che mi vuole bene.

- Quindi? - mi chiede, in attesa che sia io a dire qualcosa. Con lui è sempre così: devo essere io a parlare.

- Sto bene - rispondo. - A parte il fatto che per colpa mia Becky non andrà alle World Series

- Sì, mamma me l’ha detto - mi interrompe. - Dai, torna dai tuoi amici.

“Amici”: è davvero una bella parola da usare, soprattutto in questo contesto. Sa sempre cosa dire e al momento giusto. Grande papà.

- Sì, però… rassicura mamma, non vorrei che mi venisse a rapire di notte per portarmi a casa! - scherzo su, senza poterlo evitare.

- Certo - sorride lui, consapevole che al massimo mia madre potrebbe tempestarmi di messaggi… anche se normalmente non fa neanche quello. - Ma la prossima volta salta bene, intesi?

- Intesi - annuisco, sotto lo sguardo di Maria, che continua a tenere gli occhi spalancati, come se io fossi un’eroina dei cartoni animati. No, non sono Mulan, sono solo una povera scema che ha avuto un frontale con il trampolino.

Saluto la cuginetta e mio padre, facendo poi dei cenni a mia zia per farle capire che devo tornare al mio posto e che non posso fermarmi di più.

Nel ritornare verso il gruppo azzurro, incrocio due piattaformisti britannici. Andy Blake, uno dei piattaformisti, è avvolto in una bandiera proprio davanti a me e non si accorge che non c’è abbastanza spazio per lasciar passare sia me, sia lui e Alicia Easton, che è insieme a lui. La ragazza dà una leggera gomitata al suo amico (“migliore amico”, stando a quanto mi ha raccontato Valentina). Solo in un secondo tempo mi accorgo che lei mi ha scorta e che sta indicando al bel piattaformista di fare un passo indietro. Blake mi rivolge un gran sorriso, facendomi l‘occhiolino. I suoi occhi blu sono davvero la fine del mondo, ma li ignoro, così come il suo fascino che trasuda sicurezza, perché, naso che sparecchia a parte, è davvero un bel ragazzo, tralasciando il fatto che uno dei candidati per la medaglia d’oro.

Tra i tuffatori c’è un’alta percentuale di bei ragazzi, anche per i lineamenti del viso. Ma c’è qualcuno che fa i casting, per caso?

Ringrazio lui e Alicia per avermi permesso di passare, e a gran fretta arrivo dai miei compagni di nazionale, prendendo posto al fianco di Rebecca. Valentina, seduta alla sinistra della mia compagna di sincro, mi chiama con un colpetto sulla spalla.

- Ignorala - mi consiglia Andrea, alzando gli occhi al cielo. - Vuole solo spettegolare.

Non mi stupisco: fra noi Valentina ha fama di essere una gran pettegola.

- Guarda che con David hai davvero fatto colpo! - esclama entusiasta, come se la notizia riguardasse lei. Non appena fiuta un pettegolezzo, le si illuminano gli occhi dal taglio all'ingiù, dall'aria triste. Se non fosse per il sorriso che di frequente le solca le guance, non si capirebbe nulla di lei: sembrerebbe una persona chiusa e introversa. Niente di più sbagliato, considerando che è una delle tuffatrici più estroverse con cui ho parlato. Inoltre, mi ha incoraggiata molto ieri sera, perché ero parecchio nervosa per la gara di oggi. Ha cercato di trasmettere molta positività sia a me che a Rebecca: anni di esperienza ad altissimo livello non sono stati invano.

Quando la mia compagna di sincro si è addormentata, Valentina è rimasta a chiacchierare con me di tutt'altro. Mi ha chiesto cosa farò all'università, ma onestamente non ne ho idea neanche io, perché ho rimandato qualsiasi decisione a dopo l'Olimpiade.

- Sì, certo, adesso Thompson non ha pensieri che per lei... è più probabile che Antonio Garcia sia davvero un pornoattore - commenta Andrea sarcastico.

Antonio Garcia è uno degli allenatori della squadra canadese, anche se lui è messicano. Andrea sostiene da anni, stando a quanto mi ha detto Chiara, che secondo lui fa il pornoattore come secondo mestiere. Sulla base di cosa lo asserisca non lo sa nessuno, per lui è solo uno dei tanti scherzi, come il fatto di definire Jean-Marc "Fantasmino".

Neanche lo avessi chiamato con il pensiero, mi dà un colpettino sulla spalla, per chiamarmi, porgendomi altro ghiaccio secco per cambiare quello che sto tenendo. In effetti con questo caldo si liquefà molto velocemente. Sorrido per la sua premura: in effetti è l’unico a essersi comportato in maniera costruttiva; gli altri si sono limitati tutti a chiedermi se stessi bene. Ma Jean è Jean.

- Non fai la gara individuale, vero? - mi chiede.

- Sono venuta qui solo per il sincro - rispondo. Oltre a Becky, c'è un'altra ragazza che fa il trampolino e che è alla sua ultima gara. Alle Olimpiadi in tanti danno l'addio alle competizioni: infatti molti di quelli che vedo qui so già che l'anno prossimo non ci saranno. È strano, gareggiano insieme per tutta la carriera, magari sfidandosi ogni volta per le medaglie, e poi smettono insieme: è il caso di Chiara e Valentina e delle due cinesi della piattaforma, che sono qui per chiudere e magari per farlo in bellezza.

Jean-Marc scuote la testa, sconsolato. - Ah, giusto, me ne ero dimenticato.

- Fantasmino, se ti sposti, riesco anche a vedere - lo prende in giro Andrea. Ma il mio amico non si scompone, né si offende, ma, anzi, quasi ne ride. Hanno instaurato un rapporto amichevole, immagino perché Jean sorride sempre alle sue battute squallide, mentre io mi rifiuto categoricamente di dare cenno di averle udite; forse all’inizio facevano ridere. Forse.

- Jean, accompagnami a prendere le mie cose - gli dico invece io, alzandomi.

Lui fa da lontano dei cenni a Emilién, poi mi segue verso gli spogliatoi. Per fortuna hanno posizionato il podio per la premiazione dall'altra parte della piscina e io e lui dobbiamo solo oltrepassare la "Zona mista", in cui sono presenti i giornalisti, sperando di non venire fermati. Non voglio che mi si chieda ancora se mi fa male qualcosa, se mi sono ripresa, eccetera. Camminiamo a testa bassa e parlottando sottovoce. Sembra funzionare: nessun giornalista ci interrompe.

Jean-Marc (o Jean, come lo chiamano i suoi amici) entra insieme a me negli spogliatoi femminili. Non c'è nessuna tuffatrice, come previsto: sono tutte o alla premiazione o ad allenarsi un po' nella palestra. Prendo la borsa e tiro fuori il telefono. Ho una marea di messaggi: neanche a dirlo, il contenuto principale è la mia testa. Mostro la schermata del telefono a Jean, che si mette a ridere, prima di sedersi al mio fianco sulla panca e di scorrere insieme a me i messaggi tra i vari social.

Risponderò più tardi, con calma: ora non ho tempo, né, a dirla tutta, voglia.

Lui afferra il telefono, all’improvviso, strappandomelo dalle mani.

- Che c’è? - gli chiedo, perplessa.

- Un messaggio di lui - sussurra Jean, smanettando con il mio cellulare. Il suo tono di voce e lo sguardo assorto mi fanno capire immediatamente di chi si tratta. - Lo cancello, così non lo leggi.

Sospiro. In effetti non ho voglia di sapere che quello stronzo mi ha cercato dopo la craniata al trampolino. Non lo sento da tre anni, ed è da ipocrita farsi vivo solo adesso… dopo quello che mi ha fatto. Niente di grave, ma ogni volta che mi arrivano notizie sulla sua esistenza, la mia testa si concentra su tutt’altro: è così che ho sviluppato uno strano senso per l’assurdo. Anche se quello che mi è accaduto poco fa supera tutte le mie strambe fantasie.

Ora sto immaginando Andrea ballare il tip-tap sulla superficie ghiacciata della piscina. Bene, funziona.

- Dovresti farti una foto da mettere sui social, così calmi tutti - mi consiglia Jean sorridendomi. Deve aver accantonato anche lui nel dimenticatoio quel messaggio.

Annuisco: è un'idea, almeno rispondo una volta per tutte. Mi metto in posa, tenendo fermo il ghiaccio sulla testa, tenendo fermo il ghiaccio sulla testa in modo che non cada. Lui si alza in piedi per scattare la foto, poi si siede di nuovo vicino a me.

- Che dici, va bene un "ho ancora la testa attaccata al collo, non preoccupatevi"? - chiedo scherzosa.

- Ma no, scrivi un ringraziamento per i messaggi e che stai bene anche se la paura è stata tanta.

Jean controlla sempre che io non faccia la figura del pagliaccio su Facebook e Instagram. Ma non ha una grande importanza, so che prima o poi troverò il modo di passare per deficiente. Con molta probabilità accadrà in mondovisione. Ah, ma è già successo un'oretta fa.

- Io non ho avuto nessuna paura, anche perché un momento stavo aprendo le braccia per entrare in acqua, il momento dopo ero distesa nella camera di chiamata - ridacchio. Nonostante il dispiacere per le World Series, non riesco a prenderla sul tragico, è più forte di me.

Riesce a sorridere anche lui, smentendo la prima impressione che fanno i suoi occhi castani da cucciolo bastonato. Ma io so che a lui piacere ridere; e che lo fa molto spesso e con allegria. - Noi invece ci siamo presi tutti un brutto spavento. Ho sentito Alicia cacciare un grido e sono sicuro che fosse lei. Emilién aveva paura che ti eri ammazzata!

- Carino da parte sua preoccuparsi per me - commento, sarcastica.

- Scema.

E scoppia a ridere. Sa che considero Emilién un tipo divertente, anche se è un po' donnaiolo, ma tutto qui. Non riesco mai a prenderlo sul serio, esattamente come mi succede con Andrea.

Insieme troviamo un modo carino e non troppo ironico per annunciare al mondo che, alla fine, è stata solo una botta in testa, come sbattere contro una finestra aperta, insomma.

Ovviamente immancabile il commento alla foto di Andrea: "Magari così diventi anche intelligente!"

   
 
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